Nella giungla amazzonica fra Perù, Brasile e Venezuela sopravvivono,
nascoste, tribù sconosciute di indios bianchi che dicono di discendere dagli extraterrestri.
Questo è il resoconto di un mondo perduto, della notte in cui gli Dei
arrivarono da Schwerta.
Lo troviamo in un libro: "Cronaca di Akakor" del giornalista e
sociologo bavarese Karl Brugger (tanto per cambiare, assassinato in circostanze
misteriose nel 1984). Brugger conobbe nel 1972 a Manaus, in Brasile, il capo
indio Tatunca Nara, a suo dire, discendente di una mitica tribù
"spaziale", gli Ugha Mongulala.
Secondo il racconto di Tatunca Nara, i Mongulala vivevano nel cuore
dell’Amazzonia, sin dalla notte dei tempi, “in piccoli gruppi, in caverne e
grotte, camminando carponi”. Poi, nell’anno 13.500 a.C. del nostro calendario,
"arrivarono gli Dèi."
Qui, inevitabilmente, viene spontaneo pensare al mito del serpente piumato (Kukulcan, Quetzalcoatl, Viracocha). Questi Dei barbuti, dalla pelle bianca, avrebbero anche avuto sei dita alle mani e ai piedi. Un dettaglio curioso che ci riporta con la memoria agli Annunaki. Nel “Libro perduto del dio Enki" di Z. Sitchin si legge: “Ningishzidda (figlio del dio Enki) scelse di recarsi in una terra al di là degli oceani, vi si recò con un gruppo di seguaci. A quei tempi il conto era di seicentocinquanta anni terrestri (650 anni dopo il diluvio). Ma nel nuovo dominio, dove Ningishzidda era chiamato il 'Serpente alato', ebbe inizio un conto tutto suo".
- Gli stranieri - ha raccontato il capo indio a Karl Brugger - apparvero all’improvviso nel cielo su brillanti navi d’oro. Segnali di fuoco illuminarono la pianura, la terra tremava e il tuono risuonava sulle colline. Gli uomini si prostrarono con stupore e profondo rispetto davanti ai potenti stranieri che vennero a impossessarsi della Terra. Gli stranieri dissero che la loro patria si chiamava Schwerta, un mondo lontano nella profondità del cosmo. A Schwerta viveva la loro gente ed essi erano partiti di là per visitare altri mondi e portarvi la loro scienza – Schwerta - prosegue Tatunca Nara - era un immenso impero, formato da mondi numerosi come i granelli di polvere di una strada. I visitatori ci dissero che ogni seimila anni i due mondi, quello dei nostri Primi Maestri e la nostra Terra, s’incontrano; permettendo, ogni seimila anni, agli Dei di ritornare. Dovunque sia e qualsiasi forma abbia Schwerta, con l’arrivo di questi visitatori dal cielo, cominciò sulla terra “l’Età dell’Oro". I Maestri - come vennero prontamente ribattezzati dagli indios - vennero sulla terra con 130 famiglie, per liberare gli uomini dall’oscurità. E loro accettarono e riconobbero gli uomini come fratelli. I Maestri fecero stabilire le tribù nomadi e divisero lealmente ogni frutto della terra. Pazientemente e senza stancarsi, ci insegnarono le loro leggi, anche se gli uomini facevano resistenza, come bambini ostinati. Per questo loro amore verso gli uomini, per tutto quello che diedero e insegnarono, noi li veneriamo come i nostri portatori di luce. I nostri migliori artigiani riprodussero le loro immagini per testimoniare in eterno la loro grandezza. Così sappiamo come erano fatti i nostri Signori Anteriori. I Signori di Schwerta - racconta Tatunca Nara - erano simili agli uomini: dal corpo esile e dai lineamenti delicati. Avevano la pelle bianca e i capelli neri con riflessi blu. Portavano una folta barba e come gli umani erano vulnerabili, perché fatti di carne. C’era però un particolare che li distingueva dagli abitanti della Terra: avevano alle mani e ai piedi sei dita. Questo era il segno dell’origine divina.
Qui, inevitabilmente, viene spontaneo pensare al mito del serpente piumato (Kukulcan, Quetzalcoatl, Viracocha). Questi Dei barbuti, dalla pelle bianca, avrebbero anche avuto sei dita alle mani e ai piedi. Un dettaglio curioso che ci riporta con la memoria agli Annunaki. Nel “Libro perduto del dio Enki" di Z. Sitchin si legge: “Ningishzidda (figlio del dio Enki) scelse di recarsi in una terra al di là degli oceani, vi si recò con un gruppo di seguaci. A quei tempi il conto era di seicentocinquanta anni terrestri (650 anni dopo il diluvio). Ma nel nuovo dominio, dove Ningishzidda era chiamato il 'Serpente alato', ebbe inizio un conto tutto suo".
- Gli stranieri - ha raccontato il capo indio a Karl Brugger - apparvero all’improvviso nel cielo su brillanti navi d’oro. Segnali di fuoco illuminarono la pianura, la terra tremava e il tuono risuonava sulle colline. Gli uomini si prostrarono con stupore e profondo rispetto davanti ai potenti stranieri che vennero a impossessarsi della Terra. Gli stranieri dissero che la loro patria si chiamava Schwerta, un mondo lontano nella profondità del cosmo. A Schwerta viveva la loro gente ed essi erano partiti di là per visitare altri mondi e portarvi la loro scienza – Schwerta - prosegue Tatunca Nara - era un immenso impero, formato da mondi numerosi come i granelli di polvere di una strada. I visitatori ci dissero che ogni seimila anni i due mondi, quello dei nostri Primi Maestri e la nostra Terra, s’incontrano; permettendo, ogni seimila anni, agli Dei di ritornare. Dovunque sia e qualsiasi forma abbia Schwerta, con l’arrivo di questi visitatori dal cielo, cominciò sulla terra “l’Età dell’Oro". I Maestri - come vennero prontamente ribattezzati dagli indios - vennero sulla terra con 130 famiglie, per liberare gli uomini dall’oscurità. E loro accettarono e riconobbero gli uomini come fratelli. I Maestri fecero stabilire le tribù nomadi e divisero lealmente ogni frutto della terra. Pazientemente e senza stancarsi, ci insegnarono le loro leggi, anche se gli uomini facevano resistenza, come bambini ostinati. Per questo loro amore verso gli uomini, per tutto quello che diedero e insegnarono, noi li veneriamo come i nostri portatori di luce. I nostri migliori artigiani riprodussero le loro immagini per testimoniare in eterno la loro grandezza. Così sappiamo come erano fatti i nostri Signori Anteriori. I Signori di Schwerta - racconta Tatunca Nara - erano simili agli uomini: dal corpo esile e dai lineamenti delicati. Avevano la pelle bianca e i capelli neri con riflessi blu. Portavano una folta barba e come gli umani erano vulnerabili, perché fatti di carne. C’era però un particolare che li distingueva dagli abitanti della Terra: avevano alle mani e ai piedi sei dita. Questo era il segno dell’origine divina.
Tatunca Nara, nel ricostruire per Karl Brugger l’intera storia del suo
popolo, divideva decisamente il periodo dell’arrivo dei visitatori spaziali (peraltro
corrispondente, secondo alcune fonti, alla reale nascita della civiltà egizia)
dal successivo arrivo di esploratori bianchi: i goti, nel 570 d.C., gli
spagnoli, nel 1532, i nazisti, nel 1941. I Maestri tracciarono canali e strade,
seminarono piante nuove, sconosciute agli uomini. Pazientemente trasmisero loro
il sapere, necessario per comprendere i segreti della natura. Sorretti da
questi principi, gli Ugha Mongulala sono sopravvissuti per millenni a
gigantesche catastrofi e guerre sanguinose.
Grazie agli Schwerta, gli Ugha Mongulala costruirono un impero che si
estendeva dal Perù al Brasile al Mato Grosso (in questa regione scomprave Percy
Fawcett, alla ricerca di una città perduta). I Maestri - prosegue Tatunca Nara
- conoscevano le leggi dell’intero cosmo. Unendosi carnalmente con gli indios,
generarono la tribù degli Ugha Mongulala, gli "alleati eletti".
Costoro, eccezion fatta per le sei dita, nei tratti somatici ricordavano molto
i visitatori.
Gli alieni costruirono diverse città e molte piramidi: un mezzo per
raggiungere la seconda vita. Ma un brutto giorno - continua Tatunca Nara -
fummo attaccati da esseri estranei simili agli uomini, con cinque dita ma con
sulle spalle teste di serpenti, tigri, falchi e altri animali. Disponevano di
una scienza avanzatissima che li rendeva uguali ai primi Maestri. Tra queste
due razze di Dei scoppiò una guerra. Bruciarono il mondo con armi potenti come
il sole. Ma la previdenza degli Dei salvò gli Ugha Mongulala dalla distruzione.
I visitatori di Schwerta costruirono nel sottosuolo amazzonico tredici dimore
sotterranee, disposte secondo la costellazione da cui provenivano. Quindi,
convinsero gli indios a rifugiarsi dentro quelle caverne scavate nella roccia
e a murarle dall’interno. Con questo espediente gli indios sarebbero scampati
alla devastazione del nostro pianeta scatenata dalla guerra degli Dei, come
pure a successivi cataclismi e perfino all’avanzata dei conquistadores.
L’esistenza di qualche sorta di “bunker” scavato nel fianco di una
montagna sembra venire da un’esploratrice italiana che ha condotto diverse
spedizioni in Perù, la milanese Elena Bordogni. – Durante una spedizione - ha
affermato - incappammo in un camminamento che costeggiava una montagna e che
fiancheggiava un burrone. Sul sentiero si vedevano, pietrificate, le orme dei
piedi dei sacerdoti che anticamente percorrevano quella via. Con grande
sorpresa ci accorgemmo che, a un certo punto, il sentiero s’interrompeva
dinnanzi alla parete liscia della montagna.
- Nel 10.481 a.C. gli Dei lasciarono la Terra - sostiene Tatunca Nara -
le navi dorate dei nostri Primi Maestri si spegnevano nel cielo come le stelle.
La fuga degli Dei gettò il mio popolo nell’oscurità.
Nel libro: “Gli dei dalle lacrime d’oro”, di Zecharia Sitchin, l’autore mette in relazione la civiltà mesopotamica con quella mesoamericana, producendo prove evidenti della veridicità di queste sue affermazioni. Durante il 1992, una spedizione archeologica impegnata in alcuni scavi a Chua (Bolivia), portò alla luce un vaso, ribattezzato in seguito con il nome di “Fuente Magna”. La particolare caratteristica di questa scoperta era che il reperto risultava interamente coperto da iscrizioni e da glifi. Sul lato esterno si trovavano incisi glifi olmechi, mentre all’ interno erano presenti numerosi pittogrammi in seguito identificati da molti esperti come scrittura cuneiforme protosumera, databile a un periodo che va da 4100 al 3600 a. C.
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