La linguista e archeologa dilettante basca, Mireille Rostaing Casini, nel
suo libro “Archeologia misteriosa” racconta che nel 1979 erano state
fotografate, da un aereo, dodici grandi piramidi nella foresta del dipartimento
peruviano di Madre de Dios, confinante con il Brasile. Queste fotografie le
mostrano in collocazione simmetrica, le une vicine alle altre, in due file di
sei. Le piramidi si trovano in una regione dove si pensa sia esistito un
grandissimo e potente impero, detto del Gran Paititì, di cui non si sa
praticamente nulla se non che nel suo territorio si trovano enormi ricchezze.
Un indio le disse che in questa zona esiste un passaggio nella collina
denominata Tampu-Tocco, attraverso il quale si passa ad altri mondi situati
nelle viscere della terra.
La storia delle dodici piramidi del Gran Paititì scatena da anni
polemiche infuocate. Diversi esponenti dell’archeologia e della scienza ufficiale,
in testa lo stimatissimo geologo brasiliano Aziz Nacib Ab’Saber, ritengono
trattarsi soltanto di curiose formazioni rocciose, coperte di vegetazione. Di
diverso parere sono stati due esploratori dilettanti italiani, l’ormai
scomparso Mario Ghiringhelli e suo cugino, il milanese Marco Zagni, il quale
riferisce: - Nell’estate del 1979 mio cugino Mario, provetto esploratore, si
trovava in Perù quando seppe da una radioamatrice di Lima che il Radio Club
Peruviano di Cuzco aveva perso i contatti con una spedizione francese
avventuratasi nel dipartimento di Madre de Dios. Non era questo il primo caso.
Tutte le spedizioni che si erano avventurate in quella zona, alla ricerca di
una sperduta città precolombiana, erano scomparse misteriosamente. Nel caso dei
francesi, l’ultimo messaggio da questi inviato diceva: “Siamo attaccati da una
tribù sconosciuta di indios bianchi, alti almeno due metri”. Ora, io non ho mai
sentito parlare di giganti bianchi in Amazzonia, almeno nei testi canonici, in
quanto nel folklore sudamerindio esistono da secoli leggende di questo tipo.
L’episodio di Madre de Dios sembrava proprio confermare simili dicerie. - E non
solo - dopo questi fatti, io e mio cugino abbiamo condotto molte ricerche
d’archivio e abbiamo scoperto che l’episodio si era verificato in una zona
fluviale, quella di Pantiacolla, ove, nel 1975, i satelliti meteo Landsat
avevano identificato un’area piana, ellittica, al cui interno si notavano
dodici strutture piramidali in fila. Per gli archeologi esse sono solo curiose
formazioni naturali, ma io non la penso così.–
Sembrerebbe che esista, nel cuore dell’Amazzonia, una civiltà perduta,
forse nemmeno umana, legata al culto delle piramidi. Piramidi che, come
sottolinea la Rostaing Casini, viste le foto, non sono di tipo azteco ma
egizio! É difficile sostenerlo, ma dal fisico salvadoregno Luis Lopez spesso a
spasso per le Americhe, otteniamo ulteriori elementi: - Durante alcune mie
ricerche in Salvador (nel maggio del 1993) ho incontrato un archeologo
italiano, Mario P., che da anni lavora in Perù. Quest’uomo, appartenendo
all’establishment scientifico ufficiale e temendo il ridicolo, ha preteso
l’anonimato. Mi ha raccontato di avere visto degli UFO nella zona e di avere
scattato delle foto di certe bruciature circolari; Mario ha aggiunto che questi
fenomeni sono ricorrenti nella foresta amazzonica al punto che gli indios,
affatto spaventati, hanno ribattezzato i visitatori spaziali “gli incas”,
intesi come signori, come, per l’appunto, sono considerati gli antichi incas. - Non solo, prosegue Lopez - l’archeologo ha anche scoperto una serie di
scheletri umani lunghi due metri, appartenenti a una razza sconosciuta. Questa
scoperta è per ora mantenuta top secret e non so se e quando essa verrà
divulgata. -
La vicenda degli
indios bianchi è confermata anche da un altro esploratore, il professor Marcel
Homet, archeologo, paleontologo, antropologo ed etnologo francese.
Quest’ultimo, durante l’esplorazione dell’Amazzonia brasiliana, nella zona
dell’Urari-Coera, si era imbattuto in due indios sbucati dalla foresta. - Erano uomini di razza bianca – racconta Homet
- veri mediterranei, progenitori, contemporanei o parenti di questa razza. – I due indios vennero in seguito identificati da una delle guide del
professor Homet come Waika, membri di una tribù poco conosciuta,
"pericolosi e crudeli combattenti" che avevano la "curiosa"
abitudine di rapire donne bianche, con le quali accoppiarsi per generare dei
figli. Questo, forse, spiegherebbe il colore della loro pelle.
Anche un altro celebre esploratore d’inizio secolo, il colonnello inglese
Percy Fawcett conferma, nel suo diario, dell’esistenza di indios amazzonici
dalla pelle bianca: - A Jequie, un centro piuttosto grande che esportava cacao
a Bahia, un certo Elias José do Santo, ex ispettore della polizia imperiale, mi
raccontò di indiani dalla pelle chiara e dai capelli rossi che vivevano nel
bacino del Gongugy e di una "città incantata" che trascinava sempre
più avanti l’esploratore, finché svaniva come un miraggio. Seppi poi dei
Molopaques, una tribù scoperta a Minas Gerais in Brasile nel secolo XVII;
avevano la pelle chiara e portavano la barba. Le loro donne avevano capelli
biondo oro, bianchi o castani, piedi e mani piccole, occhi azzurri. -
Sembrerebbe che esista, nel cuore dell’Amazzonia, una civiltà perduta, forse nemmeno umana, legata al culto delle piramidi.
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