Cerca nel blog

mercoledì 31 agosto 2016

ACQUISTA IL NUOVO LIBRO


 
 



CLICCA QUI ED ACQUISTA "LO SPIRITO DEL VENTO"

Il link conduce alla mia pagina personale di ILMIOLIBRO, sito sul quale è già possibile l'acquisto.

domenica 28 agosto 2016

PREVIDE I TERREMOTI



Il devastante sisma in Giappone, il terremoto che sconvolse l’Aquila, lo tsunami del 2004 a Sumatra e quello avvenuto nel Reatino, hanno portato tragicamente alla luce uno dei fenomeni più distruttivi della natura. Ma i terremoti si possono prevedere? Uno dei metodi utilizzati dai geologi è la rilevazione del radon, un gas sprigionato dal decadimento dell’uranio presente in grandi quantità nel nucleo terrestre.
Ma ci sono anche metodi più sofisticati. In Giappone alla regione di Tohoku, quella colpita dal devastante sisma dell'11 Marzo, era stato applicato un algoritmo per la valutazione del rischio di terremoti con magnitudo superiore a otto. L'elaborazione è stata fatta dal computer in base a dati geologici presi sul terreno, e nel Luglio del 2010 aveva previsto un allarme elevato nella zona a nord-est dell'arcipelago. Purtroppo, pochi mesi dopo, uno dei parametri utilizzati era sceso di poco sotto la soglia e l'allarme era rientrato a Gennaio del 2011, esattamente due mesi prima del sisma.



Uno studioso italiano, Raffaele Bendandi, già agli inizi del Novecento sosteneva di aver trovato un metodo per prevedere i terremoti. Bendandi nacque a Faenza nel 1893, dopo la licenza elementare diventò falegname e studiò da autodidatta geologia, astronomia e sismologia. L’evento che lo iniziò alla sismologia fu il terremoto della città di Messina del 1908. Nel 1915 a soli 22 anni allestì un Osservatorio Astro-Geodinamico e un laboratorio artigianale dove costruiva i suoi sismografi, apprezzati soprattutto all’estero. La sua teoria riguardo i terremoti, formulata intorno al 1919, si basa sull’attrazione che la Luna e gli altri corpi celesti esercitano sulla crosta terrestre, deformandola a seconda delle posizioni in cui si trovano. Dall’analisi dei terremoti passati e dall’osservazione del moto dei pianeti Bendandi era arrivato a postulare l’esistenza di ben quattro pianeti extra nettuniani di cui aveva calcolato distanza e massa. Per eseguire le sue predizioni sfruttava le efemeridi astronomiche, cioè calcolando la posizione dei pianeti sviluppava un poligono delle forze in atto da cui ricavava una risultante.
Bendandi, per la sua formazione assolutamente extra accademica, fu fortemente osteggiato dalla comunità scientifica.
 
Fece una sua prima involontaria previsione per il terremoto della Marsica il 13 gennaio 1915, quando si accorse che il 27 ottobre dell'anno precedente aveva lasciato un appunto al riguardo. Il 23 novembre 1923 davanti al notaio di Faenza decise di far scrivere una sua previsione: il 2 gennaio 1924 si verificherà un terremoto nelle Marche. Il terremoto effettivamente si verificò, ma due giorni dopo. Anche il terremoto del Friuli nel 1976 fu previsto dalla sua teoria; inutilmente lui cercò di avvisare le autorità competenti, le quali lo trattarono come un ciarlatano e lo diffidarono.


La sua vicenda di Cassandra ricorda da vicino quella di Giuliani, il sismologo che predisse il terremoto de l’Aquila e non venne ascoltato. Ad alimentare l’alone di mistero intorno alla sua figura, si aggiunge il fatto che Bendandi fu trovato morto, c’è chi dice in circostanze misteriose, nel suo studio, nel 1979 e che aveva volontariamente dato fuoco a tutti i suoi appunti. I pochi appunti superstiti sono raccolti presso l’associazione "La bendandiana", presieduta da Paola Lagorio. Si tratta di fogli di difficile comprensione, a dir poco sibillini che, a detta di alcuni, predicono una serie di terremoti a macchia di leopardo che avrebbero devastato il pianeta nel 2012. Predizione non molto originale, in quanto si conforma a quella dei Maya.

Bendandi fu davvero in grado di predire i terremoti? Tra mille difficoltà, c’è chi ancora si cimenta per cercare di scoprirlo, attingendo ad una raccolta storica di dati, registrati in modo alquanto sporadico e lacunoso.

venerdì 26 agosto 2016

LO SPIRITO DEL VENTO - RECENSIONE

 

Lo spirito del vento, autore Franco Cacciapuoti, pubblicato nel 2016 con ILMIOLIBRO (Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A), pagine 73, prezzo € 10,00.


Alan Turing è "Lo spirito del vento": riesce a generare dei vortici così forti da sollevarsi in aria. Come pilota, si è sempre avvalso del vento relativo, la corrente d’aria che incuneandosi sotto le ali, produce quella portanza che tiene in aria gli aeroplani. D’altronde non ha mai avuto dubbi: è l’aria il suo elemento!


Non sapeva di avere questo potere fino a quando non è finito in una realtà alternativa, non sa come, ma è arrivato in un’altra dimensione: si è addormentato, tranquillamente, a casa sua e si è risvegliato nella prateria. C’era di che impazzire, ma lui non è un uomo che si scoraggia facilmente: merito dell’addestramento militare. Stesso posto, stesso tempo, ma qui la storia è andata diversamente ed anche le sue vicende personali hanno preso una piega diversa. Qui, per esempio, c’è Sunan Baxter che, incredibilmente, lo aspetta da sedici anni: solo Penelope ha aspettato di più. Alan è tormentato: vorrebbe tornare al suo mondo dove lo aspetta sua moglie Ester. L’intervento del "Dio dei destini" che, come preannuncia l’autore - Guarda in ogni pagina del libro degli universi, compensa il male con il bene e l’amarezza con la felicità - sarà risolutivo. 
 


Una storia improbabile che, in un contesto quasi cinematografico, l’autore rende fortemente credibile, intessendo una trama fitta ed avvincente. Il libro, quindi, è a tutti gli effetti un romanzo. Peccato che sia solo di sessanta pagine. Pagine appaganti, a cui l’autore, per uno scrupolo del quale non si avvertiva affatto il bisogno, ha voluto aggiungere un altro racconto.
Come finirà? Come Adam de "I fabbricanti di universi", anche Alan, alla fine, troverà quella serenità che gli mancava. Una caratteristica che accomuna tutti gli eroi usciti dalla "penna" dello stesso autore.


martedì 16 agosto 2016

GESU'. CHI?



Gli storici sono sbigottiti dal fatto che eventi così straordinari quali quelli che si sarebbero verificati durante la predicazione e la morte di Gesù, non riscuotano alcun eco in nessun cronista dell'epoca sia dentro che fuori della Palestina.
Questo, col tempo, ha generato la necessità di creare delle falsi fonti extra-cristiane che parlassero di Gesù, magari manipolando opere esistenti che in realtà non lo citavano affatto. Spesso si sono interpretate in modo palesemente errato delle fonti al solo scopo di giustificare storicamente Gesù: i risultati sono stati credibili, ma solo per quanti non hanno approfondito l’argomento.
Nessuna fonte extra-cristiana ha mai scritto una sola riga sulle vicende narrate nei vangeli, né ha mai citato il Dio dei cristiani per nome. I tre grandi storici romani menzionati usualmente dagli apologeti appartengono tutti al I secolo, ma sia questi, sia tutti gli altri scrittori pagani non parlarono mai di Gesù, ma di cristiani, chiamando il loro leader semplicemente "cristo".




Famosa è la testimonianza a favore di Gesù da parte dello storico giudeo Giuseppe Flavio, di cui si è agevolmente dimostrata la falsificazione, tra l'altro, fatta in epoca tarda visto che gli stessi storici cristiani, all’inizio, non la menzionavano tra gli scritti di Flavio. Giuseppe Flavio parla effettivamente di personaggi come Pilato, il Battista e Giacomo, ma questo prova tutto il contrario di quel che vorrebbero gli apologeti. Origene, che conosceva Flavio a menadito, cita il passo del Battista per comprovarne l'esistenza storica, ma non può fare altrettanto per difendere Gesù citando il Testimonium, né lo fa tutta la patristica dal I secolo fino a Costantino, pur avendo potuto approfittare di un brano così ghiotto onde silenziare proprio coloro i quali dubitavano sin dalle origini della storicità di questo sconosciuto Dio incarnato. Anzi, Origene asserì espressamente che Flavio non credeva in Gesù, poiché non lo citava. Se ne conclude che pure il passo del "fratello del Signore" sia un'interpolazione tarda di qualche pio copista (le opere flaviane furono tutte ricopiate dopo il secolo VIII ma gli originali sono andati perduti) ignaro dei giudizi di Origene e del silenzio di tutti gli altri difensori della fede.
La realtà dei fatti è che il nucleo precipuo del Testimonium si è dimostrato un plagio, con tutta probabilità perpetrato da Eusebio; dopo di lui seguirono Ambrogio, Geronimo, Isidoro da Pelusio, Sozomene, Cassiodoro e tutti gli altri. Le uniche copie di questo brano sono sei manoscritti in greco e latino del XI-XV secolo, quindi esageratamente tarde. Oltre a queste e alle estrapolazioni di Eusebio nella Historia, non ne esistono altre, la qual cosa si commenta da sé.
Ennesima copia è quella inserita dal vescovo Agapio di Ierapoli nel Kitab al-Unwan, che viaggia sulla stessa scorta delle precedenti: oltre ad essere tarda, è oltremodo differente da quella cosiddetta canonica. Agapio, che figura tra i fruitori di Tallo, è contemporaneo di Eusebio, mentre la copia che riporta il passo di Flavio è del 1100 e fu scoperta nel 1970 dal Pines, le cui conclusioni addotte in merito non costituiscono alcuna prova a favore. Chiare interpolazioni sono state certificate infine in alcune versioni slavoniche, molto più pleonastiche, scoperte nel 1866: qui il Battista è chiamato "l'uomo selvatico", quasi fosse l'Enkidu sumero, e Gesù "l'operatore di meraviglie".




Tace pure un altro storico locale dell'epoca, Giusto di Tiberiade, che fu addirittura avversario di Flavio. Sappiamo comunque che non ne fece menzione, dato che fino al X secolo pure il patriarca Fozio, il quale dovette aver avuto l'opportunità di leggerla per intero prima che svanisse, si meravigliava del fatto che Giusto non parlasse di Gesù.
Stesso silenzio da parte del maggior sincretista ebraico del tempo, Filone d'Alessandria, che proprio a detta di Fozio, fu un cristiano pentito. Venendo ai passi del Talmud e dei Toldot, questi sono scritti dai chiari intenti polemici e non certo storici, vergati addirittura in epoca medievale, anzi, in determinate circostanze, si parla di un "Gesù" che visse cento anni prima del tempo di Tiberio. Si trattava tutt'al più di una delle tante sorgenti ideologiche dalle quali fu tratto quello evangelico.
In tutto l'impero, tra oltre cento autori, storici, geografi e narratori di fatti curiosi, nessuno fa esplicita menzione a questi eventi. Certuni hanno creduto di ravvisare un riferimento agli eventi prodigiosi nelle citazioni di certi Tallo e Flegonte, due scrittori di men che trascurabile importanza, dei quali non ci sono pervenute le opere dalle quali, secondo i "padri" che li citarono, furono tratti i passi "probatori". Analisi incrociate sui citatori hanno ultimamente evidenziato degli errori di riferimento, di luogo e addirittura di datazione, che sconfessano ampiamente queste "prove".



Per quanto riguarda Tallo, portato nostalgicamente avanti oramai quasi esclusivamente dal Bruce, si tratta di un presunto storico samaritano, liberto di Tiberio, che scrisse a Roma nel 50 dC, ma la cui monumentale e ambiziosa opera, la Storia del Mondo, non ci è pervenuta. Ne furono citati alcuni frammenti da Africano in quel che ci resta della sua Cronografia, a sua volta riferita da Eusebio.
Tra l’altro, Tallo avrebbe parlato di una "eclissi" avvenuta al tempo della morte di Gesù, ma lo stesso Africano asserisce che non poteva trattarsi di un fenomeno del genere: a quanto pare, nessuna eclissi accadde in quel periodo. Al tempo di Tiberio non avvennero delle eclissi solari, e neanche nel mese e nell'anno in causa. A parte ciò, è pacifico che se Flegonte visse quasi cento anni dopo Tallo, non poté essere stato anch'egli testimone oculare del mirabile evento, come vorrebbe Africano. L'intera vicenda dell'eclisse, quindi, mostra segni di falsificazione, probabilmente avvenuta in epoca costantiniana.
Il vero problema è che il primo ad aver messo in rapporto l'evento con il Dio dei cristiani, fu Eusebio di Cesarea, che parlò di un'eclissi accaduta in Bitinia, sul Mar Nero, durante la 202° olimpiade, vale a dire nel 32, stando alla sua cronologia. Però, secondo la corretta cronologia olimpiaca, l'evento di cui avrebbe parlato Flegonte avvenne per l'esattezza il 24 novembre del 29, non nell'aprile di due anni dopo e accadde a Nicea, ossia proprio in Bitinia, ad oltre mille kilometri dalla Palestina! Distanza a parte, quantunque totale, l'eclissi non avrebbe potuto essere visibile alle latitudini di Gerusalemme.
 Nella realtà dei fatti, i testimoni cristiani non fecero altro che interpolare, estrapolare, copiarsi a vicenda o attingere da oscuri documenti. Lo fecero pure male, talché, pur di perseguire i loro intenti, arrivarono a contraddirsi e persino ad accusarsi reciprocamente.
 Tra l'altro, la pasqua cade in Luna piena, ossia quando si trova in una posizione tale che non possa verificarsi alcuna eclissi. Calcoli astronomici hanno accertato che fra tutte le 286 eclissi verificatesi dall’anno zero alle porte del II secolo, nessuna, né parziale né totale, cadde su Gerusalemme dalle 12 alle 15 del 13 aprile dell’anno 30 o 31: eppure, se dovessimo credere ai vangeli, quell’eclisse oscurò addirittura tutto il mondo per ben tre ore, laddove un'eclissi totale non dura più di sette minuti.
In definitiva, nessuno tra i tanti cronisti dell'epoca, tanto attenti finanche a fatti di piccola importanza, menzionò lo straordinario evento dei vangeli. Nessuna parola su un fatto del genere neppure da parte di Giulio Ossequente, il massimo archivista di fatti anomali proprio del tempo di Tiberio. Tacciono pure Tolomeo, Seneca, Flavio, Plinio, Plutarco, così come non parlano neppure della "stella dei magi".
 



A parte queste fonti, poco credibili, le uniche testimonianze si riscontrerebbero in tre soli autori, vale a dire Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane. Purtroppo, tutti e tre scrivono cento anni dopo, non parlano di fatti risalenti all'epoca di Tiberio e nel caso in cui (come in Tacito) ciò avviene, si riferiscono, in modo generico agli affiliati di una "superstizione nuova e nociva", già operante nell'impero da qualche decennio e divulgata dai "cristiani": seguaci di un "cristo" di cui non si menziona il nome, cosa assai inusuale per i cronisti del tempo.
Tra i vari capipopolo, dichiaratisi messia dall'epoca erodiana fino ad Adriano, dovremmo capire chi sia Bar Yohra, Bar Kochab o Gesù guardando al titolo di "cristo", che peraltro non avrebbe mai potuto essere riferito da nessuno storico romano, date le implicazioni eversive che, a dispetto delle moderne pretese, esso incarnava in seno ai movimenti di liberazione d'Israele.
Alcune figure, come il Battista o Giacomo, sono indubbiamente storiche, dato che compaiono quantomeno in Flavio. Flavio parla certamente di questi personaggi, ma il "suo" Gesù è inserito in un contesto incollato, senza alcun riferimento precedente: la narrazione si interrompe di colpo, e il seguito è graffettato sul testo con locuzioni e stili assai cristiani. Per la precisione, lo stile è quasi identico a quello di Eusebio di Cesarea, lo storico di Costantino, che è anche il primo a parlare del Testimonium dopo tre secoli di silenzio da parte di tutti i suoi antesignani.
In pratica, il Battista e il Giacomo flaviani sono collegati a un "qualcuno" di cui è stato modificato il nome per chiamarlo Gesù. Questo era un nome comunissimo nella zona, e risaliva come forma al biblico Giosué.
Nel caso specifico, pare che, qualora riferito a personaggi che rivestivano delle posizioni di rilievo, questo nome potesse essere un termine di carica, più che un determinativo proprio di persona. Se consideriamo che il solo Giuseppe Flavio nomina una ventina di "Gesù" protagonisti di fatti notabili dall'epoca asmonea fino a dopo Tito, compresi un tal "Gesù il Galileo" o "Gesù il ladrone di Tolemaide", ai quali si aggiunge un anonimo "profeta egiziano", che aveva trascinato sul Monte degli Ulivi un buon numero di rivoltosi per attaccare le postazioni romane e che si rifaceva alle gesta del Giosué biblico.
Per dirla in breve: sembra che nessuno all’epoca conoscesse questo "Gesù" proprio perché questo non era il suo vero nome. Chi scrisse i vangeli probabilmente aveva tutto l'interesse a non dire chi fosse e così facendo ha fatto in modo che non lo sapremo mai.

sabato 13 agosto 2016

DARWIN SI SBAGLIAVA


"… e sulle acque aleggiava lo spirito di Dio"
Con queste parole inizia la bibbia, al secondo versetto del suo primo libro, la Genesi.
Dal punto di vista strettamente scientifico, oggi non vi sono più dubbi riguardo al fatto che sulle acque della Terra originaria, miliardi d’anni fa, aleggiasse per davvero qualcosa. Quando gli astrofisici Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe pubblicarono Evolution from Space (Londra 1981), prendendo in esame le ultime scoperte geologiche spiegarono ai lettori che, dal loro punto di vista, la comparsa delle prime forme di vita sul pianeta Terra poteva giustificasi solamente con una inseminazione proveniente dallo spazio. 
 
Gli Autori, passando in rassegna i dati noti alla comunità scientifica, per sostenere questa loro tesi si soffermarono in particolare sulle rocce silicee di Swartkoppie, nel nord del Botswana, e sulle rocce metamorfiche di Isua, una regione della Groenlandia sud-occidentale.
Su tutto l’attuale Botswana, fin oltre i confini di questo stato, s’estendeva, oltre un miliardo e mezzo d’anni fa, un antico mare di cui resta oggi il vasto e originario fondale, cioè il deserto di sabbia rossa del Kalahari. Le stromatoliti di Bulawaio, nel confinante Zimbabwe, dimostrano che in quel periodo, lungo quella che era allora una costa marina con bassi fondali e acque molto salate, alcuni microrganismi viventi svolgevano attività fotosintetica, liberando ossigeno nell’acqua. 
Poiché nei mari primitivi di allora si trovavano presenti, disciolte in forma solubile (stato ferroso), grandi quantità di ferro, succedeva che questo elemento, combinandosi con l’ossigeno immesso nell’acqua da quei microrganismi, passava allo stato insolubile (ferrico) e quindi le particelle si depositavano al fondo. Oggi, tutto quel ferro lo si trova in grandi concentrazioni: le miniere esistenti sul nostro pianeta sono essenzialmente costituite da questi depositi sedimentari. 
 
Per quanto riguarda invece la regione groenlandese di Isua, è una specie di posto che non c’è. Non troverete mai questo nome in una normale cartina geografica, per quanto accurata possa essere, a indicare il punto in cui essa si trova. Per andare a Isua non ci sono strade di nessun genere, il posto è raggiungibile solo in elicottero, dopo tre ore di volo verso nord a partire dalla città di Godthåb Nuuk, solo per tre mesi all’anno, durante l’estate, e solo se non c’è nebbia. In teoria, solo se voi siete parenti o amici di qualche persona che lavora lì potete raggiungere l’anzidetta città groenlandese e di lì un volo di cortesia, meteo permettendo, vi porterà a destinazione. In pratica nessun comune mortale potrà mai calpestare quel suolo in tutta la sua vita.
Gli scienziati che vanno a vivere lì in estate, in temporanee ma ben organizzate tendopoli, studiano quelle che sono tra le rocce più antiche della Terra, indagandone i contenuti chimici e la struttura fisica e "ascoltando" così il loro stupefacente racconto. In particolare Isua detiene a tutt’oggi il record, se così si può dire, delle più antiche rocce sedimentarie della Terra, la cui età è stata calcolata in 3,8 miliardi d’anni, in pratica all’alba della nascita della Terra stessa.
Le cose che lasciano sconvolti gli scienziati, a proposito di questi "loquaci" testimoni del passato, sono due.
  • La prima è che se già ottocento milioni d’anni dopo la nascita stessa della Terra si potevano formare sedimenti, questo vuol dire che c’erano già gli oceani o, quanto meno, un’abbondante presenza d’acqua allo stato liquido. Se c’era acqua in forma liquida questo vuol dire che la temperatura media, sulla superficie del pianeta, non poteva essere né sotto lo zero (°C), né sopra i 100 °C. 
  • La seconda è quella fatta notare da Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe in Evolution from Space: che tanto nelle rocce di Isua quanto in quelle di Swartkoppie sono stati trovati batteri fossili e che questi batteri sono morfologicamente identici ai moderni lieviti e dunque non hanno subito alcuna evoluzione. 
Ci troviamo dunque dinnanzi al fatto che dei batteri, fondamentali per la vita tanto d’allora quanto d’oggi, non si sono mai evoluti, cioè sono rimasti oggi così com’erano 4 miliardi d’anni fa. Né le catastrofi naturali, né gli sconvolgimenti planetari, né i drastici cambiamenti ambientali, atmosferici e climatici hanno mai prodotto in loro alcuna modifica o "selezione naturale", per usare un’espressione cara ai darwinisti. Semmai tutto il contrario: sono stati loro, infatti, a "selezionare" l’ambiente, a crearne cioè uno adatto per la nostra vita, non certo per la loro, dal momento che loro hanno dimostrato, e dimostrano, di poter vivere dovunque e comunque.  
Per quanto riguarda la provenienza di questi microorganismi gli astrofisici Hoyle e Wickramasinghe non hanno dubbi e non fanno sconti al riguardo: i cianobatteri, eterni e immutabili, vengono dallo spazio cosmico (a bordo di comete o della loro "polvere") e sono i principali "inseminatori" di vita sui pianeti. Iniziano ad agire quando su questi ultimi esistono o si instaurano le condizioni adatte.

mercoledì 10 agosto 2016

LAMPADE ETERNE



Nel corso delle mie ricerche, mi è capitato d’imbattermi in storie curiose, che riferiscono di lampade (votive) eterne.


P. M. Elsen già ci racconta di una luce perpetua che brillava sulla cupola del tempio di Numa Pompilio. Ma è più interessante quello che ci dice in merito al sepolcro di Pallante (il figlio di Evandro, immortalato da Virgilio nell’Eneide) che fu aperto nei pressi di Roma nel 1401. Lo si trovò illuminato da una lampada che aveva brillato per più di 2000 anni.


Wilhelm Schrodter riporta la storia di una misteriosa tomba, scoperta verso la metà del XVI secolo sulla via Appia Antica. Nel suo interno si rinvenne il corpo di una giovinetta, galleggiante in un liquido sconosciuto. Aveva capelli biondi raccolti con un cerchietto d’oro e un aspetto tanto fresco che la si sarebbe detta ancora viva. Ai suoi piedi stava una lampada accesa, che si spense in seguito, forse al contatto con l’aria. Alcune iscrizioni sembrarono indicare che la salma doveva trovarsi in quel luogo da 1500 anni e si suppose fosse Tullia, figlia di Cicerone. La si portò a Roma e la si espose in Campidoglio dove la gente affluì in massa e cominciò a rendergli gli onori riservati ai Santi. Questo attirò l’attenzione di Papa Paolo III (1468-1549) che la fece gettare nel Tevere.


Hanns M. Heuer menziona una storia simile: nel corso della costruzione di una strada nei pressi di Budapest, nel 1930, gli sterratori scoprirono una grossa lastra di pietra, che fu sollevata e spostata rivelando un sarcofago, all’interno del quale si trovava il corpo perfettamente conservato di una fanciulla molto bella, completamente coperto da un liquido di colore blu chiaro. Ai piedi della giovane ardeva una luce bianco-azzurra. Quando accorsero gli esperti il liquido si era volatilizzato, la luce aveva lampeggiato ancora un po’ e poi si era spenta: nel sepolcro rimase soltanto cenere.


Sarebbe stato interessante reperire almeno una di queste lampade, ma di esse non rimane alcuna traccia archeologica. Se almeno una lampada eterna fosse giunta fino a noi, avrebbe dato maggior concretezza alle storie su esposte.