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sabato 25 giugno 2016

PAOLO (SHAUL) DI TARSO




Cari lettori



Hanno suscitato interesse, piuttosto che critiche, alcuni personali accenni ad una Chiesa di Paolo, diversa da quella delle origini e diretta in una direzione non consona a quella indicata da Gesù. Riaffronto qui l’argomento in modo da poterlo esaurire. Non ho la pretesa di conoscere tutti i fatti, ma di esporli, con il solito rigore e con un approccio di tipo scientifico anziché religioso.





Paolo (Shaul) di Tarso, secondo la tradizione, nasce a Tarso, in Cilicia, tra il 5 e il 10 d.C. Paolo è una figura misteriosa perché sappiamo ben poco di lui. Canonizzato come San Paolo Apostolo è, in realtà, relegato a figura marginale nel complesso narrativo Evangelico, apparendo solo negli Atti e nelle Epistole. Apostolo solo per vocazione: non faceva parte del gruppo dei dodici e non fu scelto da Gesù. Il suo ruolo appare quello di ideatore e fondatore del Cristianesimo. Sempre secondo la tradizione, dopo innumerevoli viaggi per il Medio Oriente, predicando la lieta novella, morì martire a Roma nel 67, dopo due anni di prigionia.


Della sua vita abbiamo solo dettagli, provenienti da fonti poco attendibili o addirittura sconosciute. Le sue vicende sono state tramandate soprattutto dai Padri della Chiesa. In particolare, San Girolamo ci riferisce che i suoi genitori erano originari della piccola città di Gischala in Galilea, che il padre era commerciante di tende e che essi si trasferirono con il piccolo, a Tarso quando i Romani conquistarono la città. Tarso era, a quel tempo, una città cosmopolita, dove vi era una fiorente comunità ebraica e, come disposto prima da Marco Antonio e successivamente dall’imperatore Augusto, i suoi abitanti avevano il diritto di ottenere la cittadinanza romana. Saulo, come tutti gli ebrei, ereditò il mestiere del padre, ovvero quello di commerciare tende (probabilmente, tende per le legioni romane o comunque per i ricchi patrizi che potevano permettersele) e a causa di questo lavoro, era sempre in viaggio. Sicuramente entrò in contatto con diversi ambienti, sia ebraici, sia greco-romani e che quindi sia rimasto invischiato in questioni di carattere religioso. È possibile che i suoi famosi viaggi non siano espressione di una vocazione messianica, ma piuttosto che Saulo abbia approfittato della circostanza per svolgere un suo personale progetto a sfondo politico-religioso, visto che politica e religione, nel mondo semitico, erano legati in modo indissolubile. Una volta entrato in contatto con il messianismo-giudaico Paolo, essendo fondamentalmente ebreo, divenne sempre più legato ad esso, pur mantenendo sempre un certo distacco dalla sua parte più rivoluzionaria. Non bisogna dimenticare che, oltre ad essere un ebreo, era anche un cittadino Romano. Questa sua dualità fece si che rielaborasse le teologie messianiche, adattandole al mondo dei gentili. Paolo capì che il movimento giudaico-messianico, dotato di una forte connotazione nazionalista, si sarebbe autoannientato se si fosse protratta l’esplicita convinzione che la teologia fosse destinata soltanto agli Ebrei. Fu questa la vera conversione di Paolo, che iniziò a modificare la dottrina, sostituendo al Gesù storico un Gesù divinizzato, proprio per poter proporre la dottrina messianica ai cittadini Romani. Gli stessi Atti degli Apostoli, pur essendo stati redatti per promulgare il suo nuovo cristianesimo, finiscono per mostrarci il grave conflitto che era in atto tra la corrente giudaica e la sua corrente, riformista, aperta anche ai gentili.


Usando le parole di David Donnini: “Paolo preferì offrire un’alternativa all’idea della salvezza nazional-religiosa e si adoperò per creare un messianismo più convincente di quello che, pur solleticando l’orgoglio etnico, che è il tratto distintivo di ogni ebreo, metteva tutti quanti di fronte al timore che i romani ricorressero alla soluzione definitiva e che Israele precipitasse nella più sventurata delle catastrofi”.
Donnini continua spiegandoci che questa riforma di Paolo, ai danni del messianismo giudaico, ha portato alla nascita del Cristianesimo come lo vediamo oggi, con un Gesù, apolitico e pacifista. Gli Ebrei colpevoli per la sua morte, l’eucarestia, la resurrezione e via dicendo, sono tutte dottrine inserite da Paolo nella sua nuova catechesi de-giudaizzante e aperta ai gentili. Difatti, ogni cristiano crede fermamente che, alla base della vicenda del processo, della condanna e dell’esecuzione mediante crocifissione, ci sia un clamoroso equivoco giudiziario, da cui Pilato, vittima dei raggiri dei sacerdoti del tempio, esce praticamente scagionato e con lui tutti i romani. Ora, qualcuno potrà pensare che io ce l’abbia con San Paolo, con il cristianesimo o addirittura con tutti i credenti; niente affatto. Voglio solo dimostrare, specie ai credenti e per quanto è possibile, che ciò in cui credono risulta falsato. C’è un passo delle Epistole che mi ha lasciato estrefatto: Paolo, in definitiva, dice ai fedeli che l’autorità è istituita da Dio e che bisogna obbedirgli. Se l’autorità, che al tempo era quella romana, ti chiede di pagare le tasse tu, fedele, “devi” pagare le tasse! Io non credo che Gesù non possa aver visto o possa aver ignorato le condizioni del popolo, che era ridotto allo stremo e che a causa dell’oppressione e dell’immane tassazione cui era sottoposto, faceva letteralmente la fame. L’aveva visto e ne era rimasto indignato: a dimostrarlo c’è la sua profonda avversione per chi era ricco e potente. Quando leggiamo i Vangeli non abbiamo davanti agli occhi l’immagine storica di Gesù Cristo, bensì l’immagine costruita artificialmente dalla revisione paolina come base della catechesi. I Vangeli, in definitiva, non ci mostrano le idee di Gesù, ma quelle di Paolo e dei suoi seguaci, ovverosia di colui che, ricordiamolo, è stato fra i nemici più accaniti del Cristo storico.


La stessa morte di Paolo, da martire, è messa fortemente in discussione. La storiografia degli atti degli apostoli ha portato alla luce fatti nuovi, molto interessanti ed ha permesso di ricostruire un quadro della sua vita molto più attendibile. Durante i suoi viaggi, Paolo di Tarso aveva fatto tappa nelle città di Filippi e Salonicco, in entrambe, rimediando l’accusa di esercizio della magia da parte sia dei capi delle comunità ebraiche sia delle autorità romane, le quali non dettero seguito alla denuncia. Anche a Corinto, venne portato in giudizio da Sostene, capo della comunità israelita, per rispondere delle accuse di “religione non permessa”. Infatti i culti dovevano essere riconosciuti dai Romani per essere “legali” ed il suo cristianesimo non rientrava nella lista. Infatti, dicevano: “Costui persuade la gente a rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge” (At 18,13). Il proconsole Junio Anneo Gallio si rifiutò di procedere ritenendo che la giustizia romana non fosse interessata a questioni puramente religiose (At 18,12-17). Gli Atti raccontano di come il capo della sinagoga venne malmenato dal popolo che reclamava attenzione: “Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e lo percossero davanti al tribunale, ma Gallione non si curava affatto di tutto ciò.” (At 18,17). Forte della protezione delle leggi di Roma, Paolo era tornato a Gerusalemme nel 58 e contro il parere dei capi della comunità cristiana, si era recato nel tempio ebraico per predicare, scatenando una prevedibile reazione. Paolo sarebbe stato, quindi, non arrestato, ma salvato a stento dalla lapidazione, dal pronto intervento dei soldati romani agli ordini del tribuno Claudio Lissa, i quali lo sottrassero alla folla inferocita. Il tribuno Lissa convocò il Sinedrio, che non fu in grado di prendere una decisione. Allora, temendo altri disordini, organizzò il trasferimento Paolo, con una scorta armata (duecento fanti, duecento arcieri e settanta cavalieri) a Cesarea, sede del governatore Antonio Felice e della più importante guarnigione romana in Giudea. Anche il governatore rimandò la decisione, ma fece restare Paolo all’interno del castrum in “custodia militaris“, ovvero sotto protezione. Secondo l’ordinamento Romano, la custodia militaris era una misura ben diversa dalla “custodia publica” (ovvero l’arresto) e lasciava la possibilità al “custodito”, di ricevere chiunque volesse e condurre una vita pressoché normale, ovviamente, con il divieto di lasciare la città. Paolo rimase in questa condizione per due anni. Ad una sola settimana dal suo insediamento, il nuovo governatore decise di risolvere la situazione riconvocando il Sinedrio e, ascoltata la richiesta di condanna a morte, esternò la propria incompetenza giuridica: “Se si trattasse di qualche ingiustizia o di qualche malvagia azione, io vi ascolterei come di ragione, o Ebrei. Ma si tratta di discussioni su una parola, su dei nomi e sulla vostra legge: io non voglio dover giudicare di cose come queste.” (At 25, 18-20; 18, 14-15)


In teoria aveva dato ragione a Paolo, ma in pratica la liberazione l’avrebbe esposto alla vendetta dei Giudei. D’altro canto, mantenerlo all’infinito in “custodia militaris” significava ammettere implicitamente l’inefficacia dell’autorità di Roma. A trarre d’impaccio il governatore è Paolo stesso che, in qualità di cittadino romano, si appella al giudizio dell’imperatore Nerone. Occorre precisare che, pochi anni prima (57), Paolo aveva proferito che “l’autorità (imperiale) è istituita da Dio”, raccomandandone l’obbedienza ai cristiani dell’Urbe! (Se vi è difficile crederlo, leggete: Paolo, Epistola ai Romani 13,1-2). L’apostolo viene dunque imbarcato nel porto militare di Cesarea e scortato a Roma dal centurione Giulio. Qui giunto nel 60, in attesa del giudizio imperiale viene posto agli “arresti domiciliari”, da dove tuttavia poté predicare in assoluta libertà e senza ostacoli (Atti degli apostoli 21, 27-36). Infine, nel 62, venne giudicato dal tribunale di Roma presieduto dal “prefectus urbis“ Afranio Burro, stretto consigliere di Nerone, ed assolto.
 

3 commenti:

  1. C’è un passo delle Epistole che mi ha lasciato estrefatto: Paolo, in definitiva, dice ai fedeli che l’autorità è istituita da Dio e che bisogna obbedirgli. Se l’autorità, che al tempo era quella romana, ti chiede di pagare le tasse tu, fedele, “devi” pagare le tasse! Io non credo che Gesù non possa aver visto o possa aver ignorato le condizioni del popolo, che era ridotto allo stremo e che a causa dell’oppressione e dell’immane tassazione cui era sottoposto, faceva letteralmente la fame. L’aveva visto e ne era rimasto indignato: a dimostrarlo c’è la sua profonda avversione per chi era ricco e potente.

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  2. Grazie,Paolo servi' all'espandersi oltre la Galilea,del messaggio di Cristo,ma,di contro,conl'inclusione del suo pensiero,anche,dunque,di un cittadino romano,non solo ebreo.

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    1. Come cittadino romano era libeo di viaggiare e quindi riusciva a raggiungere facilmente ogni luogo dell'impero. Ma i romani erano anche coloro che avevano messo a morte il Cristo e se voleva che la nuova religione di diffondesse (e lo voleva) doveva mondarli di quella colpa fatale. Riuscì a farlo, ma nel peggiore dei modi.

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