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domenica 31 marzo 2019

QUATTRO VANGELI


I Vangeli. Queste cronache sono considerate generalmente come le più autorevoli e per i devoti, sono coerenti e inoppugnabili. Fin dall'infanzia si viene indotti a credere che la storia di Gesù, così com'è tramandata nei Quattro Vangeli, sia se non proprio ispirata da Dio, almeno definitiva. I quattro evangelisti, presunti autori dei Vangeli, sono ritenuti testimoni impeccabili che rafforzano e confermano l'uno la testimonianza dell'altro. Tra tutti i cristiani, ben pochi si rendono conto che i Quattro Vangeli non solo si contraddicono l'un l'altro, ma a volte sono in violento dissidio.
Per la tradizione popolare, l'origine e la nascita di Gesù sono piuttosto note. Ma in realtà i Vangeli, sui quali si basa la tradizione, sono considerevolmente più vaghi al riguardo. Solo due dei Quattro Vangeli, quello di Matteo e quello di Luca, parlano dell'origine e della nascita di Gesù e sono in netto contrasto tra loro. Secondo Matteo, ad esempio, Gesù era un aristocratico, un legittimo re, disceso da Davide e da Salomone. Secondo Luca, invece, la famiglia di Gesù, benché discesa dalla casa di Davide, era un po' meno illustre. Ed è sulla base del racconto di Marco che è nata la leggenda del "povero falegname". Insomma, le due genealogie sono così nettamente discordi che potrebbero riferirsi addirittura a due personaggi diversi.
Le discrepanze tra i Vangeli non sono circoscritte alla genealogia di Gesù. Secondo Luca, Gesù appena nato ricevette la visita di alcuni pastori. Secondo Matteo, ricevette l'omaggio di tre re. Secondo Luca, la famiglia di Gesù viveva a Nazareth e di qui i suoi genitori, a causa di un censimento (che la storia non ha mai confermato) si sarebbero recati a Betlemme, dove Gesù nacque in un'umile mangiatoia.
Ma secondo Matteo i genitori di Gesù erano piuttosto benestanti, risiedevano a Betlemme e Gesù nacque in una casa. Nella versione di Matteo, la strage degli innocenti ordinata da Erode costringe la famiglia a fuggire in Egitto e solo al suo ritorno si stabilisce a Nazareth.
Le notizie contenute in ognuna di queste cronache non collimano: è una contraddizione che non trova una spiegazione razionale. Non c'è assolutamente modo di correggere i racconti contrastanti né c'è assolutamente modo di conciliarli. Piaccia o no, si deve ammettere che uno di questi due Vangeli ha torto, o che hanno torto tutti e due. Di fronte a una conclusione così clamorosa e inevitabile, non è possibile considerare inoppugnabili i Vangeli: come possono essere inoppugnabili, quando si smentiscono l'un l'altro?
Più si studiano i Vangeli e più appaiono evidenti le contraddizioni tra loro. Infatti non concordano neppure sul giorno della Crocifissione. Secondo Giovanni, la Crocifissione avvenne il giorno prima della Pasqua ebraica. Secondo Marco, Luca e Matteo, avvenne il giorno dopo. I Vangeli non sono d'accordo neppure sulla personalità e il carattere di Gesù. E vi sono altre discrepanze circa le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce. In Matteo e Marco, queste parole sono:

"Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"

In Luca:

"Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".


In Giovanni, le ultime parole di Gesù sono semplicemente:

"Tutto è compiuto".

Date queste discrepanze, i Vangeli possono essere accettati solo come un'autorità molto discutibile, certo non definitiva: o non rappresentano la parola perfetta di un Dio, oppure le parole di Dio sono state abbondantemente censurate, rivedute, corrette e riscritte da mani umane. La Bibbia, dobbiamo ricordarlo - e questo vale tanto per l'Antico quanto per il Nuovo Testamento - è soltanto una selezione di opere, sotto molti aspetti piuttosto arbitraria. Infatti, potrebbe benissimo includere assai più libri e scritti di quanti ne includa in realtà. E non si può neppure sostenere che i libri mancanti siano andati perduti. Al contrario, furono esclusi di proposito. Nel 367 d.C. il vescovo Atanasio d'Alessandria compilò un elenco delle opere da includere nel Nuovo Testamento. L'elenco fu ratificato dal Concilio di Ippona nel 393 e successivamente dal Concilio di Cartagine, svoltosi quattro anni dopo. In questi concili fu scelta una selezione di opere. Certe furono raccolte per formare il Nuovo Testamento quale lo conosciamo oggi, mentre altre furono sprezzantemente ignorate. Come si può considerare definitivo un simile processo di selezione?
Come poteva un'assise di ecclesiastici decidere per tutti (anche per i posteri) che certi libri appartenevano alla Bibbia e altri no?
Soprattutto quando alcuni dei libri esclusi hanno una pretesa di veridicità storica perfettamente valida.
Così com'è oggi, la Bibbia non è soltanto il prodotto di un processo selettivo, è stata anche sottoposta a correzioni, censure e revisioni piuttosto drastiche. Nel 1958, ad esempio, il professor Morton Smith della Columbia University scoprì, in un monastero presso Gerusalemme, una lettera contenente un frammento mancante del Vangelo di Marco. Il frammento non era andato perduto. Al contrario, sembrava fosse stato volutamente soppresso per istigazione, se non addirittura per ordine diretto, del vescovo Clemente d'Alessandria, uno dei padri della Chiesa più venerati!
Clemente, a quanto pare, aveva ricevuto una lettera da un certo Teodoro, il quale si lamentava di una setta gnostica, quella dei carpocraziani. Questi, sembra, interpretassero certi passi del Vangelo di Marco secondo i loro princìpi: princìpi che non collimavano con la posizione assunta da Clemente e Teodoro. Per questo Teodoro li attaccò e ne riferì a Clemente. Nella lettera trovata dal professor Smith, Clemente così risponde al suo discepolo:
"Bene hai fatto a ridurre al silenzio gli innominabili insegnamenti dei carpocraziani, perché essi sono le stelle vagabonde di cui parla la profezia, che si allontanano dalla stretta via dei comandamenti e sprofondano nell'abisso sconfinato dei peccati della carne e del corpo. Perché, gloriandosi della conoscenza, come essi dicono, delle cose profonde di Satana, essi non sanno che così si gettano nel mondo intero delle tenebre della falsità e vantandosi di essere liberi, sono divenuti schiavi di desideri servili. A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perché, anche se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d'accordo con loro. Perché non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che sembra vera secondo le opinioni umane non dev'essere preferita alla verità vera, quella in armonia con la fede."

È un'affermazione incredibile, per un padre della Chiesa! In effetti, Clemente proclama: "Se per caso i tuoi avversari dicono la verità, devi negarla e mentire per confutarli". Ma non è tutto. Nel brano seguente, la lettera di Clemente discute il Vangelo di Marco e dell'abuso che secondo lui ne fanno i carpocraziani.

"In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria, portando i suoi scritti e quelli di Pietro e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza (gnosi). Egli perciò compose un Vangelo più spirituale ad uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia, non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, né mise per iscritto tutti gli insegnamenti del Signore, ma alle storie già scritte altre ne aggiunse. Morendo lasciò la sua composizione alla chiesa d'Alessandria, dove è tuttora scrupolosamente custodita e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri. Ma Carpocrate asservì un certo presbyter della chiesa d'Alessandria e ottenne da lui una copia del Vangelo segreto. Lo interpretò secondo la sua dottrina blasfema e carnale e inoltre lo inquinò, mescolando alle parole immacolate e sante menzogne spudorate."
Quindi, Clemente ammette che esiste un segreto e autentico Vangelo di Marco, ma ordina a Teodoro di negarlo.  Perché "non tutto il vero dev'essere detto a tutti gli uomini."
Che cos'era questo Vangelo segreto, che Clemente ordinò al suo discepolo di ripudiare e che i carpocraziani stavano interpretando falsamente?
Clemente risponde alla domanda includendo nella sua lettera una trascrizione del testo, parola per parola:

"A te, quindi, non esiterò a rispondere a ciò che hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo. Ad esempio, dopo "Ed essi erano per via, diretti a Gerusalemme" e ciò che segue, fino a "Dopo tre giorni egli risorgerà", (il Vangelo segreto) contiene quanto segue, parola per parola: 
- Ed essi giunsero a Betania, dov'era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse: "Figlio di Davide, abbi pietà di me". Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dov'era la tomba e subito dalla tomba si udì giungere un grande grido. E avvicinandosi, Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare e la sera il giovane venne a lui, portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull'altra sponda del Giordano.- 
L'episodio non appare in nessuna versione esistente del Vangelo di Marco. Nelle linee generali, tuttavia, è abbastanza familiare. Ovviamente, è la resurrezione di Lazzaro, narrata nel Quarto Vangelo, attribuito a Giovanni. Nella versione citata, però, vi sono alcune variazioni significative. Innanzitutto c'è un grande grido che scaturisce dalla tomba prima che Gesù rimuova la pietra o comandi al giovane di uscire. Questo indica che il giovane non era morto e smentisce l'idea di un miracolo. In secondo luogo, sembra chiaro che si tratta di qualcosa di più di quanto inducano a credere le versioni accettate dell'episodio di Lazzaro. Certamente, il passo attesta uno speciale rapporto tra l'uomo nella tomba e l'uomo che lo risuscita. Un lettore moderno, forse, potrebbe essere tentato di vedervi un'allusione all'omosessualità. È possibile che i carpocraziani vi scorgessero appunto un'allusione del genere. Ma, come afferma il professor Smith, in realtà è assai più verosimile che l'intero episodio si riferisca a un rito d'iniziazione: una morte e una rinascita ritualizzate e simboliche, piuttosto comuni a quel tempo nel Medio Oriente.

L'importante, comunque, è che l'episodio e il passo citato in precedenza non compaiono in nessuna versione moderna o accettata di Marco. Anzi, i soli riferimenti a Lazzaro o a un personaggio come Lazzaro, nel Nuovo Testamento, sono contenuti nel Vangelo attribuito a Giovanni. Appare perciò chiaro che il consiglio di Clemente fu accolto non soltanto da Teodoro, ma anche dalle autorità successive. Molto semplicemente, l'intero episodio di Lazzaro fu espunto dal Vangelo di Marco.
Il Vangelo di Marco offre così due esempi di un documento sacro - presentato come ispirato da Dio - che è stato manomesso, modificato, censurato, riveduto e corretto da mani umane. E non si tratta di casi sporadici. Al contrario, oggi sono accettati dagli studiosi, che li considerano dimostrabili e provati.
Si può supporre, allora, che solo il Vangelo di Marco subisse alterazioni?
Evidentemente, se il Vangelo di Marco venne manipolato, è ragionevole presumere che anche gli altri abbiano subito lo stesso trattamento. Senza dubbio, non sono stati interamente fabbricati e forniscono alcuni indizi circa gli eventi che accaddero in Terrasanta duemila anni fa. Per separare i fatti dalle favole, la verità dalla matrice spuria nella quale tale verità è incorporata, dobbiamo familiarizzare con la realtà storica e la situazione della Terrasanta all'inizio dell'era cristiana. I Vangeli sono documenti come tanti altri: come i Rotoli del Mar Morto, ma anche le epiche di Omero e Virgilio o i romanzi del Graal. Sono prodotti di un dato luogo, di un dato tempo, di un dato popolo e sono ricchi di particolari storici.

La Palestina al tempo di Gesù
Nel I secolo, la Palestina era una terra molto inquieta. Per lungo tempo la Terrasanta era stata straziata da dissidi dinastici, lotte intestine e qualche volta, vere e proprie guerre. Durante il II secolo a.C. era stato creato un regno giudaico più o meno unificato, come narrano i due libri dei Maccabei. Ma nel 63 a.C. la Palestina era di nuovo in pieno tumulto e matura per venire occupata. Oltre mezzo secolo prima della nascita di Gesù, la Palestina si arrese alle armate di Pompeo, che imposero la dominazione romana. Ma a quel tempo Roma era troppo estesa e troppo presa dai propri problemi, per insediare l'apparato amministrativo necessario a un potere diretto. Creò quindi una dinastia di re fantocci perché regnassero sotto la sua egida: la dinastia erodiana, che non era ebrea ma araba. Il primo della dinastia fu Antipatro, che salì al trono nel 63 a.C. Quando morì, nel 37 a.C, gli successe il figlio, Erode il Grande, che regnò fino al 4 a.C. Si deve quindi immaginare una situazione analoga a quella esistita in Francia tra il 1940 e il 1944 sotto il governo di Vichy. Si deve immaginare una terra conquistata e un popolo vinto, governati da un regime fantoccio mantenuto al potere dai militari. La popolazione poteva conservare la sua religione e i suoi costumi. Ma l'autorità suprema era Roma. E questa autorità era imposta secondo la legge romana e dalle truppe romane.
Nel 6 d.C. la situazione divenne più critica. Quell'anno il paese fu diviso amministrativamente in due province, la Giudea e la Galilea. Erode Antipa divenne re di quest'ultima. Ma la Giudea, dove era situata la capitale spirituale e civile, divenne soggetta al diretto dominio romano e venne amministrata da un governatore romano insediato a Cesarea. Il regime romano era brutale e autocratico. Quando assunse il controllo diretto sulla Giudea, più di tremila ribelli furono sommariamente giustiziati. Il Tempio fu profanato e depredato. Furono imposte tasse pesantissime. La situazione non migliorò sotto Ponzio Pilato, che governò la Giudea dal 26 al 36 d. C. In contrasto con il ritratto che ne fa la Bibbia, documenti pervenuti fino a noi indicano che Pilato era un uomo crudele e corrotto, che perpetuò e aggravò gli abusi commessi dal suo predecessore. Perciò è tanto più sorprendente che i Vangeli non Critichino Roma, non accennino neppure al peso del giogo romano. Anzi, i Vangeli lasciano intendere che gli abitanti della Giudea se ne stavano tranquilli, soddisfatti della loro sorte.
In realtà, pochi erano soddisfatti e molti non stavano tranquilli affatto. Gli Ebrei di Terrasanta, a quel tempo, erano divisi in una quantità di sette e sottosette. Per esempio, c'erano i sadducei, una classe di proprietari terrieri, poco numerosi ma ricchi, che con grande indignazione dei loro compatrioti collaboravano con i Romani. C'erano i farisei, che formavano un gruppo progressista: introdussero molte riforme nel giudaismo e nonostante il ritratto che ne fanno i Vangeli, conducevano nei confronti di Roma un'opposizione ferma, anche se soprattutto passiva. C'erano gli esseni, una setta austera e mistica, i cui insegnamenti erano assai più diffusi e influenti di quanto in generale si ammetta o si presuma. Tra le sette più piccole, ce n'erano molte il cui carattere preciso è andato perduto e che quindi sono difficili da definire. È comunque il caso di ricordare i nazirei un termine che sembra venisse usato per indicare anche Gesù e i suoi seguaci. Infatti, la versione originale greca del Nuovo Testamento chiama Gesù il nazareno, un termine che viene tradotto erroneamente Gesù di Nazareth. Ma Nazareno è una parola che indica l'appartenenza a una setta e non ha relazioni con Nazareth.



Nell'anno 6 d. C., quando Roma assunse il diretto controllo della Giudea, un rabbi fariseo, chiamato Giuda di Galilea, aveva creato un gruppo rivoluzionario militante, composto a quanto sembra sia da farisei che di esseni. I suoi seguaci passarono alla storia con il nome di zeloti. Gli zeloti, a stretto rigore, non erano una setta. Erano un movimento, i cui aderenti provenivano da sette diverse. Al tempo della missione di Gesù, gli zeloti avevano assunto un ruolo rilevante nelle vicende della Terrasanta. Le loro attività formavano forse il più importante sfondo politico sul quale si svolse il dramma di Gesù. Molto tempo dopo la Crocifissione, l'attività degli zeloti continuava ancora. Nel 44 d.C si era intensificata al punto che già sembrava inevitabile la lotta armata. Nel 66 d.C. scoppiò la rivolta: la Giudea insorse contro Roma. Fu un conflitto disperato, accanito ma in fondo vano. Nella sola Cesarea, 20.000 Ebrei furono massacrati dai Romani. Quattro anni dopo le legioni romane occuparono Gerusalemme, la raserò al suolo e saccheggiarono il Tempio. Ma la fortezza di Masada, arroccata su una montagna, resistette ancora tre anni, al comando di un discendente diretto di Giuda di Galilea. Dopo la fine della rivolta in Giudea, vi fu un esodo massiccio di Ebrei dalla Terrasanta. Ne rimasero tuttavia abbastanza per fomentare un'altra insurrezione sessant'anni più tardi, nel 132 d.C. Nel 135, l'imperatore Adriano ordinò che tutti gli Ebrei venissero espulsi dalla Giudea, e Gerusalemme diventò sostanzialmente una città romana, con il nome di Elia Capitolina.
La vita di Gesù si svolse approssimativamente durante i primi trentacinque anni di una fase di inquietudini, disordini e rivolte che si estese per centoquaranta anni. I disordini non finirono con la sua morte, anzi continuarono per un altro secolo e generarono il clima psicologico e culturale che accompagna inevitabilmente una sfida prolungata contro un oppressore. Di questo clima psicologico faceva parte la speranza dell'avvento di un Messia che liberasse il suo popolo dal giogo tirannico. Solo per una coincidenza storica e semantica questo termine finì per venire riferito specificatamente ed esclusivamente a Gesù.
Agli occhi dei suoi contemporanei, un Messia non sarebbe apparso divino. Per loro, anzi, l'idea di un Messia divino sarebbe stata impensabile. La parola greca per Messia è Christos: Cristo. Il termine, sia in greco che in ebraico, significava semplicemente l'unto e in genere si riferiva a un re. Quindi Davide, quando fu unto re, come narra l'Antico Testamento, divenne esplicitamente un Messia o un Cristo. E ogni successivo re ebreo della casa di Davide venne chiamato con lo stesso appellativo.
Per gli zeloti e per gli altri avversari di Roma il vero Messia era qualcosa di ben diverso: il legittimo re, il discendente ignoto della casa di Davide che avrebbe liberato il suo popolo dall'oppressione romana. Durante la vita di Gesù, l'attesa di questo Messia aveva raggiunto un culmine che sconfinava nell'isteria collettiva e l'attesa continuò anche dopo la sua morte. Anzi, l'insurrezione del 66 d.C. fu istigata in gran parte dalla propaganda degli zeloti, imperniata su un Messia il cui avvento veniva annunciato come imminente.
Il termine Messia, perciò, era un termine tipicamente politico, ben diverso dalla successiva idea cristiana di un Figlio di Dio. E questo termine terreno e politico venne riferito a Gesù, che era chiamato Gesù il Messia o, in greco, Gesù il Cristo. Solo più tardi questa designazione divenne "Gesù Cristo" e un titolo che si riferiva esclusivamente a una funzione fu trasformato in nome proprio.



I Vangeli, quindi, scaturirono da una realtà storica riconoscibile e concreta. Era una realtà fatta di oppressione, di malcontento civico e sociale, di persecuzioni incessanti e di ribellioni intermittenti. Era anche una realtà pervasa da continui e allettanti sogni, promesse e speranze: la speranza dell'avvento di un re legittimo, un capo spirituale e secolare che avrebbe liberato il popolo. Per quanto riguardava la libertà politica, queste aspirazioni furono stroncate brutalmente dalla tremenda guerra combattuta tra il 66 e il 74 d.C. Trasposte in forma interamente religiosa, invece, le aspirazioni non soltanto furono perpetuate dai Vangeli, ma ricevettero un nuovo slancio. 
Gli studiosi moderni concordano all'unanimità nel ritenere che i Vangeli non furono scritti durante la vita di Gesù. Per la maggior parte, datano dal periodo tra le due principali insurrezioni in Giudea, 66-74 e 132-135 d.C. benché siano quasi certamente basati su narrazioni precedenti. Queste narrazioni includevano forse documenti scritti andati poi perduti, dato che vi fu una totale distruzione degli archivi dopo la prima rivolta. Ma senza dubbio c'erano anche le tradizioni orali. Alcune erano con sicurezza grossolanamente esagerate e alterate, ricevute di seconda, terza e quarta mano.
In generale, il Vangelo più antico è ritenuto quello di Marco, composto durante l'insurrezione del 66-74 o poco più tardi, se si esclude la parte relativa alla Resurrezione che è aggiunta spuria e più tarda. Ma il Marco che scrisse il vangelo, sembra non fosse il discepolo di Gesù e che provenisse da Gerusalemme. Pare che fosse uno dei compagni di san Paolo e il suo Vangelo mostra tracce inequivocabili del pensiero paolino. Il vangelo di "Marco", come afferma Clemente d'AIessandria, fu scritto a Roma per un pubblico greco-romano. E questo, in sé, spiega molte cose. Nel tempo in cui fu scritto il Vangelo di Marco, la Giudea era in aperta rivolta (o Io era stata di recente) e migliaia di Ebrei venivano crocifissi per essersi ribellati al dominio romano. Se Marco voleva che il suo Vangelo sopravvivesse e si imponesse a un pubblico romano, non poteva assolutamente presentare Gesù come antiromano. Anzi, non poteva neppure attribuire a Gesù un orientamento politico. Perché il suo messaggio sopravvivesse, Marco era obbligato a scagionare i Romani da ogni responsabilità circa la morte di Gesù, ad assolvere il regime esistente e a scaricare la morte del Messia sugli Ebrei. Questo sistema fu adottato non soltanto dagli autori degli altri Vangeli, ma anche dalla Chiesa cristiana degli albori. Senza questo "trucco"né i Vangeli né la Chiesa sarebbero sopravvissuti.
I filologi datano il Vangelo di Luca intorno all'80 d.C. Sembra che Luca fosse un medico greco, che scrisse la sua opera per un alto funzionario di Cesarea, la capitale romana della Palestina. Anche Luca, quindi, si sarebbe trovato nella necessità di ingraziarsi i Romani e di attribuire ad altri la responsabilità.
Quando fu scritto il Vangelo di Matteo, intorno all'85 d.C, pare che questo trasferimento di responsabilità fosse ormai accettato come un fatto indiscusso. Più della metà del Vangelo di Matteo, infatti, deriva direttamente da quello di Marco, benché venisse scritto originariamente in greco e rispecchiasse precise caratteristiche greche. L'autore sembra essere un Ebreo, molto probabilmente profugo dalla Palestina. Non dev'essere confuso con il discepolo omonimo, che doveva essere vissuto molto tempo prima e probabilmente conosceva soltanto l'aramaico.
I Vangeli di Marco, Luca e Matteo sono conosciuti collettivamente come i Vangeli Sinottici. L'espressione significa che presentano la stessa visione dei fatti, anche se come abbiamo visto non è affatto così. Tuttavia coincidono tra loro quanto basta per indicare che sono derivati da una fonte comune, forse una tradizione orale, forse da un altro documento andato successivamente perduto. Questo li distingue dal Vangelo di Giovanni, che tradisce origini significativamente diverse.



Dell'autore del Quarto Vangelo non si sa assolutamente nulla. Anzi, non c'è neppure ragione di presumere che si chiamasse Giovanni. Escluso il Battista, lo stesso Vangelo non menziona mai un Giovanni e la sua attribuzione a un uomo di questo nome viene generalmente riconosciuta come una tradizione più tarda. Il Quarto Vangelo, in ordine di tempo, è il più recente di quelli inclusi nel Nuovo Testamento: fu composto intorno all'anno 100 d.C. nei pressi di Efeso, in Asia Minore. Presenta numerose caratteristiche distintive. Ad esempio, non contiene la scena della Natività di Gesù e l'inizio ha quasi un carattere gnostico. Il testo è decisamente più mistico di quello degli altri Vangeli e anche il contenuto ne differisce. Ad esempio, gli altri Vangeli parlano soprattutto delle attività di Gesù nella provincia settentrionale di Galilea e rispecchiano quella che sembra essere soltanto una conoscenza di seconda o di terza mano per quanto riguarda gli eventi accaduti al sud, in Giudea e a Gerusalemme, inclusa la Crocifissione. Per contro, il Quarto Vangelo dice relativamente poco della Galilea. Indugia ampiamente sugli eventi in Giudea e Gerusalemme, che conclusero l'esistenza di Gesù ed è possibile che il suo racconto della Crocifissione sia basato su una testimonianza diretta, di prima mano. Inoltre, contiene un certo numero di episodi che non figurano negli altri Vangeli: le nozze di Cana, il ruolo di Nicodemo e di Giuseppe d'Arimatea e la resurrezione di Lazzaro (benché questa, un tempo, fosse inclusa nel Vangelo di Marco). In base a questi fattori, vari studiosi moderni hanno espresso l'opinione che il Vangelo di Giovanni, nonostante la composizione tarda, possa essere il più attendibile e storicamente esatto tra i quattro. Più degli altri Vangeli, sembra attingere a tradizioni in voga tra i contemporanei di Gesù e ad altro materiale sconosciuto a Marco, Luca e Matteo. Un ricercatore moderno fa notare che rispecchia una conoscenza topografica apparentemente diretta di Gerusalemme, così com'era la città prima dell'insurrezione del 66 d.C. II Vangelo di Giovanni, sebbene non aderisca alla struttura cronologica marciana e sia di data molto più tarda, sembra conoscere, sul conto di Gesù, una tradizione che dev'essere primitiva e autentica.

sabato 30 marzo 2019

DOCUMENTI SEGRETI


Nel 1956 incominciò ad apparire in Francia una serie di libri, articoli, opuscoli e altri documenti su Bérenger Saunière e l'enigma di Rennes-le-Chàteau. Questo materiale ha continuato a proliferare e oggi, è molto voluminoso. La sua stessa voluminosità, l'impegno e i fondi necessari per produrlo e diffonderlo, attestano implicitamente l'esistenza di qualcosa d'importante ma tuttora inspiegata.
Non è affatto sorprendente che il "caso" abbia contribuito ad aguzzare l'appetito di numerosi ricercatori indipendenti le cui opere sono venute ad aggiungersi alla massa del materiale già esistente. Tuttavia, sembra che tutto il materiale originale provenga da un'unica fonte. È evidente che qualcuno ha interesse a svolgere un'attività promozionale per Rennes-le-Chàteau, ad attirare, sulla vicenda l'attenzione del pubblico, a ispirare ulteriori indagini. Sembra trattarsi di un interesse propagandistico, piuttosto che economico e quali che siano le persone responsabili di questa propaganda, si sono adoperate per puntare i riflettori su certe questioni, pur restando scrupolosamente nell'ombra.
A partire dal 1956, c'è stata una "fuga" di materiale pertinente, orchestrata in modo sistematico, frammento per frammento. Molti contengono ulteriori informazioni che integrano quanto già si sapeva e quindi aiutano a ricostruire l'intero rompicapo. Tuttavia, finora non sono stati indicati chiaramente la natura e il significato del rompicapo. Anzi, ogni nuovo frammento d'informazione è servito ad addensare il mistero, anziché a diradarlo. Il risultato è stato una rete sempre più complessa di allusioni, di accenni provocatori, di riferimenti e di collegamenti. Di fronte alla massa di dati oggi disponibili, si può facilmente avere l'impressione di essere ingegnosamente condotti, per mezzo di apposite "esche", da una conclusione all'altra. Alla base di tutto c'è la continua, onnipresente allusione a un segreto.
Il materiale diffuso a partire dal 1956 assunse forme diverse. In parte è apparso in libri di carattere popolare o addirittura in best-sellers più o meno sensazionali, più o meno enigmaticamente avvincenti. Ad esempio, Gerard de Sède ha prodotto una serie di opere su argomenti in apparenza diversissimi come i Catari, i Templari, la dinastia merovingia, i Rosacroce, Saunière e Rennes-le-Chàteau. In questi libri, de Sède è spesso malizioso, insinuante, sconcertante ed evasivo. Il suo tono sottintende sempre che sa molto di più di quanto sta dicendo. Forse è un trucco per nascondere che in realtà non sa niente, ma finge di sapere. Tuttavia, i suoi libri contengono abbastanza dettagli e risconti da forgiare un anello di congiunzione tra i vari temi. Qualunque cosa si possa pensare di lui, de Sède dimostra con efficacia che i diversi argomenti di cui si occupa sono in qualche modo collegati. D'altra parte, non potevamo fare a meno di sospettare che le opere di de Sède si avvalessero in buona misura di notizie fornite da un informatore. Forse fu scoperto chi era quell'informatore. Nel 1971, mentre era in corso la realizzazione di un documentario su Rennes-le-Chàteau per la BBC, fu chiesto all'editore parigino di de Sède del materiale iconografico. Le fotografie che avevano richiesto furono spedite. A tergo di ciascuna c'era un timbro: "Plantard". Il nome non diceva molto, ma l'appendice d'uno dei libri di de Sède consisteva nell'intervista con un certo Pierre Plantard. In seguito si ebbe la certezza che Pierre Plantard non era affatto estraneo ad alcune opere di de Sède.


Le informazioni disseminate dal 1956 in poi non sempre sono contenute in una forma popolare e accessibile come quella adottata da de Sède. Alcune sono apparse in tomi poderosi, imponenti e addirittura pedanteschi. Una di queste opere è stata scritta da Rene Descadeillas, ex direttore della Biblioteca municipale di Carcassonne. È dedicato alla storia di Rennes-le-Chàteau e dintorni e contiene una quantità di minuziosi dettagli sociali ed economici: per esempio, le nascite, le morti, i matrimoni, le situazioni finanziarie, le tasse e le opere pubbliche nel periodo tra il 1730 e il 1820.
Oltre ai libri pubblicati, inclusi quelli editi privatamente, sono apparsi numerosi articoli su quotidiani e riviste. Ci sono state interviste con varie persone che affermano di essere a conoscenza dell'uno o dell'altro aspetto del mistero. Ma, in generale, le informazioni più interessanti e importanti non sono apparse nei libri. Quasi tutte sono affiorate altrove, in documenti e opuscoli non destinati a una normale distribuzione. Molti di questi documenti e opuscoli sono stati depositati, in edizioni private a tiratura limitata, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi. Le pubblicazioni sono di un tipo realizzato a basso costo. Alcune sono addirittura fogli dattiloscritti, riprodotti con una fotocopiatrice. Ancora più delle opere diffuse sul normale mercato editoriale, questa massa di materiale sembra provenire da un'unica fonte.
Mediante incisi e note enigmatiche che si riferiscono a Saunière, Rennes-le-Chàteau, Poussin, la dinastia merovingia e altri temi, ogni testo integra, amplia e conferma gli altri. Quasi sempre l'identità dell'autore è incerta. C'è tutta una serie di pseudonimi trasparenti o allusivi: Madeleine Blancassal, ad esempio, Nicolas Beaucéan, Jean Delaude e Antoine l'Ermite. "Madeleine", ovviamente, allude a Maria Maddalena, alla quale sono dedicate la chiesa di Rennes-le-Chateau e la torre "Magdala" fatta costruire da Saunière. Blancassal è formato dai nomi di due fiumicelli che convergono presso il villaggio di Rennes-les-Bains: Blanque e Sals. Beaucéan è una variante di "Beauséant", il grido di battaglia e il motto dello stendardo dei Cavalieri Templari.  Jean Delaude è "Jean de l'Aude" ove l'Aude è il dipartimento in cui si trovava Rennes-le-Chateau. E Antoine l'Ermite è riferito a Sant'Antonio eremita, la cui statua orna la chiesa di Rennes-le-Chàteau e la cui festa cade il 17 gennaio che è poi la data sulla tomba di Maria de Blanchefort e la data in cui Saunière ebbe l'attacco che lo portò alla morte. L'opera attribuita a Madeleine Blancassal è intitolata Les descendants mérovingiens et l'énigme du Razès wisigoth (I discendenti merovingi e l'enigma del Razès visigoto): Razès è il vecchio nome della zona dove nacque e visse Saunière. Secondo il frontespizio, l'opera fu pubblicata per la prima volta in tedesco e tradotta in francese da Walter Celsenazaire, un altro pseudonimo ispirato ai santi Celso e Nazario ai quali è dedicata la chiesa di Rennes-les-Bains. E sempre secondo il frontespizio, l'editrice dell'opera era la Grande Loge Alpina, la suprema loggia della massoneria svizzera, l'equivalente svizzero della Grand Lodge britannica e del Grand Orient francese. Nulla indica perché mai una loggia massonica moderna debba dimostrare tanto interesse per il mistero che circonda un oscuro parroco francese del secolo XIX e la storia della sua parrocchia di millecinquecento anni prima. E successivamente si è saputo che il nome dell'Alpina appariva anche su altri due opuscoli.


Fra tutti i documenti pubblicati privatamente e depositati presso la Bibliothèque Nationale, il più importante è una compilazione di scritti raccolti sotto il titolo collettivo di Dossiers segreti (Dossiers secrets). Oggi la compilazione è su microfilm. Fino a qualche tempo fa, però, era un volume scialbo e smilzo, una specie di fascicolo con la copertina rigida che conteneva un'accozzaglia eterogenea di materiale apparentemente irrelato: ritagli di giornali, lettere incollate su fogli, opuscoli, numerosi alberi genealogici e alcune pagine stampate estratte evidentemente da altre opere. Periodicamente, qualcuna delle pagine veniva asportata. In altri momenti, ne venivano aggiunte altre. Su certi fogli, qualche volta, venivano apportate aggiunte e correzioni a mano, in grafia minuscola. Successivamente, questi fogli venivano sostituiti da altri stampati, che includevano tutte le correzioni precedenti. La parte più voluminosa dei Dossiers, che consiste in alberi genealogici, è attribuita a un certo Henri Lobineau, il cui nome appare nel frontespizio. Due testi inclusi nel fascicolo precisano che Henri Lobineau è un altro pseudonimo, forse tratto da una via, Rue Lobineau, che passa accanto a Saint Sulpice a Parigi e che le genealogie sono in realtà opera di un certo Leo Schidlof, storico e antiquario austriaco vissuto in Svizzera e morto nel 1966. Sulla base di queste informazioni, si cercò di scoprire chi fosse Leo Schidlof. Nel 1978 si riuscì a rintracciare la figlia di Leo Schidlof, che viveva in Inghilterra. Suo padre - disse - era veramente Austriaco, ma non era un genealogista, uno storico o un antiquario, bensì un esperto e commerciante di miniature, che aveva scritto due opere sull'argomento. Nel 1948 si era stabilito a Londra, dove aveva vissuto fino al 1966, l'anno in cui era morto a Vienna: l'anno e il luogo, quindi, corrispondevano a quelli specificati nei Dossiers segreti.
La signorina Schidlof dichiarò con molta fermezza che suo padre non aveva mai nutrito alcun interesse per le genealogie, la dinastia merovingia e i misteriosi eventi della Francia meridionale. Tuttavia, continuò, certe persone erano convinte del contrario. Negli anni Sessanta, ad esempio, suo padre aveva ricevuto numerose lettere e telefonate da individui non identificati, che dall'Europa e dagli Stati Uniti chiedevano di incontrarsi con lui per discutere cose di cui non sapeva assolutamente nulla. Quando Schidlof era morto nel 1966 c'era stata una nuova ondata di lettere e telefonate e quasi tutte per chiedere notizie delle sue carte. Qualunque fosse la vicenda in cui il padre della signorina Schidlof era rimasto involontariamente invischiato, sembrava aver destato l'attenzione del governo americano. Nel 1946, un decennio prima della data conclamata della compilazione dei Dossiers segreti, Leo Schidlof aveva chiesto il visto per recarsi negli Stati Uniti. II permesso era stato respinto perché Schidlof risultava sospetto di spionaggio o di altre attività clandestine. Alla fine la cosa venne risolta, il visto fu concesso e Schidlof potè andare negli Stati Uniti. È possibile che si fosse trattato soltanto di uno dei soliti malintesi burocratici. Ma la signorina Schidlof sembrava sospettare che la vicenda fosse in qualche modo connessa agli interessi arcani stranamente attribuiti a suo padre.
Il racconto della signorina Schidlof ci fa riflettere. Il rifiuto del visto americano, forse, non era una semplice coincidenza, perché tra le carte dei Dossiers segreti c'erano allusioni che collegavano il nome di Leo Schidlof a un misterioso intrigo di spionaggio internazionale.
Nel frattempo a Parigi era apparso un nuovo opuscolo che, nei mesi successivi, fu corroborato da altre fonti. Secondo l'opuscolo l'enigmatico Henri Lobineau non era Leo Schidlof, bensì un aristocratico francese, il conte Henri de Lénoncourt. Il problema della vera identità di Henri Lobineau non era l'unico enigma legato ai Dossiers segreti. C'era anche un testo che alludeva a una borsa di pelle di Leo Schidlof. Quella borsa avrebbe contenuto un certo numero di documenti segreti che si riferivano a Rennes-le-Chàteau nel periodo tra il 1600 e il 1800. Poco dopo la morte di Schidlof, la borsa sarebbe passata nelle mani di un corriere, un certo Fakhar ul Isiam, che nel febbraio 1967 doveva incontrarsi nella Germania orientale con un agente delegato da Ginevra per consegnargli la borsa stessa. Però, prima che l'incontro potesse avvenire, Fakhar ul Isiam sarebbe stato espulso dalla Germania orientale e sarebbe tornato a Parigi  per attendere nuovi ordini. Il 20 febbraio 1967 il suo cadavere fu trovato sui binari della ferrovia a Melun: era stato gettato dall'espresso Parigi-Ginevra. La borsa, a quanto pare, era sparita.
fu possibile indagare su questa tragica vicenda. Diverse notizie apparse su quotidiani francesi del 21 febbraio la confermavano quasi tutta. Un cadavere decapitato fu effettivamente trovato sui binari a Melun. Era stato identificato come il corpo di un giovane pachistano, Fakhar ul Isiam. Per ragioni rimaste oscure, l'uomo era stato espulso dalla Germania orientale e stava andando da Parigi a Ginevra; sembrava che fosse coinvolto in qualche attività spionistica. Secondo i quotidiani, le autorità sospettavano che si fosse trattato di un delitto e le indagini erano state affidate al DST (la Direzione della sorveglianza territoriale, il controspionaggio). D'altra parte, i quotidiani non parlavano di Leo Schidlof, di una borsa di pelle, né di altre cose che potessero collegare la morte di Fakhar ul Isiam al mistero di Rennes-le-Chàteau. Questo ci fa pensare che la notizia dei Dossiers segreti possa essere una montatura. Basta trovare una morte inspiegata e sospetta e attribuirla, dopo il fatto, a ciò che ci interessa.


Meno di un mese dopo un'altra opera edita privatamente fu depositata presso la Bibliothèque Nationale. Era intitolata Le serpent rouge e portava la data significativa e simbolica del 17 gennaio. Il frontespizio l'attribuiva a tre autori: Pierre Feugère, Louis Saint-Maxent e Gaston de Koker.
Le serpent rouge è un'opera singolare, contiene una genealogia merovingia e due carte geografiche della Francia dei tempi merovingi, più un commento affrettato e superficiale. Inoltre, contiene una pianta di Saint Sulpice a Parigi, che delinea le cappelle dei vari santi. Ma la parte principale del testo è costituita da tredici brevi poemi in prosa di buon livello letterario. Ognuna di queste poesie in prosa non supera la lunghezza di un capoverso e ognuna corrisponde a un segno dello Zodiaco: uno Zodiaco di tredici costellazioni, perché la tredicesima, Ofiuco o Serpentario, è inserita tra lo Scorpione e il Sagittario.
Scritte in prima persona, le tredici poesie in prosa rappresentano una specie di pellegrinaggio simbolico o allegorico, che incomincia dall'Acquario e termina con il Capricorno che, come il testo precisa esplicitamente, presiede al 17 gennaio. Nel testo, per il resto enigmatico, ci sono riferimenti a temi già familiari: la famiglia Blanchefort, le decorazioni della chiesa di Rennes-le-Chàteau, alcune delle iscrizioni che Saunière vi fece apporre, Poussin e il quadro Les bergers d'Arcadie, il motto sulla tomba, "Et in Arcadia Ego". A un certo punto si accenna a un serpente rosso citato nelle pergamene che si snoda attraverso i secoli: un'allusione esplicita, sembrerebbe, a una stirpe o a un lignaggio. Al segno astrologico del Leone è dedicato un capoverso enigmatico che merita di essere citato integralmente:
"Da colei che io desidero liberare esala verso di me la fragranza del profumo che impregna il sepolcro. Un tempo qualcuno la chiamò Iside, regina di tutte le fonti benefiche. Venite a me, o voi tutti che soffrite e siete afflitti e io vi darò pace. Per altri, ella è Maddalena, colei dal famoso vaso colmo di balsamo risanatore. gli iniziati conoscono il suo vero nome: Notre Dame Des Cross".
Le implicazioni di questo capoverso sono estremamente interessanti. Iside, naturalmente, è la Dea Madre Egizia, patrona dei misteri: la "Regina Bianca" nei suoi aspetti benigni, la "Regina Nera" in quelli malefici. Molti autori che hanno scritto di mitologia e teologia, hanno seguito il culto della Dea Madre dai tempi pagani fino all'epoca cristiana. Secondo questi autori Iside sarebbe sopravvissuta nel cristianesimo nell'aspetto della Vergine Maria. Ma, secondo il testo contenuto nel Serpent rouge, la Dea Madre del cristianesimo non sembra essere la Vergine. AI contrario, è la Maddalena, alla quale è dedicata la chiesa di Rennes-le-Chàteau e alla quale Saunière consacrò la sua torre. Inoltre, il testo sembra indicare che neppure il titolo di Nostra Signora "Notre Dame" spetta alla Vergine. Questo titolo altisonante, conferito a tutte le grandi cattedrali della Francia, sembrerebbe riferirsi egualmente alla Maddalena. Ma perché mai la Maddalena dovrebbe essere venerata come "Nostra Signora" e soprattutto come Dea Madre?
La maternità è proprio l'ultima cosa che si possa associare a Maddalena. Nella tradizione popolare cristiana, Maddalena è una prostituta che si redime diventando seguace di Gesù. E spicca soprattutto nel Quarto Vangelo, dove è la prima persona che vede Gesù dopo la resurrezione. Di conseguenza viene considerata una santa, soprattutto in Francia dove, secondo varie leggende medievali, avrebbe portato il Santo Graal. E infatti il "vaso colmo di balsano risanatore" potrebbe venire inteso con un'allusione al Graal. Ma collocare la Maddalena al posto solitamente riservato alla Vergine sembrerebbe come minimo un'eresia.
Qualunque fosse il loro intento, gli autori del Serpent rouge, o meglio i presunti autori, ebbero una sorte tragica quanto quella di Fakhar ul Isiam. Il 6 marzo 1967, Louis Saint-Maxent e Gaston de Koker furono trovati impiccati. E l'indomani, il 7 marzo, fu trovato impiccato anche Pierre Feugère. Naturalmente, si potrebbe immediatamente dedurre che queste morti erano collegate in qualche modo alla composizione e alla pubblicazione del Serpent rouge. Tuttavia, come nel caso di Fakhar ul Isiam, non si  può escludere una spiegazione alternativa. Se qualcuno vuole creare un'atmosfera sinistra e misteriosa, non è troppo difficile. Basta spulciare i giornali fino a quando ci si imbatte in una morte sospetta o, come in questo caso, in tre morti sospette. Dopo il fatto, si possono legare i nomi dei morti a un opuscolo di propria creazione e depositarlo presso la Bibliothèque Nationale, con una data antecedente (17 gennaio) sul frontespizio. Un falso del genere creerebbe sicuramente la sensazione voluta.
Ma perché perpetrare un simile imbroglio? Perché qualcuno desiderava evocare un'atmosfera di violenza, di delitto e di intrigo?
Episodi del genere sono tipici della mistificazione che circonda il materiale apparso in Francia, frammento per frammento, a partire dal 1956. Altri ricercatori si sono imbattuti in enigmi molto simili. Nomi apparentemente plausibili sono risultati pseudonimi. Certi indirizzi, inclusi quelli delle case editrici e di organizzazioni, sono risultati inesistenti. Vi sono citazioni tratte da libri che nessuno, a quanto ci consta, ha mai avuto modo di vedere. Vari documenti sono scomparsi, o sono stati modificati, oppure sono stati inspiegabilmente catalogati in modo erroneo nella Bibliothèque Nationale. Viene da sospettare che si tratti di un complotto. Ma se questo è vero, si tratta di una complotto che comporta la disponibilità di risorse imponenti, finanziarie e non finanziarie. E chiunque stia perpetrando questa cosa, sembra prenderla molto sul serio.
Nel frattempo è apparso in continuazione materiale nuovo, con i soliti temi che ricorrono come leitmotifs: Saunière, Rennes-le-Chàteau, Poussin, Les bergers d'Arcadie, i Cavalieri Templari, Dagoberto II e la dinastia merovingia. Vi figurano allusioni alla viticoltura - l'innesto delle viti - presumibilmente in senso allegorico. Ma nel contempo vengono aggiunte altre informazioni. Un esempio è l'identificazione di Henri Lobineau con il conte di Lénoncourt. Un altro è la crescente e inspiegata insistenza sull'importanza della Maddalena. E altre due località sono state poste ripetutamente in risalto, fino ad assumere un rilievo ormai paragonabile a quello di Rennes-le-Chàteau. Una è Gisors, una fortezza situata in Normandia, che ebbe una vitale importanza strategica e politica al culmine delle Crociate. L'altra è Stenay, un tempo chiamata Satanicum, al limitare delle Ardenne: la vecchia capitale della dinastia merovingia, nei cui pressi fu assassinato nel 679 re Dagoberto II.
Il corpus del materiale oggi accessibile non può venire adeguatamente esaminato o discusso in questo post. È troppo denso, troppo confuso e sconnesso, e soprattutto è troppo copioso. Ma da questa mole di informazioni che continuano a proliferare emergono alcuni punti chiave che, anche se sono presentati come fatti storici incontestabili, non lo sono affatto e si possono riassumere così:
  1. Esisteva un ordine segreto che aveva creato i Templari per servirsene come braccio armato e amministrativo. Questo ordine, che aveva agito sotto una quantità di nomi diversi, è spesso conosciuto come il Priorato di Sion (Prieuré de Sion).
  2. II Priorato di Sion è stato diretto da una sequenza di Gran maestri i cui nomi sono tra i più illustri della storia e della cultura occidentale.
  3. Anche se i Templari vennero annientati e sciolti tra il 1307 e il 1314, il Priorato di Sion rimase indenne. Anche se è stato periodicamente dilaniato da lotte intestine e faziose, ha continuato a funzionare nel corso dei secoli. Agendo nell'ombra, tra le quinte, ha orchestrato alcuni degli eventi decisivi della storia dell'Occìdente.
  4. II Priorato di Sion esiste ancora ed è ancora operante. In misura significativa, è responsabile della massa di informazioni diffuse dal 1956 in poi.
  5. Lo scopo dichiarato del Priorato di Sion è la restaurazione della dinastia e della stirpe merovingia, non soltanto sul trono di Francia, ma anche sui troni di altre nazioni europee.
  6. Sebbene deposta nell'VIII secolo, la stirpe merovingia non si è estinta. Al contrario, si è perpetuata in linea diretta a partire da Dagoberto II e suo figlio, Sigisberto IV. Per mezzo di alleanze dinastiche e di matrimoni, la stirpe include Goffredo di Buglione, che nel 1099 conquistò Gerusalemme e altre famiglie nobili e reali del passato e del presente: Blanchefort, Gisors, Saint-Clair (Sinclair in Inghilterra), Montesquiou, Montpézat, Poher, Lusignano, Plantard e Asburgo-Lorena. Al giorno d'oggi, la stirpe merovingia ha tuttora pretese legittime sull'eredità che le spetta.

Nel cosiddetto Priorato di Sion c'è una possibile spiegazione dei riferimenti a Sion contenuti nelle pergamene scoperte da Bérenger Saunière. E c'è anche la spiegazione della strana sigla P.S. che appariva su una di quelle pergamene e sulla tomba di Marie de Blanchefort. Tuttavia, come moltissimi altri, sono estremamente scettico nei confronti delle teorie delle cospirazioni nella storia e quasi tutte le asserzioni elencate più sopra mi sembrano improbabili, non pertinenti e/o assurde. Ma resta pur sempre il fatto che certe persone le promulgano con la massima serietà e per giunta da posizioni di considerevole potere. E quale che sia la veridicità delle asserzioni, sono chiaramente connesse in qualche modo al mistero che circonda Saunière e Rennes-le-Chàteau.

venerdì 29 marzo 2019

IL PRETE, IL PITTORE E IL DIAVOLO


II 1° giugno 1885 nel minuscolo villaggio di Rennes-le-Chàteau arrivò il nuovo parroco. Il curato si chiamava Bérenger Saunière. Era un uomo robusto, bello, energico e, sembra, molto intelligente. Aveva trentatrè anni. In seminario, era parso destinato a una carriera ecclesiastica promettente. Tuttavia, a un certo momento Saunière cadde in disgrazia agli occhi dei superiori. Non si sa con certezza che cosa avesse fatto - ammettendo che avesse fatto qualcosa - ma le sue prospettive di avanzamento vennero stroncate. Forse fu per sbarazzarsi di lui che i superiori lo mandarono nella parrocchia di Rennes-le-Chàteau. A quei tempi, Rennes-le-Chàteau era un piccolo villaggio appollaiato in vetta a una collina scoscesa, a una quarantina di chilometri da Carcassonne. Per un altro, quel luogo sarebbe stato forse un esilio: la relegazione a vita in uno sperduto angolo di provincia. Senza dubbio, fu un brutto colpo per l'ambizione di Saunière. Tuttavia, qualche compensazione c'era. Saunière era di quella zona, perché era nato e cresciuto a pochi chilometri da lì, nel paesetto di Montazels. Quindi, nonostante i suoi difetti, Rennes-le-Chàteau doveva essere un po' come casa sua e doveva offrirgli la familiarità dei suoi ricordi d'infanzia.
Tra il 1885 e il 1891 il reddito medio di Saunière era tutt'altro che cospicuo, era tuttavia quello che ci si poteva aspettare per un curato di campagna nella Francia del tardo secolo XIX.
Sembra che, unitamente alle offerte dei parrocchiani, questa somma fosse sufficiente per sopravvivere, se non per concedersi qualche lusso. In quei sei anni, a quanto pare, Saunière visse un'esistenza abbastanza piacevole e tranquilla. Come governante, aveva assunto una contadina diciottenne, Marie Denarnaud, che sarebbe diventata la compagna e la confidente di tutta una vita. Spesso faceva visita all'abate Henri Boudet, curato del vicino villaggio di Rennes-les-Bains. E sotto la guida di Boudet cominciò a occuparsi della storia turbolenta di quella regione. L'intera regione era satura di leggende suggestive, dagli echi di un passato vivo, drammatico e spesso sanguinoso.
Da diverso tempo, Saunière aveva progettato di restaurare la chiesa di Rennes-le-Chàteau. Consacrato alla Maddalena nel 1059, l'edificio fatiscente sorgeva sulle fondamenta di una struttura visigota ancora più antica, risalente al VI secolo. Alla fine del secolo XIX, cosa tutt'altro che sorprendente, era in uno stato di sfacelo quasi irrimediabile. Nel 1891, incoraggiato dall'amico Boudet, Saunière iniziò un modesto restauro, prendendo a prestito una piccola somma dai fondi comunali. Durante i lavori, rimosse la mensa dell'altare che poggiava su due antichi pilastri visigoti. Uno dei pilastri era cavo. All'interno, il curato rinvenne quattro pergamene, conservate entro cilindri di legno sigillati. Due delle pergamene, a quanto si dice, contenevano genealogie: una portava la data del 1244, l'altra quella del 1644. Gli altri due documenti erano stati stilati intorno al 1870 da un predecessore di Saunière, l'abate Antoine Bigou, curato di Rennes-le-Chàteau. Le due pergamene che risalivano al tempo di Bigou sembravano pii testi latini, brani del Nuovo Testamento. Almeno in apparenza. Ma su una delle pergamene le parole erano scritte incoerentemente, tutte di seguito, senza spazi intermedi e vi erano inserite numerose lettere del tutto superflue. Sulla seconda pergamena, invece, le righe sono troncate indiscriminatamente, in modo irregolare, qualche volta addirittura a metà di una parola, mentre certe lettere appaiono vistosamente rialzate rispetto alle altre. In realtà, queste pergamene nascondevano un messaggio cifrato incredibilmente complesso e imprevedibile: sfidava persino il computer, e era insolubile se non si possedeva la chiave per interpretarlo. La decifrazione che segue è apparsa in varie opere francesi dedicate a Rennes-le-Chàteau e in due documentari realizzati per la BBC.
"Bergere pas de tentation que poussin teniers gardent la clef pax DCLXXXI par la croix et ce cheval de dieu j'acheve ce daemon de gardien a midi pommes bleues.
(Pastora, nessuna tentazione. che poussin, teniers, detengono la chiave: pace 681. per la croce e questo cavallo di dio, io compio - o anniento - questo demone di guardiano a mezzogiorno. Mele azzurre.)



Ma se alcune dei cifrari sono sconcertanti per la loro complessità, altri sono evidenti, addirittura clamorosamente ovvi. Nella seconda pergamena, ad esempio, le lettere rialzate, prese in sequenza, formano un messaggio coerente:
"A Dagobert II roi et a sion est ce tresor et il est la mort."
(A re Dagoberto II e a sion appartiene questo tesoro ed egli è là morto.)

Sebbene questo particolare messaggio dovesse risultare comprensibile a Saunière,  dubito che potesse aver decifrato i codici più complicati. Tuttavia, il curato si rese conto di essersi imbattuto in qualcosa d'importante e con il consenso del Sindaco del villaggio, portò i documenti scoperti al suo superiore, il vescovo di Carcassonne. Non si sa che cosa ne capisse il vescovo, tuttavia Saunière venne immediatamente inviato a Parigi, a spese del vescovo stesso, con l'ordine di presentare le pergamene a certe importanti autorità ecclesiastiche. Il più illustre era l'abate Bieil, direttore generale del Seminario di Saint Sulpice. Inoltre, c'era il nipote di Bieil, Émile Hoffet.
A quel tempo Hoffet studiava per diventare sacerdote. Sebbene avesse passato da poco i vent'anni, s'era già fatto un'imponente fama di erudito, soprattutto nel campo della linguistica, della crittografia e della paleografia. Nonostante la vocazione pastorale, si sapeva che aveva propensioni per il pensiero esoterico e manteneva rapporti cordiali con le varie sette e società segrete che allora proliferavano nella capitale francese. Era in contatto con un circolo culturale illustre, che includeva letterati come Stéphane Mallarmé e Maurice Maeterlinck e il compositore Claude Debussy. Conosceva anche Emma Calve, che al tempo dell'arrivo di Saunière, era appena ritornata da una trionfale tournée a Londra e Windsor. Emma Calve era la Maria Callas dei suoi tempi, ma era anche una somma sacerdotessa della subcultura esoterica parigina.
Dopo essersi presentato a Bieil e Hoffet, Saunière trascorse tre settimane a Parigi. Non si sa che cosa accadesse durante i suoi colloqui con gli ecclesiastici. Si sa comunque che il parroco di campagna fu subito accolto a braccia aperte nel raffinato circolo di Hoffet. Si è addirittura affermato che diventò l'amante di Emma Calve. In ogni caso, è certo che tra i due si stabilì un'amicizia intima e duratura. Negli anni successivi, la Calve si recò spesso a far visita a Saunière nei pressi di Rennes-le-Chàteau, dove, ancora in tempi recenti, si potevano vedere romantici cuori con le loro iniziali incisi sulle rocce della montagna.
Prima di partire, si procurò le riproduzioni di tre quadri, uno dei quali era il famosissimo quadro di Nicolas Poussin, Les bergers d'Arcadie.
Ritornato a Rennes-le-Chateau, Saunière proseguì i restauri della chiesa. Inoltre, si dedicò ad attività assai più singolari. Ad esempio, nel camposanto c'era il sepolcro di Marie, marchesa d'Hautpoul de Blanchefort. La lapide e la pietra tombale erano state disegnate e installate dall'abate Antoine Bigou, che era stato il parroco di Rennes-le-Chàteau un secolo prima e che a quanto pareva aveva composto due delle misteriose pergamene. L'iscrizione della lapide, che includeva numerosi errori voluti nella spaziatura e nell'ortografia, era un perfetto anagramma del messaggio celato nelle pergamene che alludevano a Poussin e Teniers. Se si ridispongono le lettere, queste formano l'enigmatica affermazione, riportata sopra, che allude a Dagoberto e a Sion e gli errori sembrano inseriti di proposito per servire da guida.
Non sapendo che le iscrizioni sulla tomba della marchesa erano già state copiate, Saunière le cancellò. E questa profanazione non fu la sua unica stranezza. Accompagnato dalla fedele governante, cominciò a fare lunghe camminate nella campagna circostante, raccogliendo pietre apparentemente prive di valore e d'interesse. Inoltre, iniziò un voluminoso scambio di lettere con corrispondenti sconosciuti che risiedevano un po' dovunque, in Francia, in Germania, Svizzera, Italia, Austria e Spagna e intavolò misteriose transazioni con varie banche. Una di queste mandò addirittura un rappresentante da Parigi a Rennes-le-Chàteau, al solo scopo di occuparsi degli affari di Saunière.
Solo per la posta, Saunière stava già spendendo somme cospicue, che non avrebbe certo potuto permettersi con il suo reddito. Poi, nel 1896, cominciò a spendere a piene mani: quando morì, nel 1917, il totale delle spese da lui sostenute equivaleva a diversi milioni di sterline.
Una parte di questa ricchezza inspiegata venne usata per lodevoli opere pubbliche: una strada moderna che portava al villaggio, ad esempio, e impianti per l'acqua corrente. Altre spese erano più sensazionali. Furono costruite una torre, Torre Magdala, affacciata sullo strapiombo della montagna e una ricca casa di campagna, Villa Bethania, dove Saunière non abitò mai.



La chiesa venne non soltanto restaurata, ma decorata a nuovo in modo decisamente bizzarro. Sull'architrave del porticato, sopra l'ingresso, venne posta un'iscrizione latina:

"TERRIBILIS EST LOCUS ISTE"
(QUESTO LUOGO È TERRIBILE).

Appena al di qua dell'entrata fu eretta una statua orrenda, raffigurante il demone Asmodeo, custode dei tesori nascosti e secondo l'antica leggenda giudaica, costruttore del Tempio di Salomone. Sulle pareti della chiesa vennero collocate tavole sgargianti che raffiguravano la Via Crucis, ognuna caratterizzata da qualche strana incoerenza, qualche aggiunta inspiegabile, qualche deviazione flagrante o sottile rispetto alla versione tradizionale delle Scritture. Per esempio, nella XIV Stazione, dove si vede il corpo di Gesù portato nella tomba, lo sfondo è un buio cielo notturno, dominato dalla luna piena. Si direbbe che Saunière cercasse di indicare qualcosa. Ma che cosa? Che la sepoltura di Gesù era avvenuta dopo il cader della notte, molte ore più tardi di quel che ci dice la Bibbia? Oppure che il corpo viene portato fuori dal sepolcro anziché nel suo interno?

Mentre era impegnato in questi bizzarri lavori di rifacimento, Saunière continuava a spendere in maniera stravagante. Creò un aranceto e un giardino zoologico. Mise insieme una biblioteca magnifica. Poco prima di morire, aveva annunciato l'intenzione di costruire una specie di massiccia torre di Babele piena di libri, dalla quale progettava di predicare. Tuttavia non trascurava i suoi parrocchiani: offriva loro banchetti sontuosi e altre forme di munificenza, mantenendo il tenore di vita di un potentato medievale, signore di un inespugnabile dominio montano. Nel suo rifugio remoto e pressoché inaccessibile riceveva molti ospiti illustri tra cui, ovviamente, non mancava Emma Calve. Un altro ospite era il segretario di Stato francese per la Cultura. Ma forse il più augusto e di riguardo tra i visitatori dell'ignoto prete di campagna fu l'arciduca Giovanni d'Asburgo, cugino dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe.
In seguito, i documenti bancari rivelarono che Saunière e l'arciduca avevano aperto due conti consecutivamente lo stesso giorno e che il secondo aveva fatto a favore del primo un versamento molto sostanzioso.
All'inizio, le autorità ecclesiastiche finsero di non vedere. Ma quando morì il vescovo di Carcassonne, il suo successore tentò di chiedere conto al parroco del suo comportamento. Saunière reagì con una sfida sorprendente e impudente. Rifiutò di spiegare l'origine della sua ricchezza. Rifiutò di accettare il trasferimento imposto dal vescovo. Il quale, non avendo elementi più concreti a suo carico, lo accusò di simonia e un tribunale ecclesiastico locale lo sospese. Saunière si appellò al Vaticano che, sorprendentemente, lo scagionò e lo reintegrò.



Il 17 gennaio 1917 Saunière, che aveva allora sessantacinque anni, ebbe un improvviso attacco cardiaco. La data del 17 gennaio è forse sospetta. La stessa data appare sulla lapide della marchesa d'Hautpoul de Blanchefort, la lapide che Saunière aveva cancellato. E il 17 gennaio è inoltre la festa di san Sulplizio. Fu nel seminario di Saint Sulpice che Saunière aveva consegnato le pergamene all'abate Bieil e a Émile Hoffet. Ma ciò che rende particolarmente sospetto l'attacco che colpì Saunière il 17 gennaio è il fatto che appena cinque giorni prima, il 12 gennaio, secondo le dichiarazioni dei suoi parrocchiani, sembrava godere di una salute invidiabile per un uomo della sua età. Tuttavia, proprio il 12 gennaio una ricevuta dimostra che Marie Denarnaud aveva ordinato una bara per il suo padrone.
Quando Saunière era sul letto di morte, da una parrocchia vicina fu chiamato un prete per ricevere la sua confessione e somministrargli l'estrema unzione. Il prete arrivò e si chiuse nella camera del malato. A quanto affermarono i testimoni oculari, poco dopo usci, visibilmente sconvolto. Secondo le parole di uno dei testimoni "non sorrise mai più". Secondo un altro, precipitò in uno stato di depressione acuta che si protrasse per parecchi mesi. Indipendentemente dal fatto che queste testimonianze siano o no esagerate, è certo che il prete, probabilmente in seguito alla confessione di Saunière, rifiutò di somministrargli l'estrema unzione. Il 22 gennaio Saunière morì senza i conforti religiosi.
L'indomani mattina il suo corpo fu sistemato su di una poltrona, sulla terrazza della Torre Magdala, abbigliato di una ricca veste ornata di nappe rosse. Uno ad uno, certi personaggi non identificati sfilarono davanti a lui e molti di loro staccarono per ricordo le nappe della veste. Questa cerimonia non ha mai trovato una spiegazione. Gli attuali abitanti di Rennes-le-Chàteau la ritengono sconcertante non meno degli estranei.
La lettura del testamento di Saunière era attesa con grande ansia. Ma con grande sorpresa e amarezza di tutti, il testamento affermava che il parroco era morto squattrinato. Probabilmente il curato, prima di morire, aveva trasferito tutte le sue ricchezze a nome di Marie Denarnaud, che per trentadue anni aveva vissuto con lui, condividendo i suoi segreti. O forse addirittura gran parte delle ricchezze era sempre stata intestata a Marie.
Dopo la morte del suo padrone, Marie continuò a vivere agiatamente a Villa Bethania, fino al 1946. Ma dopo la Seconda guerra mondiale, il nuovo governo francese emise un nuova moneta per scoprire gli evasori fiscali, i collaborazionisti e i profittatori. I cittadini francesi, quando si presentavano a cambiare i vecchi franchi con i nuovi, erano obbligati a fornire spiegazioni sui loro redditi. Di fronte a una simile prospettiva, Marie scelse la povertà. Ci fu chi la vide bruciare, nel giardino della villa, enormi mucchi di banconote. Durante i sette anni che seguirono, Marie visse austeramente con il ricavato della vendita di Villa Bethania. Promise al compratore, un certo Monsieur Noel Corbu, che prima di morire gli avrebbe confidato un "segreto" e che questo segreto lo avrebbe reso non soltanto ricco, ma anche "potente". Tuttavia, il 29 gennaio 1953 Marie, come era accaduto al suo padrone, ebbe un attacco improvviso e inaspettato che la lasciò prostrata e incapace di parlare. Con grande dispiacere di Monsieur Corbu, morì poco dopo, portando con sé il suo segreto.



Questa, a grandi linee, era la storia pubblicata in Francia negli anni Sessanta. Restano numerosi gli interrogativi sollevati da questa versione.
Il primo è piuttosto ovvio. Quale era la fonte della ricchezza di Saunière? Da dove poteva essere arrivato all'improvviso tutto quel denaro?
Secondo alcuni, Saunière aveva trovato un tesoro. Era un'ipotesi abbastanza plausibile, perché la storia del villaggio e dei dintorni fa pensare a molti possibili nascondigli d'oro e di gioielli. Durante il VI secolo, il piccolo villaggio di montagna era una città di circa 30.000 abitanti. Sembra che, per un certo periodo, fosse la capitale settentrionale del dominio dei Visigoti, il popolo teutonico che si era spinto verso ovest, partendo dall'Europa centrale, aveva saccheggiato Roma e rovesciato l'Impero e aveva creato un suo regno a cavallo dei Pirenei.
Per altri cinquecento anni, la città fu sede di un'importante contea, la Comté de Razès. Poi, all'inizio del secolo XIII, un esercito di cavalieri venne dal nord e piombò sulla Linguadoca per estirpare l'eresia dei Catari o Albigesi e per appropriarsi del ricco bottino. Durante le atrocità della cosiddetta Crociata contro gli Albigesi, Rennes-le-Chàteau fu conquistata e passò di mano in mano come feudo. A molte di queste vicissitudini storiche s'intrecciano voci di fantastici tesori. Gli eretici Catari, ad esempio, avevano fama di possedere qualcosa che aveva un valore favoloso e sacro e che, secondo numerose leggende, era il Santo Graal. Tali leggende indussero Richard Wagner a compiere un pellegrinaggio a Rennes-le-Chàteau prima di comporre la sua ultima opera, Parsifal e durante l'occupazione del 1940-45 i militari tedeschi, sulle orme di Wagner, avrebbero effettuato numerosi scavi infruttuosi nei dintorni. C'era inoltre il tesoro scomparso dei Cavalieri Templari, il cui Gran maestro, Bertrand de Blanchefort, aveva ordinato misteriosi scavi nei pressi. Secondo le cronache, tali scavi si erano svolti nella clandestinità ed erano stati effettuati da un contingente di minatori tedeschi fatti arrivare sul luogo appositamente.
Se un tesoro dei Templari era veramente nascosto nei dintorni di Rennes-le-Chàteau, si poteva spiegare l'allusione a Sion nelle pergamene scoperte da Saunière.
C'erano altri tesori possibili. Tra il V e l'VIII secolo, quasi tutta l'attuale Francia era sotto il dominio della dinastia merovingia, cui apparteneva anche il re Dagoberto II. Ai tempi di Dagoberto, Rennes-le-Chàteau era una roccaforte dei Visigoti e lo stesso Dagoberto aveva sposato una principessa visigota. È possibile che la città fosse una specie di tesoreria reale ed esistono documenti che parlano di immense ricchezze ammassate da Dagoberto nelle sue conquiste militari e nascoste nei dintorni di Rennes-le-Chàteau. Se Saunière aveva scoperto uno di questi nascondigli, la cosa avrebbe spiegato l'allusione a Dagoberto contenuta nelle pergamene. E c'era un altro tesoro possibile: l'enorme bottino accumulato dai Visigoti nella loro tempestosa avanzata attraverso l'Europa. Poteva includere anche qualcosa di più di un bottino convenzionale, forse oggetti d'importanza immensa, simbolica e letteraria, per la tradizione religiosa occidentale. In breve, poteva includere il leggendario tesoro del Tempio di Gerusalemme e questo, ancora più dei Cavalieri Templari, avrebbe spiegato i riferimenti a Sion.
Perciò, è del tutto possibile che un tesoro sia stato all'origine dell'impiegata ricchezza di Saunière. Può darsi che il prete avesse scoperto uno di questi tesori o forse un tesoro unico, che aveva cambiato ripetutamente mano nel corso dei secoli, passando forse dal Tempio di Gerusalemme ai Romani, da questi ai Visigoti e quindi ai Catari o ai Cavalieri Templari. Se era così, questo spiegherebbe perché il tesoro in questione apparteneva tanto a Dagoberto II quanto a Sion.



Non si può escludere la possibilità che Saunière avesse scoperto un tesoro. Sembrava che avesse scoperto anche un segreto: un segreto storico d'importanza enorme per i suoi tempi e forse anche per i nostri. Il denaro, l'oro, o i gioielli, in se stessi, non potevano spiegare certi aspetti della sua avventura. Ad esempio, non giustificavano l'introduzione nel circolo di Hoffet, la frequentazione di Debussy e il legame con Emma Calve. Non spiegavano l'immenso interesse della Chiesa, l'impunità con cui Saunière aveva sfidato il suo vescovo e il successivo intervento assolutorio del Vaticano, che sembrava dimostrare una vivissima sollecitudine. Non chiarivano perché un prete aveva rifiutato di somministrare gli ultimi conforti religiosi a un moribondo, né perché un arciduca Asburgo si fosse recato in un remoto villaggio dei Pirenei, particolarmente in certi frangenti, nel 1916, quando il suo paese era in guerra con la Francia. La stessa Marie Denarnaud aveva promesso di rivelare un segreto che conferiva non soltanto ricchezza, ma anche potere. In base a tutte queste considerazioni, la vicenda di Saunière riguardava ben altro che le ricchezze materiali: includeva anche un segreto, quasi sicuramente oggetto di controversie.
Era possibile che la ricchezza di Saunière derivasse non già da oggetti di un valore finanziario intrinseco, bensì dalla conoscenza di qualcosa di straordinario. E quella conoscenza poteva essere sfruttata economicamente. Poteva essere stata usata, ad esempio, per ricattare qualcuno. La ricchezza di Saunière poteva essere il prezzo del suo silenzio.
Il segreto del parroco, quale che fosse, sembrava avere un carattere più religioso che politico. D'altra parte, c'era un'istituzione che, a partire da un certo periodo, sembrava avere paura di Saunière e lo trattava con i guanti: il Vaticano.
Possibile che Saunière ricattasse il Vaticano?
Un simile ricatto sarebbe stata un'azione presuntuosa e pericolosissima da parte di un singolo individuo, per quante precauzioni potesse prendere. Ma, se Saunière, nella sua iniziativa, fosse stato aiutato e appoggiato da altri, che per la loro posizione eminente erano inattaccabili per la Chiesa, come il segretario di Stato francese per la Cultura o gli Asburgo? E se l'arciduca Giovanni fosse stato solo un intermediario, e il denaro da lui consegnato a Saunière fosse uscito in realtà dai forzieri di Roma?