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domenica 28 luglio 2019

AMY RYLANCE: UN CASO DI ABDUCTION


Nell’ottobre del 2001 nell’azienda vinicola di Gundiah, vicino a Tiaro (Australia) Keith Rylance, la moglie Amy e la loro socia in affari Petra Heller stavano facendo gli ultimi controlli sull’uva prima della vendemmia. La giornata del 4 Ottobre fu particolarmente pesante per tutti: si avvicinava il giorno della vendemmia e ancora mancavano alcuni responsi sulla bontà delle loro uve.
Keith era particolarmente stanco quella sera e poiché la moglie era abituata a stare in piedi fino a tardi, temeva che la TV gli avrebbe impedito di addormentarsi. Decise, quindi, di andare a dormire nella sua roulotte, in giardino. Amy rimase a guardare la TV in sala da pranzo e come spesso le accadeva, alla fine si addormentò sul divano. Petra dormiva in una camera lì accanto e lasciò la porta socchiusa.
 
 

Quella notte ci fu un forte temporale, tanto che Petra fu svegliata dai forti rumori della pioggia e del vento. Erano circa le 23:15 quando andò nella sala per controllare cosa stesse facendo Amy e appena varcata porta rimase allibita: un intenso raggio di luce entrava nella camera attraverso la finestra aperta e colpiva il corpo di Amy, addormentata in posizione prona. Ad un tratto, prima che potesse fare qualsiasi cosa, l’amica iniziò a fluttuare e venne trasportata fuori dalla finestra. Assieme alla ragazza il raggio di luce inglobò alcuni oggetti posati sul tavolino, tra cui un posacenere, un quadretto due statuette di ceramica e un vaso di fiori.
Petra si affacciò alla finestra e vide che il raggio proveniva da un UFO di forma discoidale che fluttuava sopra la casa a poca distanza da un albero vicino alla roulotte. Si sentì venir meno, ma si riprese e cominciò a urlare per svegliare Keith. L’uomo cercò di calmarla, poi cercò la moglie per tutta la casa e il giardino. Non riuscendo a trovarla, chiamò la polizia, dicendo che sua moglie era stata rapita.
Spiegare alla polizia che Amy era stata rapita da un UFO non fu semplice: gli agenti, oltre che perplessi, erano sospettosi. Il giorno dopo però, in seguito ai primi sopralluoghi della scientifica, l’idea degli inquirenti cambiò radicalmente. Sui montanti della finestra c’erano tracce di bruciature e l’intonaco della casa in prossimità dalla finestra mostrava una strana scia marrone e diverse bolle dovute a un’elevata temperatura. Lo stesso alone appariva sulle pietre del sentiero che portava all’ingresso.
Nonostante la perizia delle indagini era chiaro che nessuno avesse idea di cosa fosse successo ad Amy, almeno fino a quando, nel pomeriggio, Keith non ricevette una telefonata. Dall’altro capo del telefono una donna sosteneva di aver trovato e soccorso una ragazza disidratata e in evidente stato di agitazione. Da lei aveva avuto quel numero di telefono e al momento si trovava nei pressi di una pompa di benzina a circa 790 km a nord di Gundiah.
 
 

Amy fu portata in ospedale ed era molto scossa, ma non riportava ferite gravi. Non ricordava nulla degli eventi della sera prima descritti da Petra.
Dopo alcuni giorni la ragazza venne dimessa: tornò a casa e riprese, almeno apparentemente, la vita di tutti i giorni.
Keith Rylance contattò l’istituto di ricerca ufologica australiano e fu così che il caso venne alla luce ed esposto al pubblico.
Amy, in seguito, ricordò di essersi svegliata su un lettino di una strana stanza rettangolare illuminata da una luce diffusa che pareva venire direttamente dalle pareti e dal soffitto. Era sola e si mise a urlare, ma le rispose una voce maschile che le chiedeva di restare calma, perché tutto sarebbe andato bene e non le avrebbero fatto del male. Disse che quella voce, in qualche modo, la confortò e lei si calmò. Ad un tratto apparve un’apertura sul muro e un “uomo” alto circa un metro e ottanta entrò nella stanza. Aveva una corporatura snella ed era coperto da capo a piedi da una sorta di tuta aderente. Una maschera nera gli copriva il viso, con dei fori per gli occhi e la bocca. Amy ebbe la sensazione di essere stata lì molto a lungo. Quando l’uomo si avvicinò, lei perse nuovamente i sensi e si risvegliò sdraiata a terra in mezzo agli alberi. In stato confusionale raggiunse la pompa di benzina dove venne soccorsa. Amy raccontò anche che da piccola aveva visto un grande UFO circondato da oggetti più piccoli. Pure in quell’occasione ebbe ricordi confusi, ma pensò di aver sognato: probabilmente, disse, si era addormentata nel giardino di casa dopo la scuola.



In ospedale fu visitata accuratamente e furono trovati alcuni segni disposti a triangolo all’interno della sua coscia destra. Altri segni erano presenti sotto i talloni e alla radice della chioma. Fu notata una forte ricrescita dei capelli: li aveva tinti pochi giorni prima, eppure era visibile una ricrescita molto estesa col colore originale. Anche la peluria sulle gambe sembrava più accentuata. Possibile che i suoi peli fossero cresciuti tanto in così poco tempo?
Oppure bisogna pensare che la sua assenza fosse durata molto più a lungo delle poche ore effettivamente intercorse tra la scomparsa e il ritrovamento?

lunedì 15 luglio 2019

NAIADI: LE NINFE DEI BOSCHI


Lo State Parks, in Georgia (USA) è un’ampia zona boschiva dove la fauna locale è protetta ed è vietata la caccia. I rangers pattugliano il parco continuamente e le leggi contro gli intrusi sono rigidissime. Ad alcuni proprietari terrieri è concesso l’uso di aree in cui allevano bestiame e coltivano alcuni campi, ma ognuno di loro ha un’autorizzazione specifica e a tempo. Nonostante queste misure di sicurezza però non è raro che cacciatori di frodo si addentrino nei boschi alla ricerca di facili prede e non è nemmeno insolito che gruppi di ragazzi curiosi vogliano sfidare le regole per provare il brivido del proibito.
Insomma, diciamo che la riserva ha bisogno di ulteriori misure di sicurezza oltre ai rangers ed è per questo che molte zone sono recintate e dotate di telecamere a infrarossi, sia per monitorare il flusso faunistico, sia per localizzare e smascherare eventuali intrusi. Più volte minacciati dai bracconieri, anche i proprietari terrieri hanno istallato telecamere a circuito chiuso lungo i loro possedimenti ed è proprio una di queste che il 4 luglio 2011 ha ripreso qualcosa di straordinario.
La foto che vi riporto è la più chiara tra quelle che sono state scattate con una fotocamera all’infrarosso nel sottobosco dello State Parks. La fotocamera era stata impostata per catturare le immagini nei pressi di alcune proprietà terriere, dopo che alcuni giorni prima delle reti sono state trovate tagliate e manomesse. Alle ore 22:54 la fotocamera si è attivata e ha permesso di vedere in tempo reale e registrare una misteriosa luce nel bosco poco lontano da una casa. I proprietari, temendo si trattasse di cacciatori di frodo, hanno immediatamente allertato i rangers che sono accorsi per controllare. La fonte di luce è durata diversi secondi e ciò aveva fato pensare a torce o lampade notturne, ma nonostante sia stata pattugliata tutta la zona non sono stati trovati tracce o impronte umane. I rangers che hanno esaminato le immagini della fotocamera sono rimasti di stucco: quella figura luminosa sembra un essere umanoide dotato di ali!
La cosa curiosa è che anche un’altra fotocamere all’infrarosso istallata dai rangers, a circa 2 km dal luogo del primo avvistamento, circa 20 minuti dopo ha registrato immagini molto simili, aventi come soggetto una creatura luminosa.

Il giorno successivo alcuni esperti hanno esaminato la registrazione, ma hanno preferito non esprimere opinione su quella cosa luminosa. Nel loro rapporto, si sono limitati ad evidenziare la genuinità degli scatti e la reale presenza di una fonte luminosa nel bosco. Hanno aggiunto che non disponevano di sufficienti informazioni per poter dire con certezza quale fosse la causa.
I Ranger del DNR (Dipartimento delle Risorse Naturali) hanno affermato di non aver mai visto niente di simile, ma conoscono una leggenda che potrebbe in qualche modo spiegare quella figura.
Ancora oggi in Virginia,Georgia e Nuovo Messico è possibile trovare incastonati in rocce dei cristalli luminosi di staurolite pseudomorfica, un minerale generato da correnti geotermali a circa 6 km sotto la superficie. In questi paesi sono anche chiamati “fairy stones” (pietre delle fate) e vengono venduti come orecchini o su un cordoncino di cuoio perché si crede abbiano poteri particolari.
La leggenda vuole che secoli fa i capi tribù Powhatan (la tribù di Pocahontas), stanziati nelle terre che ora comprendono la Virginia, la Carolina e la Georgia, erano soliti intrattenersi presso le sorgenti di acqua con le naiadi: le ninfe dei boschi. Le tribù indiane convivevano pacificamente con queste creature e scambiavano con loro le conoscenze e cultura; condividevano perfino una certa spiritualità.
Tutto questo fino al 1622 quando avvenne il grande “Massacro indiano”, seguito da quello del 1636 in cui gli inglesi sterminarono quasi interamente le tribù Powhatan. La Confederazione Powhatan fu costretta a lasciare le terre agli europei e solo pochi di loro si salvarono, a patto di integrarsi con i coloni.
I nativi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e a venerare la croce. Si dice che le ninfe, sconvolte dalla brutalità degli invasori, si rifugiarono lontano da loro, nei boschi più fitti e nei tratti di fiumi più impervi. Da allora piangono la scomparsa degli indiani. Le loro lacrime, secondo la leggenda, quando cadono a terra, si cristallizzano per formare splendide croci (la staurolite ha effettivamente la forma di una croce greca).
La cosa strana è che, pur essendoci moltissime formazioni di queste pietre in tutto il mondo, da nessun’altra parte esse sono perfettamente a forma di croce come nella zona dello State Parks della Georgia e che ciò indicherebbe la presenza delle ninfe, che si aggirerebbero ancora in quei boschi.

domenica 14 luglio 2019

IL CASO LLANCA


In una tranquilla notte di ottobre del 1973 nella zona di Baia Blanca, non lontano da Buenos Aires, Dionisio Llanca che, al tempo, aveva 25 anni, stava guidando sulla Route 3. Erano circa l’1:30 quando si accorse che una ruota del suo camion si stava sgonfiando e così si fermò a bordo strada per controllare. La ruota era effettivamente bucata e così si adoperò per sostituirla. Intento nell’operazione si accorse che, alle sue spalle, giunsero due uomini e una donna, tutti vestiti con una strana tuta aderente grigia, stivali gialli e guanti.
Llanca si alzò in piedi e poté vedere, nel campo a lato della strada, un oggetto circolare del diametro di circa quattro metri, levitare a una decina di metri dal suolo. Fluttuava silenziosamente ed emetteva dalla base e dall’unico oblò un’intensa luce gialla. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo sentì i suoi muscoli bloccarsi e in pochi istanti rimase completamente paralizzato.
Sentì parlare quelle persone in una lingua sconosciuta e poi li vide avvicinarsi: sembravano esseri umani, ma i loro occhi erano sproporzionati e la loro pelle era molto pallida. Uno dei due maschi lo afferrò per il collo e lo sollevò da terra mentre l’altro pizzicò con una specie di puntina da disegno il suo dito indice: il sangue che usciva dal suo dito fu l’ultima cosa che Llanca vide prima di perdere conoscenza.
L’uomo si riprese dopo le tre di notte, ma si trovava nei locali della Sociedad Rural sdraiato vicino a dei vagoni ferroviari, a dieci km di distanza dal posto in cui era parcheggiato il suo camion. Non ricordava nulla di quello che gli era successo. Si alzò e s’incamminò lungo la strada fino a quando un’auto, notandolo in difficoltà, si fermò e lo portò alla stazione di polizia più vicina.
Quando venne interpellato, non era lucido e non si esprimeva correttamente. Fu preso per un ubriaco: gli agenti non vollero perdere tempo e lo lasciarono andare senza approfondire la sua situazione. Llanca però ebbe un mancamento poco dopo e fu necessario condurlo in ospedale, a Bahia Blanca. Dionisio aveva gli occhi rossi e perdeva brandelli di pelle: i medici dissero che mostrava segni di esposizione a forti radiazioni. Solo il giorno dopo fu in grado di testimoniare e le sue parole vennero raccolte da alcuni giornalisti in vena di scoop. A Buenos Aires, l’articolo uscì su tutti i giornali.  

 

 

Del suo caso si interessò anche l’ufologo Fabio Zerpa, che spinse Llanca a sottoporsi a sedute con psicologi e psichiatri. Per tre anni l’uomo subì continue sedute di regressione e iniezioni del cosiddetto siero della verità (pentothal sodio) perché aveva problemi a ricordare e quando, ormai stufo, si rifiutò di continuare quei trattamenti venne addirittura internato. Finalmente fuori, decise di rifugiarsi nella sua fattoria e di non parlare più a nessuno di quella vicenda.
Zerpa proseguì le indagini per conto suo e scoprì che la notte del 28 ottobre 1973 tra le 2:00 e le 3:00 una torre ad alta tensione poco lontana da dove fu ritrovato il camion era stata danneggiata. La società che forniva elettricità alla città affermò che c’era stato un aumento insolito del consumo di energia nella zona.
Dionisio Llanca, intanto, non trovava pace: gruppi di giornalisti e ricercatori provenienti da tutto il mondo si presentarono a casa sua per intervistarlo e qualcuno riuscì anche a entrarci dalle finestre. Le molestie furono talmente fastidiose e ripetitive che Llanca decise di sparire per diversi anni, durante i quali  gli amici sparsero la voce che fosse morto.
L’otto dicembre del 2013, dopo oltre 40 anni del fatto, un giornalista del sito Lanueva.com riuscì a trovarlo in una città del sud dell’Argentina e ottenne una breve intervista.



"Se quello che è successo allora mi accadesse di nuovo non ne parlerei ad anima viva. Sono stato diffamato, sfruttato e confinato negli ospedali a causa di problemi emotivi e di salute…"
 

Queste sono state le parole che disse più volte l’uomo nell’intervista. Ad ogni modo, aggiunse qualcosa di nuovo rispetto a quello riportato da Zerba nei suoi documenti: raccontò che una volta dentro l’UFO, vide che la donna gestiva una serie di strumenti chirurgici e che forse si stava preparando a esaminarlo. Uno degli uomini, forse il pilota, si sedette di fronte a un pannello di controllo, afferrò una leva e fece decollare la navicella mentre l’altro osservava un grande pannello di vetro sul quale c’era quella che sembrava la volta stellata. Llanca disse anche che c’era un portello aperto sul pavimento con diversi tubi e cavi che vennero tirati a bordo prima della partenza.
La donna si tolse il guanto arancione della mano destra per indossarne uno nero con piccoli spuntoni metallici sul palmo, poi si avvicinò a Llanca e mentre lo esaminava, involontariamente, lo colpì sul sopracciglio sinistro creando una ferita. Ancora oggi, è visibile la cicatrice. Affermò che prima di perdere nuovamente i sensi gli alieni gli parlarono nella sua lingua e lo rassicurarono che non gli sarebbe accaduto nulla di male.
 

 

Dopo quello che ha passato, Dionisio Llanca oggi vive una vita semplice e molto riservata. Nel 1976 si ritirò nel sud del paese e rimase in contatto solo con suo fratello. Al giornalista ha ripetuto che non vuole più parlare della questione e che vuole solo essere lasciato in pace.

sabato 13 luglio 2019

BIGLINO


L’intervista esclusiva a Mauro Biglino, traduttore di antichi testi ebraici. Ne riporto solo alcuni stralci, quelli che, a mio giudizio, appaiono più significativi.
 
Chi approfondisce la storia riguardante le civiltà antiche non può non notare che i nostri antenati non erano assolutamente primitivi come noi ce li immaginiamo. Ma, anzi, per certi versi si potrebbero considerare più evoluti di noi, ai giorni nostri. Non parliamo di situazioni occulte, ma di fatti che sono sempre stati davanti agli occhi di tutti come, per esempio, della conoscenza medica avanzatissima presente sia in India che presso i Maya, dove si utilizzavano succhi di radici per curare fratture. O ancora di uno dei testi più famosi al mondo, del quale nessuno parla: il Vaimānika Śāstra. Termine che potremmo tradurre come la scienza dell’aeronautica. Testo in cui osservando degli accuratissimi schemi, al pari dei nostri manuali tecnici. C’è da chiedersi come fosse possibile che avessero una simile conoscenza.
Che dire, invece, delle discipline orientali come l’agopuntura, con la quale si facevano anestesie con il solo utilizzo degli aghi? Come mai queste tecniche solo oggi cominciano a essere, a stento, validate e riconosciute?
Come è possibile, c’è da chiedersi, che solo pochi secoli fa moltissima gente sia morta di pellagra cibandosi quasi in maniera esclusiva di farina di mais, quando i Maya e gli Incas da migliaia di anni ovviavano al problema cuocendo il mais in ambiente fortemente basico per rendere disponibile la vitamina PP presente nel cereale?
Come mai noi uomini moderni civilizzati questo non lo sapevamo?
Antico non significa affatto “primitivo”, ancor meno quando si parla dell’essere umano.
C’è un filo comune, in ogni caso, che potrebbe condurci a queste e altre domande a cui la scienza ufficiale non può rispondere. E, come sempre, la risposta è presente nelle fonti antiche. Tutte parlano e descrivono qualcuno che ritengono molto importante e vicino a loro. Li chiamano dèi. Gli dèi dell’India, della Sumeria, della Cina, dei Maya e di tutte le altre civiltà antiche sono praticamente identici. Sono “Venuti dal cielo”, sono “i nostri progenitori”, “sono coloro che ci hanno insegnato la matematica, l’astronomia eccetera”, “gli dèi alti e biondi dagli occhi chiari”. Questi particolari sono comuni a tutti, a tutti gli dèi, di tutte le popolazioni. Chi erano, dunque, questi dèi?
Erano soltanto un’invenzione di tutte le civiltà primitive?
Anche questa risposta si trova in molti reperti antichi, per esempio nelle tavolette Sumere, dove si legge che si tratta di esseri in cerca dell’oro provenienti dalla stella imperitura, ossia da Nibiru, un pianeta che ha un’orbita gigantesca che dura ben 3.600 anni terrestri. Ma la cosa che ci fa sorridere, amaramente, è che tutto questo è stato scritto, da millenni ed è sempre stato a portata di mano, nel libro tra i più sacri al mondo: la Bibbia.
Purtroppo vi sono errori di traduzione (voluti o meno non sta a me dirlo), ma per fortuna, ci sono anche bravissimi ricercatori che hanno ritradotto direttamente da fonti originali per comprendere davvero il significato della Bibbia. Uno di questi è Mauro Biglino che nel suo libro “Il dio alieno della bibbia” (Uno Editori) spiega in modo accuratissimo cosa, secondo lui, è davvero questo antico testo sacro: il racconto reale della più grande missione aliena sulla Terra. Mauro Biglino, quindi, pur percorrendo una strada diversa dalla mia è arrivato ad analoghe conclusioni. In verità, l’ha fatto ottenendo anche un certo successo: mentre io dirigo un blog, lui ha pubblicato dei libri sull’argomento, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive.
Riporto qui di seguito i tratti salienti di una sua intervista: le domande sono visibili in grassetto.
 
I testi ebraici sembrano emulare perfettamente gli antichi scritti Sumeri, eppure le loro datazioni sono estremamente diverse, a quando risalgono esattamente? 
 
Le datazioni dei vari libri anticotestamentari sono diverse e molto controverse; in sintesi possiamo dire che i papiri più antichi risalgono al 150 circa a.C. La maggior parte dell’Antico Testamento risulta comunque composta dopo l’esilio babilonese. Le Bibbie che abbiamo in casa sono redatte sulla base del Codice di Leningrado, il codice universalmente accettato con la divisione in parole e la vocalizzazione fatta dai masoreti tra il VI e il XI secolo d.C. Lo scritto che si possiede risale al 1008: questo testo costituisce il punto di riferimento per le Bibbie ufficiali.
 
Lo Yahwèh biblico, quale dio era, se rapportato ai racconti Sumeri? E il serpente tentatore, invece? Chi sembra essere, a giudicare dai racconti?
 
Non sono in grado di fare parallelismi documentati; ci sono molte ipotesi e le vicende bibliche fanno pensare a un Elohim abbastanza giovane, o quanto meno poco esperto, cui è stato assegnato un territorio di scarsa importanza. Una ipotesi lo identifica con ISHKUR, figlio dell’Anunnaki ENIL. Un’altra lo identifica con Baal ma so bene che sono solo ipotesi appunto.  
Il serpente, che ha la tana sotto terra, indicherebbe simbolicamente gli studi che vanno in profondità e la sua raffigurazione intrecciata riproduce con tutta evidenza la doppia elica del DNA.
Il serpente tentatore richiamerebbe quindi probabilmente i KASHDEIAN, il gruppo di Anunnaki (i corrispondenti sumeri degli Elohìm biblici) che si occupava delle questioni biomediche, secondo gli studi di un sumerologo del Christ College di Cambridge. Viene da pensare che si tratti dello stesso gruppo che ha prodotto gli Adàm (l’uomo) con l’ingegneria genetica e (in un secondo momento) ha reso fertile la coppia dell’Eden: questa sarebbe infatti la probabile realtà del cosiddetto “peccato originale” che è consistito nell’acquisire la capacità di riprodursi autonomamente e contro il parere dei “capi”. In contrasto con il comandante del GAN-EDEN – espressione ebraica che significa giardino recintato e protetto posto in Eden. Il responsabile del gruppo di scienziati avrebbe infatti concesso la fertilità alla coppia attribuendo loro la capacità di riprodursi. Si tratta di un tema molto complesso cui non a caso ho dedicato un capitolo intero nel libro IL DIO ALIENO DELLA BIBBIA.
Per inciso, preciso che l’ebraico GAN corrisponde al sumero accadico KHARSHAG che significa luogo recintato e protetto posto in alto. La lingua iranica ha ripreso il concetto nel termine PAIRIDAEZA, da cui deriva il greco PARADEISOS, cui fa seguito il PARADISUM latino e infine il nostro Paradiso. Come si vede il significato originale rimanda a un concetto completamente diverso da quello che la tradizione dottrinale gli ha assegnato. In quel luogo, che era con ogni probabilità il centro di comando degli Elohim, si è sviluppato quel contrasto trai vari gruppi in cui fa la comparsa il serpente biblico. 
 
 
Quello che nella Bibbia ufficiale viene tradotto come “gloria di Dio”, negli antichi testi ebraici, in realtà, si usa il termine kewod, vuole dirci che significato ha esattamente questa parola? E cosa ha a che fare con la gloria di Dio? 
 
Diciamo subito che la “gloria” (di Dio) è un concetto di non facile comprensione: ha diversi significati collegati l’uno all’altro e interdipendenti. Il termine ebraico si legge alternativamente kevòd/kebòd oppure kavòd/kabòd. Il verbo da cui deriva indica i concetti di: “essere pesante, avere peso, essere onorato, essere duro”. Tutta la descrizione degli eventi a esso legati e le conseguenze che comporta la sua vicinanza fanno pensare a una macchina volante: si muove producendo rumore e vento di tempesta. Produce fumo e fiamme visibili a distanza. Se passa vicino a una persona la uccide e Dio non può prevenire né mitigare questa azione. Quando passa può essere vista solo dal retro e non di fronte, salvo subire conseguenze irreparabili, ma se ci si protegge dietro rocce ci si salva. Queste descrizioni sono troppo precise per essere interpretate come “visioni” o come il ricordo di fenomeni atmosferici naturali (ai quali i nomadi erano sicuramente abituati), tanto meno possono essere ricondotte a una ingenua volontà di inventare una qualche forma di apparizione in grado di stupire il lettore.
Qui siamo di fronte alla presentazione di eventi straordinari cui assisteva l’intero popolo, fenomeni precisi, assolutamente nuovi per l’ordinaria esperienza di quella gente, costituiti da immagini, situazioni e suoni che, se per un attimo ci liberiamo dai pregiudizi e seguiamo liberamente il pensiero e le attuali conoscenze, sono molto facilmente riconducibili alla presenza di un “qualcosa” che si manifestava con grande potenza. Il termine kevòd in effetti identifica proprio questo: ciò che è pesante e forte.
Insomma, il concetto di gloria intesa come caratteristica spirituale e trascendente di Dio rappresentata dalla teologia, risulta decisamente poco compatibile con tutto ciò che la Bibbia racconta in modo molto concreto di questo kevòd.
 
Quelli che la bibbia ufficiale ha tradotto come “Angeli”, nei testi originali si chiamano Malachìm. Chi sono in realtà? 
 
Il termine significa “messaggeri”: le descrizioni anticotestamentarie li presentano come dei portaordini, vigilanti, controllori, esecutori, intermediari tra gli Elohim e l’uomo. La tradizione teologica li ha trasformati in creature angeliche ma non vi è alcun dubbio che nella Bibbia sono individui in carne e ossa che mangiano, bevono, dormono, camminano. Si sporcano e si devono lavare. Possono essere aggrediti e si devono difendere. Vivono in accampamenti. Il vocabolo è chiaramente un termine funzionale per cui non so dire con esattezza se appartenessero a una tipologia diversa rispetto agli Elohìm o se costituissero un semplicemente particolare grado all’interno della gerarchia militare di quella razza. Certo è che non erano assolutamente creature spirituali. Va anche detto che incontrarli non era considerato un piacere ma, al contrario, poteva costituire un rischio, compreso anche quello di morire.
 
 
I Cherubini (kerubim), invece, sono sempre “angeli” o sono tutta un’altra cosa?
 
Due sono i capitoli che ho dedicato alla questione sensibilissima dei cherubini: posso dire che mentre i malakìm erano degli individui, tutti i passi biblici ci presentano i cherubini come oggetti meccanici. In sintesi ecco le caratteristiche che emergono dall’Antico Testamento: intanto diciamo subito che a loro non ci si rivolge, non prendono decisioni autonome, non hanno alcun rapporto con gli uomini, non parlano. Non hanno quindi nessuna delle caratteristiche tipiche degli individui dotati di una personalità propria.
Al contrario, sono oggetto di descrizioni che ne rivelano la meccanicità: sono dotati di lame/cerchi fiammeggianti che ruotano rapidamente. Sono rappresentati come aventi dimensioni notevoli. Quando non si muovono autonomamente possono (devono?) essere trasportati con un carro realizzato appositamente. Hanno ruote che possono procedere in tutte le direzioni senza girarsi, rimanendo sempre strutturalmente unite all’insieme dell’oggetto volante (kevòd) e hanno una parte centrale circolare che ruota/turbina rapidamente. Quando sono collegati al carro di Yahwèh hanno sotto di loro uno spazio nel quale può passare almeno una persona. Sono dotati di strutture che coprono e proteggono quando sono chiuse, mentre quando sono aperte servono per il volo. Nel muoversi producono un rumore udibile a distanza. Sono un “qualcosa” su cui l’Elohìm si posa, siede, staziona, si pone a cavalcioni e vola. Si muovono uniti al [kevòd, ruàch] dell’Elohìm ma anche in modo indipendente. Insomma, pare proprio che non avessero nulla a che vedere con le eteree figure angeliche della tradizione dottrinale.
 
 
La Bibbia ci dice che Dio (Elhoìm) muore come tutti gli altri uomini, nonostante abbia una vita molto più lunga della nostra. C’è qualcosa di sbagliato oppure l’Elhoìm non è il Dio spirituale che intendiamo noi? 
 
Il Salmo 82 è chiaro in questo senso: gli Elohìm muoiono come tutti gli Adam, cioè come ognuno di noi. La dottrina tradizionale non può ovviamente accettare questa affermazione per cui sostiene che nel Salmo 82 il termine Elohìm stranamente non significa più Dio ma ”giudici”. Per quanto concerne la seconda parte della domanda direi che tutto l’Antico Testamento lo è: Dio non è presente in quel libro. E per giungere a questa conclusione non è necessario accedere a traduzioni particolari: è sufficiente leggere molto attentamente la Bibbia che abbiamo in casa. La studiosa ebrea Lia bat Adam scrive chiaramente che la Bibbia non è un libro che si occupa di religione ma un testo di storia che riporta “solo fatti umani” e che Yahwèh non si presenta come il creatore dell’universo ma unicamente come “liberatore, giudice, condottiero e sponsor” di un popolo. Nei codici biblici ci possono essere differenze interpretative dovute alle difficoltà insiste nelle lingue antiche ma il concetto di fondo è, a mio parere indubitabile, che l’Antico Testamento non parla di Dio e non voleva neppure farlo. Per questo la Bibbia non si fa scrupolo di affermare che gli Elohìm muoiono.
 
 
 
Nel libro di Neil Freer, “The god games” si legge: “I re erano improvvisamente descritti nelle sculture in piedi come nel passato davanti a una sedia vuota dove usualmente sedeva il maestro-dio. I loro lamenti erano scritti sulle tavolette - Cosa farò adesso che il mio maestro-dio non è più qua ad istruirmi…cosa dirò al popolo ? - osservando il cielo in attesa di un ritorno, il servizio di ristorazione alla tavola del Maestro/dio si tramutò in vuoto rituale di offerta di cibo, gradatamente i vari servizi di routine divennero rituali tipo la cosiddetta cargo-cultura, mentre i loro palazzi si tramutarono in vuoti templi, mentre coloro i quali erano stati istruiti dai vari maestri/dèi, vedendo che le conoscenze di tecnologia, scrittura, scienza, astronomia, metallurgia venivano dimenticate, decisero di preservarle in gruppi ristretti ”.
Perché, secondo lei, improvvisamente, gli dèi ci lasciarono? Ci sono racconti dove viene spiegato il motivo di questa loro “fuga improvvisa”?
 
Nella Bibbia non ci sono indicazioni che consentano di formulare ipotesi dotate di un minimo di fondamento. Prendo allora una indicazione dallo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio che nel suo libro Guerra Giudaica scrive così:
 
  • Libro VI:296 - Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a credere;
  • Libro VI:297 - E in realtà, io credo che quanto sto per raccontare potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, dall’altra la conferma delle sventure che seguirono;
  • Libro VI:298 - Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste;
  • Libro VI:299 - I sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: “Da questo luogo noi ce ne andiamo”.
 
Chissà. Forse se ne sono andati nel 68 d.C.
Trattandosi di colonizzatori hanno mantenuto il comportamento che ci si attenderebbe: venuto meno il motivo per il quale erano qui, cessato l’interesse o terminate le operazioni programmate, hanno lasciato il campo.
Nell’Antico Testamento non ci sono neppure indicazioni su possibili ritorni.

giovedì 11 luglio 2019

LE PORTE DEL TEMPO


Era il 15 giugno 1950. Alle ore 21:10 a New York in piazza Times Square l’ultima rappresentazione teatrale era appena terminata. Gli spettatori che uscivano dal teatro si immettevano nella piazza, mescolandosi alla folla dei passanti. Ad un tratto un’auto frenò all’improvviso attirando l’attenzione dei passanti: c’era appena stato un incidente e un uomo era stato investito.
L’autista scese dalla macchina e in mezzo alla folla tentò di giustificarsi con tono di voce sconvolto dicendo che “quel tizio” gli era sbucato davanti all’improvviso e lui non era riuscito a frenare in tempo. A terra, riverso a pancia in giù, c’era un uomo dall’apparente età di trent’anni, vestito in modo alquanto antiquato: pantaloni elasticizzati, scarpe lucide e nere con tacco rialzato e una grossa fibbia lucente, camicia con lo chabot, lunga finanziera nera e un ampio cappello a tesa. Il tutto di ottima fattura e perfettamente in ordine. Un abbigliamento in gran voga nell’ottocento.
Arrivò la polizia per gli accertamenti del caso, vennero interpellati i testimoni e il cadavere venne portato via. All’obitorio vennero esaminati gli effetti personali della vittima: nel suo portafogli vennero rinvenuti dei biglietti da visita intestati a un certo Rudolf Fenz e alcune ricevute intestate e rilasciate allo stesso nominativo, per la somma pagata per la manutenzione di una carrozza a cavalli, alcune banconote (dollari), ormai fuori corso e una lettera, indirizzata sempre a Rudolf Fenz. Il bollo postale, sulla busta, era del giugno 1876!
 

Passarono i giorni e nessuno si presentò per reclamare la salma, così il caso fu passato al dipartimento “persone scomparse” della polizia.
L’ispettore Hubert V. Rihn iniziò le sue indagini sulla guida telefonica di New York ma non trovò alcun Rudolf Fenz. Trovò però, su una guida del 1939, un Rudolf Fenz Jr. Segnò l’indirizzo e decise di investigare personalmente. Giunto sul luogo lo accolse la vedova Fenz, una gentile e minuta settantenne, che con malcelato stupore gli chiese il motivo della visita. Rihn gli spiegò dell’incidente di Times Square e che era venuto a constatare se si trattasse del marito della donna. Lei, con un amaro sorriso sul volto, gli spiegò che il marito, ex funzionario di banca, era ormai morto da tempo e non poteva di certo essere la persona morta nell’incidente. E non poteva trattarsi neanche del suocero, Rudolf Fenz Sr., non solo per l’età che avrebbe dovuto avere, ma anche perché era scomparso in circostanze misteriose nella primavera del 1876. Sua moglie, buonanima, non sopportava il fumo, così Fenz Sr. quella sera era uscito per farsi una fumata in santa pace. Nessuno lo vide più.
Di lui non si ebbero più notizie. La moglie sporse denuncia, ma le indagini della polizia non approdarono a nulla.
L’ispettore Rihn, perplesso, si congedò dalla vedova Fenz e decise di verificare le parole della donna. Andò all’archivio a consultare la lista delle denunce di persone scomparse nel 1876 e scoprì che nell’elenco compariva effettivamente il nome di Rudolf Fenz di anni 29.
Al momento della scomparsa, come testimoniato dalla moglie e messo agli atti, l’uomo indossava una lunga finanziera nera, scarpe, anch’esse nere, con la fibbia e un cappello a tesa.
Era dunque lui l’uomo rimasto ucciso nell’incidente in Times Square in quella notte di giugno del 1950? Rudolf Fenz Sr. era uscito di casa per fumarsi il suo sigaro senza dover subire i rimbrotti della moglie, prevedendo di ritornare presto, tanto da portarsi dietro una lettera ricevuta il giorno stesso e fra un passo e l’altro, era finito in un altro tempo, solo per morire sotto le ruote di un automobilista incolpevole?
Nessuno conosce la risposta a questa domanda. Il caso di Rudolf Fenz, a più di sessant’anni dal fatto, è tuttora insoluto. Ma gli interrogativi, inquietanti che propone restano: è concepibile che si possa, consapevolmente o meno, attraversare fisicamente la barriera del tempo?
Casi simili (cfr. L'aviatore) ci porterebbero a ipotizzare l’esistenza di “porte temporali”, fenomeni estremamente rari, seppur naturali, in cui chiunque potrebbe incappare.

lunedì 8 luglio 2019

IL CASO SCALENGHE


Gli amanti dell’insolito conosceranno, anche solo per sentito dire, il Monte Musinè, la montagna più vicina a Torino. La montagna è al centro di molti miti locali, avvistamenti UFO e attività paranormali che più volte vengono illustrati anche su giornali nazionali.
Uno degli eventi più clamorosi avvenuti nei pressi del Monte Musinè risale all’otto dicembre 1978 quando ai piedi della montagna due giovani escursionisti avvistarono una sfera scura, fluttuante, di circa due metri di diametro dal cui interno proveniva una intensa luce bianca. Uno dei due, incuriosito, si avvicinò alla sfera e nel giro di pochi istanti scomparve letteralmente nel nulla, così come la sfera stessa.
Il suo compagno, allarmato, scese di corsa alla base del percorso e contattò di altri escursionisti, che si prodigarono nella ricerca dell’amico scomparso. Un gruppo di 14 persone pattugliò la zona indicata al momento della scomparsa e ripercorsero i sentieri più volte senza mai notare nulla di strano. Alle 04:00 durante l’ennesima battuta, proprio lungo un sentiero ripassato decine di volte, si ebbe il ritrovamento del ragazzo scomparso. Venne trovato seduto, a cavalcioni di un masso, in stato di shock e con un’evidente bruciatura su una gamba. Ci vollero diverse ore prima che si riprendesse da quello stato di torpore.
Quando si riprese disse che dalla sfera erano usciti due esseri umanoidi che lo presero sollevandolo per poi condurlo su un’astronave invisibile che stazionava sopra la cima del monte. Descrisse i suoi rapitori come umani deformi dal torso largo e le gambe sottili. Erano alti più di due metri, con una testa sproporzionata e dal volto sporgente come quello dei roditori. Avevano occhi grandi e perfettamente rotondi e dalla bocca spuntavano due canini, come quelli dei lupi.

 

 

Una descrizione simile venne riportata dal protagonista dell’incontro ravvicinato di Scalenghe, a meno di 30 km di distanza dal Monte Musinè.
Il 29 giugno del 2005 un contadino della zona si alzò verso le 04:00 per andare a controllare che giungesse l’acqua nel canale di irrigazione di uno dei suoi campi (spesso i contadini ricevono le deviazioni di acqua durante la notte). Verso le 04:30 già pedalava, in sella alla sua bicicletta, nei pressi del suo campo. Era estate e la luce era sufficiente a vedere in lontananza, pur essendo ancora notte. Il cielo era sereno e l’alba sarebbe giunta da lì a poco. Costeggiando il suo ampio campo di grano si fermava di tanto in tanto a controllare i vari chiusini che dirigevano l’acqua in concessione. Ad un certo punto, in un campo attiguo mietuto da poco, vide una sagoma scura inginocchiata a terra e pensando che si trattasse di una persona del luogo si fermò e richiamò la sua attenzione per salutarlo. Al suo richiamo la figura si accorse di lui e si alzò in piedi a fissarlo. Il contadino si fermò sotto un lampione e a sua volta lo fissò cercando di capire chi fosse, ma ben presto si accorse delle sue strane fattezze. L’individuo che lo fissava, pur assomigliando a un essere umano, aveva le spalle molto più larghe ed era alto circa due metri. Anche la testa, pur nell’oscurità, sembrava decisamente più grande del normale: come un’anguria. Il contadino rimase interdetto mentre la figura avanzò lentamente nella sua direzione, muovendosi su due gambe estremamente sottili. Quando giunse a distanza sufficiente il contadino riuscì a intravederne la faccia o meglio il suo muso, che sembrava quello di un enorme topo. Gli occhi erano grandi, neri, lucidi e rotondi e le sue orecchie erano lunghe e a punta. La creatura era di colore grigio scuro, anche se il contadino nella sua testimonianza riferì di non aver capito se si trattasse di pelo o di una tuta aderente. Alle sue spalle c’era una sfera nerastra grande circa due metri che fluttuava a qualche centimetro da terra e dal centro veniva emanata una luce rotonda molto intensa, come quella di una torcia elettrica. La creatura continuò ad avanzare nella direzione del contadino, che preso dalla paura iniziò a pedalare con tutta la forza che aveva nelle gambe per scappare via. Mentre scappava volse più volte lo sguardo alle sue spalle, ma l’umanoide e la sfera si erano dileguati nell’oscurità. Nella concitazione del momento l’uomo non riuscì a capire se quell’essere se n’era andato a piedi o se era entrato nella sfera per alzarsi in volo. Tornò a casa velocemente e visibilmente scosso, raccontò ciò che aveva visto hai familiari che decisero di uscire per verificare il suo racconto.
Nessuno di loro notò nulla di strano nel campo, ma il giorno dopo furono trovate delle bruciature sul terreno che formavano un cerchio largo circo un metro e mezzo e nei giorni a seguire anche altri contadini della zona dissero di aver visto strane luci nei loro campi.
Diversi cittadini della zona, negli ultimi anni, hanno segnalato svariati incontri del terzo tipo in provincia di Torino. Molti testimoni sono convinti che “queste creature” non siano aggressive e per quanto ne sappiamo, non hanno mai fatto del male a nessuno. Spesso si avvicinano alle abitazioni e agli animali da fattoria, ma scappano non appena sentono abbaiare un cane o vedono una luce accendersi.

domenica 7 luglio 2019

JAMES WORSON: L’UOMO SCOMPARSO NEL NULLA


Oggi vi parlerò di un caso ampiamente documentato e tutto sommato, abbastanza recente: avvenne nel 1873 in presenza di una decina di testimoni fu riportato sui giornali del tempo e successivamente, in diversi libri.
La mattina del 3 settembre 1873 James Worson, un calzolaio di Leamington, stava facendo la sua solita corsetta mattutina. Si vantava sempre della sua resistenza fisica, così due suoi amici: Barham Wise, un mercante di stoffe e Hamerson Burns, un fotografo, lo sfidarono a raggiungere la città di Coventry, lontana circa 20 km e a tornare indietro senza mai fermarsi. Worson, con un pizzico di arroganza, accettò la sfida e quel giorno non aprì l’attività per mettersi in marcia lungo la strada principale. Era seguito dai suoi amici che si avvalsero di un carro trainato da un cavallo. Burns portò con se la sua macchina fotografica in modo da immortalare l’impresa all’arrivo e fargli in qualche modo un po’ di pubblicità al ritorno in città. Worson effettivamente aveva il fisico di atleta e nonostante non fosse un podista, era piuttosto allenato e i primi chilometri li resse perfettamente, addirittura chiacchierando e scherzando con i suoi amici. Lungo la strada transitavano altri carri: mercanti e comuni viaggiatori si spostavano tra le due città. A circa cinque Km da Coventry, Worson sembrò inciampare in qualcosa di invisibile, al punto che fu visto cadere in avanti, emettere un terribile urlo e poi scomparire. Non cadde a terra: scomparve prima di toccare il suolo, senza lasciare alcuna traccia. Worson sparì nel nulla!
Fu un cosa improvvisa che durò giusto qualche secondo, forse una decina in tutto:  la gente, incredula, si fermò e bloccò la strada. Il punto dove Worson era scomparso si affollò di curiosi e l’evento iniziò a rimbalzare sulla bocca di tutti. Burns e Wise rimasero oltre un’ora sul luogo della scomparsa e ci fu gente che iniziò a cercare nei campi, ma l’uomo non fu mai ritrovato.
 

Quello straordinario evento finì sui giornali e raggiunse perfino Londra: nel giro di un mesetto tutto il Regno Unito venne a conoscenza dell’accaduto e l’opinione pubblica si divise sulla questione. Molti rifiutavano di accettare la storia, credendola inventata; ciò però non spiegava l’effettiva scomparsa di Worson. Qualcuno, allora, avanzò l’idea che Worson fosse stato ucciso e seppellito dagli amici dopo un litigio, ma l’ipotesi era smentita dalle numerose testimonianze. Si pensò allora che i tre fossero ubriachi e che Worson si fosse allontanato dalla strada per morire in qualche corso d’acqua nelle vicinanze, senza che i suoi amici se ne accorgessero; anche in quel caso, molta gente affermò, invece, di aver visto sparire l’uomo dalla strada e la cosa non poteva essere ignorata.
La vicenda venne ripresa dallo scrittore Ambrose Bierce, che la pubblicò in un libro del 1893 e poi di nuovo nei suoi 12 volumi “Collected Works” nel 1909.
Se solo una ipotesi razionale avesse portato a qualcosa questa vicenda non sarebbe finita sul mio blog. Ovviamente di teorie ne sono state formulate parecchie, anche di fantasiose. Per quanto mi riguarda, non posso fare a meno di notare delle somiglianze con tanti altri casi.
L’uomo di Taured (Cfr. Taured: dov'è?) per esempio, che nel 1954 giunse all’aeroporto di Tokyo da una nazione che non esiste sulle mappe, per poi scomparire misteriosamente.
 
 

Alla luce di moltissimi altri fatti inspiegabili si può avallare la possibilità che esistano dei buchi temporanei nel tessuto spazio-tempo che porterebbero in altre dimensioni. Può sembrare fantasioso pensare a queste cose in termini reali, ma quando persone come Stephen Hawking parlano di spazio extra-dimensionale, riferendosi a dimensioni matematiche oltre la nostra concezione tridimensionale, qualcosa dovrebbe farci venire almeno il dubbio. In fondo noi conosciamo solo 3 direzioni in cui possiamo viaggiare, (altezza, larghezza e profondità) e il tempo, ma la matematica ci dice che ce ne sono dieci! Dieci dimensioni, che noi non riusciamo a concepire, ma che si possono ben rappresentare (Cfr. Svaniti nel nulla).

venerdì 5 luglio 2019

E.B.A.N.I. - Entità Biologica Aerea Non Identificata


Cosa sono gli UFO? Sono oggetti di cui non riusciamo a comprenderne la natura (oggetti volanti non identificati, appunto). Sinceramente non posso affermare che esistano astronavi provenienti da altri mondi, ma so per certo che gli UFO, nel senso letterale della parola, esistono; anche perché, nonostante negli ultimi anni si stia studiando, con la massima attenzione, la composizione dei vari strati dell’atmosfera, ancora non conosciamo tutto quello che vive al loro interno.
A prima lettura questa ultima frase può sembrare insensata, ma è indubbio che se gli organismi viventi popolano la terra e il mare potrebbero, a maggior ragione, risiedere anche in cielo; magari in modo stabile, sfruttando le correnti atmosferiche. Alcuni li conosciamo benissimo: ragni e insetti che si fanno trascinare dal vento, batteri e microrganismi che rimangono in sospensione dopo tempeste o forti venti, spore, larve e uova di insetti, trovate addirittura ai limiti estremi della nostra atmosfera. Altri, invece, sono ancora in fase di identificazione e c’è chi afferma che si tratta di esseri viventi anche di grandi dimensioni.
Oggi si usa chiamare queste forme di vita ancora sconosciute “Zeroids”, un termine dato dall’ufologo Dr. Franklin Ruehl a misteriose creature avvistate negli strati più esterni della nostra atmosfera e che molti astronauti affermano di aver visto, durante le loro missioni, nello spazio esterno. In realtà hanno anche un nome scientifico: EBANI, cioè Entità Biologica Aerea Non Identificata.
 

Di “animali” spaziali se ne parla nel mio libro “SENZA TEMPO”, ma e soprattutto, in un antichissimo testo apocrifo “IL LIBRO DI ENOCH”. In quest’ultimo testo vengono descritte le “Coccodre” animali che abitano lo spazio profondo. Il nome suggerisce che, come i coccodrilli, possano sottrarsi alla vista dell’osservatore per poi affiorare alla bisogna, come se emergessero dall’acqua. Per coloro che storcessero il naso leggendo questo paragrafo, voglio ricordare che questo libro, in tempi remoti, era contemplato nella BIBBIA.
Gli Zeroids, quindi, sono creature sconosciute (finora sono stati studiati solo tramite strumenti ottici) che “potrebbero” abitare i remoti recessi dello spazio interstellare. Queste creature riuscirebbero a  sopravvivere a temperatura e pressione atmosferica quasi pari a zero (e per zero, intendiamo lo zero assoluto) il che fa scuotere il capo agli scettici poiché certe condizioni non permetterebbero la vita, almeno non così come la conosciamo. Ma a sostegno dei biologi che avvallano la loro esistenza intervengono recenti scoperte davvero sorprendenti, come gli organismi estremofili (per lo più batteri in grado di vivere in condizioni estreme) e i famosi tardigradi, capaci perfino di sopravvivere alcuni giorni nel vuoto cosmico.
Vitalii Iosifovich Goldanskii, professore l’Accademia delle Scienza della Russia, sin dal 1997 sostiene la possibilità che apprezzabili quantità di materiale prebiotico possano accumularsi ai bordi delle nebulose o nelle gigantesche nubi di gas che stazionano nell’Universo. Secondo il suo pensiero, con il passare del tempo questo materiale, per le stesse leggi che hanno consentito la nascita della vita sul nostro pianeta, potrebbe essersi evoluto in qualche forma di vita, adattandosi a condizioni di vita estreme come quelle dello spazio profondo. A sostegno della sua teoria grazie ai telescopi e a diverse missioni della stazione internazionale sappiamo che esistono composti organici nello spazio (formaldeidi, acido cianidrico e addirittura la cellulosa) e che questi sono presenti anche in altri sistemi stellari. In poche parole la teoria porta alla conclusione che là fuori, nello spazio profondo, ci sarebbe un’abbondanza di elementi organici tali da consentire l’evoluzione della vita anche nella forma di Zeroids. Considerando che il nostro Universo ha un’età di quasi 14 miliardi di anni si può addirittura pensare che gli Zeroids siano state le prime forme di vita apparse nel cosmo e che nel tempo, attraverso diversi stadi evolutivi, si siano sviluppati in unità biologiche microscopiche ed abbiano colonizzato perfino il nostro pianeta, dando inizio alla vita così come la conosciamo.
 

Ruehl, in un articolo pubblicato sul The Huffington Post nel 2012, ipotizza che gli Zeroids possano essere migrati in tutti i settori dello spazio e che probabilmente siano dotati di una forma di intelligenza primitiva che oggi li porterebbe a stazionare nei nostri cieli dove troverebbero il loro nutrimento. Questi esseri, che possono vivere come piccoli esseri singoli o in enormi colonie, vagherebbero nello spazio alla ricerca di cibo e “brucherebbero” l’atmosfera dei pianeti, compresa la nostra. Spingendosi oltre, ipotizza che potrebbero aver sviluppato la capacità di attraversare tranquillamente la nostra atmosfera in cerca di cibo e che alcuni di essi, scendendo a bassa quota, siano visibili ad occhio nudo e vengono avvistati come UFO. La maggior parte degli avvistamenti di queste enigmatiche forme viene effettuata in Messico, (grazie all’attivissimo gruppo di ricercatori chiamati “Vigilantes”), ma sono molti gli avvistamenti anche in Canada, Regno Unito e USA. Avvistamenti di Zeroids sono stati effettuati anche da satelliti e stazioni orbitanti intorno alla Terra, che li hanno descritti come misteriose sfere di luce o oggetti allungati che danno l’impressione di essere “vivi” perché pulsano o ondeggiano come dei vermi.

giovedì 4 luglio 2019

I SEGRETI DELLE FATE


I cosiddetti “cerchi delle fate” sono, in realtà, un cerchio di funghi, a cui spesso si aggiungono, qua e là, piccole pietre ed erba ingiallita; il tutto disposto, a effetto, in forma circolare. Si possono vedere nei boschi. Si dice che questi cerchi si formano nei luoghi in cui il Piccolo Popolo si raduna nelle notti di plenilunio e si intrattiene in una tipica danza del cerchio. Si dice anche che non bisogna mai attardarsi in questi luoghi dopo il tramonto perché potreste essere trascinati dalle melodie suonate dalle fate che, per l’occasione, assumeranno le fattezze più incantevoli.



Il Regno delle Fate (Fairyland come lo chiamano in Inghilterra) è parte del folclore di molti paesi, ma nel Regno Unito se ne ha quasi un culto. Oggi si ritiene che non possa esistere un mondo sotterraneo popolato da elfi, gnomi o folletti e che racconti del genere siano frutto di antiche leggende popolari, riprese dalla fervida fantasia degli scrittori. A questo punto, penserete che vi stia rifilando una leggenda, ma non è proprio così. Chi mi segue, ricorderà di un caso in cui il cadavere di uno gnomo fu effettivamente ritrovato (Cfr. Lo gnomo), casualmente, da due cercatori d’oro che, con la dinamite, fecero saltare le parete rocciosa di una montagna. Misero così in luce una grotta in cui fu rinvenuto un piccolo corpo mummificato. L’esame dei resti sentenziò che, a parte la statura, si trattava di un individuo adulto. Come avesse fatto quell’esserino a entrare in un antro sigillato, nessuno seppe dirlo.
Più volte, nel corso dei secoli, sono state avvistate creature molto bizzarre che potremmo assimilare al Piccolo Popolo. Una delle vicende forse più interessanti fu quella in cui rimase coinvolto il pastore di una piccola comunità scozzese, alla fine del 1600.

Il reverendo Robert Kirk, pastore di Aberfoyle, nelle Highlands scozzesi, era un uomo conosciuto e ben voluto da tutta la comunità e tutti ne avevano un tale rispetto che, spesso, lo seguivano nelle sue passeggiate nei boschi fin sulla collina poco distante, dalla quale l’uomo era solito ammirare il tramonto. Tra il 1690 e il 1692 Kirk affermò più volte che, proprio su quel colle, spesso si intratteneva con le fate. Bellissime creature alate alte circa 20-30 cm dalle sembianze di bambine e fanciulle. Qualcuno a sentire quei racconti, storceva il naso, ma era pur sempre un pastore ed erano in molti a credere che ci fosse del vero nelle sue parole.
Il 5 maggio 1692 il reverendo se stava seduto su tronco a parlottare con alcuni contadini che, come lui, amavano salire sull’altura prima di tornare a casa. Ciò che raccontarono quei contadini al loro ritorno allarmò l’intera comunità di Aberfoyle. I testimoni affermarono che il reverendo fu attratto da un rumore in mezzo agli alberi e quindi disse loro di attenderlo mentre andava a controllare di cosa si trattasse. Passati alcuni minuti, non vedendolo ritornare, andarono a cercarlo, ma tutto ciò che trovarono fu il suo breviario al centro di un cerchio fungino. Le ricerche di Kirk andarono avanti per molti giorni e tutti contribuirono a setacciare la zona, ma non ci fu nulla da fare. Il 14 maggio fu dichiarato morto. Fu organizzato il suo funerale nella sua stessa chiesa e fu simbolicamente tumulato nel piccolo cimitero sul retro.
Suo cugino Graham Duchray, era uno di quelli che dedicarono più tempo alla sua ricerca e che, per tutto quel tempo, non smise mai di pattugliare il bosco, neanche di notte. Alcuni giorni dopo il funerale, Robert Kirk apparve a un parente con un messaggio per Duchray:



“Dì a Duchray che io non sono morto, ma sono prigioniero nel Regno delle Fate. Potrò tornare a mostrarmi solo una volta e lo farò in canonica quando verrà battezzato suo figlio, in modo che lui possa aiutarmi. Digli che quando sarò visibile dovrà lanciarmi un coltello sopra la testa per rompere l’incantesimo.”


In effetti, circa tre mesi dopo quell’apparizione, la gente di Aberfoyle si ritrovò nella chiesetta per il battesimo del bambino e come promesso, il reverendo Robert Kirk apparve davanti gli occhi sbarrati di tutti. Suo cugino però era troppo sbalordito: paralizzato dallo spavento, non riuscì ad agire e Kirk, pochi istanti dopo, svanì e non lo si vide mai più.
Questa storia fu messa per iscritto solo nel 1812 ma, dopo oltre un secolo, la gente di Aberfoyle era ancora convinta che Kirk non fosse morto, che si trovasse nel Regno delle Fate. Correva voce che il prete fu rapito dalle fate perché era ormai in grado di rivelare i segreti del loro mondo. In effetti Kirk stava effettivamente scrivendo un libro: “La comunità segreta degli elfi, dei fauni e delle fate”. Che rimase incompiuto.
Siamo alla soglia degli anni venti del ventunesimo secolo e di questa storia, quasi nessuno parla più, ma fino agli anni ’50 del secolo scorso, se chiedevate a un anziano del posto della vicenda del reverendo scomparso, vi avrebbe raccontato di Robert Kirk che, svelando la presenza delle fate, aveva infranto un tabù imposto agli esseri umani.