Cerca nel blog

sabato 29 settembre 2018

VI PIACE QUELLO CHE FACCIO?


TI PIACE QUELLO CHE FACCIO?
Sostienimi: è un modo per supportare il mio lavoro e la tua relazione con il blog.
 
 
 
Cari Lettori, care Lettrici,
Il mio è un blog collettivo e indipendente e autofinanziato, nato nel 2016 con lo scopo di realizzare una cronaca accurata, interessante e completa di tutto quanto è insolito. Scrivo con spirito indagatore e voglia di informare. Per costituire una lettura di valore, per non sprecare tempo in chiacchiere perché so che il vostro tempo è prezioso.
In sei anni ho pubblicato 638 articoli e superato le 780.000 visualizzazioni di pagina grazie a un lavoro continuo e costante, condividendo con voi le mie esperienze e conoscenze in diversi ambiti.
Da qualche mese ho iniziato un nuovo percorso grazie al quale spero di interagire ancora di più con chi mi legge e mi segue: ascoltando i commenti, raccogliendo i suggerimenti, rispondendo alle domande.
Ma per crescere ancora, per dare piena sostenibilità al progetto e permettervi di continuare a leggere il blog, ho bisogno anche della vostra partecipazione.
Se quello che scrivo vi piace, vi chiedo di sostenermi: clicca sul pulsante SEGUI e completa l'iscrizione. Sarà come offrirmi un caffè. Lavoro al mio blog agli orari più impensati, a notte fonda, di mattina presto e a volte, anche mentre sono in viaggio: un caffè è proprio quello di cui ho bisogno!
Da parte mia, m’impegno a tenervi informati sulle attività realizzate anche grazie al vostro sostegno e a mantenere il blog un posto in cui rilassarvi, attivarvi, informarvi, scoprire, domandare e prendere posizione.
 
 
Grazie di far parte della community!
Franco Cacciapuoti

 
 

domenica 23 settembre 2018

I REPERTI ANTIDILUVIANI DI PADRE CRESPI


Padre Carlo Crespi (1891-1982) era giunto nella selva amazzonica ecuadoriana nel 1927. Con il tempo aveva ammassato, presso la missione salesiana di Cuenca, una complessa collezione di manufatti antichi d’inestimabile valore storico e archeologico: statuette d’oro in stile mediorientale, numerosi oggetti d’oro, argento o bronzo, scettri, elmi, dischi, placche e molte lamine metalliche che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, la cosiddetta “biblioteca metallica”.
Tra le varie lamine, una di esse era lunga circa 20 pollici e riportava 56 segni stampati, come fosse un alfabeto più antico di quello dei Fenici.
Padre Carlo Crespi era molto anziano e appare anche un po’ confuso nel video di Stanley Hall in cui si vede benissimo la biblioteca metallica da lui gelosamente custodita. Ha sempre dichiarato a tutti i suoi intervistatori che i reperti del suo museo, gli erano stati consegnati, nel corso degli anni, dagli indigeni Suhar, che a loro volta li avevano raccolti nella Cueva de los Tayos.
Ecco una sua dichiarazione, ripetuta in varie interviste:



“Tutto quello che gli indios mi hanno portato dalla caverna risale a epoche antiche, prima di Cristo. La maggioranza dei simboli e di alcune rappresentazioni preistoriche risalgono ad epoche antecedenti il Diluvio.“
 

Il religioso italiano sosteneva, quindi, che i reperti da lui custoditi fossero d’origine antidiluviana e fossero stati nascosti nella caverna da discendenti di popoli mediorientali che erano scampati al diluvio.
Alcuni, invece, pensano che il “tesoro” di Padre Carlo Crespi fosse costituito da falsi o da pezzi veri che però non provenivano dalla Cueva de los Tayos. Come dico sempre: tutte le ipotesi sono valide, ma qualcosa di vero in questa storia della Cueva de los Tayos ci deve essere e per vari motivi.
Innanzitutto, Padre Crespi non cercava pubblicità o fama: non ha mai tenuto conferenze sulla sua collezione, anzi era piuttosto restio, anche a mostrarla.
C’è poi la possibilità che sia stato ingannato da astuti artigiani: a tale proposito lo scrittore Richard Wingate, scrive:



“È stato detto che i reperti di Padre Crespi siano dei falsi che gli furono consegnati da indigeni. Però in seguito i segni scolpiti in alcuni suoi reperti sono stati individuati come geroglifici egizi, ieratico egizio, punico e demotico.”
 

Come avrebbero potuto, gli indigeni Suhar o improvvisati artigiani della zona di Cuenca, riportare delle iscrizioni in lingue antiche, nei reperti che consegnavano a Crespi?
È anche vero che i suoi manufatti potrebbero essere veri, ma non provenienti dalla Cueva de los Tayos: cosa che appare alquanto improbabile. Cosa ci avrebbe guadagnato dicendo questa bugia?
Alcuni reperti di Crespi sono stati analizzati da riconosciuti archeologi: per esempio il professor Miloslav Stingi, membro dell’Accademia delle scienze di Praga, dopo aver analizzato alcuni reperti di Padre Crespi disse:






“Il sole è spesso parte centrale di alcuni reperti incaici, ma l’uomo non è stato mai messo sullo stesso piano rispetto al sole, come vedo in alcuni di questi reperti. Vi sono rappresentazioni di uomini con dei raggi solari che si dipartono dalle loro teste e vi sono uomini rappresentati con punti, come fossero stelle, uscendo da loro stessi. Il simbolo sacro del potere è sempre stato la mente, ma in questi reperti la mente o il capo è rappresentata simultaneamente come il sole o una stella.”
 

Lo Stingi, in effetti, propende per l’ipotesi che almeno alcuni dei reperti di Crespi non hanno una derivazione indigena (che sia andina o amazzonica), ma hanno origine differente. Osservando i reperti,  si notano piramidi di tipo egizio, alla cui sommità, spesso, c’è un sole. Sono, inoltre, rappresentati degli elefanti, che non sono presenti in Sud America (se non prima del diluvio, i mastodonti, che si sono estinti con gli altri animali della megafauna nel 9500 a.C.) e questo rafforza la tesi che l’oggetto in questione abbia un’origine africana. Anche per quanto riguarda i felini, essi non sono puma o giaguari (tipici delle culture andine e amazzoniche) ma gatti: animali sacri dell’antico Egitto. Un ultimo particolare: una raffigurazione mostra il sole con nove piccoli circoli. Si tratta dei nove pianeti del sistema solare?
C’è chi afferma di essere stato all’interno della Cueva de los Tayos e di aver visto, in una caverna, altre lamine simili a quelle della biblioteca metallica; primo tra tutti l’ungherese naturalizzato argentino Juan Moricz, che dichiarò di aver portato a termine una spedizione nel 1965 guidato da indigeni Suhar. Ma, in una seconda spedizione, guidata da Juan Moricz nel 1969, alla quale partecipò Gaston Fernandez Borrero, nella caverna, non furono trovate altro che stalattiti e stalagmiti. Nel tentativo di ufficializzare la sua scoperta, il 21 luglio 1969, Juan Moricz dichiarò di fronte ad un notaio di aver individuato, nella caverna, oggetti importanti dal punto di vista archeologico. Forse Moricz era in mala fede e dopo aver visto la collezione del Crespi ed aver saputo della sua provenienza, pensò di divulgare una falsa storia per ottenerne soldi e fama. D’altronde, Moricz non fu in grado di esibire alcuna documentazione fotografica dei suoi ritrovamenti.
Ci sono però altre dichiarazioni, come quella del maggiore Petronio Jaramillo, tratta dal libro “Oltre le Ande” di Pino Turolla. Jaramillo, che dichiarò di essere entrato nella caverna nel 1956, descrisse alcuni manufatti antichi e le famose lamine metalliche, ma anche in questo caso non ci sono fotografie e pertanto si può concludere che la biblioteca metallica è stata vista e fotografata solo ed esclusivamente nel museo di Padre Carlo Crespi.

 

Quando il Padre morì, nel gennaio del 1982, la sua meravigliosa collezione fu portata via dal museo di Cuenca, verso una destinazione ignota. Alcune voci sostennero che il Banco Centrale dell’Ecuador avesse acquisito, il 9 luglio 1980, per una ingente somma, circa 5000 pezzi archeologici in oro e argento dalla missione salesiana. Notizia smentita dal responsabile del museo del Banco Centrale dell’Ecuador, Ernesto Davila Trujillo.
Secondo alcuni, i reperti di Padre Crespi furono inviati in segreto a Roma ed oggi si troverebbero in qualche caveau del Vaticano. A questo punto sorge una considerazione: se i reperti di #Padre Carlo #Crespi, inclusa la biblioteca metallica, erano dei falsi, perché sono stati fatti sparire?
Se fossero stati dei falsi sarebbero stati fusi per ricavarne il loro valore in oro ed altri metalli preziosi.
Come si vede il mistero della biblioteca metallica di Padre Carlo Crespi è ancora irrisolto: nessuno può essere certo della sua origine e tantomeno della sua attuale ubicazione. Il fatto che sia stata occultata potrebbe essere una prova della sua autenticità.

sabato 22 settembre 2018

CADDERO SULLA TERRA


Nelle montagne di Baian-Kara-Ula, tra il  1937-1938 tra i sentieri sul confine che dividono Cina e Tibet, venne scoperta  una serie di sepolture all’interno di grotte presenti in quei luoghi. 
Chi Pu Tei, un professore di archeologia all’università di Pechino, diresse l’indagine archeologica in una serie di caverne interconnesse. In un rapporto ha rilevato che queste aperture nella roccia potrebbero essere state scavate artificialmente, apparendo più simili a un complesso sistema di gallerie e magazzini sotterranei. Le pareti erano squadrate e vetrificate, come scolpite nella montagna grazie a una fonte di calore estremo. All’interno delle grotte furono trovati luoghi di sepoltura dall’apparenza molto antica, disposti in modo ordinato e in essi vi erano i resti scheletrici di esseri umani dallo strano aspetto.
Gli scheletri, che misuravano poco più di un metro e trenta centimetri di altezza, avevano un aspetto fragile, esile e un teschio dalla volta cranica ampia, sproporzionata rispetto al resto del corpo. In un primo momento, fu suggerito che poteva trattarsi dei resti di una specie sconosciuta di gorilla di montagna. L’ipotesi fu accantonata poiché nessuna scimmia seppellisce i suoi morti.
Altre scoperte, compiute più profondamente dentro le grotte, eliminarono la possibilità che delle scimmie avessero vissuto lì dentro. Sulle pareti scolpite, infatti, furono trovati dei pittogrammi rappresentanti degli astri celesti. Vi erano raffigurati la terra, il sole, la luna oltre a diversi gruppi stellari, ed erano tutti collegati tra loro da una serie di puntini che formavano delle linee. Era ovvio che quelle immagini furono create da esseri intelligenti.
 
 

Il gruppo di ricerca del professor Chi Pu Tei, in seguito, compì una scoperta strabiliante: semisepolti nel pavimento pieno di detriti, in ogni grotta trovarono degli strani dischi di pietra. Questi oggetti misuravano circa nove pollici di diametro e tre quarti di pollice di spessore. Nel centro esatto si apriva un buco perfettamente rotondo di 3/4 di pollice e inciso sulla superficie c’era un solco sottile a spirale dal centro verso il bordo, che rendeva l’aspetto degli oggetti somigliante a una sorta di “disco per i fonografi.”

Uno dei dischi meglio conservati è stato datato tra 10.000 e 12.000 a.C. Alla fine, vennero trovati 716 dischi. Le scanalature, a un esame più approfondito, non risultarono essere semplici solchi, ma la riga continua a spirale di una scrittura sconosciuta.
Poco dopo la seconda guerra mondiale, un professore polacco di nome Lolladoff mostrò uno dei “dischi di pietra” allo scienziato britannico Karyl Dr. Robin-Evans, il quale contribuì a farne conoscere la storia al mondo occidentale. Lolladoff affermò di aver acquistato il disco presso Mussorie nel nord dell’India e che apparteneva a un popolo misterioso, chiamato “Dzopas” (o “Dropas”) il quale lo adoperava per dei riti. Il Dr. Robin-Evans aveva posto il disco su di una bilancia in grado di registrare, nel tempo, le variazioni di peso: lo strumento mostrava che nell’arco di tre ore e mezza il peso del disco oscillava, guadagnando e perdendo peso! Come poteva un disco di pietra cambiare peso?
Robin-Evans seguì il percorso della storia dei Dropas fino alle loro origini e fu in grado di reperire, nel 1947, una rara fotografia rappresentante due capi Dropas. Inoltre, la visita che fece presso l’allora Dalai Lama gli fornì una buona quantità di informazioni reperibili su quel popolo solitario.
Molti esperti cercarono di tradurre i geroglifici nei 20 anni in cui uno degli oggetti a forma di disco giaceva a Pechino, ma i loro sforzi non furono coronati dal successo. Solo quando il dottor Tsum Um Nui cominciò ad interessarsi ai dischi, si poterono svelare i segreti del codice, iniziando a decifrare la linea a spirale. Le conclusioni del professore sul significato dei segni scolpiti sul disco erano così sconvolgenti che gli fu impedita ogni pubblicazione. I dischi di pietra racconterebbero una storia incredibile: una “nave spaziale” proveniente da un altro pianeta precipitò sulla catena montuosa del Bayan-Kara-Ula. La strana linea di scrittura a spirale scolpita sui dischi racconta poi come le intenzioni pacifiche degli alieni fossero state fraintese dagli abitanti della zona e che un certo numero di quegli esseri vennero uccisi da membri della tribù Ham, che vivevano nelle grotte vicine.
Secondo il professor Nui, una delle linee di lettura dei geroglifici avrebbe la seguente traduzione:


“I Dropas scesero dalle nuvole con le loro aeromobili. Gli uomini, donne e bambini dei popoli vicini (Ham) si nascosero nelle grotte dieci volte prima dell’alba. Quando finalmente capirono la lingua dei segni dei Dropas, si resero conto che i nuovi venuti avevano intenzioni pacifiche …”.


In un’altra parte della linea di segni a spirale, vi sarebbe espresso il “rammarico” dalla tribù Ham, perché l’astronave degli alieni si era schiantata in delle montagne remote e inaccessibili e non c’era stato alcun modo di costruire un veicolo capace di riportare i Dropas al proprio pianeta. Durante gli anni successivi, archeologi e antropologi appresero maggiori informazioni sulla zona isolata di Bayan-Kara-Ula. Molto di ciò che scoprirono sembrava confermare le storie bizzarre scolpite in quella sottile linea di scrittura a spirale. Certe leggende della zona, infatti, parlano di “uomini di piccole dimensioni, magri, gialli, che vennero dalle stelle tanto tempo fa”. Gli uomini avevano grandi teste gonfie e il corpo gracile. Avevano un aspetto così brutto e ripugnante che furono inseguiti dalla tribù locale a cavallo. Stranamente, la descrizione degli “invasori” corrispondeva con gli scheletri originariamente rinvenuti nelle grotte dal professor Chi Pu Tei.
Diversi archeologi russi hanno ripulito ed esaminato alcuni di quei dischi in un laboratorio di Mosca. Affermarono di aver fatto due importanti scoperte: la prima è che i dischi contengono tracce di metalli, in particolare cobalto. la seconda è che quando si ponevano su un piatto rotante, come quello di un giradischi, ronzavano con un ritmo insolito ed era come se fossero attraversati da una carica elettrica. Forse i dischi facevano parte di un’apparecchiatura più complessa ed erano stati incisi per riutilizzarli come una sorta di libri.
Il filologo russo Viatcheslav Zaitsev, che ha trascorso trent’anni a raccogliere prove su esseri intelligenti provenienti dallo spazio che hanno avuto contatto con i popoli della Terra, ritiene che i dischi possono dare sostanza alle antiche leggende cinesi che parlano di uomini di piccole dimensioni, magri, dal viso giallo, che scesero dalle nuvole molti secoli fa. Inoltre, i disegni sulle pareti di una delle grotte in cui vennero ritrovati gli scheletri e i dischi, ritraevano anche delle figure antropomorfe che sembravano indossare dei caschi. 
 
 

Nel 1974, anch’io venni a conoscenza dei dischi. Dopo un periodo in cui non si era saputo più nulla, un ingegnere austriaco di nome Ernst Wegener portò la sua attenzione verso due dischi che si trovavano esposti al Museo Banpo a Xi’an. Il direttore del museo gli permise di fotografare i dischi (che mostravano segni di deterioramento) con la Polaroid che aveva portato con se. Le foto che scattò sono quelle che circolano ancora oggi, poiché quando nel 1994 il ricercatore tedesco Hartwig Hausdorf – l’uomo che ha studiato le piramidi presenti in territorio cinese – domandò dei dischi all’attuale direttore del Museo Banpo (il vecchio direttore, a causa di quelle foto, era stato destituito) gli fu risposto che di essi non si trovava più traccia.

domenica 16 settembre 2018

SONO CREATURE DI DIO


Gli alieni sono creature di Dio? Il Vaticano ha cominciato a  porsi degli interrogativi e a contemplare la loro esistenza nell’infinito universo creato da Dio.
Gli alieni esistono? A Padre George Coyne, direttore della Specola Vaticana, che dal 1978 al 2006, collaborò con la Nasa per la ricerca di altre forme di vita intelligenti, fu posta una provocatoria domanda: “se gli alieni esistessero, andrebbero battezzati?”
Rispose: “Perché no? Se un giorno avremo la fortuna di conoscerli saremo obbligati a porci il problema. D’altra parte non sarebbe egocentrismo, in questo caso cosmico, pensare che noi umani siamo gli unici esseri intelligenti dell’Universo?“.
Anche l’attuale direttore Josè Gabriel Funes, specializzato in astrobiologia, è d’accordo con il pensiero del suo predecessore. In un’intervista de L’Osservatore Romano del 13 maggio 2008 affermò che la possibilità concreta dell’esistenza degli alieni, non andrebbe in disaccordo con la fede religiosa, in quanto, citando San Franscesco, si potrebbe parlare di “fratello extraterrestre“, poiché farebbe comunque parte della grande creazione di Dio. In un  universo costituito da cento miliardi di galassie, ognuna formata da cento miliardi di stelle, come si può escludere a priori l’esistenza di altre forme di vita intelligente?

 

Ma l’argomento non è nuovo al mondo religioso. Il “Sun” riporta che nell’estate del 1961 Papa Giovanni XXIII stava passeggiando nei giardini di Castel Gandolfo con Loris Francesco Capovilla, suo segretario. I due furono testimoni di una strana apparizione. “Li avevamo sopra le nostre teste. Luci. Erano luci colorate. Azzurro. Arancio. Ambra“.
Uno degli UFO si staccò dalla formazione e atterrò nel lato sud del giardino. Il Papa si avvicinò alla figura che era apparsa dall’astronave, descritta come assolutamente umana, ma completamente avvolta di luce. I due parlarono per circa venti minuti, poi la misteriosa figura si voltò e tornò nell’astronave. Il Papa ritornò dal suo segretario, lo guardò e pianse. “I figli di Dio sono ovunque, anche se a volte abbiamo difficoltà a riconoscere i nostri stessi fratelli” raccontò Papa Roncalli all’arcivescovo.
E’ vera questa storia? Per quanto ne so, il Papa testimoniò di aver visto un disco volante durante una sua passeggiata in giardino, ma è la prima volta che leggo di un incontro ravvicinato.  

 

Anche la figura di Gesù viene messa sotto esame dagli ufologi, tanto che alcuni di essi sostengono la teoria che vedrebbe la nascita di Cristo sotto una diversa luce. La Vergine Maria, che viene chiamata da Dio e partorisce un figlio senza aver avuto rapporti, ha spinto molti scienziati a chiedersi se non si trattasse di un’inseminazione artificiale. Nelle testimonianze di rapimenti moderni, sono molte le storie e i racconti che trattano di  inaspettate gravidanze di donne umane.
Nei Vangeli Apocrifi, come il “Vangelo dello Pseudo-Tommaso”, sono contenuti racconti dell’infanzia di Gesù dai cinque ai dodici anni in cui Egli manifesta particolari poteri e compie miracoli inverosimili e anche vendicativi. Il Bambino usa questi suoi poteri per rendere ciechi e storpi, o addirittura uccidere, i suoi maestri o vicini di casa.
Nel “Protovangelo di Giacomo” o “Vangelo dell’infanzia di Giacomo” viene descritta la nascita di Gesù: 


“Guardai nell’aria e vidi immobili gli uccelli; guardai sulla terra e vidi degli operai con le mani coricate in un vaso; quelli che stavano portando il cibo alla bocca, immobili; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco che le pecore spinte innanzi invece stavano ferme; il pastore aveva alzato la mano per percuoterle, ma la sua mano era rimasta per aria. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso. Al luogo della grotta della natività, ecco una nube splendente copriva la grotta. Subito la nube si ritrasse dalla grotta e nella grotta apparve una gran luce che agli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il bambino”. 
 

Una ben strana nascita.
 
 

Secondo l’ufologo Alfredo Lissoni, conduttore radiofonico e scrittore che si occupa di ufologia per le maggiori riviste del settore, la paralisi generale che viene descritta nel “Protovangelo di Giacomo” è la stessa che viene descritta nelle testimonianze dei testimoni di apparizioni aliene.
Vi sono altre frasi presenti nel “Vangelo secondo Giovanni” che possono essere lette in chiave ufologica:


8,23 = Voi siete di quaggiù, io sono di lassù, voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.
14,2 = Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, ve l’avrei detto. Vado a prepararvi un posto.
14,3 = E quando sarò andato, e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo a voi e prenderò con me, affinché siate anche voi dove sono io.
 

Fatti più recenti, invece, potrebbero avvalorare le teorie secondo le quali il Vaticano è a conoscenza dell’esistenza degli alieni. Negli archivi vaticani, durante la ristrutturazione di una cantina ubicata sotto la biblioteca, sarebbe stato ritrovato un teschio riconducibile alle fattezze degli alieni denominati “i Grigi”.

venerdì 14 settembre 2018

SOM1-01


Nel dicembre del 1984, Jaimie Shandera, un oscuro produttore televisivo, riceve per posta un plico anonimo contenente un microfilm in bianco e nero da 35 mm. Il rullino contiene le foto di 8 pagine di documenti classificati TOP SECRET. Tali documenti, sui quali si è subito sviluppato ed è tuttora in corso, un infuriato dibattito, fanno riferimento ad un segretissimo gruppo di studio costituito dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman nel 1947, in seguito allo schianto di un disco volante avvenuto nei pressi della cittadina di Roswell, New Messico. Il gruppo di studio sugli UFO, denominato in codice Majestic 12, era formato da scienziati e alti ufficiali dell’esercito ed aveva il compito di investigare a fondo sugli UFO e sui suoi misteriosi occupanti, definiti convenzionalmente Entità Biologiche Extraterrestri (EBE). Nel corso degli anni, la mole di documenti reperiti facenti riferimento, diretto od indiretto, al Majestic 12, ha assunto dimensioni monumentali. Alcuni di essi sono stati ottenuti dagli studiosi grazie alla legge sulla libertà di informazione (FOIA).
Ma i più interessanti sono quelli pervenuti da fonti anonime. Tra questi ultimi il più rilevante è senza dubbio il manuale operativo SOM 1.01. Tale manuale contiene un’inquietante e dettagliata descrizione delle procedure operative da seguire in caso di UFO crash (incidenti UFO). Nel testo vengono descritte, nel linguaggio militare, le varie tipologie di UFO e di extraterrestri nonché le località presso cui venivano custoditi i resti dei dischi precipitati e dei loro occupanti. Questi documenti costituiscono una lettura estremamente affascinante, anche se ovviamente permangono seri dubbi sulla loro autenticità.
Il manuale fu inviato, nel dicembre del 1994, in un pacco postale anonimo proveniente dal Wisconsin, al ricercatore americano Don Berliner, membro del Direttivo del Fund for U.F.O. Research. Il documento, contenuto in un microfilm, reca sulla copertina la dicitura: "SOM 1-01" che sta per: Special Operations Manual 1-01 (Manuale per operazioni speciali 1-01).
Il documento è classificato Top Secret è Eyes only (solo in visione) che, stando alle fonti più accreditate, sarebbe il massimo livello di segretezza da cui possono essere coperti i documenti governativi.
La presunta data di stampa è il 12 Aprile 1954.
 
 
Proseguendo nella lettura, appare subito evidente che il SOM 1-01 è un vero e proprio manuale operativo, redatto con l’intento di fornire al personale autorizzato le necessarie istruzioni rispetto al recupero di velivoli ed entità extraterrestri nonché alla politica da adottare nei confronti della stampa e dell’opinione pubblica.
Viene quindi fornito al lettore un breve riassunto sull’origine e gli scopi dell’Operazione Majestic 12, avviata per ordine speciale dal presidente degli USA Truman il 24 Settembre del 1947, su suggerimento del Ministro della Difesa James V. Forrestal e del Dr. Vannevar Bush.
Inoltre, viene data la massima importanza alla “segretezza delle operazioni” suggerendo di ricorrere, in caso di incidente UFO, a:
  • smentita ufficiale
  • discredito dei testimoni e intimidazione nei confronti degli stessi
  • affermazioni false.
E la storia dell‘Ufologia, purtroppo, ci insegna che tali indicazioni sono state eseguite alla lettera, nel corso degli anni, dall’intelligence.
 
 
 
VELIVOLI EXTRATERRESTRI
 
La sezione 2, del capitolo 2, fornisce un’esaustiva descrizione delle diverse tipologie di velivoli non identificati. I velivoli extraterrestri recuperati in seguito ad incidenti e/o azioni militari, indicati con il termine UFOB (usato per la prima volta ufficialmente dal capitano dell'Air Force Edward J. Ruppelt, direttore del Progetto Blue Book), vengono classificati in quattro categorie:
  • Forma ellittica o discoidale. Si tratta di scafi metallici, di colore alluminio opaco, che non presentano giunture ed hanno un diametro variabile dai 15 ai 90 metri, con un'altezza che corrisponde approssimativamente al 15% del diametro. Possono essere muniti di oblò e luci esterne, dotati di carrelli di atterraggio retrattili e portelli rettangolari sulla superficie inferiore del disco. Questi oggetti sono capaci di prestazioni folgoranti.
  • Cilindrici o sigariformi. Questi oggetti sono di enormi dimensioni - 700 metri di lunghezza e 30 di altezza - e non sono operativi a bassa quota. Come prestazioni non superano i 2500 Km l'ora e non sono in grado di effettuare manovre erratiche.
  • Forma ovoidale o circolare. La loro lunghezza varia da 10 a 12 metri e sono spesso caratterizzati da una luce estremamente brillante, posta nell'estremità inferiore. In ragione dell'angolo di osservazione, gli oggetti appaiono di forme diverse.
  • Forma a "foglio" o triangolare. Si tratta di oggetti ritenuti frutto di una tecnologia avanzatissima e capaci di prestazioni straordinarie.
 
 
ENTITÀ BIOLOGICHE EXTRATERRESTRI 
 
Il termine EBE (Entità Biologica Extraterrestre) viene usato per la prima volta nel famoso briefing Eisenhower, appartenente al carteggio MJ-12, e sarebbe stato coniato da uno dei membri del gruppo, il dott. Detlev Bronk, biofisico, pioniere nello studio della fisiologia umana in aeronautica e figura di spicco nelle organizzazioni scientifiche e governative del dopoguerra. Anche in questo caso il manuale ci fornisce una precisa classificazione, distinguendo le EBE in due categorie:
  1. EBE tipo 1) Si tratta di umanoidi che, visti a distanza, potrebbero essere scambiati per esseri umani di razza orientale. Sono bipedi, glabri, alti da 1 metro e 50 a più di 1 metro e 60 e pesano una cinquantina di chili. Presentano un cranio largo e arrotondato, colorito dalla pelle giallastro-pallido, occhi piccoli, distanziati e a mandorla, con iridi di colore marrone o nero e grandi pupille, orecchie piccole, naso sottile e lungo, bocca ampia e labbra impercettibili. Il loro corpo è sottile e privo di grasso, con muscoli ben sviluppati, mani piccole (con quattro dita allungate e prive di un pollice opponibile), gambe leggermente arcuate e piedi piuttosto divaricati e proporzionalmente grandi.
  2. EBE tipo 2) Si tratta di umanoidi bipedi, probabilmente non mammiferi, di altezza compresa tra il metro e il metro e venti, glabri e dal peso fra i 15 e i 30 chilogrammi. Hanno un capo allungato, occhi molto grandi e neri, inclinati e posti lateralmente, privi di cornee. Il naso consiste in due piccoli buchi posti sopra l'orifizio che costituisce la bocca e non hanno orecchie esterne. La pelle è di colorito pallido grigio-bluastro, le braccia sono lunghe, la mani hanno tre dita lunghe e affusolate con un pollice, i piedi sono piccoli e stretti e le quattro dita appaiono collegate da una membrana. 
 
TECNOLOGIA EXTRATERRESTRE
 
L’articolo 11 del SOM descrive sommariamente la tecnologia extraterrestre. Le informazioni raccolte dal governo USA deriverebbero da rapporti preliminari di analisi realizzate sui rottami recuperati, fra il 1947 e il 1953, in luoghi diversi, dovuti alla caduta di velivoli extraterrestri. Secondo l’estensore del manuale “L'analisi iniziale dei frammenti dal luogo di caduta sembrano indicare che essi fanno parte di un mezzo extraterrestre venuto in contatto con il suolo con gran forza, distruggendosi completamente”. In questo punto si riscontra una discrasia rispetto a quanto alcuni ricercatori, sulla base di numerose testimonianze di prima mano, hanno appurato: in molti casi di UFO crash, il velivolo sarebbe stato recuperato quasi del tutto intatto.
I materiali extraterrestri, sottoposti a specifici test, evidenzierebbero una grande forza e resistenza al calore, in proporzione al peso e alle dimensioni. Il manuale passa quindi alla descrizione dei materiali recuperati:
  • La maggior parte del materiale, dall'apparenza di fogli di alluminio o di lastre alluminio-magnesio, non presenta alcuna caratteristica dei suddetti metalli. E', invece, più simile a qualche tipo sconosciuto di materiale plastico.
  • Strutture solide e travature strutturali di sostegno, presentanti all'apparenza una netta somiglianza con il legno compatto senza fibre, mostrano una estrema leggerezza per quanto riguarda il loro peso e sono caratterizzati da una forza di tensione e compressione non ottenibile con alcun mezzo noto all'industria moderna. 
Secondo il documento diversi campioni risulterebbero caratterizzati da incisioni, marchi e simboli, non identificabili. I tentativi delle autorità di decifrarli sarebbero stati infruttuosi. “L'esame dei diversi apparenti mezzi e congegni meccanici ha rivelato poco e nulla circa le loro funzioni o i loro metodi di fabbricazione”. Insomma, gli scienziati americani, in quel periodo storico, avevano capito poco o nulla circa il funzionamento degli UFO.
 
 
OPERAZIONI DI RECUPERO 
 
Il capitolo 3 del manuale è dedicato alle “operazioni di recupero”. Le istruzioni, anche in questo caso sono precise e puntuali. Viene subito chiarita la linea politica da adottare in caso di UFO crash: gli UFO non esistono e chiunque sostiene il contrario, come testimoni o persone comunque informate dei fatti, va screditato agli occhi dell'opinione pubblica, corrotto o, eventualmente, minacciato.
L'area dovrà essere chiusa il più rapidamente possibile per evitare che il personale non autorizzato s'infiltri nel luogo. L'ufficiale incaricato deve erigere un perimetro e stabilire un posto di comando all'interno di esso. Il personale avente l'accesso al sito sarà ridotto al minimo strettamente necessario alla preparazione del velivolo o dei rottami per il trasporto e sarà composto da squadre di sicurezza. Ci si potrà servire delle autorità locali per il controllo del traffico o della folla.
In nessuna circostanza si consentirà al personale o ai funzionari delle forze dell'ordine locali di accedere all'interno del perimetro e si dovranno prendere tutte le precauzioni necessarie al fine di assicurarsi che essi non interferiscano con l'operazione.
Le squadre speciali incaricate della gestione dei materiali alieni e delle entità extraterrestri vengono denominate Red Team ed OPNAC Team.
L’acronimo OPNAC, probabilmente, sta per OPeration NAval Command, un corpo speciale della marina USA. Esso appare nella lista di acronimi in uso presso le forze armate statunitensi, nonché in un manuale della marina USA. Questo dettaglio è stato confermato da molti “Rivelatori” tra i quali Dan Burich, biologo e capitano della Marina Militare USA. Inoltre, la famosa Area 51 in Nevada non è gestita dall’Air Force, come si potrebbe logicamente ritenere, bensì dal Dipartimento Navale.
L’OPNAC Team sembra rivestire incarichi della massima importanza. Ad esso infatti viene affidato il delicatissimo compito degli incontri con le EBE.
Il Red Team, composto da personale all’uopo addestrato, entra invece in azione quando il velivolo extraterrestre è funzionante ma appare abbandonato. L’accesso al velivolo alieno è consentito esclusivamente a questa unità speciale.  
 
 
Il manuale prosegue fornendo una classificazione degli incontri con le EBE: 
  • Incontri avviati da EBE - Se il contatto viene sollecitato dalle EBE, gli incontri devono ovviamente avvenire all’interno di installazioni militari o di altre località al riparo da occhi indiscreti. Il fatto che il governo contempli questa possibilità lascia presagire che tali incontri siano già avvenuti all’epoca della redazione del manuale che, già come ricordato, reca la data del 7 aprile 1954. Un possibile contatto di tal tipo potrebbe essere quello presumibilmente avvenuto presso la base di Muroc Field (odierna Base Edwards dell’USAF) il 20 febbraio 1954 (Cfr. IL CONTATTO). In tale data ci sarebbe stato, secondo numerose fonti più o meno attendibili, il primo incontro tra una delegazione di alieni ed i rappresentanti del governo USA. 
  • Incontri conseguenti alla caduta di un velivolo. Viene contemplata anche la possibilità di un contatto a seguito di UFO crash dovuto a “cause naturali” o “ad azione militare”. L’ultimo inciso lascia presagire che l’Air Force possa aprire il fuoco contro un UFO. 
Una sezione del manuale che riveste la massima importanza ai fini dell’indagine è quella relativa alla tabella di classificazione della tecnologia extraterrestre. In essa sono indicati i manufatti alieni (e le eventuali EBE recuperate) con relativo codice di identificazione, nonché la struttura di destinazione. Da una attenta lettura, si può notare come la tecnologia extraterrestre veniva destinata all’Area 51, Nevada; le EBE decedute ed il materiale organico venivano inviate al “Laboratorio Blu” della base di Wright Patterson mentre mentre le EBE vive erano nella disponibilità dell’ OPNAC Team, presso l’installazione di Barking Sands, Hawaii. Tutti i media (materiale fotografico, filmati, mappe etc.) erano invece destinati all’edificio 21 della base di Kirkland (KB) sita ad Albuquerque, New Messico.
L’art 16 del SOM prevede la possibilità che velivoli extraterrestri possano atterrare o schiantarsi in zone ad alta densità di popolazione, nelle quali la sicurezza, per ovvi motivi, non possa essere efficacemente mantenuta. In tale frangente ampie porzioni della popolazione e la stampa potrebbero costituire dei testimoni indesiderati. In tal ipotesi, si sarebbe predisposto un piano di contingenza. Tale piano sarebbe stato attuato, dispone il manuale, nel caso in cui “si dovesse rendere necessaria una pubblica divulgazione”.
Purtroppo non vengono specificati i termini del piano di contingenza. Possiamo immaginare che ciò era dovuto ad alcuni sinistri aspetti del fenomeno che non si prestavano ad una pubblica divulgazione, tra i quali una probabile ostilità dei Visitatori. Sappiamo che, in più occasioni, erano stati abbattuti caccia militari a seguito di azioni tese ad intercettare gli UFO. Vi poi era la spinosa questione dei rapimenti di terrestri da parte degli alieni, di cui sicuramente le autorità cominciavano a percepire l’esistenza e la portata. Anche se in un secondo momento, stando a numerose testimonianze, i rapimenti sarebbero stati addirittura effettuati con l’esplicito consenso e sotto la supervisione del governo USA.
 
 
Il capitolo 4 del manuale è dedicato alla “RICEZIONE E TRATTAMENTO” dei reperti extraterrestri ed è una puntuale raccolta di istruzioni (con tanto di tabella esplicativa) per l’imballaggio ed il trasporto degli stessi.
L’ultimo capitolo (Guida all’identificazione degli UFOB) si interrompe bruscamente a pagina 21, ma il manuale, stando al sommario introduttivo ne contiene almeno 37. Sarebbe stato estremamente interessante leggere le pagine mancanti, perché vi sono contenuti: le possibili origini degli UFO e delle EBE, la lista dei componenti il Majestic12 (conosciamo bene i componenti originali grazie al briefing Eisenhower, ma potrebbero esserci stati altri nomi oltre quelli già noti), fotografie (presumibilmente dei dischi recuperati e delle EBE).
Il documento, se autentico, è di capitale importanza per lo studioso in quanto fornisce numerose informazioni, anche particolareggiate, sul problema UFO/alieni negli Stati Uniti degli anni ’50. Come era prevedibile la comunità ufologia si è immediatamente spaccata sulla questione. Fra i più accesi sostenitori dell’autenticità del manuale vi sono il fisico nucleare Stanton Friedman, massimo esperto dell’incidente di Roswell, Timothy Cooper, Ryan e Robert Wood.
I detrattori annoverano tra le loro fila il capitano Kevin Randle (ex capitano dell’Air Force), autore di diversi studi approfonditi su Roswell e il debunker Philip Klass, che alcuni ritengono fosse un agente al soldo della C.I.A.
In realtà l’equipe di Wood è riuscita a dimostrare che i termini usati nel documento sono coerenti con la manualistica militare dell’epoca. Inoltre la lista delle referenze, riportata alla fine del manuale, è stata puntigliosamente verificata con risultati positivi.

lunedì 10 settembre 2018

IO, SONO IL COLONNELLO


L’Onu si lava l’anima e spera di far calare un velo pietoso sulla storia di Srebrenica e della guerra nei Balcani, ma certe storie, ogni tanto ritornano. L’arresto di Radovan Karadzic, disse il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, «è un momento storico per le sue vittime, che hanno aspettato tredici anni che fosse portato davanti alla giustizia». Chissà cosa ne pensano le vittime di queste parole.
Tutte le donne di Srebrenica con i volti devastati dal dolore, gli occhi persi, sprofondati nell’orrore. Giovani mogli appena diventate vedove, madri che hanno visto sgozzare i propri figli. Ragazze violentate e derise, stuprate perché di etnia e credo religioso diverso da quello degli aguzzini. La più grande e infame strage nel cuore della civilissima Europa.

 

Una macelleria a cielo aperto: quasi ottomila morti, decine di migliaia di profughi. Tuttavia, un massacro annunciato, che la comunità internazionale (l’Onu, l’Europa, gli Usa, la Russia) non ha voluto o saputo evitare.
Era metà luglio del 1995. Srebrenica, che l’Onu aveva dichiarato «zona protetta», venne messa a ferro e fuoco dalle truppe del generale serbo-bosniaco Ratko Mladic. Radovan Karadzic, dal suo quartier generale di Pale (sulle alture di Sarajevo) seguiva in presa diretta tutte le fasi dell’assalto. Era una partita scontata, il risultato poteva essere uno solo: la disfatta dei musulmani-bosniaci.
La popolazione di Srebrenica era stremata da anni di assedio, isolata e scarsamente armata. I Caschi Blu dell’Onu, che avrebbero dovuto proteggere la popolazione civile, dimostrarono solo di voler salvare la pelle. Molti si dileguarono, altri si rinchiusero nelle caserme. Una pagina nera per l’Onu, una vergogna per i Caschi Blu olandesi.
Chi sfuggì al massacro vagò per giorni nelle campagne, nei boschi. Camminando per ore, sotto un sole impietoso, senza cibo né acqua. Migliaia di profughi si trascinarono dietro anziani e bambini. Gli uomini erano pochi: una moltitudine fatta di donne e di ragazzini. Per tutti la meta era Tuzla, nel Nord della Bosnia, città controllata dalle truppe del governo di Sarajevo. Lì l’Onu aveva installato una tendopoli.
 
 

Srebrenica rimase chiusa alla stampa. Karadzic e Mladic non volevano giornalisti tra i piedi, tanto meno telecamere. Forse speravano di poter in qualche modo nascondere l’impatto internazionale di quell’orrore. Da anni il mondo assisteva impotente alla pulizia etnica nei Balcani. I due leader di Pale si muovevano pressoché indisturbati grazie alla protezione del governo di Belgrado e forse, speravano di farla franca.
C’era un sodalizio con Slobodan Milosevic? C’è chi giura che i due macellai dei Balcani erano solo dei burattini nelle mani dell’uomo che guidava la Serbia. L’assalto di Srebrenica ebbe la luce verde di Belgrado? Difficile dirlo. Il massacro nell’enclave musulmana, "zona protetta" dell’Onu, segnò il punto più alto della strategia militare di Karadzic e Mladic, l’esibizione della massima potenza di fuoco e di efferatezza, ma anche l’inizio della loro sconfitta. Milosevic, da abile giocatore, li sacrificò come pedine sul tavolo della diplomazia internazionale: capì che era arrivato il momento di scaricare due ingombranti alleati.
L’occasione arrivò pochi mesi dopo, il 21 novembre del ’95. Alla conferenza di Dayton, l’uomo forte di Belgrado scaricò i "ribelli" serbi e poté sedersi al tavolo dove si decise la spartizione dei Balcani, si offrì all’occidente come uomo di dialogo, uomo di pace. Per ironia della sorte, il Time gli dedicò la copertina come uomo dell’anno: poi si sa come andò a finire con la guerra nel Kosovo.
 

 

La tendopoli di Tuzla accoglie i primi profughi, i funzionari delle Nazioni Unite e alcune organizzazioni non governative, lavorano allo stremo: una cucina da campo sforna i primi pasti caldi, centinaia di bottiglie di acqua passano di mano in mano. È una goccia nel deserto. Non c’è cibo né acqua sufficiente per sfamare gli oltre seimila disgraziati che affollano quest’area scelta come campo. È un campo di accoglienza ma, per assurdo, viene recintato in tutta fretta con il filo spinato. Un lager umanitario.
Le tende sono bianche e blu. Come i colori dell’Onu. I colori della vergogna, come senti dire da molti profughi. Come dargli torto? Da giorni si sapeva che le truppe di Madlic avrebbero sferrato l’attacco a Srebrenica, ma l’Onu non aveva fatto nulla per impedirlo. C’è rabbia, rancore, odio. Tutti vedono nei Caschi Blu i migliori alleati dei serbi, dei cetnici massacratori.
Le testimonianze dei profughi sembrano le sceneggiature di film dell’orrore. Storie di violenza indicibile, ma qui non c’è finzione. Sono le donne a parlare, a raccontare al mondo quel che hanno visto, quello che hanno subito. Gli uomini sono pochissimi e anziani. Le agenzie di stampa internazionale dicono che almeno quattromila uomini sono in fuga da Srebrenica, vagano nei boschi per sfuggire alla truppe serbo-bosniache. «Non è vero – sentiamo ripetere più volte – abbiamo visto uccidere i nostri mariti, sgozzare i nostri figli. Morti, sono tutti morti». Solo molto tempo dopo il mondo saprà che avevano ragione loro.

 

 

Alì non ha ancora compiuto quattro anni. Da quattro giorni non parla, rifiuta il cibo, beve solo un po’ di acqua. La sua storia me la racconta Azra Salchic, una vicina di casa. È lei che lo ha portato in salvo fino a Tuzla. «La sua mente è devastata - dice la donna indicando gli occhi del bambino - ha visto cose mostruose, che la mente umana non può dimenticare». Alì era con la madre e i due fratelli, di 15 e 17 anni, quando nella loro casa sono arrivati i miliziani di Karazdic. Chiedevano oro, volevano soldi. Arraffano quel poco che trovano poi afferrano il ragazzo più grande lo trascinano davanti casa e lo sgozzano davanti a tutti. Ridevano facendo roteare in aria il coltello rosso di sangue, dicevano alla donna: - bevi il sangue di tuo figlio, solo così puoi salvare gli altri due.
Il racconto di Azra si interrompe più volte. Tutt’intorno è radunata una piccola folla che ascolta in silenzio. Si sente solo il singhiozzo senza lacrime di alcune anziane donne. Alì è rimasto solo: anche la madre e l’altro suo fratello sono stati uccisi davanti ai suoi occhi.
Srebrenica nel luglio 1995 è sinonimo di gente ammazzata, di cadaveri  di dolore, di visi solcati dalle lacrime.

 

 

Srebrenica nel luglio 1995 è sinonimo di gente ammazzata, di cadaveri accatastati nelle fosse comuni. Ma non solo. C’è un altro capitolo odioso legato indissolubilmente alla logica della pulizia etnica e che riguarda lo stupro di centinaia di donne. Giovanissime ma anche donne più avanti negli anni umiliate, violentate perché bosniache, perché musulmane. Quante? Impossibile dirlo. Non ci sono cifre ufficiali attendibili. A Tuzla da una tenda all’altra i racconti degli stupri volano di bocca in bocca. Racconti agghiaccianti. Ci dicono delle “corriere dello stupro”. Quei pullman che portavano lontano da Srebrenica centinaia di profughe. Pullman militari.
Gli uomini di Karazdic vi facevano salire le donne, le portavano via dalla città distrutta e le abbandonavano a qualche decina di chilometri di distanza in mezzo alla campagna. Ma a quale prezzo! No, le sopravvissute non dovevano spendere soldi per fare il biglietto. Il costo della corsa era uno solo: il loro corpo; violentate più volte magari dagli stessi aguzzini che avevano da poco massacrato i loro mariti, i figli, i fratelli, i genitori. Un orrore nell’orrore.

giovedì 6 settembre 2018

LEGGERE LA BIBBIA


Leggere la Bibbia (Antico Testamento; la Torah ebraica corrispondente al nostro Pentateuco) per come è scritta (naturalmente da traduzione letterale originale) e senza calarci dentro mille interpretazioni o significati misterici, evidenzia una storia completamente diversa da quella alla quale siamo stati abituati. Molto probabilmente gli autori, in realtà, ci hanno raccontato reali cronache storiche e non artificiose metafore. La sua lettura letterale acquisisce, a questo punto, una logica lucidissima e una coerenza scientifica strabiliante che dissolve ogni dogma e va a colmare ogni lacuna sia evolutiva, sia mistica.
Dalle traduzioni letterali effettuate sui testi originali in ebraico si scopre che la narrazione biblica racconta in realtà una storia molto diversa da quella interpretata e veicolata dalla filologia e dalla teologia ebraica e successivamente cristiana.

I termini Elyon, Elohim e Yahweh, che gli esegeti ebrei prima e le traduzioni teologiche cattoliche dopo, hanno unificato con la figura unica di Dio, in realtà descrivono tre differenti parole per tre differenti significati.
 
 
Elohim, innanzitutto, è un termine ebraico plurale (del singolare El o Eloah) che viene tradotto, solitamente, come “gli splendenti” (forse riferendosi al loro aspetto) e per quanto la teologia miri a convincere che sia stato usato il plurale come accrescitivo della potenza di Dio, in molti diversi passi dell’antico testamento tale giustificazione cade in palesi contraddizioni. Nei testi originali appare ogni volta che nella traduzione italiana troviamo la parola “Dio”. Calato nel contesto delle scritture nella loro completezza, emerge in modo evidente che gli Elohim erano un nutrito gruppo di individui assolutamente in carne e ossa, corrispondenti agli Anunnaki descritti nelle tavolette cuneiformi sumero-accadiche.
 
Elyon corrisponde alla traduzione italiana “l’Altissimo”. In Deuteronomio (cap. 32 ver. 8) viene descritta la suddivisione della Terra in Nazioni e la spartizione dei popoli tra gli Elohim. [Nella traduzione masoretica, così come nella versione cattolica, il termine plurale Elohim come destinatari delle assegnazioni da parte di Elyon, viene sostituita con israeliti: "Quando l'Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell'uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli “Israeliti"]. Naturalmente il testo originale non menziona affatto il termine “israeliti” in quanto a quel tempo né il popolo né la lingua ebraica esistevano. Tuttavia le esigenze teologiche non potevano permettersi di lasciare il termine Elohim, sarebbe stato assolutamente troppo esplicita la pluralità degli “Dei”. In sostanza dai testi originali si evince che Elyon era con molte probabilità il comandante supremo degli Elohim e discese sulla Terra solamente in pochissime occasioni. Al tempo della spartizione delle Nazioni e in occasione di un concilio (riunione) di Elohim narrata in Salmi 82: “Dio si alza nell’assemblea divina, giudica in mezzo agli Dei” “Io ho detto: Voi siete Dèi, siete tutti figli dell’Altissimo“. “Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti…” In questa narrazione l’originale traduzione ci racconta come durante un’assemblea degli Elohim, Elyon si alzò e parlò loro riprendendoli. Disse loro, voi siete tutti Elohim, ma ricordate che anche voi morirete, proprio come gli uomini.
Gli Elohim erano presumibilmente una razza (presumibilmente non umana) ma certamente in carne e ossa, il loro aspetto (tratto da pochissimi indizi veterotestamentari e scritti extrabiblici) li descrive come alti, dalla pelle bianca come il latte, capelli bianchi argentei e occhi grandi e iridescenti. Vengono considerati eterni o immortali ma solo per una loro spropositata longevità rispetto agli esseri umani. Pare potessero vivere oltre 400.000 anni, ma potevano essere uccisi come chiunque altro.
 
Yahweh è il nome di Dio secondo l’ebraismo e la Chiesa Cattolica. Nei testi biblici tradotti compare come “Signore” “l’Eterno” “Dio di Israele”. Secondo la tradizione Il suo nome fu pronunciato a Mosè nel famoso incontro sulla montagna (Libro dell’Esodo). In realtà ai tempi (presunti) di Mosè la lingua ebraica non esisteva ancora, sorge quindi spontanea la domanda: in quale lingua fu pronunciato originariamente? Le genti uscite dall’Egitto vissero per almeno quattro secoli in quelle terre, pertanto è presumibile che parlassero l’egiziano o al limite l’amorreo (una forma proto-semitica). Alcuni studiosi asseriscono che il popolo uscito dall’Egitto con Mosè fosse composto da soli egiziani. Originariamente del termine si conosce solo il famoso tetragramma trascritto la prima volta 400 anni dopo essere stato pronunciato, corrispondente al consonantico YHWH e vocalizzato in YaHWeH solo dopo altri 1.600 anni. Si può presumere che l’Eloah pronunciò il proprio nome nella sua lingua e fu successivamente riprodotto secondo la fonetica semitica.
Nonostante nella Bibbia il nome di “Dio” comparve con Mosè, in alcuni scritti ancora più antichi ritrovati in Libano, viene menzionato il nome di Yhwh come figlio giovane di uno dei capi Elohim di quel territorio. Anche nella stele di Mesha (Giordania) del IX secolo a.c. viene trovato il nome Yhwh in contesa con l’Eloah Kemosh (divinità moabita). Di Kemosh si parla anche in relazione alla guerra durante la quale la valle di Sodoma e Gomorra fu distrutta dalle “armi del terrore” utilizzate da un altro Eloah, Ninurta (sumero-accadico, figlio di Enlil fratello di Enki) regnante in Assiria. Altri testi extrabiblici riportano che Yhwh era conosciuto già secoli prima, in altri territori, con il nome di Shaddai. Inoltre, nei libri della Bibbia copta si parla anche della sua compagna Asherah (Cfr. ASHERAH: LA MOGLIE DI DIO) Sul fianco della giara di Kuntillet Ajrud, sono presenti motivi iconografici che mostrano tre figure antropomorfiche e un’iscrizione che nomina appaiati «Yahweh [...] e la sua Asherah». Conosciuta anche con il nome di Anat o Ashratum.
 
Secondo le scritture bibliche (originali), così come nei testi sumero-accadici, per altro ancora più precisi e dettagliati, gli Elohim decisero di fare l’Adàm incrociando il loro DNA con quello dell’ominide presente sulla Terra. Nella Genesi sono due gli episodi relativi alla creazione; nel primo, secondo la tradizione, troviamo scritto: “Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”. La traduzione corretta e letterale dall’ebraico recita: “Gli Elohim (ricordiamo che è plurale e infatti anche i verbi che seguono lo sono) dissero, facciamo l’Adàm con la nostra immagine (DNA), l’Adàm sarà a nostra somiglianza”.
In ebraico viene utilizzato il termine “Zelem” che significa “quel qualcosa che contiene l’immagine” ed essendo un vocabolo derivante dal verbo “Zalem” che indica “tagliare fuori” (estrarre – togliere), descrive in modo chiaro che l’immagine degli Elohim è contenuta in un qualcosa che è stato “tagliato fuori” dagli Elohim stessi. Nelle cronache sumero-accadiche è esplicitamente descritto che quel “qualcosa” fu estratto dal sangue di giovani Anunnaki maschi. Si parla pertanto della metà “donatrice” cioè il primo racconto parla del DNA Elohim.
Nel secondo racconto si narra che Dio modellò l’uomo dalla terra e vi soffiò dentro la vita. “allora il Signore Dio modellò l’uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’ uomo divenne un essere vivente”. Nella versione originale il termine tradotto con polvere (argilla, fango) in realtà descrive “la forma” cioè la matrice nella quale inserire il “soffio di vita”. La versione sumerica ci dice che usarono provette d’argilla. Un palese riferimento a una operazione di ingegneria genetica con il quale gli Elohim hanno contribuito  al salto evolutivo dell’uomo rispetto a tutti gli altri primati terrestri.
Recentemente i genetisti si sono accorti della presenza nel genoma umano di parti consistenti di DNA inizialmente denominato “spazzatura” poiché non codificante, parte che non dovrebbe esistere nei nostri geni.
 
Adamo ed Eva
Innanzitutto va precisato che nelle scritture bibliche originali la parola Adàm non determina un individuo ma una specie, l’articolo determinativo presente nei testi ebraici (l’Adàm) ne è la prova. Come descritto ampiamente e con dovizia di particolari dalle tavolette sumero-accadiche, gli Anunnaki eseguirono diversi esperimenti prima di raggiungere il successo, generando l’Uomo. Sono descritti almeno sette tentativi andati male (aborti, mostruosità, menomazioni e mutazioni). Questi racconti ci confermano che la “creazione” dell’Uomo avvenne a fronte di una lunga catena di tentativi ed esperimenti assolutamente di natura genetica, non creazionista.
Tornando alla Bibbia, fatto l’Adàm, gli Helohim (o Anunnaki) lo posero in Eden e gli affidarono ogni sorta di animale e la cura del “giardino”. Presumibilmente affidarono agli “umani” la cura dei campi, degli alberi da frutto e del bestiame, all’interno del loro centro di comando (l’Eden). A un certo punto gli Elohim si accorsero che l’uomo non trovava negli animali una compagnia che gli fosse simile. La frase sta forse a significare che l’assenza femminile abbia portato gli Adàm a sfogare i naturali istinti sessuali verso altre specie? Non lo sappiamo, ma gli Elohim decisero quindi di creare la femmina e nel relativo passo biblico (Genesi 2,21) è evidente si parli di una operazione chirurgica con la quale venne estratto del materiale da “parte laterale ricurva” (tradotta con “costola” ma presumibilmente relativa alla cresta iliaca).
Oggi le cellule staminali vengono prelevate tramite aspirazione di sangue midollare proprio dalla cresta iliaca (parte laterale ricurva). La Bibbia scrive: “Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò e prese una delle sue costole e rinchiuse la carne al suo posto”. Incrociando ancora una volta i testi biblici con i resoconti sumero-accadici si può leggere in queste righe che gli Elohim indussero nei soggetti un sonno profondo (anestesia totale) e prelevarono le cellule staminali dalla cresta iliaca. Fatto ciò richiusero le carni al loro posto e con ciò prelevato procedettero, tramite clonazione e interventi genetici, alla produzione di soggetti femminili, le Eva.
 
Il peccato originale
All’interno del giardino (dell’Eden) ci dicono essere stati posti due alberi: l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. In realtà su questo argomento la Bibbia fa un po’ di confusione mischiando più volte l’uno con l’altro.
Tutti conosciamo bene la storia della mela e il serpente; tuttavia la teologia fa apparire il racconto come una fiaba o quanto meno una metafora finalizzata all’inserimento del peccato originale. Evidentemente una lettura letterale e corroborata da una corretta traduzione e ricerche trasversali (testi extrabiblici e parallelismi con tutte le altre culture) riescono a colmare le innumerevoli falle logiche oggi resi dogmatici dalla filologia ebraica e dalla teologia cattolica.
Quanto scritto originariamente nella Genesi è molto più concreto di quel che traspare dalle visioni spiritualistiche. Ciò che biblicamente viene descritto come il frutto del peccato non è mai indicato come mela ma solo “frutto”, mela presumibilmente deriva, nelle più recenti traduzioni teologiche, dall’analogia con il termine latino malus.
L’albero della conoscenza altro non era che la consapevolezza della propria sessualità e della sua funzionalità di procreare in modo naturale. Fino a quel momento a produrre gli Adàm ci pensavano gli Elohim. A questo fa riferimento il passo in cui si dice che mangiando del frutto della conoscenza l’uomo sarebbe diventato come “Dio”; allude alla capacità di procreare autonomamente (ovvero creare la vita), proprio come gli Elohim.
Il serpente dell’Eden era molto probabilmente un medico, forse una dottoressa, a volte, indicata come la Dea Serpente. È probabile  che fosse la genetista che programmò e seguì l’incrocio genetico con gli Elohim (pertanto la nostra madre “creatrice”). Comunque, mentre Enlil esigeva il controllo demografico e che la loro (ri)produzione fosse subordinata e programmata, Enki, più benevolo, desiderava per queste creature la possibilità di riprodursi ed evolversi naturalmente. Concesse agli uomini la fertilità, rendendoli quindi uguali a loro. I capi della fazione di Enlil disapprovarono tale azione e come conseguenza “cacciarono” gli Adàm dal Gad-Eden. Questa, in realtà, non fu una condanna, come espresso dalla teologia, bensì una relazione di causa-effetto. Seguono i passi che descrivono le “punizioni” di Dio: 


“Tu uomo lavorerai il suolo con il sudore.” 
È ovvio: finché vivevano nell’Eden, al cibo pensavano gli Elohim. Ora l’uomo per mangiare doveva cavarsela da solo, lavorare la terra e andare a caccia. Nessuna condanna, ma semplice conseguenza.
 
“Tu donna partorirai con gran dolore”
 
Altra ovvietà: finché vivevano nell’Eden, alla riproduzione pensavano gli Elohim, gli Adàm non erano fertili e venivano “prodotti” presumibilmente in vitro. Con il raggiungimento della fecondità e la possibilità di riprodursi autonomamente, le femmine (le Eva) avrebbero sperimentato che partorire era doloroso (esperienza naturale vissuta anche dagli Elohim). Ancora una volta nessuna condanna, ma semplice conseguenza della loro scelta.
Anche il concetto della conoscenza del bene e del male è semplicemente la sperimentazione diretta di ogni aspetto della vita, positivo o negativo. In sostanza gli Elohim concessero all’Adàm la libertà di sperimentare la loro nuova condizione.
 
L’albero della vita
Genesi 3,22: “Il Signore Dio disse allora: Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!”
In questo passo biblico torna il plurale “noi” relativo a “Dio”.
La preoccupazione di Enlil fu che l’uomo, ormai in grado di procreare liberamente, potesse accedere all’altra caratteristica tipica degli Elohim, la loro spropositata longevità. I genetisti odierni hanno appena cominciato a capire i meccanismi responsabili della degenerazione cellulare, gli errori di “copia” del codice genetico ad ogni sua replica. È probabile che gli Elohim avessero una tale conoscenza della genetica da aver sconfitto tali perdite di informazioni del DNA ed essere pertanto in grado di vivere oltre i 400.000 anni. C’è da dire che non trasmisero questa prerogativa agli uomini. Tuttavia, nei racconti sumeri sembra che, per garantire tale longevità, facessero uso dell’estratto di una pianta importata dal loro pianeta di origine. E’ pensabile, quindi, che temessero che l’uomo potesse ottenere l’accesso a questo elisir di lunga vita (non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre).
 
Se volete, potrete prendete tutto ciò alla stregua di una favola. Tuttavia, vi consiglio di riflettete sulla lucidità e logicità di questa versione che è quanto ricavabile da una semplice lettura letterale e basata su un racconto dei fatti incontrovertibile, condivisibile da tutti gli scritti antichi delle più svariate culture, dal medio oriente, all’estremo oriente, dai nativi americani alle tribù africane.
Quanto qui descritto non vuole in nessun modo escludere l’esistenza di Dio, semplicemente il “Dio dei destini” non è menzionato nelle sacre scritture: la Bibbia si limita a narrare la storia della relazione di un Elohim con il popolo che gli era stato assegnato.