All'alba di sabato 12 ottobre 1963, il nostro testimone, Eugenio Douglas, di 48 anni, camionista, era sulla strada regionale 11, di ritorno dalla città argentina di Santiago del Estero. Trasportava un carico di carbone ed era diretto verso Monte Mayes. La pioggia cadeva forte, la strada era fangosa, la visibilità era scarsa, ma doveva proseguire.
E mentre avanzava faticosamente, vide una luce rossa, molto intensa, davanti a sé, proprio in mezzo alla strada. Rallentò, credendo che fosse una macchina in panne, ma all’improvviso fu investito da un potente flash che lo accecò momentaneamente. Istintivamente, portò le mani agli occhi, abbandonando la presa sul volante. Così facendo, il camion si diresse di lato, verso il fossato che delimitava la carreggiata e vi finì dentro. Il motore si fermò e le luci si spensero. Douglas, sceso sotto la pioggia, avvertì uno strano calore sul corpo. Era come quando, d’estate, senti i raggi ultravioletti del sole provocarti l’abbronzatura. Gli abiti fumavano per effetto dell’acqua che evaporava. Notò, a una cinquantina di metri, un enorme oggetto che bloccava la strada. L’oggetto, di forma ovale, aveva un aspetto metallico, con bordi scuri. Emetteva una luce blu intermittente e poggiava su corte gambe. Douglas ne stimò l'altezza in circa nove metri. Improvvisamente, una porta rettangolare si aprì su un lato e ne uscirono tre giganti. Erano alti tra 3,5 e 4,5 metri, di aspetto umanoide, ma rigidi nei movimenti: ciò li faceva somigliare più a dei robot. Indossavano tute argentee e sul suo casco c'erano delle piccole antenne che emettevano dei flash, mentre altre luci rosse pulsavano sul loro petto alla stregua di cuori artificiali.
Douglas, terrorizzato, estrasse la sua pistola calibro 38 e sparò diversi colpi contro i giganti, ma la sua azione si rivelò inefficace. Nel mentre, una delle creature alzò il braccio, “sparando” un sottile raggio di luce che lo colpì sul viso. Sentì il raggio ustionargli la pelle e terrorizzato, fuggì attraverso i campi fangosi.
Mentre correva, si girò ed ebbe modo di vedere le tre creature tornare tranquillamente al velivolo. La porta si chiuse e la navetta iniziò a salire lentamente, stazionando a pochi metri dal suolo. Dopo essere rimasta sospesa per pochi secondi, volò via e scomparve tra le nuvole.
Douglas continuò a camminare per lunghe ore sotto la pioggia, esposto al freddo, fino alle prime luci dell'alba, quando raggiunse la città di Monty Mayes. Lo trovarono bagnato, col viso rosso coperto di piccole bolle, nella mano stringeva ancora la pistola. Gli diedero una coperta e ascoltarono i suoi discorsi farfugliati su una strana macchina e su dei giganti che avevano cercato di prenderlo. Chiamarono la polizia che si recò sul posto indicato, trovandovi il camion impantanato nel fango, ed evidenti tracce di pneumatici. C’erano pure altre tracce: enormi impronte lunghe tra i 45 e i 50 centimetri che la pioggia aveva in parte cancellato.
Il dottor Francisco Davolos lo esaminò, riscontrando lievi ustioni sul volto.
Nei giorni seguenti Douglas spiegò nel dettaglio cosa gli era successo, affermando che quelle creature non potevano essere biologiche, erano macchine: uomini di ferro dagli occhi luminosi. Aggiunse di aver sentito il calore della luce e il suono del veicolo. Suono che gli rimase in testa per molto tempo.
La storia si diffuse rapidamente sui giornali (El Litoral - Santa Fe, 2018 - L'incredibile caso di Monty Mayes) attirarono l’attenzione di ricercatori come Fabio Zerba (che citò il caso ne’: El Quinto Hombre) e del gruppo Visión OVNI, che indagarono il caso considerandolo uno dei primi rapporti aventi ad oggetto entità robotiche legate a OVNI del Paese.
L’immagine a corredo dell’articolo è solo evocativa.