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venerdì 25 settembre 2020

FATTORE TERZO UOMO

Shackleton raccontò che a un certo punto di quella odissea iniziò a percepire la presenza nel gruppo di un altro ‘compagno’, che però non era visibile.
Il famoso esploratore antartico Ernest Shackleton, narra che nell’ultima tappa della sua spedizione del 1914-1917 visse una situazione drammatica. Insieme a due compagni e in condizioni estreme cercò disperatamente di raggiungere una stazione marina britannica. Erano a corto di cibo, disidratati, poco equipaggiati e molto vicini al collasso fisico.
Per una qualche ragione, sapeva che c’era una quarta persona in viaggio con a loro, la cui presenza, benché invisibile, era di conforto e incoraggiamento. Quando finalmente raggiunsero la stazione, Shackleton decise di tenere questo dettaglio per se e non ne parlò nemmeno in seguito. Solo dopo molti anni decise di raccontare la sua strana esperienza a un giornalista, e il susseguente articolo incoraggiò i suoi ex compagni di viaggio ad ammettere di avere vissuto anch’essi la strana sensazione di una presenza invisibile che marciava con loro.
Cos’era la ‘presenza’ che i tre avventurieri raccontarono di avere percepito?
Simili fattispecie furono registrate anche in seguito a naufragi ed altre avversità raccontate, in tutto il mondo, dai sopravvissuti. La scienza codificò il fenomeno con il nome di Fattore Terzo Uomo. Di solito l’esperienza si verifica quando qualcuno si trova completamente solo in estrema difficoltà, tanto da temere di non farcela e di perdere la vita. Tuttavia è successo che sia stata sperimentata anche da più soggetti contemporaneamente, come nella spedizione di Shackleton.
Nel caso di Frank Smythe, uno dei primi esploratori a tentare la scalata del monte Everest, dopo che i suoi compagni avevano scelto di rinunciare e fare ritorno al campo base, iniziò a percepire la presenza di un compagno di viaggio invisibile. Ne era certo al punto che tagliò una seconda fetta di torta e gliela offrì, prima di realizzare di essere solo e che nessuno in realtà gli sedeva accanto.

 

A volte è solo una netta percezione di non essere soli. In altre circostanze accade di udire una voce che ti parla, ti incoraggia a non mollare.
Quando James Sevigney fu sorpreso da una valanga sulle Montagne Rocciose canadesi, si ruppe la schiena in due punti, entrambe le ginocchia e perse molto sangue. Nei momenti drammatici vissuti sepolto sotto i detriti udì distintamente una voce intimargli che non poteva darsi per vinto: doveva sopravvivere. Era una voce perfettamente distinguibile e proveniva da pochi centimetri dal suo orecchio.
In altre circostanze la presenza assume addirittura forma fisica. Peter Hillary racconta che quando visse una disavventura nel corso di una spedizione al Polo Sud nel 1998, a un certo punto, fu accompagnato da sua madre, morta in un incidente d’auto vent’anni prima.
Fattore comune di tutti questi episodi è la condizione di enorme stress e pericolo vissuta dai narratori. Episodi analoghi sono stati raccontati da esploratori, alpinisti, subacquei, marinai e prigionieri di guerra, perfino un superstite degli attentati dell’11 Settembre asserisce di essere stato guidato fuori dalle Torri Gemelle da una ‘presenza’ invisibile.
Il fenomeno stimola ipotesi interessanti. Molti scienziati sostengono che tali presenze non siano altro che l’effetto di un processo mentale che si innescherebbe sull’orlo della morte. Tuttavia il processo sembra essere selettivo, dato che non scatta in chiunque si trovi in condizioni disperate. L’unica cosa certa è che accade all’improvviso, è percepito in modo diverso da un’allucinazione e in larga parte, chi l’ha sperimentato sostiene che susciti un effetto benefico. Le condizioni essenziali affinché si manifesti sono lo shock, la paura e lo stress.

 

Potrebbe trattarsi di un fenomeno metafisico. Ipotesi che si adatta molto bene al mito del cosiddetto “angelo custode.”
Al di là di quelle descritte, tutt’altro che conclusive, non esistono teorie scientifiche in merito al fenomeno del Terzo Uomo, specie per quei casi in cui si manifesti simultaneamente in un insieme di soggetti.

giovedì 24 settembre 2020

I MISTERIOSI WANDJINA




“Prima di ogni cosa esisteva Altjeringa, il Mondo del Sogno. I Kundingas, i Padri venuti dallo spazio sognavano l’Australia, la nostra terra, cercando un luogo dal quale i loro discendenti avrebbero potuto trarre nutrimento e conoscenza”.
Per quanto possa sembrare impossibile, ci sono cose in Australia che non si possono spiegare. Cose che rendono questa terra o comunque gran parte di essa, un mondo a parte, che è possibile osservare e recepire soltanto liberandosi dai preconcetti. In questa dimensione parallela, l’unico padrone è il Sogno: un particolare stato della mente che permette di distinguere una normale roccia da quella che invece rappresenta “il Sogno dell’Acqua”, oppure osservare gli anfratti tra i monti e trovare “il Sogno della Giustizia”. Non è soltanto una antica credenza, il residuo di atavici insegnamenti, per gli Aborigeni si tratta di una vera e propria eredità, del dono lasciato dagli Dei che scesero dal cielo. Essi sono una costante nella cultura di questo e di altri popoli primitivi, sono le radici di un passato che si presenta con non pochi misteri da risolvere.
Quello che ci rimane, sono delle pitture rupestri. In particolare quelle presenti nella zona di Alice Springs (dove è possibile imbattersi in pitture raffiguranti esseri con abiti spaziali) altri siti degni di nota sono quelli di Ndahla Gorge (degli Dei con antenne), di Yarbiri Soak e di Nimingarra. 



Chi fossero questi misteriosi esseri non è facile dirlo. Più ci si addentra nella cultura degli Aborigeni, più ci si scontra con realtà che non dovrebbero esistere. Come può una cultura, ostinatamente primitiva, essere a conoscenza del legame esistente tra la luna e il ciclo delle maree (il mito di Alinda, l’Uomo Luna), ed essere al corrente che la stessa luna ha un ciclo differente da quello del sole.
Chi portò queste conoscenze? 
 


Tutte le tradizioni orali si riferiscono ripetutamente ai misteriosi Wandjina, esseri giganteschi, senza bocca e dagli occhi neri, che portavano sulla testa una sorta di aureola a raggi. Sembra provenissero dalle Pleiadi. Vengono molto spesso rappresentati con una infinità di trattini verticali, a simboleggiare la pioggia della quale erano i portatori. Il loro capo, Maswac, era così potente che non aveva bisogno della bocca per esprimere la sua autorità.
I Wandjina (termine che significa “il Tutto”) vissero sulla Terra in un tempo chiamato “dei genitori”, un'era durante la quale alcuni di questi Dei insegnarono agli uomini. In un periodo indeterminato della loro storia, i Wandjina subirono una trasformazione e crearono il mondo attraverso il canto.
Provenivano da un’epoca antecedente, “Il Tempo del Sogno”, durante la quale questi “Dei” non avevano una forma ben definita. Loro principale compito fu quello di insegnare “le leggi, i precetti e le regole di comportamento”, oltre a introdurre i rituali e le pratiche cerimoniali ancora oggi in uso presso le varie tribù.
Si riscontrano somiglianze tra gli antichi e i moderni racconti riguardanti l’interazione con il nostro pianeta di esseri provenienti dallo spazio. Alcune tribù Aborigene, ad esempio, raccontano di un essere chiamato Djamar. Venne dallo spazio e atterrò sulla terra a bordo di un oggetto lucido, lasciando sul terreno quattro fori perfettamente regolari. La sua presenza fu preceduta da un forte vento. A riprova della veridicità del racconto, gli Aborigeni mostrano le colline circostanti sulle quali non cresce più alcuna pianta e le cortecce danneggiate: tutti danni permanenti provocati dall’atterraggio di Djamar. Il suo velivolo si chiamava “Tjurunga” e viene descritto come un lungo e lucente oggetto sigariforme con tante luci.
Altra tradizione degna di nota, è quella che parla degli “uomini intelligenti” o “uomini di alto grado” e delle loro “ascensioni celesti”. Si tratta degli sciamani aborigeni, i cui rituali di iniziazione mostrano un sorprendente parallelismo con la descrizione dei moderni casi di Abduction. lo stesso dicasi per il rituale di “morte e resurrezione”, durante i quali, al risveglio dallo stato estatico, il candidato racconta di un meraviglioso mondo celeste e tutti i soggetti, anche se appartenenti a tribù diverse e non in contatto tra loro, descrivono lo stesso scenario.



 
 
Nella mitologia degli aborigeni australiani, il “Dreamtime”, il Tempo del Sogno, rappresenta l'epoca precedente alla creazione del mondo, voluto dalle “creature sognanti” che cantavano tutto il creato. Ognuno di questi canti è la descrizione del percorso che segue ogni creatura ancestrale durante il suo viaggio originario. Le origini delle storie riferite al Tempo del Sogno si perdono nella notte dei tempi, tramandate sempre allo stesso modo da più di 40.000 anni. Per quanto possa apparire semplice nella sua esposizione, il Dreamtime in realtà si esprime attraverso regole ben precise e contiene molte parti, queste quelle principali:
  1. La storia delle cose che sono accadute.
  2. Come si venne a creare l'universo.
  3. Come furono creati gli esseri umani.
  4. Come il Creatore sognò il loro ruolo all’interno del cosmo. 

I racconti relativi al Sogno accennano spesso a Jiva o Guruwari, una sorta di seme di energia che venne depositato sulla Terra, la cui potenza creatrice è proprio il Sogno, capace di plasmare e dare vita ad ogni cosa.
Quando si scrive dell’Australia, degli Aborigeni e dei misteri che li circondano, non si può non citare il monolito più grande del mondo: nove chilometri di circonferenza e una moltitudine di enigmi, fanno di Ayers Rock una sorta di totem che simboleggia il mito della creazione. Nella tradizione sacra il luogo prende il nome di Uluru, il Cuore Rosso, plasmato dagli Dei venuti dal cielo quando tutto era piatto e senza alcuna forma.
Gli aborigeni sono ritenuti i più antichi abitanti del Cuore Rosso, la loro esistenza, infatti, fa retrodatare di oltre 30.000 anni la presenza dell'uomo in Australia. Le varie tribù, che tra loro si definiscono genericamente con il nome di Arunta, sono accomunate da un complesso di credenze mitiche e religiose intimamente legate alla natura e in particolare, proprio alle strutture rocciose di Ayers Rock e dei vicini Monti Olgas. Nelle caverne che si aprono alle pendici, pitture e graffiti raccontano da millenni una antica eredità, lasciata a questo mondo da misteriosi esseri provenienti dalle stelle.
 
 
 
Proprio su questo complesso roccioso abitavano, ai tempi dell’Altjeringa, i Kundingas. 
A questi misteriosi esseri si affiancavano gli Uomini Lumaca (Yankuntjatjara). Nelle grotte ai fianchi della montagna, alle quali il Governo Australiano ha vietato l’accesso tranne che per gli Aborigeni, nei pressi di una roccia chiamata “il Sogno del Saggio”, si svolgono le cerimonie di iniziazione alla Kadajingera.
Spostandosi da Ayers Rock, i Kundingas avevano iniziato a sognare; questo termine, che ricorre molto spesso nei racconti degli Aborigeni, non deve essere inteso nel senso comune che siamo soliti attribuirgli, si tratta in realtà di una via di mezzo tra il creare e il cantare. I Kundingas attraversarono tutto il territorio australiano alla ricerca di fonti, di rocce e di percorsi che si sarebbero in seguito rivelati utili ai loro discendenti. Durante i loro spostamenti creavano gli uomini dall’argilla, lasciandosi dietro una lunga scia di note musicali.
Quando ripartirono, lasciarono il ricordo del loro sogno nelle reminescenze e nelle tradizioni dei loro figli: gli Aborigeni.
Gli Aborigeni che hanno superato il rito iniziatico (Kadajingera), sono in grado di vedere questo mondo, ma poiché la terra nacque dal seme universale, la sua energia appartiene a tutti e da tutti può essere osservata. Anche i bianchi, quindi possono distinguere una semplice roccia da una roccia che esprime invece il Sogno dell'Acqua.
Coloro che sono in grado di sognare pur non essendo Aborigeni vengono definiti “Cumbo” e tutti sono legati da particolari vincoli di “parentela”, completamente diversi da quelli che noi concepiamo. Un Aborigeno, così come un Cumbo, può avere infatti molti “padri” e molte “madri”. Si tratta forse della più antica e semplice spiegazione di un legame tra l’uomo e alcune forme di vita che dimorano nello spazio, un legame che un tempo era ben conosciuto e che oggi rimane uno dei più antichi misteri da riscoprire. 

sabato 5 settembre 2020

KUMBANDY


Una strana scoperta, avvenuta nel tempio buddista di Wat Prapangmuni, rivela delle mummie che, a detta dei monaci, sarebbero dei “Kumbandy”, creature dal corpo traslucido da cui si sprigiona una luce verdastra. Queste creature sarebbero in grado di spostarsi nell’aria avvalendosi di un’energia sconosciuta. Inoltre, se necessario, hanno la capacità di diventare trasparenti  o addirittura completamente invisibili.
Il tempio si trova in Thailandia, si nasconde tra fitte foreste che per secoli hanno custodito le reliquie buddiste più importanti, tra cui quelle dei Kumbandy. I loro corpi, mummificati, sono stati collocati in una teca di vetro, insieme a una grande varietà di gioielli e dipinti. Il locale che custodisce queste reliquie è interdetto ai turisti, che senza un permesso speciale non possono accedervi.
Le mummie sembrano appartenere a piccole creature munite di strane teste, molto simili a un bocciolo di fiore. Sono perfettamente conservati e si possono notare distintamente gli occhi, una specie di bocca e un naso virtualmente indistinguibile da quello umano. Le analisi ai raggi X dimostrano che le creature, in vita, erano completamente strutturate e sono dotate di uno scheletro assolutamente identico a quello umano, anche se molto più piccolo.
Gli esperti che li hanno esaminati sono riusciti persino a distinguerei loro organi interni, o meglio, ciò che ne rimane, in particolare: i denti e la lingua.
Gli scettici sostengono che questi esserini mummificati non siano altro che dei bambini malformati, magari nati prematuramente. Ma, come abbiamo già detto, l’esame dell’apparato scheletrico dimostra che essi erano completamente formati, per cui si può tranquillamente affermare che avevano raggiunto l’età adulta.

martedì 1 settembre 2020

IL DIAVOLO DEL JERSEY


Anche un cronista dell’insolito deve poter decide se la notizia che pubblicherà, oltre a essere davvero insolita sia anche effettivamente credibile, magari lasciando al lettore il beneficio del dubbio. Raramente, invece, mi azzardo a pubblicare storie come questa, che narrano di un animale tanto bizzarro quanto improbabile, eppure avvistato più volte nel corso di moltissimi anni, a dimostrazione di come può nascere e diffondersi una leggenda metropolitana.
 

Secondo il folklore del New Jersey meridionale e di Filadelfia, il Jersey Devil (noto anche come Leeds Devil) è una bizzarra creatura che, si dice, abita i Pine Barrens del South Jersey. La creatura è spesso descritta come un bipede volante con gli zoccoli, ma ci sono molte varianti. La descrizione più comune è quella di una creatura simile a canguro con ali di pipistrello, corna, braccia piccole con mani artigliate, gambe con zoccoli fessurati e coda biforcuta. Si muove rapidamente ed emette un urlo agghiacciante.
La leggenda ebbe origine allorché Jane Leeds, madre di 12 figli, dopo aver scoperto di essere incinta per la tredicesima volta, presa dallo sconforto, maledì il nascituro, gridando che il bambino, una volta nato, sarebbe stato un diavolo. Durante una notte tempestosa (era il 1735) la signora Leeds entrò in travaglio. Era in casa sua dove i suoi amici si erano radunati per l’evento. Nato come un bambino normale, il tredicesimo bambino si è poi trasformato in una creatura leggendaria dotata di zoccoli, testa di capra, ali di pipistrello e coda biforcuta. Ringhiando e urlando, frustò tutti con la coda prima di volare via su per il camino e dirigersi verso la boscaglia.
La signora Leeds pare sia stata identificata come una certa Deborah Leeds, sulla base di un documento testamentario risalente al 1736. Suo marito, Japhet Leeds, nominò nel testamento dodici figli e ciò è compatibile con la leggenda. Deborah e Japhet Leeds, inoltre, vivevano nella sezione di Leeds Point di quella che ora è Atlantic County, New Jersey, che è comunemente identificato come il luogo della leggenda.
Sebbene questa storia vada avanti sin dal XVIII secolo, si afferma che la rappresentazione più moderna del mostro, così come l'ormai pervasivo nome "Jersey Devil", divenne standardizzata nella sua forma più attuale solo all'inizio del XX secolo.

 

Riferimenti a "Leeds Devil" o "Devil of Leeds" compaiono sulla carta stampata già dalla metà del XIX secolo. Nel 1859, l'Atlantic Monthly pubblicò un articolo che descriveva in dettaglio i racconti del Diavolo di Leeds popolari tra i residenti delle Pine Barren. Un giornale del 1887 descrisse gli avvistamenti di una creatura alata, denominata "il Devil of Leeds ", presumibilmente avvistato vicino a Pine Barrens e ben noto tra la popolazione locale nella contea di Burlington (New Jersey).



“Ogni volta che si avvicinava ai cani, emetteva un urlo ultraterreno che li spaventava. Ha frustato tutti i cani del posto. "Quella cosa", disse il colonnello, "non è un uccello né un animale, ma è il diavolo di Leeds. Secondo la descrizione, è nato a Evasham, nella contea di Burlington, cento anni fa. Non ci sono errori. Non ho mai visto l'orribile creatura di persona, ma ricordo bene quando, nei boschi di Evasham, cinquant'anni fa, veniva inseguita e cacciata con l’ausilio dei cani e venne anche colpita, ma non poté essere uccisa. Non c'è una famiglia a Burlington o in nessuna delle contee adiacenti che non conosca la leggenda: il diavolo di Leeds è lo spauracchio per tutti i bambini già da quando ero ragazzo!”
 

Ma molti ancora sono i resoconti di avvistamenti che riportano il Jersey Devil.
Si racconta che il Commodoro Stephen Decatur, mentre visitava l'Hannover Mill Works per supervisionare una fornitura di palle da cannone, non solo avvistò la creatura volante, ma gli sparò (con un cannone) senza ottenere alcun effetto.
Si dice anche che anche Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, nel 1820, abbia visto il diavolo di Jersey mentre cacciava nella sua tenuta di Bordentown.
Nel 1840, il diavolo di Jersey fu accusato di aver ucciso del bestiame. Attacchi al bestiame furono segnalati anche nel 1841, furono caratterizzati da strane da tracce sul terreno e urla nella notte.
Durante la settimana dal 16 al 23 gennaio 1909, i giornali dell'epoca pubblicarono centinaia di presunti incontri con il Jersey Devil. Comparvero sulla stampa delle affermazioni: sembrava che la creatura avesse attaccato un tram a Haddon Heights e si fosse introdotta im un club a Camden. La polizia di Camden (Pennsylvania) avrebbe sparato contro la creatura senza riuscire ad abbatterla.

 

A Greenwich, nel dicembre 1925, un contadino sparò a un animale non identificato che tentava di sottrargli i polli. Fotografò il cadavere, ma affermò che nessuna delle 100 persone a cui, in seguito, aveva mostrato la foto fu in grado di identificarlo.
27 luglio 1937, un animale sconosciuto "con gli occhi rossi" fu visto dai residenti di Downingtown (Pennsylvania). Fu raffigurato come il Jersey Devil da un giornalista.
Nel 1951, un gruppo di ragazzi, del New Jersey, affermarono di aver visto un "mostro" che corrispondeva alla descrizione del famigerato Diavolo.
Nel 1957 fu rinvenuto il cadavere di un animale la cui descrizione corrispondeva a quella del Diavolo di Jersey.
Nel 1960, i mercanti intorno a Camden offrirono una ricompensa di $ 10.000 per la cattura del Jersey Devil. La cosa pareva così probabile che fu predisposta una gabbia per ospitare la creatura, se fosse stata catturata.
Altri rapporti riguardarono impronte non identificate nella neve, ma presto avvistamenti di creature somiglianti al Diavolo di Jersey furono segnalati in tutto il South Jersey, fino al Delaware e all'ovest  del Maryland. La notizia, apparsa sui giornali creò il panico nella Delaware Valley. Vennero chiuse le scuole e in molti contribuirono a formare gruppi di vigilanti, mentre i cacciatori perlustrarono le campagne alla ricerca del Diavolo. Durante questo periodo, pare che lo zoo di Philadelphia abbia assegnato una ricompensa di $ 10.000 per la cattura della creatura. L'offerta determinò una serie di frodi, tra l’altro, pur di riscuotere la ricompensa, fu presentato un canguro a cui erano stati attaccati artigli e ali di pipistrello.

 

Per gli scettici, il Jersey Devil è semplicemente il frutto dell’immaginazione dei primi coloni inglesi. Uno spauracchio nato dai racconti degli annoiati residenti di Pine Barren: una sorta di favola per bambini. D’altronde, le Pine Barrens godevano di una pessima reputazione che potrebbe effettivamente aver contribuito alla leggenda del Jersey Devil. Storicamente, le Pine Barrens erano considerate terre inospitali e rifugio di banditi. I ribelli lealisti noti come Pine Robbers, erano noti per i loro attacchi e le rapine ai viaggiatori di passaggio. Durante tutto il 1700 e anche nel 1800, i residenti delle isolate Pine Barrens erano, più che altro, degli emarginati: fuggitivi, briganti, nativi americani, bracconieri, schiavi in ​​fuga e disertori. Sicuramente furono promosse delle storie spaventose per tenere alla larga tutti gli estranei.
Jeff Brunner della Humane Society del New Jersey afferma: 


"Non ci sono fotografie, né ossa, né alcuna prova concreta e quel che è peggio, le origini di questo animale affondano nel soprannaturale."
 
Il sociologo Dr. Robert E. Bartholomew e l'autore Peter Hassall citano la serie di avvistamenti del 1909 (e il conseguente terrore tra la popolazione) come un classico esempio di isteria di massa, dovuta a una leggenda metropolitana.
Tuttavia, c’è un gruppo del New Jersey chiamato "Devil Hunters", sedicenti "ricercatori del Jersey Devil": si  dedicano assiduamente alla raccolta dei rapporti, alla ricerca di dati storici nonché a battute di caccia nelle Pine Barrens, per fornire la prova che il Jersey Devil esiste.