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domenica 8 maggio 2016

ROMA: LE ORIGINI DEL MITO


Regine, sacerdotesse, membre anziane del clan: nella preistoria la società era di carattere egualitario. Si evidenziava un particolare rispetto verso la Madre Terra come simbolo della Grande Madre. Il potere della donna era inteso non come dominio ma come capacità di illuminare e trasformare la coscienza umana. Un potere, quindi, non terreno ma spirituale che si estrinseca non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore, nella giustizia. Queste qualità verranno in seguito attribuite alla Vergine Maria. La dispensatrice della nascita e la Madre Terra si fusero nella Madonna. Alla fine di questo periodo la spiritualità antica della Grande Madre, gradualmente, si attenuò fino a scomparire come risultato dello scontro tra culture diverse e del successivo affermarsi delle religioni patriarcali.

Per interpretare il significato di una leggenda, per cercare di datarla ed inquadrarla in un suo contesto storico, ammesso che ne esista uno, l'unica base di partenza possibile è ovviamente l'analisi puntuale della o delle versioni che sono giunte fino a noi. È ovvio che tutte le valutazioni e i fatti qui contenuti devono essere presi soltanto come ipotesi di lavoro. Solo con un faticoso lavoro di comparazione del testo con la massa dei dati scientifici provenienti da tutte le fonti pertinenti, sarà possibile azzardare qualche cauta affermazione a proposito della veridicità degli eventi narrati.

La fondazione di Roma si perde nel mito delle origini. Possiamo subito osservare tre aspetti della leggenda:
  • Romolo è figlio di una sacerdotessa (vestale).
  • Viene allattato dall’animale totemico (lupa) come se fosse un lupacchiotto egli stesso.
  • Il fratello maggiore (e non il gemello, si noti che Romulus, in latino, si può leggere come Romus/Remus: il minore) deve morire affinché lui possa regnare.
Ritroviamo la presenza di un "mito dei gemelli" nella saga dei Fanes, con la quale il mito presenta delle peculiari affinità.
Ma, mentre il mito dei Fanes ci rappresenta una struttura sociale ancora matriarcale ed animistica, Romolo è raffigurato come il fondatore di una società patriarcale e praticante una religione politeistica; di conseguenza non può restare figlio di padre ignoto, bensì come genitore gli viene attribuito un dio. Quanto a Remo, il suo ruolo è quello di scomparire nel rito del gemellaggio totemico. Ruolo mistico ampiamente frainteso (o volontariamente trasformato in un ben diverso ruolo politico) dai successivi estensori del mito.
Il mito di Romolo, per la datazione storica, non sembra aver influenzato quello dei Fanes e, naturalmente, non è possibile neanche il contrario. Pertanto, credo che si possa tranquillamente sostenere che entrambi i miti traggano origine da un comune corpo di ancestrali credenze a sfondo animistico-matriarcale, che nella tarda età del Bronzo o del primo Ferro, dovevano essere ancora abbastanza diffuse.
È tuttavia interessante notare alcune ulteriori particolarità nel mito della Roma delle origini:
  • Romolo è uno straniero (viene da Albalonga);
  • la sua abitazione (in base ai recenti scavi del prof. Carandini) si trova all'interno del santuario di Vesta.

Queste occorrenze richiamano evidentemente la matrilocalità e pongono Romolo in parallelo al "principe dei Landrines, che sposa Moltina, la vera sorgente del sacro potere regio, va a vivere con lei, e fonda la rocca delle Cunturines: la "città" dei Fanes. Ne ricavo la sensazione che Romolo abbia fondato la città dopo essersi accasato con una sacerdotessa di Vesta (moglie quindi, e non madre? Si noti che l'assonanza tra il nome di Ersilia, la moglie di Romolo, e Rea Silvia, la madre: potrebbe non essere una coincidenza!) e che, di conseguenza, dovesse obbligatoriamente essere mitizzato secondo lo schema tradizionale italico dei fondatori di città. In origine non doveva affatto chiamarsi Romolo né avere necessariamente un fratello, tanto meno gemello. Tutti questi attributi gli sono stati assegnati all'atto della sua mitizzazione in forma canonica (che deve essere avvenuta molto presto): nato altrove, figlio di un dio ed una sacerdotessa, allevato dall'animale totemico, dotato di un fratello maggiore che doveva essere sacrificato in un atto di "gemellaggio" col totem, affinché nel minore potesse incarnarsi lo spirito del medesimo, ed egli potesse legittimamente salire al trono.
Lo schema sopra tratteggiato, se confermato, ci porterebbe ad una conclusione del tutto inaspettata: ai tempi di Romolo, Roma era retta da un matriarcato teocratico. Naturalmente, questo contrasta con tutto ciò che ci è stato tramandato. Tuttavia, vi sono anche altri indizi che puntano in questa direzione:
  • vi sono testimonianze archeologiche (cfr. Carandini 2002) riferibili a donne che occupavano una posizione sociale definibile come regina, nell'Italia centrale dell'epoca (matriarcato?);
  • il ratto delle Sabine: un atto di patrilocalità forzosa difficilmente credibile così come ci è stato raccontato, può essere interpretato come la copertura mitica del fatto che Romolo abbia avuto dei grossi problemi con le donne romane;
  • l'assenza di una dinastia: nessuno dei re di Roma è figlio del suo predecessore. Gli storici antichi affermano che il Re veniva eletto dal Senato, ma potrebbe ancora essere una copertura del fatto che almeno i primi quattro Re furono eletti in realtà dalle sacerdotesse, in base ad antichi rituali;
  • il successore di Romolo, Numa Pompilio, uomo mite, prende esplicitamente ordini dalla presunta consorte, la ninfa Egeria e muore quietamente in età avanzata.

Non conosco bene l’argomento, almeno non quanto servirebbe per trasformare questi indizi in una vera teoria, ma posso proporre delle congetture:
  1. una città sui sette colli deve essere esistita molto prima di Romolo; questo è asserito abbastanza esplicitamente dal mito ed è provato dai moderni scavi archeologici.
  2. Questa città doveva essere una teocrazia in cui il potere supremo era esercitato da sacerdotesse (come suggerito dagli indizi di cui sopra).
  3. Parallelamente ad altri esempi classici (per lo più greci) il "re" poteva essere il marito della prima sacerdotessa; i dettagli della sua nomina restano oscuri, ma probabilmente doveva essere uno straniero e le sue prerogative avere un carattere prevalentemente militare.
  4. È molto probabile che nel lontano passato l’intera società fosse strutturata a matriarcato (clan governati dalla madre di famiglia, trasmissione della proprietà in linea femminile, marito che si trasferiva dalla casa della madre a quella della moglie). Ma al tempo di Romolo si doveva già essere pian piano trasformata in un patriarcato. Tuttavia, il governo della città doveva essere ancora in mano alle sacerdotesse, in un tipico arcaismo delle istituzioni rispetto all’evoluzione sociale.
  5. E’ quasi certo che nella Roma pre-romulea coesistessero più gruppi etnici (latini, sabini, etruschi ed altri ancora). Questi apporti multietnici devono aver giocato un loro ruolo nella definizione istituzionale e nell’evoluzione della struttura sociale discussa al punto precedente.
  6. Romolo può (ma non necessariamente) essere stato effettivamente uno straniero; divenne "re" nel senso visto sopra, presumibilmente sposando la prima sacerdotessa e abitando entro il suo tempio (di Vesta?) secondo le tradizioni;
  7. Egli dovette fondare una rocca sul colle Palatino (una città murata o in ogni caso, una struttura che permise a Roma di essere chiamata città) che costituì la prima base di una futura espansione.
  8. Egli, inoltre, istituzionalizzò l’organizzazione della società così come in pratica doveva essere strutturata già da tempo, ossia in clan patriarcali (curie, da co-viri: uomini insieme). Da qui l’altro suo nome: Quirino (co-virinus). Probabilmente, sull’onda di questo successo, egli tentò di impadronirsi del pieno potere regio, sottraendolo alle sacerdotesse. Ne seguì una guerra civile che terminò con un fragile e poco amichevole armistizio (sembra che per un breve periodo ci fossero simultaneamente due re, Romolo e Tito Tazio). Le parti coinvolte sono state descritte come entità etniche diverse (Romani e Sabini) e potrebbe anche essere vero; ma potrebbe anche essere solo la "spiegazione", postuma e politica, di una guerra civile fra due fazioni trasversali alle etnie.
  9. Tito Tazio fu assassinato per primo; infine, anche Romolo venne ucciso. Il mito dice che "sparì" durante una tempesta e divenne un dio, ma nemmeno i grandi storici romani ci credevano più. Altri affermano che fu fatto a pezzi dai senatori. Certamente fu ucciso, non sappiamo se per vendetta, per ragioni politiche, su istigazione delle sacerdotesse, o chissà che altro.
  10. Quel che appare chiaro, tuttavia, è che il suo successore, Numa Pompilio, che apparteneva alla fazione anti-romulea (i Sabini), si uniformò devotamente alle leggi del matriarcato. In ogni caso il suo status ufficiale era già quello di un re a tutti gli effetti; regnò da solo e raggiunse la tarda età.
  11. Non è facile definire in che momento le sacerdotesse abbiano effettivamente perso il loro potere politico. Probabilmente ciò avvenne non più tardi della nomina a re di Tarquinio Prisco. Ma il punto importante è che le sacerdotesse non lasciarono i loro poteri al re: secondo tutte le apparenze, li trasmisero ai senatori (i patres), che in effetti all’inizio dovettero esercitarli in continuità. Il Re continuò dunque ad essere nominato: ma dagli uomini, non più dalle donne.
  12. Pertanto il Senato uscì da vero vincitore del secolare conflitto. Subito, volutamente o meno, deve essere iniziata la cancellazione persino del ricordo di un governo delle donne nell’antica Roma, e di esaltazione al suo posto del ruolo politico del senato. I primi annalisti che scrissero del regno di Roma (nel primo periodo della Repubblica) non devono aver rintracciato nella tradizione orale più che vaghi cenni all’esistenza di un matriarcato, e non avevano alcuno stimolo a scavare più a fondo.
  13. Le sacerdotesse, che forse sapevano, si limitarono a mitizzare la nascita della città, in modo da adattarla al suo archetipo ancestrale. Così Romolo ricevette un dio per padre, una sacerdotessa per madre, un re per nonno ed un fratello gemello destinato a morire; fu associato ad una lunga lista di sacri patroni, di cui la lupa è soltanto la più nota, e fu rinominato come si conveniva ad un uomo destinato a fondare una città chiamata Roma.
  14. Più tardi, i senatori devono a loro volta aver modificato il mito, per favorirne la correttezza politica, quanto meno sotto diversi aspetti: il ruolo della moglie di Romolo, le ragioni per cui suo fratello doveva morire, l’ambigua storia dei suoi ultimi anni di regno e della sua morte, e chissà cos'altro.

Nel tentativo di ricostruzione sopra tentato, che vuole avere, ripetiamo, esclusivamente un valore di ipotesi, vi sono vastissime zone d’ombra sulle quali sarà difficilissimo far luce. Molte delle congetture sono basate sui parallelismi tra il mito dei Fanes e quello di Romolo e Remo. L’esame di tali parallelismi lascia supporre l’esistenza di un archetipo comune di "mito di fondazione". Ritrovare altrove le tracce di questo mito potrebbe aumentare di molto le probabilità che alla base delle ipotesi sopra proposte possa esserci qualcosa di vero.

1 commento:

  1. Regine, sacerdotesse, membre anziane del clan: nella preistoria la società era di carattere egualitario. Si evidenziava un particolare rispetto verso la Madre Terra come simbolo della Grande Madre. Il potere della donna era inteso non come dominio ma come capacità di illuminare e trasformare la coscienza umana. Un potere, quindi, non terreno ma spirituale che si estrinseca non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore, nella giustizia. Queste qualità verranno in seguito attribuite alla Vergine Maria. La dispensatrice della nascita e la Madre Terra si fusero nella Madonna. Alla fine di questo periodo la spiritualità antica della Grande Madre, gradualmente, si attenuò fino a scomparire come risultato dello scontro tra culture diverse e del successivo affermarsi delle religioni patriarcali.



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