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venerdì 9 novembre 2018

IL SEGRETO DI OMERO

 
All'età di venticinque anni Samuel Butler aveva deciso di scrivere un'opera lirica intitolata Ulisse. (Era un compositore dilettante, ma bravo). Era convinto che, per farlo, fosse necessario rileggere l'Odissea, di cui aveva ancora non poche reminiscenze dal tempo della scuola. E così aveva fatto. Trovando la poesia di Omero di facile interpretazione, si era dunque messo a tradurre l'opera in prosa. Mano a mano che procedeva nel lavoro si rese conto della strana sensazione che lo conduceva a riconoscere nell'opera di Omero due diversi momenti. Mentre l'Iliade raccontava gesta e fatti straordinari di grandi eroi, l'Odissea, in confronto, si occupava di cose decisamente più terrene. Insomma, più che un racconto epico sembrava un romanzo, in cui i veri protagonisti erano persone normalissime. Una narrazione piena di umanità.



L'Odissea inizia presentando Telemaco, il figlio di Ulisse, che si mette a caccia di notizie per rintracciare il padre dato per disperso dopo la guerra di Troia. Per avere qualche informazione utile si reca presso il re Menelao, che vive felice con la sua sposa Elena di Troia. La scena prettamente domestica ha il tono dell'intimità più schietta. È in questa atmosfera idilliaca e tranquilla che Telemaco viene a scoprire che il padre è trattenuto dalla ninfa Calipso. Ora la scena si sposta sull'isola di Calipso, dove a Ulisse viene concesso di partire (grazie all'intervento decisivo di Giove). Ma il dio Nettuno, che odia cordialmente Ulisse, scatena una tempesta che scaglia il povero eroe sulle spiagge di una terra chiamata Scheria. Dopo il naufragio, viene trovato sul litorale dalla giovane principessa Nausicaa, figlia del Re del posto, che lo conduce a palazzo. Qui, nel giusto tono, Ulisse racconta che cosa gli è capitato dopo aver lasciato Troia. A questo punto si inserisce una storia nella storia, una sezione che costituisce la parte predominante dell'intera opera.



Butler rimase impressionato dalla grande umanità dell'episodio di Nausicaa e dai molti riferimenti intimistici, confermandosi nell'idea che il poema più che un racconto epico era un romanzo dai toni profondamente umanistici. Qualche capitolo oltre, dopo l'incontro coi Ciclopi, il dio del vento Eolo e i cannibali Lestrigoni, Ulisse approda sull'isola della maga Circe, che muta i suoi uomini in porci. E mentre leggeva i versi dedicati a Circe, Butler fu colpito da una intuizione: Circe era un personaggio che non apparteneva alla penna di un uomo, ma di una donna, per di più, una giovane donna. Una lettura ancora più approfondita lo convinse sempre di più. Paragonati con i personaggi femminili, quelli maschili non reggono al confronto: sono le donne che hanno il tocco magico.
Butler osserva inoltre che mentre l'autore dell'Odissea mostra una profonda conoscenza e una grande sensibilità per le questioni femminili, non si rivela altrettanto bravo quando deve affrontare quelle maschili, soprattutto quando parla di pescatori e contadini. Quale marinaio porrebbe mai il timone sul fronte della nave? Quale uomo di mare potrebbe mai credere che una trave stagionata possa essere derivata da un albero novello? Oppure ancora che il vento sibili sul mare? (Fischia sulla terra, per la presenza di ostacoli). Quale uomo con un minimo di conoscenza di pastorizia farebbe mungere le pecore a un pastore prima di mandarle a nutrire, con le mammelle svuotate, i loro piccoli? Quale cacciatore scriverebbe mai che il falco trasporta la propria preda sulle ali? Insomma, l'autore dell'Odissea incorre in molti errori simili a questi. Butler sostiene che è per questo che non può essere un uomo, ma una donna e per di più giovane.



Ora, ammesso che per amore di discussione si accetti l'ipotesi che l'Odissea sia stata scritta da una donna, certe cose diventano ovvie. Primo, doveva disporre di molto tempo libero e per una donna dell'antica Grecia non poteva essere così: la vita era piuttosto dura. Quello di cui gli storici sono convinti è che la vita nell'antica Grecia fosse estremamente parca e povera, con una gran parte della gente costretta a vivere con una dieta di olio e verdure, solo raramente interrotta con qualche pezzo di carne di montone. Dunque, per una donna poter disporre di tempo libero da dedicare alla scrittura era una cosa impossibile, salvo che appartenesse all'aristocrazia, una donna che sapesse scrivere e potesse disporre di servitori che accudissero alle faccende di casa (anche se sappiamo che persino Nausicaa era scesa in spiaggia per fare il bucato).
Inoltre, una donna greca difficilmente avrebbe però potuto disporre di una conoscenza estesa dei fatti della vita (in quei tempi le ragazze se ne stavano chiuse in casa) e dunque ci sarebbe da attendersi che come sfondo delle avventure da lei cantate si ispirasse a quello del suo ristretto contesto di vita. Secondo Butler tutti i personaggi femminili del poema - Elena, Penelope, la regina Arete (la madre di Nausicaa) - sono fondamentalmente la stessa persona e lo stesso può dirsi per gli uomini: Ulisse, Nestore e Menelao. E se, come tutte le giovani narratrici, anche l'autrice dell'Odissea si descrive in uno dei personaggi del racconto, ebbene quando abbiamo da scegliere fra Nausicaa, Circe e Calipso è sulla prima che cade la nostra scelta; mentre, probabilmente la regina Arete e il re Alcinoo sono le rappresentazioni dei suoi genitori.



Ma, come abbiamo detto, se la nostra giovane autrice conosceva solamente il suo piccolo mondo, dove può aver tratto idee e ispirazione per descrivere in modo tanto convincente i viaggi di Ulissè? Quasi certamente descrivendo i posti che le erano noti trasformandoli nella terra di Polifemo, Circe, dei Lestrigoni e così via. In altre parole, se fosse mai possibile risalire con precisione ai luoghi in cui la nostra autrice "Nausicaa" visse, sarebbe possibile riconoscere la geografia del poema.
Ora, Nausicaa abitava in una terra chiamata Scheria, parola che significa "terra che si protende", vale a dire, stando ad Omero, una penisola che si protende nel mare, la terra del popolo dei Feaci. Quando il nudo Ulisse approda alle loro sponde la giovane gli offre cibo e abiti e quindi lo istruisce su come raggiungere la casa del padre dicendogli: 

"Troverai la città distesa fra due porti, collegati fra loro da una stretta striscia di terra."
Più oltre, quando i Feaci hanno ormai condotto Ulisse alla sua patria Itaca, il sempre irato dio del mare Nettuno fa naufragare anche la loro nave mandandola a sbattere contro uno scoglio che si erge proprio all'ingresso del porto. Butler si accorse così di poter disporre di alcune indicazioni importanti sulla terra di Scheria: si trattava di una penisola che si protendeva nel mare aprendosi su due porti collegati da uno stretto lembo di terra, uno dei quali presentava alla sua imboccatura una grande roccia simile a una nave. Da quel che si dice nel testo, sembra inoltre che Ulisse raggiungesse la terra dei Feaci proveniente da oriente, così che il porto avrebbe potuto trovarsi sul versante occidentale. Recatosi al British Museum, Butler aveva consultato alcune mappe della Grecia e dell'Italia, alla ricerca di una costa occidentale che presentasse un promontorio caratterizzato da due porti, uno per lato. Ne trovò uno soltanto. Era la città di Trapani, sulla costa occidentale della Sicilia. Studiando più a fondo Trapani e la sua collocazione geografica, Butler si convinse ancora di più che proprio questa fosse la patria della giovane Nausicaa. Era il solo porto occidentale - compreso nell'area fra l'Italia e la Grecia - che rispondesse appieno a quelle caratteristiche. C'era anche una montagna, il monte Erice, che sovrastava il sito e nel racconto si narra come Nettuno avesse minacciato di seppellire la città sotto la massa di una grande montagna.



Due fra i primi studiosi di storia greca, Stolberg e Mure, dissero di aver identificato nel monte Erice la terra dei Ciclopi. Mentre lo storico greco Tucidide, scrivendo nel 403 a.C., già aveva menzionato la Sicilia come probabile terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni. Nell'Odissea ovviamente queste avventure accadono in luoghi lontani dalla dimora natale di Nausicaa, ma quanto di più naturale per una giovane scrittrice riportare ai suoi luoghi tutte le avventure vissute da Ulisse?
Butler pensò che il passo successivo sarebbe stato visitare Trapani. Cosa che fece nel 1892, trovando la grande gratificazione di riscontrare che ogni cosa combaciava perfettamente con le sue osservazioni. Certo, all'epoca uno dei due porti era rientrato nell'entroterra ed era stato trasformato in una salina, ma era più che evidente che quel sito al tempo di Omero avrebbe benissimo potuto essere un porto. Per di più, lungo le dolci pendici del monte Erice a pochi chilometri di distanza, c'era una vasta cavità naturale che i nativi da tempo immemorabile chiamavano "grotta di Polifemo" e nei pressi dell'ingresso del porto volto a settentrione si ergeva proprio una grande roccia a forma di nave. A questo punto Butler avvertiva con sempre maggiore certezza di essere nel giusto. Anche la descrizione di ltaca, la patria di Ulisse, sembrava non corrispondere affatto a quella reale. Nell'Odissea, Omero la descrive come «alta sul mare» con un ampio orizzonte aperto verso occidente. La vera ltaca invece a ovest è quasi completamente "oscurata" dalla vicina e più grande isola di Samo (oggi Cefalonia). Se però Omero avesse descritto il piccolo isolotto di Marettimo sito proprio davanti alla bocca del porto di Trapani, allora le cose avrebbero coinciso assai bene.



Un lungo viaggio in Sicilia convinse Butler che la sua misteriosa autrice, una donna siciliana, altro non aveva fatto che adattare le fantasiose vicende del viaggio di Ulisse agli sfondi e alla geografia dell'isola, della terra che ben conosceva. Lo stesso Ulisse racconta la partenza dall'isola di Citera, appena a sud della Grecia e di come forti venti gli avessero impedito di fare rotta verso nord per raggiungere l'isola avita e lo avessero invece scaraventato, lui e i suoi compagni, nella lontana terra dei mangiatori di loto (Lotofagi), che per molti studiosi sarebbe da collocare nell' Africa settentrionale. Nell'ipotesi di Butler questa geografia è ben diversa. Ulisse, infatti, puntando verso nord aveva in vista la Sicilia, aveva cacciato le capre dell'isola di Favignana (nota agli antichi appunto come l'isola delle capre, o Egusa), quindi era sbarcato in Sicilia, dove aveva consumato l'avventura con il ciclope Polifemo. Poi erano salpati puntando al nord verso l'isola di Eolo, il dio dei venti, che Butler identifica con la piccola isola di Ustica. Il sito di Cefalù, sulla costa settentrionale, corrisponderebbe alla terra dei Lestrigoni, i mangiatori di uomini. Lo stretto, dimora di Scilla e Cariddi, si trovava invece nella parte orientale della costa, nei pressi dell'attuale grande città di Messina. Alla fine di questo periplo, Ulisse aveva incontrato la ninfa Calipso, signora dell'isola di Pantelleria. Da qui aveva fatto rientro a Trapani o, meglio, all'isolotto di Marettimo: l'Itaca di Omero.

1 commento:

  1. L'Odissea, più che un racconto epico sembra un romanzo, in cui i veri protagonisti sono persone normalissime. Una narrazione piena di umanità.

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