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sabato 5 dicembre 2015

COSÌ INSEGNÒ ZARATHUSTRA


Prima ancora che un governatore vi regnasse in nome dei re divini, visse a Battria un uomo che sarebbe diventato, più di qualsiasi altro, una figura determinante per la notorietà della cultura persiana in occidente. Costui fondò una religione e diede alla Persia una nuova spiritualità ma, ancora di più: egli ha elaborato una visione del mondo che ha avuto ripercussioni decisive sulla nostra stessa cultura, plasmandola in aspetti non secondari. L'uomo era Zarathustra.
 
Quando gli arabi conquistarono la Persia e vi diffusero l'islamismo, la religione antico-iraniana scomparve quasi completamente dalla regione e Zarathustra rimase a lungo, per i posteri, un profeta la cui dottrina era stata superata e soppiantata da quella di fondatori di religioni più affermate: Gesù Cristo, Maometto, Budda. Un uomo, quindi, irrevocabilmente travolto dalla storia. Pur tuttavia, molti principi teologici delle religioni moderne, la cui origine fu a lungo ricercata nei profeti ebraici, sono già delineati negli scritti di Zarathustra. Questo è già un motivo sufficiente per chiedersi se la religione ebraica e in seguito, il cristianesimo e l'islamismo non siano stati profondamente influenzati dal suo insegnamento. Sulla persona di Zarathustra sappiamo ancor oggi ben poco. Gli storici disputarono a lungo sulla sua data di nascita e sui luoghi in cui visse e agì. Non esistono indizi veramente affidabili anche perché i suoi insegnamenti furono messi per iscritto secoli dopo la sua morte con l'eccezione delle Gàthà, le prediche in versi, o inni, che si ascrivono a Zarathustra stesso; anche quest'ultime però ritraggono la biografia del profeta a tratti vaghi. Oggi, dopo complessi studi linguistici e comparazioni di testi antico-iraniani, la maggior parte dei ricercatori è arrivata alla conclusione che Zarathustra sarebbe nato attorno all'anno 630 a. C. nella città di Battria. Di conseguenza non era un persiano bensì un battriano, come allora si chiamavano gli abitanti della regione. Apparteneva, come i persiani, agli Arya (oggi arii o ariani), la grande stirpe indoeuropea che, a partire dal terzo millennio a. C., si era spinta ininterrottamente dall'Asia centrale verso sud. Alcune tribù erano penetrate in India attorno al 1900 a. C. e avevano fondato nel corso di dieci generazioni il sistema di caste degli indù. Altre tribù erano confluite, nello stesso periodo, nei grandi altipiani disabitati, con steppe e deserti, montagne e fertili valli, in quel paese che alla fine si chiamerà Iran "paese degli ariani". Se si vuole prestar fede alla leggendaria tradizione dell'Avesta, Zarathustra fu il terzo figlio di una nobile famiglia, gli Spitama. Il padre sembra sia stato sacerdote di un clan di nobili allevatori che non avevano alcun tempio e offrivano i loro riti sacrificali all'aperto, nella steppa. Influenzato spiritualmente dalle tradizioni nomadi della sua tribù e dalla vita cittadina di Battria, fu destinato, ancora molto giovane, a seguire le orme del padre, a diventare lui pure sacerdote. Ma di quale religione? Le testimonianze scritte del tempo sono poche, ma bastano a delineare un quadro sufficientemente chiarificatore. Gli iraniani, dai battriani ai medi fino ai persiani, suddividevano i loro dei in due classi: le divinità superiori della luce che abitavano nel cosmo, gli ahura, e gli spiriti inferiori che dimoravano nella terra, nel vento, nell'acqua e nel fuoco, i daeya. Nessun uomo però si sentiva in grado di comprendere razionalmente l'autorità di tali dei, talvolta li si percepiva senza un motivo ben identificabile come amici e soccorritori, altre volte crudeli e distruttori. Gli iraniani potevano solo sperare di rendere clementi quegli dei misteriosi e inquietanti tramite canti di lode e doni sacrificali. Nei loro solenni rituali doveva scorrere abbondante sangue di tori e di buoi, per lenire il terrore di un destino incommensurabile. I sacerdoti e il popolo bevevano, in determinate occasioni, una bevanda inebriante che portava il nome del loro dio dell'estasi, Haoma, e con danze ritmiche interminabili cadevano in trance per percepire, sia pur per brevi momenti, l'incantevole ebbrezza dell'immortalità, come i loro dei. Zarathustra si accorse ben presto dell'inadeguatezza di tali rituali, dato che all'età di vent'anni abbandonò la sua patria e parti in solitudine. Lui, che si nominava uno zaotar, poeta sacro e predicatore, voltò le spalle al mestiere di sacerdote. Dieci anni, forse anche vent'anni, dovettero durare le peregrinazioni del religioso viandante. Nell'Avesta troviamo scritto soltanto che alla fine, sul fiume Daitya, gli apparve un angelo e si sarebbe verificato uno dei più fecondi avvenimenti per la storia delle religioni. Zarathustra ebbe la visione della lotta cosmica tra le forze del bene e del male, tra Dio e Satana; poi della resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale e della continuazione dell'esistenza dopo la morte, nel paradiso o nell'inferno. Tutto ciò molto prima che i profeti di altre religioni annunciassero gli stessi principi. Se le supposizioni degli storici sono esatte, questo è avvenuto negli anni che vanno dal 610 al 590 a. C. quindi seicento anni prima di Cristo e mille e duecento anni prima di Maometto. Sul fiume Daitya apparve - cosi raccontano le Gàthà - al religioso viandante l'angelo Vohu Manu "animo buono" avvolto in uno splendido mantello di luce che lo condusse al trono del dio Ahura Mazdah "signore saggio".
 
Passarono diversi anni prima che Zarathustra, dopo quella visione, uscisse dalla solitudine iniziando quindi a predicare nella capitale della sua patria. La gente lo ascoltava senza troppo interesse, i sacerdoti e i nobili lo respingevano duramente. Pochi furono i seguaci che si strinsero attorno a lui e lo accompagnarono nei suoi viaggi di predicazione. Dopo anni di delusioni e di persecuzioni lasciò Battria e con i pochi suoi discepoli andò nel regno di Corasmia. Il re Vistaspa lo accolse benevolmente, tenne lunghe conversazioni con lui e si convertì alla nuova fede: fu un successo decisivo. I nobili a corte seguirono ben presto l'esempio del Re. Zarathustra poté iniziare la sua opera. Sotto la protezione del Re fece costruire davanti alle porte della città il suo famoso tempio del fuoco al cui altare, all'aperto, i sacerdoti intonavano canti e catechizzavano il popolo. Non c'era più bisogno di sacrificare vittime animali per rendere benevoli gli dei. Chi agiva secondo i precetti del "saggio signore", Ahura Mazdah, cioè rettitudine, laboriosità e onestà, poteva sperare nella grazia divina per l'avvenire. Keshmar divenne la residenza di Zarathustra e in quella città affluirono i curiosi per ascoltare le sue prediche, da lì partirono i suoi allievi come missionari nelle province lontane e in altri regni. Ciò nonostante non mancarono le difficoltà e gli ostacoli. La casta sacerdotale, rimase testardamente fedele alla religione preesistente e si coalizzò con i principi degli stati vicini contro il riformatore. La guerra che segui fu fatale al fondatore della religione e al suo protettore, il re Vistaspa. Per Zarathustra terminò in una catastrofe. Le truppe nemiche, quando penetrarono nella capitale, bastonarono a morte il vecchio di settantasette anni prima di doversi ritirare in fuga. Zarathustra mori da martire, come tanti padri fondatori di religioni. Avvenne attorno all'anno 553 a.C. Secondo la leggenda, la dottrina di Zarathustra fu scritta, ancora ai tempi del maestro, con inchiostro d'oro su dodicimila pelli di bue e fu poi conservata nella biblioteca reale di Persepoli. Di quell'originale non ci è pervenuto alcunché. Dev'essere verosimilmente finito alle fiamme nell'anno 330 a. C. quando i soldati di Alessandro il Grande, conquistata la città, vi appiccarono fuoco. Ciò che è rimasto sono copie redatte, seicento anni dopo, da sacerdoti, sulla base di altri esemplari dell'Avesta. Purtroppo, anche di quelle ci sono pervenute soltanto parti frammentarie perché gli arabi, durante la loro avanzata conquistatrice, operarono ripetute distruzioni. I brani a noi pervenuti forniscono in ogni caso sufficienti chiarificazioni sulla sua dottrina. Zarathustra ha, come molti padri di religioni, lasciato ben poco di scritto. Di tutto ciò che ci è pervenuto, solo le Gàthà (gli inni) nei libri Yasna (riti del sacrificio) che potrebbero essere ascritti direttamente a lui. Furono, infatti, redatte in un dialetto simile al sanscrito com’era allora in uso a Battria. Si tratta però di pochi punti di riferimento precisi che, nonostante ciò, permettono di ricostruire con una certa approssimazione i caratteri grandiosi e unici della sua dottrina. Zarathustra confutò la fede dei suoi padri che riconosceva un gran numero di ahura, le divinità della luce, e di daeva, i demoni. Egli sostenne che una sola di quelle divinità ahura era l'unico dio: Ahura Mazdah, il "saggio signore". Ahura Mazdah non appare più agli uomini, come gli altri ahura, in maniera visibile, non sposa altre dee e non genera figli, non è nemmeno più una divinità volubile che, incomprensibilmente, dispensa a volte il bene e altre volte il male. Il suo Ahura Mazdah non ha un’immagine corporea, è onnipresente, astratto ed eterno. Ben lontano dalle passioni umane, incarna un principio facilmente identificabile: il bene. A quest’unico dio si oppone però un antagonista col nome di Angra Mainyu, lo "spirito del male". Il grande oppositore, un daeva in origine, non lascia niente d’intentato per distogliere gli uomini dalla fede nel bene. Ci sono poi figure ausiliarie quali forze del bene e del male, sono spiriti e demoni derivati, nelle loro qualità, dalle divinità precedenti. Dalla parte di Ahura Mazdah sta innanzi tutto Spenta Mainyu, lo "spirito santo" che compare talvolta quale incarnazione dell'unico dio, altre volte come entità a se stante in qualità di annunciatore della volontà divina. Gli dei-servitori di questo "spirito santo" sono divinità della luce, amesha spentas, "spiriti immortali": gli angeli. Essi ricevono di regola l'incarico di annunciare agli uomini i messaggi divini. Vohu Manu, "animo buono", era uno di quegli angeli: apparve a Zarathustra per accompagnarlo al trono del dio. Dalla parte dello "spirito del male", Angra Mainyu, stanno i daeva, i demoni. A quel gruppo appartengono la maggior parte delle divinità venerate dai contemporanei di Zarathustra e sono spiriti cupi al servizio del male. Dio è eterno ma la lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, è limitata nel tempo, così insegnò Zarathustra. La lotta iniziò dopo che Dio aveva creato un mondo senza peccato, abitato da un uomo e da un animale ideali. Allora, nel regno della luce di Ahura Mazdah, comparve il suo antagonista Angra Mainyu che negò la creazione divina e volle corromperla. Passarono tremila anni‚ ma lo spirito del male riuscì a penetrare nel mondo senza peccato e a eliminare l'uomo e l'animale ideali. Da quel momento si moltiplicarono sulla terra i demoni inferiori generati da Angra Mainyu. Lo spirito del male non riuscì, però, a scacciare dal mondo l'influenza del bene perché sia l'uomo sia l'animale ideali avevano lasciato il loro seme sulla terra. Da quel seme nacquero, magicamente, la prima coppia umana e le prime specie animali. In quelle nuove forme viventi erano però frammischiati sia il bene che il male, l'epoca d'oro del paradiso senza antagonismi e senza peccato era finita. Fu così che iniziò la storia universale costellata da conflitti e intrighi drammatici, da quel momento l'uomo fu, ed è ancora, chiamato a scegliere tra il bene e il male. La nuova epoca durava da trentamila anni. Poi Dio decise di aiutare gli uomini inviando tra loro un profeta: Zarathustra. Il profeta però viene riconosciuto tale solo da una minoranza degli uomini e più tempo passerà dalla sua morte, più gli uomini si allontaneranno dalla morale e dalla virtù. Come punizione Dio condannerà il mondo a una serie di catastrofi, d’inondazioni, d’incendi e di guerre disastrose, quindi i suoi angeli suoneranno le trombe del giudizio universale. Così gli uomini tutti si alzeranno dalle loro tombe e dovranno rispondere al cospetto del divino signore della loro vita, se hanno accettato o rifiutato il messaggio spirituale del profeta. Mentre per i fedeli inizia a quel punto una "vita eterna" nel regno di Dio, gli altri saranno condannati all'eterno tormento nell'inferno. Alcuni caratteri di questo insegnamento religioso erano nuovi, mai formulati e predicati fino ad allora da nessun altro uomo. Spesso si tratta di concetti che i cristiani, gli ebrei e i musulmani, pur con tutte le differenze nei dettagli, riconoscono a loro familiari. Ancora oggi gli storici delle religioni dibattono attorno alla questione se Zarathustra abbia riformulato in maniera più chiara idee già preesistenti oppure se creò qualcosa di radicalmente nuovo. Alcune delle loro ricerche però possono già essere prese come certezze e ora le esamineremo. Iniziamo dalla fede in un dio unico. Zarathustra ha fondato una religione monoteistica ma non fu affatto il primo ad annunciare il credo in un unico dio. Gli ebrei, i cristiani e i musulmani ascrivono tale primogenitura al patriarca ebreo Abramo. Ciò nonostante è poco verosimile che il pensiero ebraico sia arrivato fino a Battria dato che gli ebrei non mostravano propensione a viaggiare cosi lontano e meno ancora a predicare ad altri popoli la loro religione. Zarathustra dovette ricevere stimoli da un'altra direzione. Un popolo però aveva già mosso i primi passi in quella direzione: gli indiani arii. Gli indiani avevano iniziato già un secolo prima di Zarathustra a sviluppare nella parte filosofica del loro Veda, la cosiddetta Upanisad (dottrina segreta), una nuova forma di religione. Non pochi, tra i loro significativi pensatori, presumevano che dietro la complicata molteplicità degli dei ci fosse una magica forza primigenia, un'anima universale creatrice del tutto che veniva chiamata brahman. Si trattava di un principio astratto quasi incomprensibile per le masse dei fedeli. I semplici contadini e artigiani continuavano a credere solo a Siva, Visnu e a mille altre divinità, ma per i colti sacerdoti quegli dei rappresentavano soltanto forme apparenti dell'inesauribile brahman. Presso gli indiani si stava delineando, sia pur con contorni vaghi, l'idea del dio unico. Zarathustra conosceva forse quei testi? E probabile. Addirittura molto verosimile dato che l'orientalista americano Richard Frye richiama l'attenzione sul fatto che le sue preghiere in versi, le Gatha, sono riconducibili per metro e ritmo al Veda dei brahman indiani. Lo stesso titolo dell'opera omnia Avesta (Sapere) corrisponde a quello della raccolta indiana di scritti religiosi Veda (Sapere). Inutile sottolineare che non dovrebbe esser stato difficile decifrare la "lingua sacra" degli indiani arii, il sanscrito, che era parecchio somigliante al dialetto di Battria. A quel tempo dovevano poi verificarsi frequenti contatti tra i sacerdoti arii dell'Iran orientale e dell'India settentrionale. Zarathustra avrebbe quindi sviluppato ulteriormente e in maniera radicale, ciò che gli eruditi indù avevano fatto germogliare. Ha, indipendentemente dai profeti ebraici e con lo sguardo diretto all'India, impresso un nuovo corso all'idea di un "principio primordiale", di “un’anima universale". Zarathustra però non diventerà per questo un genio nella storia delle religioni. Elaborò soltanto ciò che gli ebrei avevano già formulato in maniera analoga. L'idea della fede in un unico dio non avrebbe tardato a imporsi se lui stesso non fosse vissuto. Dove sta dunque l'aspetto unico e originale che, prima di lui, nessun profeta annunziò? Qual è il nuovo che influì in maniera decisiva su altre e posteriori religioni? Oggi una gran parte degli studiosi di storia delle religioni, impegnati nell'analisi delle fonti storiche, sono d'accordo nel loro giudizio su un punto: Zarathustra fu il primo profeta ad annunciare l'esistenza di Satana. Zarathustra per primo ha considerato il mondo terreno come il luogo dello scontro tra il bene e il male e nessuno prima di lui ha chiamato gli uomini a fare una libera scelta tra queste due forze assolute. È certo che questo modello ha dei precedenti: gli indiani arii e gli iraniani operavano da tempo una distinzione tra dei del bene e del male, suddividendo così l'universo in due mondi contrapposti, ma fu peculiare di Zarathustra l'aver fissato linee precise in quell'ordine ancora vago. Lui per primo predicò la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale, in cui l'uomo, al cospetto di Dio, deve rispondere delle sue buone e cattive azioni. Prima di Zarathustra nessuno ha annunciato l'esistenza di un aldilà, del paradiso per i buoni e dell'inferno per i cattivi. Ciò che molti di noi credevano appartenesse al patrimonio inventivo degli ebrei non venne ideato per tramite di apparizioni nei deserti della Giudea o sul fiume Giordano, bensì nelle montagne e nelle steppe dell'Afghanistan e sulle rive dell'Amu Darja. Gli ebrei ai tempi di Zarathustra conoscevano già i dieci comandamenti di Mosé e credevano che i peccatori suscitassero l'ira di Dio. La pena però li minacciava nell'aldiquà e spesso avveniva. Lo raccontano, in maniera leggendaria, le parti più antiche del Vecchio Testamento, che Dio intervenisse direttamente e funestasse i peccatori con la guerra e le epidemie. Una giustizia compensatrice nell'aldilà era sconosciuta anche agli stessi profeti Isaia ed Ezechiele, che furono quasi contemporanei di Zarathustra. E pur vero che nelle loro scritture si trova formulata la promessa che i morti sarebbero rinati, ma quella profezia per immagini e metafore annunciava più che altro la resurrezione dello stato di Israele dopo un periodo di decadenza: il loro pensiero era quindi legato all'aldiquà, era di tipo politico. Nella fantasia degli ebrei esisteva soltanto un regno delle ombre, dove tutti i morti sarebbero giunti, senza distinzioni tra ricompensa e pena, tra paradiso e inferno. Un tale regno delle ombre era in tutto simile all'ade dei greci. Gli ebrei non conoscevano ancora il diavolo quale potente antagonista di Dio. Nelle scritture bibliche di quel tempo Satana compariva soltanto quale esecutore di Jahvè e spirito della punizione, cioè doveva sempre adempiere al volere del suo supremo signore. Il diavolo non era ancora il demone ostinato che cercava di trionfare su Dio con l'aiuto degli uomini. Gli ebrei consideravano la storia dell'umanità come un eterno ripetersi di avvenimenti simili, senza uno scopo intrinseco al divenire. Immagini e concetti religiosi degli ebrei di quel tempo non si discostavano molto da quelli degli altri popoli progrediti, dagli indiani ai cinesi ai babilonesi ed egiziani fino ai greci e romani.
 
Tre secoli dopo la morte di Zarathustra, gli ebrei pensavano diversamente. Nelle loro scritture bibliche si ritrovavano ormai quelle idee religiose che noi oggi consideriamo essere in tutto e per tutto ebree e, in senso traslato, cristiane. La diffusione delle idee religiose di Zarathustra fu assicurata dal sorgere di una potenza politica che riuscì a difendere efficacemente la nuova religione contro i suoi oppositori. Solo allora si realizzò per Zarathustra la possibilità di diventare famoso oltre i confini iraniani e di influenzare così in maniera decisiva altre religioni. Questa forza politica stava già formandosi al tempo di Zarathustra stesso: era l'impero dei persiani. L'incontro con Zarathustra portò a una svolta religiosa di grande importanza presso uno dei popoli sottomessi: gli ebrei. Gli effetti furono d’importanza storica mondiale. Gli ebrei di quel tempo passarono attraverso la più grande crisi della loro storia. Nell'anno 587 a.C. Nabucodonosor re di Babilonia aveva fatto distruggere la capitale ebraica Gerusalemme fino alle mura di cinta e deportato soprattutto uomini di lettere, sacerdoti, funzionari dell'amministrazione, commercianti e soldati nelle regioni del Tigri ed Eufrate. Lo stato ebraico non esisteva più, l'intera élite intellettuale e con lei, una parte del popolo, viveva sotto il dominio di governanti stranieri, molto lontano dalla patria nativa. Quell'epoca, che è entrata nella storia col nome di prigionia babilonese, ebbe fine per mano di Ciro, il Grande Re dei persiani. Ciro fece tornare gli ebrei nella terra dei loro padri dopo aver conquistato il regno babilonese. Ma idee e indirizzi spirituali di coloro che tornarono a casa erano diversi da quelli dei loro diretti antenati: nella loro permanenza in terra straniera erano stati influenzati dall'incontro e scontro con una cultura assolutamente nuova e per certi versi, affascinante. Messi alla prova da quell'esperienza, profondamente disorientati, i sacerdoti ebrei cominciarono a riflettere intensamente sulle grandi questioni religiose, sul senso dell'esistenza, anche il popolo si mostrava ricettivo a nuovi messaggi profetici. Durante quel periodo storico vennero formulate parti fondamentali del Vecchio Testamento ispirate al patrimonio culturale straniero. Innanzi tutto a Babilonia: da lì gli ebrei presero il mito della creazione della prima coppia di uomini dal fango e la leggenda del diluvio. Ma impararono molto anche dai persiani.
 
Come possiamo però dimostrare che gli ebrei furono influenzati proprio dalla dottrina di Zarathustra? A questo riguardo siamo in possesso di un documento illuminante. Si trova nel Vecchio Testamento: il libro di Daniele. Non ne conosciamo gli autori, probabilmente il libro è stato scritto uno o diversi secoli dopo la morte del profeta ebraico. Deve poi trattarsi di una commistione di elementi leggendari e di avvenimenti realmente accaduti; ciononostante possiamo tirare alcune importanti conclusioni dal testo. Daniele visse alla corte del re babilonese Nabucodonosor. Daniele fece carriera a corte grazie alla sua capacità di interpretare in maniera convincente i sogni di Nabucodonosor e ciò non era poco in un paese in cui dai sogni si leggeva il futuro. Egli diventò addirittura alto funzionario. Quando Ciro conquistò Babilonia, l'esperto di riguardo andò a corte a Susa e diventò per decenni un importante consigliere del Grande Re Dario. Fin qui la sua biografia. D’importanza decisiva sono le parole che gli autori biblici a lui posteriori attribuiscono a Daniele. Nel dodicesimo capitolo del libro che porta il suo nome, leggiamo: "E molti, sicché‚ giacciono dormienti sotto la terra, si sveglieranno, certuni per la vita eterna, altri per l'umiliazione e la vergogna eterne... Tu però Daniele (è Dio che parla) vai pure finché arriverà la fine e sii tranquillo, che tu risorgerai nella tua terra alla fine dei giorni". Frasi simili non si erano mai trovate negli scritti del Vecchio Testamento. Sono pensieri attribuiti a un ebreo al servizio dei persiani e che a Susa ebbe senz'altro contatti quotidiani con seguaci di Zarathustra. Per la prima volta un ebreo annuncia la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale. Nello stesso libro si legge, per la prima volta, che il divenire storico ha una meta precisa nella fine del tempo: la necessaria scomparsa del nostro mondo imperfetto e l'inizio raggiante di un eterno regno di Dio. Il libro di Daniele dimostra l'influenza della religione di Zarathustra sul pensiero ebraico. Non deve trattarsi certo dell'unico caso. Nel corso del III e II secolo a. C. gli ebrei si appropriarono anche della dottrina degli angeli e dei demoni, di Dio e Satana quali antagonisti universali in questo mondo terreno. Gli ebrei non cedettero più che sia il bene quanto il male provenivano in uguale misura da Dio e che in quanto tali dovevano essere accettati. Da quel momento tutto il male era da ascriversi a forze demoniache che operavano da un ben definito regno delle tenebre e contro le quali bisognava opporre un'energica resistenza. Nel II secolo a.C., la religione ebraica si configurava così come Gesù la conobbe. Il Redentore accolse poi diversi aspetti fondamentali di quelle nuove idee. E non solo lui. Seicento anni dopo, Maometto diede vita all'islamismo prendendo le mosse dal patrimonio ebraico e cristiano: anche quest'ultimo predicò che gli uomini erano posti in questo mondo per scegliere tra Dio e Satana, anche lui insegnò la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale, anche lui annunciò il paradiso quale ricompensa per gli uomini retti e l'inferno come punizione per i peccatori. E' un vero paradosso: i seguaci di Zarathustra sono oggi una minoranza in via di sparizione. Nemmeno duecentomila fedeli, ma il pensiero del padre fondatore ha collaborato a forgiare tre grandi religioni, i cui segnaci rappresentano più della metà della popolazione mondiale. In Persia si trovano oggi quarantamila seguaci di Zarathustra, un numero insignificante rispetto al totale della popolazione. La maggior parte di loro vive a Teheran e nelle regioni di Kerman e Yasd. Nessun persiano musulmano impedisce loro di raccogliersi attorno al fuoco sacro e di pregare Ahura Mazdah: ai seguaci di Zarathustra è assicurata piena libertà di culto. In questo caso anche gli sciiti fanatici non fanno eccezione, nonostante la loro fama d’intolleranti. Secondo i precetti islamici, nessuna religione che insegni la fede in un unico Dio può essere ostacolata. I musulmani riconoscono la fede di Zarathustra come una forma primitiva dell'islamismo e ciò permette ai fedeli di Ahura Mazdah di sopravvivere, almeno fino a oggi, nel loro paese di origine. Al di fuori della Persia i seguaci di Zarathustra sono presenti in un certo numero in India, dove erano fuggiti già nel VII secolo. Là si nominano parsen, che significa nient'altro che persiani. Il loro centro è la metropoli di Bombay. Essi riuscirono a tramandare il loro credo nella memoria dei posteri in maniera più efficace dei loro fratelli persiani e poterono mantenere le loro tradizioni nella società induista religiosamente tollerante senza essere ostacolati. Non è quindi un caso che proprio a Bombay gli storici europei fecero il primo incontro con la dottrina di Zarathustra. Il numero dei parsen si limita a centotrentamila persone circa. Se a loro si aggiungono i persiani, si arriva a un totale di circa centosettantamila credenti che sono rimasti fedeli a questa religione un tempo così importante. La fede di Zarathustra non è mai diventata una religione universale, ma non ha neppure mai tentato di diventarlo. Sulla base delle notizie in nostro possesso bisogna supporre che i suoi seguaci non abbiano mai sentito l'esigenza di predicare da missionari ai popoli stranieri. "Andate nel mondo... ", questo comandamento di Gesù, che Maometto ha ripreso in forma analoga, manca ai seguaci di Zarathustra. Essi si comportarono come gli ebrei a cui bastava costatare che la fede nell'unico dio fosse ben radicata nel popolo eletto. Gli imperatori antico-persiani hanno favorito quest’autolimitazione, reputavano fosse meglio lasciare agli altri popoli la loro religione, anche solo per amore di pace politica. La scoperta di Zarathustra da parte della cultura europea iniziò nell'anno 1771. A quel tempo lo storico francese di religioni nonché orientalista Abraham Anquetil-Duperon conobbe a Bombay i parsen e s’imbatté in qualcosa di più importante ancora: la loro bibbia, l'Avesta. Più precisamente: quegli importanti frammenti che erano rimasti dopo secoli di lotte religiose e politiche. Portò con sé un esemplare a Parigi e lo tradusse in francese. Fu un'impresa pionieristica che fece scalpore. Già cinque anni dopo era disponibile una traduzione tedesca, tanto era l'interesse che aveva suscitato negli specialisti e nel pubblico colto di lettori oltre il Reno. Non fu affatto un caso che ciò avvenne nel secolo dell'illuminismo. A quel tempo, nella seconda metà del XVIII secolo, poeti, filosofi e scienziati riuscirono a liberarsi dalla tutela della chiesa e fecero ogni sforzo per conoscere, al di là dei pregiudizi, altre culture, anche altre religioni. Gli illuministi amavano la tolleranza e condannavano i gretti dogmatici che accettavano esclusivamente ciò che non contrastava col pensiero ereditato dal passato. Nella borghesia colta regnava un clima di apertura al nuovo e di attenzione per quelle religioni fino ad allora sconosciute. Mozart introdusse Zarathustra nella veste di supremo sacerdote e mago Sarastro nel suo Flauto magico; Goethe si occupò del profeta iraniano nel suo Divano occidentale-orientale (vedi: Hafiz). L'importanza decisiva di Zarathustra rimase però ancora a lungo sconosciuta a una più vasta cerchia di lettori: molti lo consideravano nel migliore dei casi un profeta messo in ombra dai padri fondatori di religioni seguenti, un uomo cioè sorpassato inesorabilmente dal corso degli eventi storici. Quest’opinione non cambiò sostanzialmente neppure nel XIX secolo quando sempre più orientalisti si diressero in Persia e in India raccogliendo nuove copie dell'Avesta, traducendole, commentandole e comparandone criticamente le rispettive differenze. Fu così che si rivelò interamente ai ricercatori come la dottrina di Zarathustra anticipasse alcuni concetti che fino ad allora erano stati attribuiti all'ebraismo e al cristianesimo. I risultati di quelle ricerche incontrarono una vasta resistenza in larghi strati della popolazione. Gli scienziati si scontravano contro un tabù: essi osavano affermare che il cristianesimo derivava i contenuti della sua dottrina non solo da Gesù Cristo e dai profeti dell'Antico Testamento, ma anche dal padre di una religione che apparteneva a una cultura completamente estranea. Doveva forse voler dire che la fede cristiana era stata prodotta, in maniera contraddittoria e progressiva, dagli uomini stessi come tutta la loro cultura, e non proveniva quindi direttamente da Dio come verità assoluta?

1 commento:

  1. Nelle scritture bibliche di quel tempo Satana compariva soltanto quale esecutore di Jahvè e spirito della punizione, cioè doveva sempre adempiere al volere del suo supremo signore. Il diavolo non era ancora il demone ostinato che cercava di trionfare su Dio con l'aiuto degli uomini.

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