Gli storici sono sbigottiti dal fatto che eventi così straordinari quali quelli che si sarebbero verificati durante la predicazione e la morte di Gesù, non riscuotano alcun eco in nessun cronista dell'epoca sia dentro che fuori della Palestina.
Questo, col tempo, ha generato la necessità di creare delle falsi fonti extra-cristiane che parlassero di Gesù, magari manipolando opere esistenti che in realtà non lo citavano affatto. Spesso si sono interpretate in modo palesemente errato delle fonti al solo scopo di giustificare storicamente Gesù: i risultati sono stati credibili, ma solo per quanti non hanno approfondito l’argomento.
Nessuna fonte extra-cristiana ha mai scritto una sola riga sulle vicende narrate nei vangeli, né ha mai citato il Dio dei cristiani per nome. I tre grandi storici romani menzionati usualmente dagli apologeti appartengono tutti al I secolo, ma sia questi, sia tutti gli altri scrittori pagani non parlarono mai di Gesù, ma di cristiani, chiamando il loro leader semplicemente "cristo".
Famosa è la testimonianza a favore di Gesù da parte dello storico giudeo Giuseppe Flavio, di cui si è agevolmente dimostrata la falsificazione, tra l'altro, fatta in epoca tarda visto che gli stessi storici cristiani, all’inizio, non la menzionavano tra gli scritti di Flavio. Giuseppe Flavio parla effettivamente di personaggi come Pilato, il Battista e Giacomo, ma questo prova tutto il contrario di quel che vorrebbero gli apologeti. Origene, che conosceva Flavio a menadito, cita il passo del Battista per comprovarne l'esistenza storica, ma non può fare altrettanto per difendere Gesù citando il Testimonium, né lo fa tutta la patristica dal I secolo fino a Costantino, pur avendo potuto approfittare di un brano così ghiotto onde silenziare proprio coloro i quali dubitavano sin dalle origini della storicità di questo sconosciuto Dio incarnato. Anzi, Origene asserì espressamente che Flavio non credeva in Gesù, poiché non lo citava. Se ne conclude che pure il passo del "fratello del Signore" sia un'interpolazione tarda di qualche pio copista (le opere flaviane furono tutte ricopiate dopo il secolo VIII ma gli originali sono andati perduti) ignaro dei giudizi di Origene e del silenzio di tutti gli altri difensori della fede.
La realtà dei fatti è che il nucleo precipuo del Testimonium si è dimostrato un plagio, con tutta probabilità perpetrato da Eusebio; dopo di lui seguirono Ambrogio, Geronimo, Isidoro da Pelusio, Sozomene, Cassiodoro e tutti gli altri. Le uniche copie di questo brano sono sei manoscritti in greco e latino del XI-XV secolo, quindi esageratamente tarde. Oltre a queste e alle estrapolazioni di Eusebio nella Historia, non ne esistono altre, la qual cosa si commenta da sé.
Ennesima copia è quella inserita dal vescovo Agapio di Ierapoli nel Kitab al-Unwan, che viaggia sulla stessa scorta delle precedenti: oltre ad essere tarda, è oltremodo differente da quella cosiddetta canonica. Agapio, che figura tra i fruitori di Tallo, è contemporaneo di Eusebio, mentre la copia che riporta il passo di Flavio è del 1100 e fu scoperta nel 1970 dal Pines, le cui conclusioni addotte in merito non costituiscono alcuna prova a favore. Chiare interpolazioni sono state certificate infine in alcune versioni slavoniche, molto più pleonastiche, scoperte nel 1866: qui il Battista è chiamato "l'uomo selvatico", quasi fosse l'Enkidu sumero, e Gesù "l'operatore di meraviglie".
Tace pure un altro storico locale dell'epoca, Giusto di Tiberiade, che fu addirittura avversario di Flavio. Sappiamo comunque che non ne fece menzione, dato che fino al X secolo pure il patriarca Fozio, il quale dovette aver avuto l'opportunità di leggerla per intero prima che svanisse, si meravigliava del fatto che Giusto non parlasse di Gesù.
Stesso silenzio da parte del maggior sincretista ebraico del tempo, Filone d'Alessandria, che proprio a detta di Fozio, fu un cristiano pentito. Venendo ai passi del Talmud e dei Toldot, questi sono scritti dai chiari intenti polemici e non certo storici, vergati addirittura in epoca medievale, anzi, in determinate circostanze, si parla di un "Gesù" che visse cento anni prima del tempo di Tiberio. Si trattava tutt'al più di una delle tante sorgenti ideologiche dalle quali fu tratto quello evangelico.
In tutto l'impero, tra oltre cento autori, storici, geografi e narratori di fatti curiosi, nessuno fa esplicita menzione a questi eventi. Certuni hanno creduto di ravvisare un riferimento agli eventi prodigiosi nelle citazioni di certi Tallo e Flegonte, due scrittori di men che trascurabile importanza, dei quali non ci sono pervenute le opere dalle quali, secondo i "padri" che li citarono, furono tratti i passi "probatori". Analisi incrociate sui citatori hanno ultimamente evidenziato degli errori di riferimento, di luogo e addirittura di datazione, che sconfessano ampiamente queste "prove".
Per quanto riguarda Tallo, portato nostalgicamente avanti oramai quasi esclusivamente dal Bruce, si tratta di un presunto storico samaritano, liberto di Tiberio, che scrisse a Roma nel 50 dC, ma la cui monumentale e ambiziosa opera, la Storia del Mondo, non ci è pervenuta. Ne furono citati alcuni frammenti da Africano in quel che ci resta della sua Cronografia, a sua volta riferita da Eusebio.
Tra l’altro, Tallo avrebbe parlato di una "eclissi" avvenuta al tempo della morte di Gesù, ma lo stesso Africano asserisce che non poteva trattarsi di un fenomeno del genere: a quanto pare, nessuna eclissi accadde in quel periodo. Al tempo di Tiberio non avvennero delle eclissi solari, e neanche nel mese e nell'anno in causa. A parte ciò, è pacifico che se Flegonte visse quasi cento anni dopo Tallo, non poté essere stato anch'egli testimone oculare del mirabile evento, come vorrebbe Africano. L'intera vicenda dell'eclisse, quindi, mostra segni di falsificazione, probabilmente avvenuta in epoca costantiniana.
Il vero problema è che il primo ad aver messo in rapporto l'evento con il Dio dei cristiani, fu Eusebio di Cesarea, che parlò di un'eclissi accaduta in Bitinia, sul Mar Nero, durante la 202° olimpiade, vale a dire nel 32, stando alla sua cronologia. Però, secondo la corretta cronologia olimpiaca, l'evento di cui avrebbe parlato Flegonte avvenne per l'esattezza il 24 novembre del 29, non nell'aprile di due anni dopo e accadde a Nicea, ossia proprio in Bitinia, ad oltre mille kilometri dalla Palestina! Distanza a parte, quantunque totale, l'eclissi non avrebbe potuto essere visibile alle latitudini di Gerusalemme.
Nella realtà dei fatti, i testimoni cristiani non fecero altro che interpolare, estrapolare, copiarsi a vicenda o attingere da oscuri documenti. Lo fecero pure male, talché, pur di perseguire i loro intenti, arrivarono a contraddirsi e persino ad accusarsi reciprocamente.
Tra l'altro, la pasqua cade in Luna piena, ossia quando si trova in una posizione tale che non possa verificarsi alcuna eclissi. Calcoli astronomici hanno accertato che fra tutte le 286 eclissi verificatesi dall’anno zero alle porte del II secolo, nessuna, né parziale né totale, cadde su Gerusalemme dalle 12 alle 15 del 13 aprile dell’anno 30 o 31: eppure, se dovessimo credere ai vangeli, quell’eclisse oscurò addirittura tutto il mondo per ben tre ore, laddove un'eclissi totale non dura più di sette minuti.
In definitiva, nessuno tra i tanti cronisti dell'epoca, tanto attenti finanche a fatti di piccola importanza, menzionò lo straordinario evento dei vangeli. Nessuna parola su un fatto del genere neppure da parte di Giulio Ossequente, il massimo archivista di fatti anomali proprio del tempo di Tiberio. Tacciono pure Tolomeo, Seneca, Flavio, Plinio, Plutarco, così come non parlano neppure della "stella dei magi".
A parte queste fonti, poco credibili, le uniche testimonianze si riscontrerebbero in tre soli autori, vale a dire Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane. Purtroppo, tutti e tre scrivono cento anni dopo, non parlano di fatti risalenti all'epoca di Tiberio e nel caso in cui (come in Tacito) ciò avviene, si riferiscono, in modo generico agli affiliati di una "superstizione nuova e nociva", già operante nell'impero da qualche decennio e divulgata dai "cristiani": seguaci di un "cristo" di cui non si menziona il nome, cosa assai inusuale per i cronisti del tempo.
Tra i vari capipopolo, dichiaratisi messia dall'epoca erodiana fino ad Adriano, dovremmo capire chi sia Bar Yohra, Bar Kochab o Gesù guardando al titolo di "cristo", che peraltro non avrebbe mai potuto essere riferito da nessuno storico romano, date le implicazioni eversive che, a dispetto delle moderne pretese, esso incarnava in seno ai movimenti di liberazione d'Israele.
Alcune figure, come il Battista o Giacomo, sono indubbiamente storiche, dato che compaiono quantomeno in Flavio. Flavio parla certamente di questi personaggi, ma il "suo" Gesù è inserito in un contesto incollato, senza alcun riferimento precedente: la narrazione si interrompe di colpo, e il seguito è graffettato sul testo con locuzioni e stili assai cristiani. Per la precisione, lo stile è quasi identico a quello di Eusebio di Cesarea, lo storico di Costantino, che è anche il primo a parlare del Testimonium dopo tre secoli di silenzio da parte di tutti i suoi antesignani.
In pratica, il Battista e il Giacomo flaviani sono collegati a un "qualcuno" di cui è stato modificato il nome per chiamarlo Gesù. Questo era un nome comunissimo nella zona, e risaliva come forma al biblico Giosué.
Nel caso specifico, pare che, qualora riferito a personaggi che rivestivano delle posizioni di rilievo, questo nome potesse essere un termine di carica, più che un determinativo proprio di persona. Se consideriamo che il solo Giuseppe Flavio nomina una ventina di "Gesù" protagonisti di fatti notabili dall'epoca asmonea fino a dopo Tito, compresi un tal "Gesù il Galileo" o "Gesù il ladrone di Tolemaide", ai quali si aggiunge un anonimo "profeta egiziano", che aveva trascinato sul Monte degli Ulivi un buon numero di rivoltosi per attaccare le postazioni romane e che si rifaceva alle gesta del Giosué biblico.
Per dirla in breve: sembra che nessuno all’epoca conoscesse questo "Gesù" proprio perché questo non era il suo vero nome. Chi scrisse i vangeli probabilmente aveva tutto l'interesse a non dire chi fosse e così facendo ha fatto in modo che non lo sapremo mai.