Milioni di italiani, quest'anno più ancora che in
passato, stanno partendo per le vacanze in automobile, rinunciando agli
spostamenti in treno o in aereo per paura di assembramenti turistici:
l'ennesima eredità ricevuta dalla pandemia. Hanno incontrato cantieri stradali che perdurano
anni e non scompaiono nemmeno nei periodi di esodo. Perché in Italia i lavori
stradali non si sa mai esattamente quanto costano né quando finiscono?
Cosa li rende opere eterne, quando potrebbero
essere smantellati in tempi ragionevoli?
Lavori uno dietro l'altro: la rete autostradale è
costellata di barriere e interruzioni. C'è, in media, un cantiere ogni 15
chilometri. Avviene nelle tratte in concessione, la maggior parte delle quali
gestite da Autostrade per l’Italia (Aspi, che fa capo ai Benetton, con 3.020
chilometri) e Astm (della famiglia Gavio, 1.423 chilometri). Sulla rete Anas,
il principale gestore stradale, che fa capo al ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti, c'è invece un cantiere ogni 46 km.
A maggio (2020) risultavano attivi 1.039 cantieri
sulla viabilità principale italiana: 633 su rete Anas, 406 sulle autostrade in
concessione.
Di sicuro chi ci rimette sono gli automobilisti,
costretti a fare la coda e a pagare su strade che, proprio perché a pagamento,
dovrebbero garantire una percorribilità fluida. Purtroppo i guai non finiscono
qui. Un altro problema è la minore sicurezza che la presenza di cantieri porta
con sé. La circolazione è meno sicura, in particolare se c'è una riduzione di
carreggiata. Altri tipi di lavori in genere non determinano particolari
problemi di sicurezza. Gli incidenti stradali che avvengono in presenza di
cantieri sono causati dal fatto che gli utenti tendono ad assumere comportamenti
poco sicuri. Cambia la guida che, per insofferenza, diventa meno prudente: c’è poco rispetto della riduzione di
velocità, e la distanza di sicurezza è inappropriata.
Dopo aver percorso, per vari motivi, più di 220 km
di autostrada in lungo e in largo per la Campania è facile capire quali sono i problemi
legati alla presenza di cantieri.
Gli scenari sono quelli tipici: cantieri infiniti,
limitazioni di carico e riduzione carreggiata, rappresentano la fotografia
della realtà locale.
Partiamo dalla riduzione di carreggiata, il disagio
più diffuso. Sulla A16, in direzione Napoli-Bari, c’era un cantiere lungo circa 600 metri, la
velocità consentita era di 40 km/h (senza cantiere sarebbe 110 km/h). Davanti a
me, un'auto e un camion viaggiano quasi a 80 all'ora. Ho assistito allo scenario
tipico di pericolo che si verifica in queste condizioni: il mezzo che precede,
il camion, si sposta velocemente sulla corsia libera
di sorpasso e costringe il veicolo che segue a un
brusco rallentamento, dato che non viaggiava a distanza di sicurezza. Di fronte
a un cantiere, infatti, si tengono distanze ridotte, nell'illusione di
recuperare il ritardo dovuto al rallentamento. Questa insofferenza è svelata
dal fatto che l'automobile, appena superato il cantiere, si riappropriava della
corsia veloce superando il camion. Si creava così una colonna di veicoli molto
ravvicinati, dove una minima distrazione poteva innescare un tamponamento a
catena. La presenza del cantiere, tra l’altro, avrebbe reso difficoltoso pure l’arrivo
dei soccorsi!
I progettisti lo sanno: la larghezza delle strade e
il numero di corsie è frutto di un complesso studio della viabilità. Quando si
rende necessario chiudere una o più corsie questo delicato equilibrio salta e
le ripercussioni sul traffico sono immediate. Il rallentamento del flusso di
veicoli provoca una guida nervosa, fatta di continue frenate e accelerazioni
fino al blocco del traffico e alla creazione di una coda. Quanto più è esteso
il cantiere o i più cantieri in successione ravvicinata tanto più la
circolazione ne risentirà: l'ingorgo potrà estendersi fino a diventare un'unica
coda, portando alla paralisi di lunghi tratti di autostrada.
Un rischio concreto, perché di cantieri ravvicinati
ce ne sono. Sulla A16, è stato rilevato che il 25% del tratto Baiano-Benevento
(la Napoli-Bari) è occupato da cantieri che riducono a una sola corsia per
senso di marcia (pari a 10,7 km verso Bari e a 9,7 km verso Napoli).
Praticamente un cantiere ogni 3,5 km in entrambi i
versi. Sul tratto del raccordo RA9 che collega Benevento alla A16, c’erano due
cantieri per senso di marcia: si tratta del 13% verso l'A16-Benevento, del 6%
nel percorso di ritorno).
Da anni le barriere di alcuni viadotti dell'autostrada
A16 sono state sequestrate dalla magistratura, che sta indagando ancora
sull’incidente del viadotto Acqualonga del 2013. L’approfondimento delle
indagini sta evidenziando un problema diffuso sulla nostra rete, ovvero
l’esistenza di strutture poco sicure che potrebbe richiedere il sequestro anche
di altre aree della rete italiana. Sembrerebbe infatti che l'incidente sia
dovuto alla scarsa manutenzione di alcuni bulloni che ancorano al suolo le
barriere di bordo ponte. I tempi di intervento si prevedono lunghi: ecco
un'altra causa della cattiva viabilità della nostra rete. Inoltre, negli ultimi
anni, dopo l'incidente di Genova, sono stati intensificati i controlli e si
stanno aprendo molti nuovi cantieri per fare accertamenti.
Un altro caso di cantiere infinito, che caratterizza
la viabilità italiana, è quello dello svincolo della tangenziale di via Campana
all'altezza di Pozzuoli (A56). Non si tratta di un interventi di manutenzione,
ma del completamento di un'opera che ha origini nel 2006 e che a oggi deve
essere ancora ultimata. Un iter durato 14 anni, fatto di lungaggini amministrative,
piani di finanziamenti e indagini tecniche che lo hanno trasformato in
un'italica fabbrica del duomo. A maggio, l'ingresso verso Napoli era impedito,
con ripercussioni evidenti sul traffico locale.
A creare problemi di viabilità si aggiunge la
limitazione di lungo periodo al traffico dei mezzi pesanti. Sulla A56, lungo il
percorso da Napoli verso l'aeroporto di Capodichino, c’era un tabellone
elettronico che indicava il divieto permanente di transito per i camion di peso
superiore a 3,5 tonnellate. Si tratta di un provvedimento preso dopo alcune
ispezioni di sorveglianza che hanno evidenziato la necessità di lavori di
manutenzione al viadotto “Capodichino”, che sovrasta per 1,2 km una delle zone più
densamente abitate di Napoli. Oggi il divieto riguarda solo i mezzi di peso
superiore a 26 tonnellate, ma questo non ha ridotto i disagi per l'utenza,
visto che la circolazione dei camion continua a essere dirottata dalla
tangenziale verso la città.
Una soluzione a questi problemi sarebbe la
prevenzione: il monitoraggio mediante sensori elettronici consente una
manutenzione costante delle infrastrutture. È una prerogativa imprescindibile
di un corretto sistema di gestione, perché permette di individuare i problemi
sul nascere e quindi di risolverli con interventi di modesta entità e di facile
attuazione. In questo modo si possono anche minimizzare i disagi a carico dei
cittadini.
Altro discorso sono i pericoli dovuti a carenza di
manutenzione (pensiamo ai i crolli in galleria in Liguria di solo pochi mesi
fa), che sono un grave rischio per gli automobilisti di passaggio, ma anche un
danno per tutti quelli che non potranno utilizzare l’infrastruttura per lungo tempo.
Purtroppo la vita di un cantiere nasce già piena di insidie, per la maggior
parte legate a vicende che poco hanno a che fare con le difficoltà tecniche di
realizzazione delle opere. I rallentamenti sono quasi sempre dovuti a ostacoli
burocratici. La ricostruzione del ponte Morandi in meno di due anni dimostra
che quando si vuole le procedure possono rispettare i tempi. Ma, nel caso di
Genova, si tratta di procedure superveloci, attuate da Commissari straordinari.
Con il decreto Sblocca Cantieri sono state introdotte novità nel settore dei
lavori pubblici, a partire dalla riforma del Codice degli appalti, che ha
velocizzato l’iter di realizzazione delle opere.
L'iter ordinario delle opere stradali purtroppo è
ben diverso e ancora troppo complicato. Non si trovano i finanziamenti in tempo
o non li si sfrutta. Non si riesce a distinguere le imprese inaffidabili: il
meccanismo delle aste è viziato, ci sono imprese che fanno ribassi impossibili
pur di vincere le gare d'appalto e che poi falliscono o ritardano i lavori. C'è
un sistema di norme che si automodifica in continuazione e anche questo
rallenta i cantieri. Le autorizzazioni per arrivare ci impiegano anni e poi
basta che qualcuno si metta di traverso e bisogna ricominciare daccapo,
provocando chiusure a riaperture dei cantieri. Tanti ritardi sono dovuti dalle
autorizzazioni che devono rilasciare i Comuni, la Provincia, le Regioni, il
ministero dell'Ambiente, dei Beni culturali; poi ci sono i ricorsi degli ambientalisti
e le prescrizioni. Insomma non c'è mai un responsabile, la burocrazia degli
appalti è autoassolutoria, la colpa è collettiva. Così si non riescono mai a
individuare le sacche di inefficienza.