La criptozoologia fu fondata da Bernard Heuvelmans
(Le Havre 1916 - Parigi 2001) dottore in zoologia presso la Libera Università
di Bruxelles.
Con questo termine lui intendeva indicare quella
ricerca sistematica di animali ancora sconosciuti di cui la scienza ufficiale
non teneva conto e presso la quale questa ricerca non godeva di una buona
reputazione.
Ma anche la scienza ufficiale ha le sue pecche. Tra
tutti i casi di debacle assoluta delle cosiddette “certezze scientifiche” Heuvelmans
amava citare in particolare la scoperta, avvenuta in Australia nel 1805, di un
mammifero simile alla lontra ma con le zampe ed il becco d’anatra. Poiché
inizialmente era giunta alla Società Zoologica di Londra soltanto la pelle di
questo animale, imbalsamato, tutti pensarono ad uno scherzo dei soliti burloni
ed abili falsificatori. Oltretutto seguirono voci, sempre provenienti
dall’Australia, secondo cui quel mammifero deponeva le uova ed allattava i piccoli
appena usciti dal guscio: era troppo! Buttata così la cosa, neanche l’evidenza
avrebbe potuto far ricredere i custodi della tradizione scientifica su come
stavano in realtà le cose. Dovettero passare infatti 67 anni prima che la scienza
riuscisse a trovare la serenità d’animo e la lucidità necessaria per accogliere
nel suo seno l’evidenza che l’ornitorinco esiste!
Proprio per evitare di cadere in convinzioni
sbagliate, o giungere a conclusioni generiche, Heuvelmans invocava estrema
cautela nella ricerca degli animali sconosciuti o arbitrariamente ritenuti
estinti poiché, per quanto abbiamo detto, non si può escludere a priori che i
plesiosauri, ritenuti estinti da 65 milioni di anni, siano in realtà ancora
vivi.
Da un punto di vista prettamente scientifico,
l'Africa è un autentico paradiso per i criptozoologi: questa meravigliosa
terra, infatti, è una delle poche sul nostro pianeta che non ha subito le
glaciazioni quaternarie: questa condizione potrebbe aver reso possibile la
sopravvivenza di animali del passato estintisi negli altri continenti. Sul
Continente Nero, inoltre, sono ancora presenti intricatissime foreste che
potrebbero dar rifugio anche ad animali di grossa taglia.
Agli inizi del ‘900, infatti, in una foresta nella
regione dell’Ituri, un territorio nel nord della Repubblica Democratica del
Congo, l’uomo bianco avvistò per la prima volta quello che le tribù pigmee
chiamavano da sempre Okapi, cioè un antenato della giraffa ritenuto estinto da
35 milioni di anni (dall’epoca dell’Oligocene) e indicato adesso col nome
scientifico di Okapia johnstoni.
Sarebbe plausibile, quindi, poter scorgere, negli
stessi luoghi, anche il Mokele Mbembe, una gigantesca creatura che, dalle
descrizioni della popolazione locale, sembrerebbe molto simile a un diplodoco,
un dinosauro erbivoro.
I primi resoconti furono forniti dallo zoologo
James H. Powell che, mentre era intento a studiare i coccodrilli in Gabon, ebbe
l'occasione di raccogliere molte testimonianze, da parte degli indigeni, circa
un grande animale che si nasconde nelle acque più inaccessibili della jungla.
Powell, incuriosito da questi racconti, decise di parlare con lo stregone di un
villaggio sul fiume Ogovè, il quale gli disse che N'yamala (così veniva
chiamata dagli indigeni di quel villaggio) era ghiotta dei frutti di una pianta
chiamata 'cioccolato della jungla' che cresce sulle sponde dei corsi d’acqua.
Lo zoologo mostrò allo stregone alcune foto di diversi animali come ippopotami
ed elefanti, poi gli mostrò il disegno di un diplodoco e lo stregone lo
riconobbe subito come la loro creatura sacra. In altre zone la creatura viene
chiamata Mokéle Mbembe che tradotto significa letteralmente "Colui che
ostacola il flusso dei fiumi" riferito probabilmente alla sua enorme mole.
Dai dati raccolti, questa misteriosa creatura
sembrerebbe abitare le paludi del Likouala, un territorio estremamente vasto,
fatto di foreste paludose a circa 800 chilometri dalla capitale del Congo,
Brazzaville. La prima descrizione di questo animale, ci giunge dal lontano
passato ad opera di un missionario francese, Lievain Bonaventure Poyart che,
nel 1776, descrisse per la prima volta l'animale definendolo un ibrido fra un
elefante, un leone e un ippopotamo, con un collo da giraffa e una lunga coda da
serpente, le cui impronte misuravano 3 piedi (circa un metro).
Nel corso degli anni si sono avvicendate numerose
testimonianze soprattutto da parte di esploratori. La zona del lago Tele, in
Camerun, fu oggetto di parecchie spedizioni americane alla ricerca del Mokele
Mbembe. Nel 1909, durante una spedizione alla quale prese parte il naturalista
Carl Hagenbeck e il tedesco Hans Schomburgh, vennero raccolte molte
testimonianze su un mostro metà elefante e metà drago. Nel 1913 vi fu un'altra
spedizione ad opera del capitano Freiher von Stein zu Lausnitz che, recatosi in
Africa per tracciare mappe dettagliate del Camerun e del Congo (all'epoca
province tedesche), avvistò il Mokele Mbembe. Venne descritto come un animale
poco più grande di un ippopotamo, con la pelle grigiastra e levigata che
abitava le aree vicine ai fiumi Sangha, Ubangi e Ikelemba. Il manoscritto di
von Stein recita: «Le descrizioni
generali dei nativi convergono tutte su di un unico modello: l'animale è di
colore bruno-grigiastro e possiede una pelle liscia, le sue dimensioni sono
quelle di un elefante o perlomeno di un ippopotamo. Si dice che abbia un collo
lungo e flessibile ed un solo dente, ma molto grande, alcuni dicono che si
tratta di un corno. Alcuni parlano di una lunga coda muscolosa simile a quella
dei coccodrilli. Le canoe che attraversano il suo territorio sono destinate ad
affondare, l'animale attacca le imbarcazioni e ne uccide l'equipaggio, ma senza
divorarne i corpi. Si dice che viva nelle grotte e che salga sulla riva in
cerca di cibo, la sua dieta è completamente vegetale. Il suo cibo preferito mi
fu mostrato, era una sorta di liana dotata di grandi fiori bianchi, una linfa
lattiginosa ed un frutto simile per forma ad una mela che gli indigeni chiamano
Malabo»
Nel 1920 venne organizzata una spedizione da parte
dello Smithsonian Institute; dopo sei giorni le guide africane trovarono delle
enormi impronte sulla sponda di un fiume e udirono strani ruggiti non
assimilabili ad alcun animale conosciuto. Nel 1932 Ivan Sanderson, un
criptozoologo americano, trovò delle tracce simili a quelle lasciate da un
ippopotamo, in una zona dove non vivevano questi pachidermi: gli indigeni le
identificarono come quelle del 'mgbulu-eM'bembe'.
Nel 1980 Powell, insieme al criptozoologo Roy P.
Mackal, docente all'università di Chicago, guidò una nuova spedizione nei pressi
del lago Tele. I due scienziati raccolsero numerose testimonianze nei pressi
del fiume Likouala e anche se non trovarono il Mokele Mbembe, riuscirono a
mettere insieme una descrizione abbastanza accurata e trovarono molti indizi,
come strane impronte, solchi e passaggi nella vegetazione non attribuibili ad
animali conosciuti. L'animale grazie al lungo collo, raccontano gli indigeni,
sarebbe capace di raccogliere i frutti sulle sponde del fiume senza uscire
dall'acqua. Un pescatore raccontò di essersi imbattuto nella creatura nel 1915.
In quello stesso periodo, si narra che, i pigmei costruirono una barriera di
pali posti all'ingresso del lago Tele poiché quelle creature stavano
compromettendo la pesca, ma due Mokele Mbembe cercarono di sfondare la barricata
e uno venne ucciso. Coloro che ne mangiarono le carni morirono avvelenati.
Un'altra spedizione sul lago Tele venne organizzata,
sempre nel 1980, dagli americani Herman Regusters e sua moglie Kia, che nei
pressi del lago avvistarono una creatura lunga una decina di metri. I coniugi
la fotografarono, tuttavia il soggetto di questa foto è incerto.
Nel 1981, la spedizione formata da J. Richard
Greenwell, Justin Wilkinson, Roy Mackal e lo zoologo congolese Marcellin
Agnagna dello zoo di Brazeville, partì alla volta del fiume Likouala. Lì gli
esploratori sentirono i richiami di un grosso animale poi avvistato nelle acque
vicino Epena; inoltre trovarono una serie di strane impronte e una pista di
rami spezzati. Due anni più tardi, nel 1983, Agnagna tornò sul lago Tele e
riferì di aver visto personalmente la creatura. Secondo il suo racconto, lo
zoologo vide qualcosa che si muoveva nell'acqua a circa 300 metri di distanza,
dunque cercò di avvicinarsi addentrandosi nella palude. Riuscì a distinguere la
testa e il collo dell'animale. Descrisse la testa come rossastra, con occhi
ovali e un naso sottile. Il dorso era scuro e lucido, lungo circa quattro
metri. Agnagna scattò diverse foto ma, a causa dell'eccitazione del momento,
non si accorse di aver dimenticato di togliere il copriobiettivo. Lo zoologo
affermò che l'animale era un rettile sconosciuto alla scienza.
Per vedere il primo video del Mokele Mbembe bisognò
aspettare il 1987. Fu realizzato da una spedizione giapponese intenta a
realizzare un documentario sulle foreste africane. Mentre la troupe sorvolava
il lago Tele con un piccolo aereo da turismo, avvistò qualcosa che si muoveva
nell'acqua. Il cameraman cominciò subito a riprendere: l'animale si spostava
abbastanza velocemente lasciandosi dietro una scia, si riusciva anche ad
intravedere un collo e una testa, tuttavia la definizione del video non
permette un analisi accurata. Realizzarono un video di circa 15 secondi,
dopodiché la creatura si immerse.
Il 1992 vide protagonista William Gibbonsche, accompagnato
dall'esploratore Rory Nugent, sulle tracce del Mokele Mbembe. Esplorarono gran
parte del fiume Bai e dei laghi Fouloukuo e Tibeke, vicini al lago Tele. Riuscirono
a scattare due interessanti fotografie sull'ormai famoso lago Tele, di cui una
abbastanza convincente che potrebbe mostrare la testa del Mokele Mbembe. La
scarsa nitidezza dell'immagine lascia comunque perplessi.
Ritenere che questa creatura sia solo una leggenda
sarebbe superficiale: le numerose testimonianze raccolte dalle tribù che vivono
nelle foreste inesplorate del continente nero confermano la reale esistenza di
questo animale. Le descrizioni fornite dai testimoni concordano sulle sue caratteristiche
peculiari, cioè collo lungo e corpo robusto, quattro zampe tozze e coda
possente. Questa descrizione farebbe pensare ad un sauropode di piccole
dimensioni, tesi avvalorata anche dalle impronte a tre dita, caratteristiche
dei dinosauri, rinvenute in varie occasioni. Inoltre, sono state spesso
mostrate ai pigmei che vivono in quella zona, disegni di dinosauri ed essi li
hanno subito riconosciuti come il Mokele Mbembe e i pigmei non hanno modo di
studiare i fossili preistorici, l'unica spiegazione è che abbiano davvero visto
qualcosa di simile.
Il mistero, per ora, permane, ma sono in programma
altre spedizioni: non sappiamo cosa ci riserva il futuro.