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martedì 21 agosto 2012

NON CONTATTO II



Nell’articolo precedente mi sono limitato a esporre un brano tratto dal mio libro, I FABBRICANTI DI UNIVERSI, in cui il protagonista, Adam, entra in contatto con una civiltà extraterrestre. L’incontro comincia nel peggiore dei modi, con uno scontro a fuoco. Tuttavia, gli alieni sembrano ancora ben disposti nei suoi confronti e si rivelano molto comunicativi. In realtà, questo succede solo nei libri o nei film di fantascienza.
Perché non si mostrano a noi apertamente? Chissà quanti di noi si sono posti questa domanda. 
Il problema del non contatto fu affrontato con particolare acutezza dallo studioso Aimé Michel che, tra l’altro, era convinto che gli UFO avessero un’origine extraterrestre. Secondo lo studioso, un’astensione dal contatto era concepibile anche in termini di morale umana. Il motivo sarebbe la consapevolezza di provocare, con il contatto, la fine della nostra civiltà. La storia della colonizzazione ci insegna che laddove due civiltà con diverso grado evolutivo vengono in contatto, la meno evoluta è destinata fatalmente a soccombere. Tuttavia, il contatto potrebbe essere evitato per ragioni incomprensibili che nulla hanno a che fare con la morale. In questa logica potrebbero trovare considerazione i racconti narrati dai sedicenti contattisti, i quali ci dicono che i costruttori dei dischi volanti sarebbero le avanguardie di una lontana civiltà che ci sta visitando e che ha preso contatto solo con “certi uomini”. Peccato che le testimonianze di “questi uomini” discordino l’una con l’altra, gettando discredito su tutti i contattisti.


Altra ipotesi: il contatto non è previsto.

I veri responsabili del fenomeno potrebbero non essere qui (addirittura potrebbero non esserci più): gli UFO sarebbero solo delle sonde spaziali. In tal caso i piloti umanoidi visti in varie occasioni potrebbero essere dei robot biologici. Un’avanzata conoscenza della biologia e della genetica potrebbe averli prodotti anche sul posto e, ipotesi raccapricciante, la materia prima potrebbe essere stata reperita in loco, fornita dalla specie umana.
Spingendo al limite questa ipotesi, si potrebbe ipotizzare che ciò che agisce e opera tramite questi robot biologici, non è un essere vivente ma addirittura una macchina: un potente elaboratore dotato di capacità e conoscenze enormemente superiori a quelle dell’uomo.  


Terza ipotesi: Il contatto non è intellettualmente possibile.

A prima vista, l’impossibilità di un contatto intellettuale fra esseri dotati d’intelligenza sembra un paradosso. Se gli alieni scendessero in mezzo a noi, potremmo imparare la loro lingua e loro la nostra e se non sapessero parlare troveremmo di sicuro un altro modo d’intenderci. Helen Keller restò cieca, sorda e muta fin dalla più tenera età, eppure ciò non impedì ad Anna Sullivan di entrare in rapporto con la sua coscienza e di aprirla a tutte le sfumature del mondo da cui era rimasta esclusa. Perché dovrebbe essere diverso con un essere extraterrestre? Perché Helen Keller era un essere umano, dotata di un livello psichico umano.
Esistono sulla Terra innumerevoli livelli psichici: c’è un livello umano, un livello da scimmia, un livello da usignolo un livello da trota etc. Ora, lo scambio d’informazioni avviene principalmente tra animali della stessa specie ma, può avvenire anche tra animali di specie diversa ma di livello psichico simile. Ad esempio, quando una marmotta avverte l’incombenza di un pericolo, essa avvisa gli altri esemplari della sua specie emettendo il suo grido stridente. Lo stesso grido, udito da un branco di camosci, li mette egualmente in apprensione. Ma ecco il manifestarsi della differenza  di livello: se l’uomo imita il grido della marmotta, essa ne rimane ingannata, risponde e se non vede l’interlocutore, ingaggia con lui una sorta di conversazione. Ma cosa può dire un uomo a una marmotta? Anche approfondendo al massimo la conoscenza del suo linguaggio, egli non potrebbe porgerle che messaggi adeguati al suo livello. Non sarebbe possibile esprimere in “marmottiano” il teorema di Pitagora!
Questo ci dimostra che abbiamo la capacità entrare in rapporto con tutti gli esseri viventi del nostro mondo, al loro livello psichico, a condizione che questo livello sia inferiore al nostro o comunque che il nostro cumuli il loro. Analogamente, dovrebbe essere possibile agli alieni entrare in rapporto con noi ma, chi ci dice che essi cumulino il nostro livello umano? L’aspetto cumulativo potrebbe essere un fatto squisitamente terreste, potrebbe dipendere dal fatto che, sulla Terra, discendiamo tutti da una stessa linea evolutiva. Per diventare uomini abbiamo dovuto essere prima antropoidi e prima ancora siamo stati qualcosa di simile ai lemuri, siamo stati rettili, anfibi, pesci e così di seguito, a partire da un organismo unicellulare simile al batterio. Come il corpo umano riassume e conserva tutto il passato della vita sulla Terra, così è logico pensare che anche l’intelletto riassuma tutto il passato psichico di questa vita. Possiamo metterci al gradino di ogni livello evolutivo perché, fin dall’origine della vita, abbiamo percorso ogni gradino. Ma un essere che discenda da un’altra linea evolutiva avrà il nostro stesso psichismo? Non possiamo saperlo ma, se così non fosse, sarebbe impossibile intendersi. Un esempio potrebbe esserci offerto dal film Alien, in cui un essere sicuramente dotato di intelletto non è interessato agli uomini se non per quel che riguarda l’aspetto riproduttivo: si serve degli uomini per riprodursi.
Così come l’ape non sa distinguere un anfratto naturale da un alveare costruito dall’uomo o come un cane non sa distinguere una pietra dalla colonna di una cattedrale; analogamente noi saremmo in grado di capire, del comportamento degli alieni, solo gli aspetti concepibili dal nostro livello intellettuale. Per analogia, cercheremo di farci un’idea di un concetto altrimenti inconcepibile. Questo concetto, che qui approfondiremo, è stato già accennato nel mio racconto L’ultima spiaggia, al quale rimando il lettore.  La maggior parte dei rapporti con i nostri animali è per loro incomprensibile: gli agnelli, per esempio, non sapranno mai che li si alleva per prendere loro la lana e per mangiarli. Noi alleviamo gli animali usando il nostro senso del tempo che essi, invece, non hanno. Coabitano con noi fino al termine della loro vita senza sospettare che il loro destino è costantemente deciso per ragioni economiche, inconcepibili per la loro mente. E questo, si badi bene, nonostante che i loro occhi non abbiano mai cessato di vedere la realtà.
Anche per noi questa può essere la visione dell’Universo: percepire, dello spettacolo quotidiano offerto dalla natura, soltanto ciò che risulta di un livello psichico uguale o inferiore al nostro. C’è quindi la possibilità che, se qualche altro essere di natura aliena frequenti questo mondo, noi potremmo non comprendere le sue azioni o intuirne gli scopi.
Forse bisognerebbe riprendere in esame l’ipotesi dello studioso americano Charles Fort, secondo cui la Terra potrebbe essere «proprietà» di qualche civiltà aliena, del cui dominio non siamo consapevoli solo perché la tecnologia da essa impiegata è talmente superiore alla nostra che noi non possediamo gli strumenti concettuali per rendercene conto. Tra l'altro, Fort si serviva di una analogia piuttosto sinistra: diceva che gli alieni, di tanto in tanto, «pescano» qualche essere umano, così come noi catturiamo le farfalle con la reticella da entomologo. E aggiungeva che essi non hanno interesse a manifestarci la realtà della nostra condizione perché noi, per loro, non siamo altro che animali da allevamento, esattamente come, per noi, lo sono le pecore.

Naturalmente le speculazioni sul mistero del non contatto potrebbero continuare all’infinito. Di concreto, dalle argomentazioni di Michel, emerge un fatto basilare: i motivi del comportamento dell’intelligenza che presiede al fenomeno UFO rivelano una forma di pensiero diversa, assolutamente non umana. Di conseguenza, l’attività degli UFO avrà sempre, per noi, un lato incomprensibile e ci apparirà contradittoria e assurda. Quest’assurdità non è altro che la misura del nostro limite intellettivo. Se ammettiamo l’esistenza di intelligenze aliene e di tecnologie superiori, il pretendere da loro un comportamento conforme ai nostri canoni è un’idea piuttosto banale eppure questa incapacità di concepire schemi di pensiero diversi dal nostro è molto diffusa e non soltanto tra la gente comune, mentre l’assurdo e l’irrazionale sono proprio quello che dovremmo aspettarci.  

lunedì 13 agosto 2012

L'ULTIMA SPIAGGIA



 

Ho ripescato un vecchio caso ufologico ("l'arma che non fece fuoco") perché presenta un’analogia con il mio racconto “L’ultima spiaggia” che, nel 2009, fu pubblicato nella raccolta: “Il coraggio, la paura, la speranza, l’allegria” edita da 150 Strade. E' un classico della fantascienza non fantascienza, in quanto la vicenda è ambientata nella nostra epoca e tratta di un fenomeno reale: lo scetticismo con cui la gente affronta l’ipotesi extraterreste. In questo caso, il protagonista scopre, suo malgrado, che gli alieni sono tra noi. D’altronde è impensabile che qualcuno affronti un interminabile viaggio intergalattico per poi fare un’apparizione  a zig zag nella nostra atmosfera e tornarsene subito a casa. E’ lecito pensare che una missione sul pianeta Terra possa impegnare un'eventuale civiltà extraterrestre per un lungo periodo. Insomma, si può credere, come viene affermato da più parti, spesso da fonti degne di fede che, per davvero, essi vivono tra noi confusi fra la gente.
La scoperta ha dei risvolti raccapriccianti, tali da costringere il nostro protagonista a diventare un capo della resistenza contro gli alieni. 


IL CASO LORENZINI: L'ARMA CHE NON FECE FUOCO


Isola di Ortonovo (SP) 11/11/1954
Verso sera, il Sig. Amerigo Lorenzini, un agricoltore che, all’epoca aveva 48 anni, visse la sua più scioccante avventura. Stava governando i conigli quando udì un fruscio provenire dall’alto. Alzato lo sguardo, rimase abbagliato da una vivida luce che, pian piano si affievolì. Quando riuscì a vedere meglio, si accorse di uno strano veicolo dalla forma oblunga che nel frattempo era atterrato in un prato poco distante. Dal veicolo uscirono silenziosamente tre esseri dall’aspetto umano ma di bassa statura, che indossavano una sorta di scafandro. Si diressero verso di lui. Spaventato, il Lorenzini si precipitò in casa per prendere il fucile da caccia. Puntò l’arma verso di loro e in preda al terrore, premette il grilletto. Il fucile non sparò.  Riarmò freneticamente il cane e premette nuovamente il grilletto: niente! Intanto, i tre, senza scomporsi, si stavano allontanando diretti tranquillamente al loro veicolo. Ancora una volta, il fucile non sparò. Pochi secondi dopo che i tre erano risaliti a bordo, il loro veicolo si staccò rapidamente dal suolo e partì velocissimo, prendendo quota in direzione di Avenza. Il lorenzini puntò per l’ennesima volta il fucile verso quell’oggetto ormai lontano e stavolta l’arma fece fuoco!
Stupito e sconvolto, il Lorenzini si guardò intorno, come destandosi da un sogno e con sua grande sorpresa scoprì che il suoi dodici conigli e la conigliera erano scomparsi.


Per quanto riguarda questo vecchio caso, il fatto più insolito e rilevante pare sia fornito dall’azione del fucile: l’arma si dimostrò inefficace fino a quando il bersaglio non si trovò fuori tiro. Si può pensare che quegli esseri erano in grado di influenzare la struttura chimica delle polveri o almeno della capsula detonante. Questo, senza interferire minimamente sul meccanismo del cane che scattò e batté diverse volte, inutilmente, sul percussore.