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domenica 29 settembre 2019

L'ULTIMO VOLO


Seimilacinquecento metri sopra la terra, calda e pervasa da colori teneri, Jericho percorreva il cielo come una divinità. La visiera parasole del casco era abbassata, celando con il suo oscuro occhio ciclopico l'espressione rapita, quasi mistica con la quale volava. I raggi del sole, non filtrati, riverberavano ferocemente sulle superfici metalliche del caccia, avvolgendolo di splendore, mentre molto al di sotto persino le nubi apparivano insignificanti, schiacciate contro la terra, sparse in volo come un gregge di pecore. Il volo di quel giorno era pervaso di malinconia, dal senso di un'imminente perdita. Sarebbe stato l'ultimo: ancora non riusciva a crederci. Scacciò il pensiero e si concentrò nel godimento di quegli ultimi minuti preziosi.
- Pante 0611, qui controllo. Riferisci la tua posizione.
- Controllo, qui Pante 0611. Mi mantengo a ottanta chilometri dall'obiettivo.
- Via libera, Pante 0611. I tuoi bersagli sono a ore otto e dodici. Inizia l'avvicinamento.
L'orizzonte roteò bruscamente attorno al muso del Tornado, mentre l'ala si sollevava, facendolo scendere a potenza ridotta in una picchiata controllata, determinata e precisa come il tuffo di un falco. La mano destra di Jericho si portò rapidamente sul pannello di comando dell'armamento, togliendo la sicura ai lanciarazzi.
Davanti a lui la terra si appiattì, immensa e indistinta, chiazzata di bassi cespugli che si confondevano oltre le punte delle semiali, mentre consentiva al Tornado di abbassarsi ulteriormente. A quell'altezza la sensazione della velocità era tale da togliere il fiato: il primo bersaglio non fece in tempo a comparire davanti al caccia che parve istantaneamente scomparire in un lampo sotto il suo muso. Un tocco al timone e alla pedaliera, due aggiustamenti fatti senza alcuno sforzo cosciente ed ecco sul collimatore davanti a lui la sagoma circolare del bersaglio, tanti anelli concentrici che si stringevano man mano attorno a un punto centrale, in gergo il "coke", cioè il centro del bersaglio stesso.
Jericho puntò, veloce e basso, la sua macchina mortale in quella precisa posizione, con l'indicatore del numero di Mach che segnava una velocità appena subsonica. Aspettò con una smorfia di concentrazione il momento opportuno e quando fu arrivato, alzò il muso del Tornado, piombando sul bersaglio con il dito destro guantato piegato sulla leva del grilletto. Il sibilante apparecchio d'argento raggiunse l'assetto giusto, leggermente puntato verso il basso, per il lancio dei razzi, esattamente nel momento in cui sul collimatore la macchia bianca del "coke " risultò al centro degli anelli concentrici. Un'evoluzione eseguita con la sottile padronanza di molte abilità diverse. Jericho premette il grilletto, vincendo la resistenza opposta dalla molla. Non vi fu alcuna modifica dell’assetto e il sibilo dei razzi fu quasi coperto dall'urlo dei reattori, ma da sotto le ali si staccarono brevi fumate in direzione del bersaglio. Certo della bontà del colpo, Jericho diede manetta al massimo e attese che la rombante accensione del postbruciatore gli desse la potenza necessaria per innalzarsi oltre la portata della contraerea nemica.
- Bel colpo - disse il navigatore con un sorriso.
Jericho si lasciò calare all'indietro, mentre il muso del Tornado puntava verso la luce azzurra e la forza di gravità lo schiacciava contro il sedile.
- Salve, Pante 0611. Qui il controllo. L'hai beccato dritto sul muso: bel colpo! È un peccato perderti, Jericho.
L'infrazione alla sacra legge delle procedure lo commosse. Avrebbe sentito la loro mancanza, di tutti quanti. Premette l'interruttore di trasmissione sull'estremità a cupoletta della cloche e parlò nel microfono del casco.
- Da Pante 0611, grazie e… Addio – disse - passo e chiudo.
Anche la squadra di terra era ad attenderlo. Strinse la mano a ciascuno. Strette di mano goffe e battute pesanti che dissimulavano il genuino affetto che gli anni avevano creato fra loro. Quando li lasciò, si recò nell’hangar. Sentì l'odore del grasso e dell'olio e vide le luccicanti file di caccia dal muso tozzo. Persino a riposo gli aerei avevano un aspetto veloce e slanciato.
Si fermò un attimo per battere con la mano sul metallo freddo di uno di essi e l'ordinanza lo trovò lì, con lo sguardo fisso sull'emblema della pantera che spiccava sulla massa torreggiante dell'aereo.
I complimenti del Comandante, signore, che la prega di mettersi immediatamente a rapporto da lui.

sabato 21 settembre 2019

IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA


Per Triangolo delle Bermuda si intende un'area molto vasta dell'atlantico che ha il suo vertice nelle isole Bermuda a sud e che si estende dalla punta meridionale della florida fino alla piccole Antille. Questi confini, anche se molto imprecisi. La zona prende anche il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di incidenti inspiegabili che vi sono accaduti.
I fatti sono molti e iniziano da molto lontano, ma proseguono con un crescendo impressionante fino in epoca moderna.
Da tenere presente anche il fatto che non si tratta di una zona ai confini del mondo, anzi di una zona che comprende una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima e la bellezza del paesaggio. Florida, Bahamas, Caraibi sono infatti nomi favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno assolutamente nulla di tetro e desolante. C’è però un  particolare che rende diverse le disgrazie accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo: il fatto che di tutti questi incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto, nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione prevista, si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla.
Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo delle Bermude, anche se le sparizione sembrano essersi attenuate, resiste tuttora.
Di seguito verranno riportati alcuni episodi, tra più significativi.

Incidente di viaggio


"Giovedì 13 settembre: in questo giorno, all'inizio della notte, gli aghi delle bussole si spostavano verso Nord Ovest e alla mattina volgevano alquanto verso Nord Est (...). Sabato 15 settembre: al cominciar della notte videro cader dal cielo una meravigliosa striscia di fuoco, a quattro o cinque leghe dai navigli (...). Lunedì 17 settembre: i piloti fecero il punto e riconobbero che le bussole non indicavano la giusta direzione. I marinai se ne stavano timorosi e accorati e non dicevano di che.
L'Ammiraglio se ne accorse e ordinò ai piloti che allo spuntar del giorno tornassero a fare il punto e, preso il Nord, trovarono che gli aghi erano buoni.”

Questi incidenti di navigazione sono tratti dai Giornali di Bordo di Cristoforo Colombo, scritti mentre era in rotta per il Nuovo Mondo. In quei giorni le tre caravelle navigavano nel bel mezzo di un triangolo di mare delimitato a nord dalle attuali Bermuda, a ovest dall'isola di Grand Bahama e a sud da Portorico. Forse fu proprio allora, in quel lontano settembre 1492, che ebbe inizio la sinistra fama di quella zona ora nominata come "Triangolo Maledetto" o Triangolo delle Bermuda: un posto dove le bussole smettono di funzionare e "meravigliose strisce di fuoco" cadono dal cielo.
 
Gli Avengers scomparsi
Alle ore 14:00 del 5 dicembre 1945, cinque aerei TBM Avengers della marina americana partirono dalla base di Fort Lauderdale (Florida) per un'esercitazione. La squadriglia puntò verso est, in direzione delle Bahamas, raggiunse il bersaglio, completò l'esercitazione e imboccò la strada del ritorno o, almeno, credette di farlo. Alle 15:15, infatti la torre di controllo di Fort Lauderdale ricevette un messaggio dal comandante, il tenente Charles Taylor. 


"Chiamo la torre. Emergenza. A quanto pare siamo fuori rotta. Non riusciamo a vedere la terra…" 
E ancora:


"Non sappiamo la nostra posizione! Non sappiamo dove sia l'ovest… Qui non funziona più niente… Anche il mare non è dove dovrebbe essere!".



 
La base di Fort Lauderdale ricevette qualche altro confuso messaggio:

 
 

"Tutte le mie bussole sono guaste", "Non so dove ci troviamo", "Nessuna terra è in vista".

 

Le comunicazioni, sempre più disturbate e contraddittorie, continuarono fino alle 16:00. Poi, più nulla.
Un apparecchio di ricognizione fu inviato immediatamente sulla zona dove gli aerei avrebbero dovuto trovarsi: era un grosso idrovolante Martin Mariner. L'apparecchio inviò un messaggio a proposito dei venti che soffiavano con intensità sopra i 1800 metri. Furono le ultime parole del suo comandante, il tenente Kane. Anche il Martin Mariner interruppe ogni contatto con la base, senza alcuna apparente ragione.
Trecentosette aeroplani, quattro cacciatorpediniere, diciotto vedette della guardia costiera, centinaia di aerei e imbarcazioni private parteciparono alla più colossale ricerca della storia.
Novecentottantacinque miglia quadrate di mare furono perlustrate palmo a palmo ma non fu rinvenuta nessuna traccia (macchie di olio, zattere di salvataggio, relitti galleggianti o altro) che potesse far pensare a un incidente.
La commissione d'inchiesta che si occupò del caso non espresse un parere. Ascoltò cinquantasei testimonianze in quattordici giorni di udienze: poi, tutto venne messo a verbale e il caso fu chiuso.
 



Per la cronaca, il 18 Maggio 1991 la stampa ha dato ampio risalto al ritrovamento della squadriglia perduta, dichiarando così definitivamente risolto il mistero; qualche giorno dopo però la notizia è stata smentita: i relitti rinvenuti nelle profondità marine appartenevano ad aerei più recenti.
 

Aerei
Un anno e mezzo dopo, cioè nel luglio del 1947, un incidente analogo colpì un altro aereo militare. Si trattava di un C-54 che scomparve con sei uomini a bordo mentre era diretto a una base in florida.
Sei mesi più tardi fu la volta di un quadrimotore passeggeri che scomparve nei pressi delle Bermude. Le ultime comunicazioni radio non segnalavano nulla di anormale, ma in seguito i contatti cessarono e l'apparecchio non giunse mai a destinazione.
Un quadrimotore del tutto identico a questo andò perduto nel 1949 mentre viaggiava dalle Bermude verso la Giamaica. Apparteneva come il precedente a una compagnia aerea inglese che insinuò l'idea di un sabotaggio organizzato. Non esisteva però alcuna prova in proposito e del resto non furono i soli aerei a sparire in quel periodo.
Poco tempo prima era andato perduto un DC-3 noleggiato da un'agenzia di viaggi di Miami che recava a bordo una quarantina di persone. Questo incidente fu tanto più clamoroso, perché si seppe che nell'ultimo contatto radio il pilota aveva comunicato di essere ormai prossimo all'arrivo, anzi di intravedere già le luci della città. Naturalmente, tutte le ricerche effettuate, anche in questo caso risultarono inutili.
Un aereo da trasporto scomparve con trentacinque persone nel 1952 mentre era diretto a Kingston e nell'ottobre del 1954 toccò ancora a un aereo della marina degli stati uniti. Era un Super Constellation partito da Patuxent River nel Maryland, in viaggio verso le Azzorre.
Nel 1956 precipita, o almeno così si suppone, un a quadrimotore cisterna dell'Aviazione americana durante una missione dalla propria base situata in Virginia, alle Azzorre.
Nel 1957 sono due gli aerei cisterna perduti contemporaneamente. Erano diretti in Florida e le ultime segnalazioni radio pervenute da bordo segnalavano la loro posizione a un centinaio di miglia a nord est del Grande Banco delle Bahamas. Le lunghe ricerche che seguirono portarono al ritrovamento di alcuni relitti che avrebbero potuto appartenere ai due aerei: ma anche questo non era certo. Le cose si complicarono quando, proseguendo le perlustrazioni del mare, altri relitti vennero trovati a più di duecento chilometri di distanza dai primi. A parte l'incertezza dell'identificazione, era chiaro che i rottami non potevano essere contemporaneamente in due posti così lontani. E il mistero divenne ancora più fitto.
Il 5 giugno 1965 un C-119 atteso alla base aerea situata nell'isola di Great Turk una delle più meridionali delle Bahamas, si perse durante il viaggio di trasferimento. Poco prima della disgrazia l'aereo era in normale contatto radio con la torre controllo dell'aeroporto a cui aveva preannunciato di arrivare in poco più di un'ora. Testimoni militari riferirono che improvvisamente i collegamenti radio peggiorarono, facendosi sempre più deboli e indecifrabili, fino a sparire completamente. Anche in questo caso furono fatte ricerche molto ampie, partendo dal luogo dell'ultima posizione segnalata. L'esito, come al solito, fu negativo.
 
Navi
Nel 1800 la U.S.S. Pickering sparì tra la Guadalupa e Delaware. Nel 1814 la U.S.S. Wasp scomparve nei Caraibi e poi il Grampus, la Maria Celeste, l'Atlanta.
Nel 1840 la Rosalie, una nave mercantile francese partita dall'Europa e diretta nei Caraibi venne ritrovata completamente deserta, mancavano infatti tutti gli uomini che si trovavano a bordo. Di vivo c'era solo un canarino nella sua gabbia. Ad aumentare il mistero c'era poi la circostanza che sulla Rosalie tutto appariva in perfetto ordine, sia sui ponti, sia sottocoperta, così come i locali dei passeggeri e tutto il carico nella stiva non erano stati manomessi. A quel tempo gli atti di pirateria erano frequenti, ma sembrava strano che si fosse assaltato la nave solo per rapire le persone, senza impadronirsi della nave stessa e del carico. Anche le scialuppe erano al loro posto. Non si capiva perciò come la gente avesse potuto abbandonare lo scafo. Né il motivo per cui si sarebbe gettata in mare, come per un raptus collettivo.
La Mary Celeste è forse il caso più conosciuto di una nave ritrovata deserta nell'oceano. Nel 1872 venne avvistata da un bastimento inglese che la abbordò mentre andava alla deriva e la prese come bottino, senza porsi molti interrogativi sulla stranezza di quell'incontro. Anche qui era tutto in ordine, non mancava nulla: viveri, acqua, effetti personali dell'equipaggio. Solo la cabina del capitano appariva chiusa da travi, come se questi vi si fosse barricato all'interno. Da dove fosse poi uscito era comunque difficile immaginare. La Mary Celeste portava un carico di alcool stivato in botti e così si pensò alla possibilità di un incendio a bordo, poi subito rientrato per la caratteristica dell'alcool di estinguersi dopo una breve fiammata. Forse tutti si erano gettati in mare presi dal panico alla vista del fuoco e non erano poi più risusciti a raggiungere la nave che si era allontanata con le vele al vento. Ma sinceramente rimane una ipotesi poco convincente incapace di dare una spiegazione convincente della tragedia avvenuta.
Sempre nella serie delle navi trovate abbandonate inspiegabilmente, c'è il racconto del 1881 del capitano della nave americana Ellen Austin. Viaggiando in pieno Atlantico del nord, in una regione che dovrebbe corrispondere al margine est del triangolo, la Ellen Austin incontrò un bastimento a due alberi chiaramente senza equipaggio. Anche questa volta era tutto in ordine, le vele erano ammainate ma perfettamente pronte per le manovre. Alcuni uomini della Ellen Austin vennero allora trasferiti a bordo per prenderne possesso e rimorchiarlo. Il viaggio in tandem era da poco iniziato quando le condizioni del mare peggiorarono, tanto che i cavi di rimorchio si ruppero e i due scafi si persero di vista. Solo alcuni giorni dopo l'Ellen Austin ritrovò il bastimento, che risultò però di nuovo deserto in quanto gli uomini trasbordati dalla Ellen Austin erano tutti scomparsi. Nessun segno di violenza fu trovato per far luce su quanto poteva essere accaduto. Per una seconda volta alcuni volontari salirono a bordo della goletta, evidentemente dietro le pressioni del capitano che voleva a tutti i costi impadronirsene attirato dal grosso guadagno. Ma anche questa volta le due navi non andarono molto lontano. Una seconda tempesta le divise e da allora né il secondo equipaggio né il bottino furono più ritrovati.
La nave da guerra Atlanta scomparve invece insieme a tutti i 300 uomini che erano a bordo, proprio in quello stesso periodo. La nave era inglese e tornava in Europa dopo una lunga crociera di addestramento. L'ammiragliato inglese organizzo una ricerca sistematica per lungo tempo, ma senza alcun esito. Forse fu quella la prima volta nella storia in cui furono condotte delle ricerche organizzate con parecchie navi che perlustrarono l'oceano secondo un piano preordinato senza però trarne alcun risultato.
Anche la nave Cyclops scomparve misteriosamente nel marzo del 1918 mentre si trovava nel triangolo. C'erano a bordo più di 300 uomini, tutti della marina degli stati uniti. Si trattava di una nave da guerra e poiché si era in pieno conflitto mondiale, tra le ipotesi della scomparsa, varie prendevano in considerazione un possibile attacco di sommergibili tedeschi. Accurate indagini svolte dopo la fine della guerra portarono però a escludere questa eventualità. Anche la marina statunitense organizzò estese ricerche durate alcuni mesi, ma ogni tentativo fu inutile.
Venendo a tempi più recenti, non possiamo non partire dalla San Paolo, una vecchia nave da guerra brasiliana che viaggiava al seguito di due grossi rimorchiatori con un piccolo equipaggio addetto alle manovre indispensabili del traino. L'episodio accade ai primi di ottobre del 1951. Anche qui le condizioni del tempo consigliarono uno dei rimorchiatori di sganciare le gomene per essere più libero nell'affrontare il mare. La mattina dopo, gli uomini del secondo rimorchiatore si accorsero che anche i loro cavi erano sganciati e che la san paolo era scomparsa. Avvertite per radio, navi americane e inglesi aiutate da numerosi aeri iniziarono le ricerche, senza trovare alcun relitto.
La sparizione della San paolo era stata preceduta nel 1926 dalla perdita analoga della nave da carico Cottopaxy e nel 1931 dal mercantile Stavenger che trasmise per l'ultima volta la propria posizione mentre si trovava ad est del Grande Banco della Bahamas. Tutto sembrava procedere regolarmente.
I resoconti di incidenti analoghi proseguivano puntualmente anche negli anni sessanta e settanta.
Qualcosa di misterioso e comunque inspiegabile toccò nel 1963 alla Marine Sulphur Queen, un grosso cargo americano con quaranta uomini a bordo. La nave viaggiava all'uscita dal golfo del Messico quando un suo messaggio fu ricevuto per l'ultima volta. Considerando che essa doveva raggiungere un porto nella Virginia, si può arguire che avrebbe in seguito percorso lo stretto della florida, seguendo la corrente del Golfo in quanto è un passaggio obbligato per tutti i mezzi diretti a nord, per giunta largo appena una cinquantina di miglia: difficile, quindi, svanire in questa zona, sempre piena di traffico. Tuttavia la Marine non fu più vista, né raggiunse mai la Virginia. Per due settimane molti mezzi della guardia costiera americana perlustrarono il mare a nord di cuba e questa volta almeno un salvagente venne ripescato. Apparteneva alla nave scomparsa e ciò dette l'avvio ad una seconda fase di ricerche, che non portò tuttavia ad altri risultati.
Nel 1966 fu la volta di un grosso rimorchiatore, il Southern Cities che trainava una chiatta di sessantacinque metri, carica di prodotti chimici e fertilizzanti. Alcuni giorni dopo che il rimorchiatore aveva smesso di dare notizie, alcuni aerei della guardia costiera riuscirono a individuare la chiatta che non recava segni di danni. Nessuna traccia invece del Southern Cities e dei suoi uomini.
Anche Anita, una carboniera tedesca che tornava in Europa svanì nel 1973 con 34 uomini a bordo.
Un caso eclatante fu quello dello Scorpion, uno dei sottomarini atomici americani, che scomparve nel 1968 mentre viaggiava dalle Azzorre diretto alla base in virginia. Il pensiero di novantanove uomini imprigionati nello scafo trattenne desta, per molti giorni, l'attenzione di tutto il mondo. Questa volta però la perdita era troppo importante, almeno per la marina degli stati uniti, che impegnò una serie impressionante di mezzi per rintracciare il sommergibile. Motivi militari e di prestigio spingevano a farlo. Bisognava sapere ad ogni costo cosa era accaduto. Solo dopo molti mesi si diffuse la notizia che una nave appositamente attrezzata aveva individuato il relitto un migliaio di chilometri a sud ovest delle Azzorre. Ne avevano dato conferma anche varie foto scattate sul fondale di oltre tremila metri su cui giaceva ciò che poteva essere lo Scorpion. In questo caso dunque non si poteva parlare di sparizione, ma le cause della sciagura come l'esito delle successive ricerche rimasero sempre chiuse in un geloso riserbo. Da quanto emerso tuttavia, sembra che la perdita del sottomarino non sia avvenuta propriamente dentro i limiti del cosiddetto triangolo, nel quale invece si continuò a non trovare traccia di relitti, e nemmeno di quelli degli aerei che nel frattempo sparivano con preoccupante regolarità.
 
 
Che dire di queste cronache?
Una considerazione preliminare riguarda la percentuale statistica degli incidenti rispetto al traffico presunto o calcolato nella zona. Questa percentuale è assolutamente sproporzionata secondo le stime che sono state fatte. Poi, per quanto ci è dato sapere, uomini e merci trasportate non avevano un’importanza o un valore particolare. Nessuna nave inaugurava nuove rotte commerciali in grado di ledere interessi finanziari o d'altro genere. Nel caso del rimorchiatore Southern Cities, il carico trasportato dalla grande chiatta venne ritrovato intatto e lo stesso successe riguardo ad altre navi abbandonate. Gli aerei precipitati risultavano essere quasi sempre vecchi apparecchi di linea se non addirittura residuati di guerra poi trasformati per uso commerciale. Tra loro non c'era nessun prototipo sensazionale.
 
 
Si trattò di errore umano?
Alcune sciagure possono essere imputate a un simile fattore, specie riguardo agli aerei. Lo sbaglio del pilota nella lettura degli strumenti o il concorso di cattive condizioni meteorologiche, nebbia o turbolenza atmosferica, anche un malore improvviso può, in qualche caso, essere fatale. C'è da tenere presente, tuttavia, che i grossi aeroplani di linea come i quadrimotori militari, già prevedevano a bordo un comandante e un secondo pilota in grado di intervenire all’occorrenza, ed erano dotati di strumenti di controllo che facilitavano e automatizzavano tutte le operazioni di volo. Nessun aereo è andato a cozzare contro montagne, peraltro inesistenti, per una cattiva lettura dell'altimetro. L'ipotesi dell'errore umano cade poi completamente se applicato al caso della squadriglia dei bombardieri Grumman. Un aereo avrebbe potuto staccarsi dalla formazione e trovarsi in difficoltà, ma la scomparsa di tutti e cinque restava assolutamente inspiegabile. Non è possibile pensare che tutti i piloti abbiano sbagliato o si siano sentiti male contemporaneamente; così come è impossibile ipotizzare che un errore del caposquadriglia avesse trascinato i compagni in un disastro fatale, facendoli precipitare in mare: il disastro non era stato improvviso, in quanto la dinamica della disgrazia presenta una lunga serie di contatti radio prima del silenzio finale. I messaggi pervenuti alla base di Fort Lauderdale erano confusi e contraddittori ma non indicavano che qualcuno si sentisse male. Nell'incidente che aveva coinvolto nel 1963 i due aerei cisterna americani si può supporre che, per errore, uno dei piloti abbia causato una collisione in volo, che poi ha  letteralmente polverizzato gli aeroplani rendendone impossibile il ritrovamento. E, invece, fu uno dei pochi casi in cui dei rottami, per quanto non ben identificati, vennero trovati, ma a oltre duecento chilometri di distanza e ciò urta contro l'ipotesi di una collisione. Riguardo alle navi scomparse, il fattore umano acquista un’importanza meno determinante. Sì, si può pensare a errori di manovra: durante una tempesta, un colpo di barra inopinato può portare uno scafo a traversarsi, imbarcare acqua e quindi ad affondare. Ma per navi da dieci e ventimila tonnellate, ciò è praticamente insostenibile. Un errore di rotta avrebbe eventualmente portato un bastimento ad arenarsi su un basso fondale o a spezzarsi contro una scogliera, ma qui in seguito sarebbe stato facilmente individuato.

Una seconda probabilità riguarda i guasti meccanici, che certamente erano possibili. Si va dal blocco dei motori degli aerei allo scoppio delle caldaie di alcune navi. Ma imputare tutte le scomparse a ciò, non è sostenibile e comunque non spiegherebbe la totale mancanza di relitti. Per i due incidenti aerei citati, valgono poi le stesse considerazioni già fatte. Il guasto avrebbe dovuto riguardare tutti i motori della squadriglia.
Tutti i libri e gli articoli che si sono occupati dell’argomento concordano nel riferire che i piloti dei Grumman non sapevano riconoscere la loro posizione, sembrava che le bussole fossero impazzite. Questo fatto lasciava aperta la possibilità di un fattore esterno che influenzasse gli strumenti. Vennero tirate in ballo le anomalie magnetiche, proprie di quella zona, capaci di modificare se non di annullare il funzionamento degli apparati di bordo. Il parere di autorevoli esperti conferma l'esistenza di queste anomalie.
Ma a che cosa sono dovute?
Si sapeva che materiali magnetizzabili perdono ogni traccia del loro magnetismo se portati ad alte temperature. Una volta raffreddati però, assumono permanentemente le caratteristiche del campo magnetico in cui si trovano. Molte delle rocce presenti in questa zona rivelavano un comportamento magnetico inspiegabile. Studi successivi del professor Vine dell’università di Cambridge avevano portato a clamorose conclusioni. Ricerche magnetometriche in ampi tratti dell’oceano avevano poi rilevato differenze positive e negative rispetto al campo magnetico terrestre normalmente rilevabile. Presto fu evidente che questo aveva invertito più volte, nel corso delle ere geologiche, la propria polarità. Altri studi del campo magnetico sul mare furono condotti dagli scienziati del Lamont Geological Observatory. I risultati ottenuti consentirono di chiarire da un punto di vista geofisico la storia e la dinamica dei fondi oceanici, nonché correlare queste prove con la teoria della deriva dei continenti. Ma questi risultati, importanti per la conoscenza della geofisica, dello studio dei terremoti e dei vulcani sembrano non avere nessun legame con gli incidenti del Triangolo maledetto. La misura di queste anomalie è appena rilevabile con strumenti sofisticati. Le indagini in proposito fecero progressi solo nel dopoguerra, quando appunto la tecnica consentì di affinare i metodi di indagine e così chi voleva ipotizzare la presenza di corpi estranei alla normale morfologia terrestre, in grado di alterare enormemente la misura del campo magnetico con conseguenti effetti nocivi su cose e persone dovette arrendersi di fronte all’evidenza: queste fonti abnormi sarebbero state subito localizzate da un’imponente rete di controlli scientifici che ogni giorno vengono effettuati per diverse ragioni ma con precisi programmi. C’era poi da considerare che ogni giorno centinaia di navi e aerei transitavano nella zona senza avvertire conseguenze su bussole e strumenti. Ben presto si scoprì che anomalie magnetiche dello stesso tipo e intensità erano presenti in tutti i mari del mondo, lungo le dorsali oceaniche dell’atlantico e del Pacifico e questo lasciò ben poco spazio a queste teorie: se qualcosa di strano avviene in quella zona, non avviene per questa causa.
Ma per renderci conto della realtà dei fenomeni naturali non comuni che si verificano in quell'area, bisogna far riferimento ai racconti dei sopravvissuti che subirono lo sconvolgimento degli elementi ma riuscirono a scamparla.


Il capitano Don Henry era proprietario di una società di recuperi marittimi con sede a Miami. Era un pomeriggio di tempo buono e cielo limpido di quel 1966, col suo Good News, rimorchiatore di duemila cavalli, tirava una chiatta da duemilacinquecento tonnellate. La zona percorsa era tra Puerto Rico e Lauderdale. A un certo punto si accorse che la bussola stava girando in senso orario. Inoltre, disse: "sembrava che l'acqua arrivasse da tutte le direzioni. L'orizzonte era scomparso, non potevamo vederlo: l'acqua, il cielo e l'orizzonte si confondevano insieme. Non riuscivamo a capire dove eravamo."
Nonostante i generatori continuassero a funzionare, erano incapaci di erogare corrente elettrica. Una nube copriva la chiatta e il mare lì vicino sembrava più mosso che altrove. Una luminosità lattiginosa copriva la zona. Malgrado ciò il capitano riuscì ad allontanarsi da quel posto con il suo rimorchio la cui corda di traino era tirata al massimo.

 

I tifoni, sicuramente frequenti da quelle parti, possono aver causato delle disgrazie. Questi disastri naturali che devastano il mare e si abbattono sulle coste con enorme violenza hanno una origine meteorologica che appunto li localizza in quella regione con maggior frequenza che altrove. La loro azione distruttiva è spaventosa. Molti aerei e navi potrebbero essersi perduti per questo motivo. Tuttavia, le cronache degli incidenti avvenuti sono spesso concordi nel precisare che al momento delle varie sciagure le condizioni meteorologiche erano normali, se non addirittura buone.
Alcune ipotesi suppongono che i naufragi siano avvenuti per improvvise e gigantesche onde di sessa che avrebbero travolto e spazzato via le imbarcazioni incontrate sul loro cammino. Le onde di sessa sono provocavate da frane sottomarine dovute a piccoli terremoti di assestamento. Infatti nei fondali degli oceani vi troviamo vallate, corrugamenti, altopiani, vere e proprie montagne, isolate o unite in catene. Morfologicamente la loro instabilità è molto superiore a quella che si riscontra in terraferma. Spesso le correnti o le eruzioni vulcaniche spostano grandi masse di materiale che muovendosi improvvisamente causano moti ondosi abnormi e molto pericolosi, chiamati appunto onde di sessa. Queste possono così prodursi anche in mare calmo e in assenza di altre perturbazioni atmosferiche. Sono quindi abbastanza imprevedibili. Una volta formate, le onde possono raggiungere altezze molto maggiori a quelle del peggior mare in tempesta. Sono vere e proprie montagne d’acqua che avanzano travolgendo qualsiasi cosa si presenti sul loro cammino, prima di spegnersi lentamente secondo le leggi dell’inerzia. Questa insidia esiste sicuramente e potrebbe aver causato qualcuna delle disgrazie rimaste inspiegabili. Però, sembra strano per naufragi verificatisi nei punti come lo stretto di Florida (rotta della Marine Sulphur Queen) o nell’area dell’arcipelago delle Bahamas. In questi casi, gli effetti delle onde di sessa si sarebbero avvertiti anche in prossimità delle coste, ma ciò non è mai avvenuto. Siamo dunque ancora di fronte a elementi contraddittori che restringono l’eventualità di una causa di questo tipo.
Lo stesso ragionamento vale per i maremoti. I movimenti di assestamento che li provocano hanno una portata più ampia e non sfuggirebbero al pennino dei sismografi, oltre al fatto evidente che le loro conseguenze coinvolgerebbero le popolazioni rivierasche.
Vari giornalisti e scrittori che si sono occupati delle sciagure accadute nel triangolo hanno rilevato come queste siano divenute particolarmente frequenti a partire dal 1945, vale a dire nell’immediato dopoguerra. Si è pensato allora alla possibilità di azioni di sabotaggio o terrorismo da parte di alcuni nuclei di combattimento che non avessero accettato l’esito del conflitto e avessero continuato a condurre una lotta personale per quanto folle e senza speranza. Ma qui si dovrebbe poi ipotizzare la presenza di sottomarini e di navi da combattimento nella zona e ciò, sinceramente, è improponibile.
In conclusione nessuna delle ipotesi prese in esame è capace di spiegare, in qualche modo, un numero sufficiente di disgrazie. Anche pensando ogni volta a un insieme di concause, che allargherebbe il numero degli incidenti possibili, ma ne rimarrebbero comunque molti senza una spiegazione apparente.

venerdì 13 settembre 2019

ISRAELE


Il cielo era pervaso da una foschia dorata che proveniva dal deserto. Il gigantesco jumbo, in fase di atterraggio, la perforò ed ebbe una rapida visione degli orti di cedri, color verde scuro, immediatamente seguita dal sobbalzo dell'impatto con la pista. Quello di Tel Aviv era uguale a tutti gli altri aeroporti del mondo, ma al di là delle sue porte c'era una terra che simile non aveva mai visto. La folla che con lui si mise in caccia di un posto in uno dei grossi sherut neri, i taxi collettivi coperti di manifesti e pieni di ninnoli penzolanti, era assolutamente frenetica. Una volta a bordo, però, il tutto prese l'aspetto di una gita di famiglia. Di una famiglia di cui anche lui faceva parte. Su un lato c’era un paracadutista, in berretto e blusa, con le mostrine sul petto e un fucile mitragliatore Uzi gettato a tracolla, il quale gli offrì una sigaretta. Sull'altro lato c'era una ragazzona ben piantata, anche lei con addosso un'uniforme color kaki e con scuri occhi da gazzella, tipicamente israeliani, che diventavano ancor più scuri e sentimentali ogni volta che si posavano su di lui. Pretese di dividere con lui un sandwich di pane non lievitato, con ceci fritti - l'onnipresente pita con felafel. Tutti gli occupanti dei posti anteriori si voltavano per unirsi in conversazione e naturalmente con loro si voltava anche l'autista, che comunque non ridusse assolutamente la velocità, sottolineando le proprie frasi con furibondi colpi di clacson e con urla di insulti ai pedoni e agli altri automobilisti. Sulla zona costiera aleggiava, simile a foschia di mare, un pesante profumo di fiori d'arancio, che da quel momento in poi per lui divenne un sinonimo di Israele. Poi si arrampicarono sulle colline della Giudea e percorsero la tortuosa autostrada che correva tra foreste di pini e pendii luccicanti, dove pietre bianche brillavano come ossa nel deserto e gli ulivi si torcevano in graziosa pena, levandosi dalle terrazze che costituivano un monumento a seimila anni di paziente fatica dell'uomo. Un paesaggio che era molto diverso dalle amate colline di casa sua. C'erano fiori che non riconosceva, corolle color cremisi simili a sangue versato ed esplosioni di petali di un giallo simile alla luce del sole. A mano a mano che si avvicinava alla donna per vedere la quale era arrivato fino a lì, sentiva levarsi nel proprio intimo un senso di eccitazione poiché non si trattava solo di una donna, ma di qualcos'altro, di cui ancora non era sicuro.
- Guarda! - gridò la ragazza, toccandogli un braccio e indicando un relitto bellico ancora gettato sul bordo della strada e lì conservato in memoria degli uomini morti sulla via di Gerusalemme - qui si è combattuto.
- Si combatterà ancora? - chiese.
- Si - rispose la ragazza senza esitazioni.
- Perché?
- Perché, se il fine è buono, bisogna combattere per raggiungerlo - rispose la ragazza, con un ampio gesto che parve abbracciare tutta quella terra e il suo popolo - e questa terra – aggiunse - è nostra ed è una buona terra.
Jericho assentì, rivolgendole un tenue sorriso, che venne ricambiato. Così arrivarono a Gerusalemme, con i suoi alti e severi condomini di pietra color senape, eretti come monumenti sulle colline e raggruppati attorno all'imponente cittadella murata che ne costituiva il cuore. Aveva prenotato una camera all'Intercontinental Hotel. Dalla finestra osservò, oltre il giardino di Getsemani, la vecchia città, con le sue torrette, le guglie e la luccicante cupola dorata della Moschea di Omar, centro del cristianesimo e del giudaismo, nonché luogo sacro per i musulmani, bimillenario campo di battaglia, antica terra rinata e provò un senso di timore reverenziale.
Era pomeriggio inoltrato quando pagò il taxi nel parcheggio dell'ambasciata e venne sottoposto a una sbrigativa perquisizione da parte di una guardia dell'ingresso principale. Da quelle parti, le perquisizioni corporali erano talmente abituali che ben presto si arrivava a non farci più caso.
 

mercoledì 11 settembre 2019

IL LITIGIO

- Cerca di capire - la voce di Jericho era spezzata dalla sofferenza. Elena lo stava ponendo di fronte a un bivio che non gli dava vie di scampo - è una occasione che non posso perdere: volare è lo scopo della mia vita.
- Sì - disse lei con uno sguardo duro come il cemento - ma non su quello scassone...
- Quello scassone, come dici tu, è ancora uno degli aerei più veloci del mondo - sbuffò Jericho.
- Lo hanno soprannominato bara volante, fabbrica di vedove.
- Ma è successo secoli fa. Ora la sicurezza...
Lei lo interruppe bruscamente - La sicurezza? Ma quale sicurezza. Salite a bordo di quella specie di... Razzo e vi fiondate nella stratosfera!
- Per favore...
Erano seduti a un tavolo di un piccolo ristorante. La settimana successiva lui sarebbe dovuto partire, ma lei non voleva partire con lui e soprattutto, non voleva che lui partisse. Sperava, facendo gioco forza sui sentimenti del suo uomo, di costringerlo a fargli cambiare idea. Ma la discussione aveva preso una brutta piega e all’improvviso si erano trovati nel bel mezzo di un litigio.
- Non puoi chiedermi questo...
Jericho sembrava abbattuto e rassegnato.
- Non posso rinunciare. È il coronamento delle fatiche di tutta una vita!
- Non verrò con te - ringhiò sommessa lei - non mi unirò a un piccolo club di mogli e ragazze di piloti che passano il tempo con il naso all’insù.
Lui scosse la testa, sconfitto.
- Non verrò a vederti morire dentro a quel ferro vecchio.
Lei si alzò rumorosamente. Ormai il locale era vuoto, gli altri commensali erano fuggiti quando la discussione si era tramutata in una lite rumorosa e furibonda.
- Io me ne torno a Napoli - concluse lei allontanandosi dal tavolo - se cambi idea, sai dove trovarmi.
Jericho la guardò uscire dalla stanza, inspirò e chiamò il cameriere.
Questo, intimidito, si avvicinò con il conto in mano. Lo appoggiò al tavolo e disse: - Mi spiace per la signorina...-
Lui fece un gesto per cancellare le parole del cameriere e ordinò un whiskey. Non beveva da sei mesi, ma quella sera fu necessario scaldare uno spirito ormai congelato.
Il cameriere annuì e scomparve silenziosamente.
Si guardò attorno e improvvisamente si sentì veramente solo.
Si chiese come avrebbe fatto senza di lei: erano sempre stati in sintonia. Mai un litigio importante, mai una situazione come quella. Non sapeva proprio come fare.
Vide comparire il bicchiere sul tavolo.
Un leggero sorriso all’uomo che lo aveva portato e poi strinse tra le dita il vetro levigato contenente il liquido ambrato. Trangugiò il whiskey in un solo colpo e si sollevò dal tavolo. Prese il portafogli e lasciò una banconota da cinquantamila lire. Non aveva mangiato niente, aveva solo ordinato e atteso che il cibo si freddasse mentre lei cercava in ogni modo di non farlo partire. Uscì dal locale e si diresse verso la metro: era venuto al ristorante con la macchina di lei.

martedì 10 settembre 2019

FRANCESCO LICCIARDIELLO


Proprio ieri, mente si “inaugurava” la riapertura di una strada, il mio amico e collega Francesco Licciardiello mi chiedeva se credo nell’esistenza degli UFO. E quando gli ho risposto che, in verità, nei miei post non l’ho mai dichiarato, ho visto sul suo volto accendersi la meraviglia. Ma come – ha risposto – proprio tu che scrivi di queste cose?!
Più volte ho chiarito che il mio il mio approccio verso queste vicende è quello del cronista. Come tale mi limito a riportare i fatti, senza farmi coinvolgere emotivamente. Non ho mai raccontato di vicende personali, anche se i lettori più attenti, in certi post, hanno notato che parlo il prima persona, che definisco i particolari, che uso termini come “nostro” che, specie se riferito all’Aeronautica, è indicativo di una presenza che svela una partecipazione esuberante per un semplice narratore.
A chi mi chiede, ho sempre risposto che, per me, UFO è la causa ignota che ha indotto dei testimoni riconosciuti equilibrati e attendibili a seguito di apposita inchiesta, a fare un rapporto che, sottoposto all'esame di esperti nelle varie discipline scientifiche, non è risultato spiegabile con nessun fenomeno conosciuto. Purtroppo, l'ufologia, intesa come studio serio ed obiettivo di determinate testimonianze, non ha finora consentito di arrivare a nessuna conclusione dimostrata o dimostrabile, se si prescinde da due fatti che, praticamente, la giustificano: che esiste un certo fenomeno e che si manifesta in un certo modo. Tutto ciò che può essere detto in più di questo rientra nel campo delle ipotesi.
 

La mia policy è che al centro di tutto ci siano gli utenti. Purtroppo, qualche volta riscontro delle difficoltà con quegli utenti che arrivano a me prevenuti e agitati e quindi diventa complicato fargli capire che la mia disponibilità al dialogo dipende solo dalla loro apertura mentale.  
Oggi, i social network hanno completamente trasformato il tessuto sociale, permettendo a ognuno di avere l'illusione di essere in grado di rapportarsi alla pari con chi, invece, ha una certa esperienza, dando magari loro dei bugiardi su argomenti dei quali non si ha alcuna conoscenza se non brevi letture di frasi scritte da altre persone altrettanto incompetenti. Nessuno infatti parla quasi mai per esperienza diretta ma sulla base di qualcosa detta dal "cugino dell'amico" e su queste basi si ritengono esperti di qualsiasi argomento. Politica in tempo di elezioni, calcio ogni lunedì, economia quando arriva una multa a casa. Da questo punto di vista, Internet, seppure sia uno strumento meraviglioso, ha il demerito di aver aumentato a dismisura questa convinzione. Infatti, se un tempo si era quasi costretti a frequentare persone dello stesso ceto culturale e sociale e le massime autorità che si incontravano erano il sindaco del paese, il medico e l'allenatore della squadra della parrocchia, oggi non è più così. Ora, se lo si desidera, si può entrare nella pagina di un immunologo di fama mondiale credendo di poter discutere con lui alla pari di vaccini e prevenzione; sul profilo di un leader politico per spiegargli come far uscire l'Italia dalla crisi e sul social di un commissario tecnico per dargli imperdibili suggerimenti su come schierare la nazionale. Il tutto in 5 minuti.
Provate ad andare sul blog di Bigliglino: è il caos! Il relatore è continuamente contestato da saccenti senza scrupoli, appoggiati da devoti (un po’ idioti) che, nel caso peggiore, su certi post, scatenano addirittura una reazione violenta, molto simile, in quanto a ottusità, alla frenesia alimentare dei piranha.
Capirete che, in questo contesto, ho dovuto operare una scelta e, pare, sia stata una scelta vincente.  

lunedì 9 settembre 2019

L’AVVISTAMENTO DI ST. CLAIR


Uno dei più recenti e meglio documentati avvistamenti, con molteplici testimoni, avvenne durante le prime ore del mattino del 5 gennaio 2000 nella contea di St. Clair (Illinois) appena a est di St. Louis (Montana).
Quel giorno, l’agente Tomas Barton, impiegato presso il Dipartimento di Polizia di Lebanon (Illinois) chiamò il National UFO Reporting Center (NUFORC). Il contenuto del messaggio riguardava l’avvistamento di un UFO avvenuto nella Contea di St. Clair (Illinois) e nelle aree circostanti, nelle prime ore del mattino. Più tardi, quella stessa mattina, gli investigatori del NUFORC riuscirono a parlare con l’agente Barton che raccontò quanto segue: 


“Approssimativamente verso le 04:10 (ora locale) di quel mattino avevo intercettato la chiamata dall’operatore di emergenza di St. Clair, in quale riferiva di un cittadino che era entrato nella stazione di polizia di Highland (Illinois) e aveva chiesto che un agente uscisse per guardare un oggetto piuttosto peculiare che galleggiava in cielo, nelle vicinanze. L’uomo aveva avvistato il bizzarro oggetto mentre si recava al lavoro e insisteva, rifiutandosi di lasciare la stazione di polizia, fin quando un poliziotto non avesse visto l’oggetto insieme a lui. Avendo sentito l’annuncio alla radio, guardai verso sud est, in direzione di Lebanon e notai due luci estremamente brillanti nel cielo, basse sull’orizzonte. Le due luci erano così luminose che lo spettacolo mi ricordò il simbolo del “Sol Levante”, usato sulla bandiera da combattimento giapponese. Poco dopo le luci sembrarono fondersi in una sola. Iniziai a dirigermi verso sud est nel tentativo di avvicinarmi all’oggetto. Guidai a 75-80 miglia orarie verso quell’oggetto che, nel frattempo, manteneva inalterata la sua posizione. Dopo un po’ mi accorsi che sembrava dirigersi verso di me. Arrestai il veicolo, spensi i lampeggianti e abbassai il finestrino dal lato passeggeri. L’oggetto si avvicinò e mi passò quasi sopra a un’altitudine che stimai in 1000/1500 piedi. Era di forma triangolare, con tre luci bianche alle estremità di ogni vertice e mostrava una “galassia” di luci multicolori nella parte inferiore. Dopo essermi passato sopra girò improvvisamente a sinistra, senza rollare o inclinarsi e immediatamente accelerò in modo repentino: sembrò schizzare verso est coprendo più di otto miglia in tre secondi. La sua velocità era inimmaginabile.”
 


Barton chiamò per radio il centro di emergenza della Contea di St. Clair, informandolo di avere l’oggetto in vista e riferendo che viaggiava in direzione sud est. Raccomandò al Centro di contattare le unità a sud e a ovest della sua posizione, quali Shiloh, Millstadt e Dupo, in modo che anche i poliziotti locali potessero di avvistare l’oggetto.  Sembra che almeno un ufficiale di Shiloh avvistò l’oggetto: altri due agenti, che però rimasero anonimi, videro l’oggetto mentre erano nel cimitero della città. Un agente del Dipartimento di Polizia di Millstadt, Craig Stevens, riferì al NUFORC, che vide l’oggetto stagliarsi contro il cielo notturno. Lo  descrisse di dimensioni “enormi”. Su di esso brillavano molte luci.
Il Centro di emergenza di St. Clair ordinò che qualcuno, se fosse in grado di farlo, scattasse una fotografia. In risposta a questa richiesta l’agente Stevens prese, in fretta e furia, dal bagagliaio della sua auto la fotocamera tipo Polaroid e velocemente fotografò l’oggetto. Ma la bassa temperatura esterna compromise il funzionamento della sua apparecchiatura fotografica e la foto venne impressa con una risoluzione scadente. In seguito, dopo che l’agente Stevens ebbe scattato quella fotografia, l’oggetto sembrò accelerare dirigendosi verso ovest e passando sopra Dupo e Cahokia (Illinois), infine dirigendosi verso St. Louis (Montana). Pare che anche un poliziotto di Dupo abbia vito l’oggetto.
A un certo punto si pensò che fosse arrivato nel perimetro della Base Aerea di Scott. Tuttavia, un portavoce della Base dichiarò che la torre di controllo non era operativa già un’ora prima dell’avvistamento e tale rimase per tutto il periodo, mentre il radar della base era stato spento (per ragioni non specificate). Infine dichiarò che il personale della base non era a conoscenza dell’avvistamento e che nessuno di loro aveva visto quell’oggetto…

venerdì 6 settembre 2019

L’INCIDENTE DI VARGINHA


La notizia fu riportata da Vitorio Pagaccini: a Belo Horizonte (Brasile) il 20 gennaio del 1996, i militari catturarono, vive, due creature apparentemente extraterrestri. La cattura avvenne nelle vicinanze della città di Varginha, situata nello stato di Minas Gerais. L’evento è ancora considerato uno dei più significativi mai registrati in Brasile e forse nel mondo intero. Le autorità militari tengono segreti i dettagli dell’operazione e l’informazione ha raggiunto il pubblico grazie al lavoro investigativo del Prof. Vitorio Pacaccini e di Ubirajara Rodriguez. Entrambi vivono nelle vicinanze e sono considerati ricercatori seri e assidui.
Nel pomeriggio del 20 gennaio, verso le 15:30, ora locale, tre giovani ragazze: Liliane e Valquira Silva e la loro amica Katia de Andrade Xavier, tornavano a casa.  Mentre attraversavano un prato, a poca distanza da dove vivevano, s’imbatterono in una strana piccola creatura. Era sabato e le ragazze tornavano dal lavoro. Nell’attraversare quest’area, la loro attenzione fu attratta da questa creatura che era in ginocchio e sembrava ferita e sofferente. Le ragazze la osservarono per qualche minuto, poi scapparono via spaventate perché, nella loro ingenuità, credettero di aver incontrato il Diavolo.
Le tre ragazze furono interrogate dai sopraccitati ricercatori. Descrissero la creatura come di colore scuro con un piccolo corpo di quattro o cinque piedi di altezza. Non aveva capelli, ma una grande testa marrone e un piccolo collo. Il viso fu descritto come avente due occhi grandi e rossi senza pupille. C’era un taglio al posto della bocca, un naso molto piccolo e cosa interessante, tre protuberanze proprio sulla fronte. Le ragazze descrissero le protuberanze come simili a corna: cosa che causò la loro paura di aver incontrato il demonio.
 
 

I ricercatori Pacaccini e Rodriguez continuarono a investigare allargando il loro campo d’azione ai dintorni della città di Varginha, per scoprire se qualcun altro avesse visto la stessa creatura. Nel condurre l’investigazione, entrambi scoprirono che diversi testimoni, proprio quella mattina, avevano visto dei camion dell’Esercito e altri veicoli militari a poca distanza da dove le ragazze ebbero il loro incontro. Mentre cercavano di scoprire cosa stessero facendo i militari, Pacaccini e Rodriguez riuscirono a parlare con alcuni soldati e sottufficiali. Uno dei soldati decise di parlare della missione e di rilasciare, in modo confidenziale, una intervista, che fu registrata. Il militare confermò che verso le 09:00 del 20 gennaio i pompieri di Varginha furono chiamati dai militari per catturare uno strano “animale” nel distretto di Jardim Andere. Tra i pompieri che risposero all’appello c’erano Nivaldo e Santos, il Caporale Rubens, il Sergente Palhares, comandati dal Maggiore Maciel. Al loro arrivo, però, non trovando alcun animale, si misero in comunicazione con il Comando della Scuola Sottufficiali dell’Esercito - Escola de Sargentos das armas (ESA) – Ma, prima che arrivasse una riposta, un camion dell’Esercito era già sul posto. La creatura fu individuata e catturata mediante l’uso di reti e di altro equipaggiamento normalmente usato per catturare animali selvaggi. Come un animale, fu rinchiusa in una cassa di legno di un metro quadrato, coperta con un telone e caricata sul camion dell’Esercito. I testimoni affermarono che emetteva un suono ronzante simile a quello prodotto dalle api. Il veicolo si diresse all’ESA. Il T. Col. Wanderley ordinò a tutto il personale coinvolto nella cattura di astenersi dal parlare dell’incidente con chiunque, dicendo loro che si trattava di un’operazione segreta. Il T. Col. Wanderley, era un esperto in guerra atomica, biologica e chimica, forse è per queste sue attitudini che fu messo al comando dell’operazione anche se all’epoca l’ESA era agli ordini di un generale.
Il poliziotto Marco Chereze toccò la forma di vita senza alcuna protezione. Morì due settimane dopo di una infezione generale. La famiglia mostrò a Pacaccini gli ultimi esami del sangue, che mostravano come fosse contaminato da una sostanza tossica sconosciuta. Tuttavia, secondo Pacaccini, la polizia di Varginha cercò di confutare tale testimonianza affermando che Chereze non era neanche in servizio il 20 gennaio del 1996. A tal proposito, la famiglia di Chereze ribadì che non solo era in servizio quella notte, ma che era venuto a casa per cambiarsi, informandoli che non sarebbe tornato per cena poiché avrebbe dovuto lavorare fino a tardi, impegnato in una missione.

 

 

In seguito, altri militari si fecero avanti per parlare dell’incidente, a condizione che le loro identità fossero mantenute segrete. Tutti coloro che si fecero avanti rilasciarono interviste confidenziali e permisero di registrarle. Tutti confermarono che una seconda creatura, probabilmente quella vista dalle tre ragazze nel pomeriggio, era stata catturata la stessa notte con l’ausilio di personale dell’Esercito, dei pompieri, del servizio segreto e della polizia. Grazie agli sforzi investigativi di Pacaccini e Rodriguez, molti dei dettagli dell’operazione di recupero sono ora conosciuti. La seconda creatura, identica alla prima, era anch’essa viva quando fu condotta presso l’ospedale di Varginha. Dopo avervi passato alcune ore fu trasferita al più attrezzato Humanitas Hospital. Due giorni dopo, nel pomeriggio del 22 gennaio, la creatura, ormai morta, fu oggetto di una gigantesca operazione di copertura. Quanti ebbero a che fare con la creatura furono ammoniti a non discuterne con nessuno, neanche con i loro parenti e ad evitare, in modo specifico, la stampa e i ricercatori UFO. Le interviste confidenziali con i militari coinvolti nelle operazioni di rimozione, riportarono che furono utilizzati tre camion dell’Esercito per rimuovere il corpo dell’extraterrestre, cosicché nessuno avrebbe potuto sapere quale camion stava effettivamente trasportando la creatura.
Gli investigatori brasiliani sono riusciti a determinare questi fatti: personale militare dell’S-2 brasiliano (l’intelligence dell’Esercito) fu incaricato di prelevare il cadavere dall’interno dell’ospedale, di riporlo in un cassa di legno per poi caricarlo in uno dei camion. Tutti e tre i mezzi tornarono all’ESA. La mattina successiva, alle 04:00, i camion si diressero verso un’altra installazione militare situata a Campinas, nello stato di Sao Paulo: un viaggio di 200 miglia. Lì il cadavere fu trasferito all’Università di Campinas, una delle migliori istituzioni brasiliane. Il corpo fu oggetto di autopsia da parte del Dott. Fortunato Badan Palhares, che era universalmente considerato come uno dei migliori medici forensi. Tuttavia il Dott. Palhares ha pubblicamente negato di aver preso parte all’autopsia.
Un anno dopo l’incidente di Varginha, un altro testimone si fece avanti: Joao Bosco Manoel. Egli chiamò Pacaccini il quale lo incontrò insieme a Rodriguez e ascoltò la sua storia: aveva assistito, non visto, alla cattura della prima creatura. Verso le 10:45 del 20 gennaio, il Sig. Bosco era in zona per vendere del pesce, quando la sua attenzione fu attratta dalla presenza di un camion dei pompieri, senza che vi fosse traccia di un incendio. Incuriosito, si nascose per vedere cosa accadeva. Vide sei pompieri emergere concitatamente dai cespugli seguiti da altri quattro che indossavano grossi guanti e che trasportavano una creatura avvolta in una rete. La forma di vita fu adagiata nel camion che mise in moto e partì. Il Sig. Bosco avvertì un odore estremamente acre come di ammoniaca permeare l’aria aperta. Tenne anche una conferenza stampa e rese pubblica la sua storia affermando che avrebbe potuto identificare almeno due dei pompieri. Inutile dire che tutto ciò scatenò un pandemonio, poiché la sua storia veniva ufficialmente smentita. Il Sig. Bosco subì delle intimidazioni e fu trattenuto dopo la sua conferenza stampa. Bosco, successivamente, lasciò lo stato di Minas Gerais.
I ricercatori Pacaccini e Rodriguez scoprirono che i poliziotti coinvolti nella cattura furono, in seguito, promossi e trasferiti altrove. Per un certo periodo di tempo, dopo l’incidente, l’area dove è situata Varginha, nella parte sud dello stato di Minas Gerais, fu oggetto di uno delle più grandi ondate di avvistamenti UFO mai registrate, che includevano testimonianze su enormi UFO e contatti ravvicinati con gli abitanti. Tale evento comparve sulla prima pagina del Wall Street Journal, sebbene il tono dell’articolo fosse piuttosto ridicolizzante.

giovedì 5 settembre 2019

È UNA QUESTIONE DI PROSPETTIVA


Desidero approfittare di questo spazio per ringraziare, ancora una volta, coloro che mi seguono. Voglio premettere che l’idea di buttarmi a capofitto in un così gravoso compito scaturì dalla convinzione che la gente ha il diritto di conoscere ”la verità” su questi intricati misteri. È il mio personale punto di vista: la gente deve sapere perché, a mio avviso, ha finalmente raggiunto quella “consapevolezza” e quella “maturità” che serve per affrontare “l’argomento”. Quindi mi chiesi: se bisogna cominciare a parlare di questi insoliti argomenti, occorrerà una “base” da cui partire, un punto di partenza che ponga anche il più disinformato degli uomini nella condizione di poter avere una visione d’insieme del problema. Quella base, io l’ho identificata nel mio blog che rappresenta, a mio avviso, un intelligente e coraggioso tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica ad un confronto “consapevole e maturo”. Da quel momento, un  progetto ha cominciato a prendere forma, anche grazie all’apporto di persone meravigliose che hanno accettato le mie idee e mi hanno accompagnato in questo faticoso percorso.
Il blog contiene una selezione di informazioni concernenti i fenomeni UFO, informazioni di carattere generale, dei documenti interessanti e testimonianze riguardanti strani eventi, anche da parte di appartenenti a enti governativi o militari. Scopo del blog è di fornire una panoramica d’insieme in merito a questioni molto complesse e fornire ai soggetti, se interessati, riferimenti per avviare una propria attività di ricerca.
Ho evitato di inserire raccomandazioni e suggerimenti. Sebbene queste raccomandazioni potrebbero contribuire a facilitare il processo di comunicazione, rendendo questo problema oggetto di dibattito aperto e consapevole, ho preferito raccontare i fatti e lasciare al lettore la libertà di trarne le proprie conclusioni. Ci si auspica che attraverso l’utilizzo di tale documentazione, il lettore attento e mentalmente aperto possa rendersi conto di quanto certi fenomeni siano “reali”.
Carl Sagan, una volta, ha asserito: 


"affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie". 
 
Nel mio caso ciò può essere chiarito con altre due affermazioni: "lo studio di una prova richiede una straordinaria attenzione", e "la straordinaria attenzione è non solo giustificata, ma virtualmente richiesta se c’è una crescente mole di osservazioni straordinarie”.
Per questo, suggerisco al lettore di utilizzare il blog non come una lettura ordinaria, ma come una fonte di informazioni, allo scopo di acquisire un punto di vista globale in merito.
Per esperienza, so che quando le persone vengono a conoscenza di certe informazioni, queste mettono a dura prova la loro capacità di credere: subentra l’incredulità. Tuttavia, una volta che hanno svolto, per conto proprio, attività di ricerca, iniziano a cogliere veramente la realtà e la complessità di questi problemi. Per facilitarne l’approccio ho fornito molteplici testimonianze. Queste, tra l’altro, forniscono l'idea che ci siano tante persone coinvolte, interessate alla copertura di certi fatti, ma che un certo numero di esse è disposta a farsi avanti per testimoniare le proprie esperienze.
 
 

Inoltre, vengono esaminati un certo numero di ben noti e documentati casi UFO. Sono fornite testimonianze sulla questione UFO presentate da militari a conoscenza dei fatti fin dal 1940.
A questo proposito comprendo che, per la maggior parte delle persone, se siamo o no soli nell’universo è un mero esercizio filosofico, un argomento di interesse accademico, ma di nessuna importanza pratica. Anche la prova che siamo attualmente visitati da avanzate forme di vita aliene sembra essere, per molti, un argomento irrilevante, in confronto a questioni come il riscaldamento globale, la povertà crescente e le minacce di guerra. Di fronte alle vere sfide a lungo termine per il futuro dell’umanità, la questione degli UFO, degli extraterrestri e dei progetti segreti del governo è una mera questione secondaria. 
Niente di più sbagliato.
Da una attenta lettura delle pagine del blog scaturisce che siamo davvero visitati da civiltà extraterrestri avanzate, da molto tempo; che questo è il più segreto e compartimentato programma all'interno degli Stati Uniti e in molti altri paesi; che tali progetti possono essere sfuggiti alla supervisione e al controllo da parte degli Stati; che alcuni veicoli di probabile origine extraterrestre siano stati recuperati e studiati almeno dal 1940 e, forse, già nel 1930; che significativi progressi tecnologici nella produzione di energia (e nella propulsione) sono derivati dallo studio di questi oggetti  e che queste tecnologie utilizzano una nuova fisica che non richiede l’utilizzo di combustibili fossili o radiazioni ionizzanti per generare grandi quantità di energia; che progetti classificati e ultra segreti, prevedono l’utilizzo di nuovi sistemi di produzione di energia che, se declassificati e utilizzati per scopi pacifici, porterebbero a una nuova civiltà umana: una nuova era di benessere dove non ci sarebbe più penuria di nulla. Tutto ciò senza recare danni all’ambiente e risolvere, una volta per tutte, il problema della povertà e della guerra.