Durante i lavori di restauro della chiesetta del Comune di S. Giorgio (BN), fu rimosso l’altare maggiore, ormai in evidente stato di degrado. Venne così alla luce una piccola nicchia nascosta contenente un cofanetto di legno. All’interno vi trovarono un diario un po’ ammuffito, ma ancora perfettamente leggibile. Il parroco, Don Raffaele, che insieme a due operai fu testimone del ritrovamento, riconobbe, nel manoscritto, la stesura del suo predecessore. Dopo aver letto il diario, si è deciso a consegnarlo a un nipote di Don Pietro Coronero, ritenendo che il manoscritto fosse di proprietà del suo parente più prossimo. Sia chiaro che il suo contenuto non è stato ancora divulgato a mezzo stampa (forse per non contrariare Don Raffaele) ho ottenuto il permesso di diffonderlo, solo per motivi di studio, sui gruppi ufologici e quindi rappresenta una sorta di anteprima in senso assoluto. Per tale motivo, in corsivo virgolettato, vengono riportate le impressioni di padre Coronero esattamente come sono riportate nel diario.
La prima pagina è datata il 15 marzo del 1960. È tarda sera, Don Pietro Coronero è rinchiuso in camera intento alla lettura di un libro. Siamo negli anni ’60 in un piccolo centro agricolo. A quell’ora tutti sono già rientrati in casa: il prete rimane l’unico testimone di questa vicenda. Dalla sua finestra, notò un oggetto discoidale discendere “leggero come un palloncino”, senza produrre alcun rumore, per poi posarsi proprio sul tetto della chiesa. Stimò che avesse le “dimensioni di un automobile”: era grande, lucido, compatto: “somigliava a una grande lenticchia metallica.”
L’oggetto, per alcuni secondi, emise un lieve ronzio e fu proprio quel rumore ad attirare l’attenzione del prete. All’udire quel suono si affacciò sul davanzale ove poté scorgere l’oggetto circondato da una debole luce azzurrina. Poi si spense anche quella. L’apertura di uno sportello provocò, in lui, un senso di apprensione, mitigato dal fatto che, appesa al muro, a portata di mano, c’era la sua doppietta.
Dal disco uscirono due “esserini esili”, alti poco più di 1,10 m. A una testa e un torace molto ampi corrispondevano membra estremamente piccole, addirittura striminzite. I “capelli” erano come paglia tanto erano spessi e irti sulla testa. Parlottarono, tra loro a bassa voce: il loro dialogo somigliava a un cigolio. Si arrampicarono sul tetto, che ha una modesta pendenza e raggiunsero la croce in cima alla facciata. Ci girarono intorno, la toccarono: sembrava facessero dei rilievi. Fu a questo punto che Don Pietro richiamò la loro attenzione gridando: “Ehi! Giù di lì. Chi siete?” I due si avvicinarono con un’andatura saltellante che al prete ricordava quella dei passeri. Poi il più alto dei due cominciò a parlargli. Si espresse nella loro lingua ma, ora, stranamente, il parroco comprendeva ogni parola (telepatia?).
“Ce ne andremo subito. È da molto tempo che vi osserviamo: di voi sappiamo quasi tutto. Se parli, io ti capirò. Solo una cosa non abbiamo mai decifrato ed è proprio per questo che siamo scesi: a cosa servono quelle antenne? – Indicò la croce – Ne avete dappertutto: in cima alla torri dei campanili, in vetta alle montagne, chiuse dentro le case e alcuni le portano persino appese al collo. A cosa servono?”
Don Pietro spiegò ai “marziani” (a quel tempo si pensava che provenissero da Marte n.d.r.) che erano croci e aggiunse: “servono alle nostre anime. Sono il simbolo di nostro Signore Gesù, il Cristo, il figlio di Dio che è morto in croce per noi.”
Queste parole sembrarono suscitare nei marziani un certo interesse, tanto che ne vollero sapere di più.
Sono convinto che nel cuore di Don Pietro balenò l’idea o forse la speranza di poter convertire gli abitanti di un altro pianeta. Sarebbe stato un evento di portata storica e lui ne avrebbe avuto gloria eterna. Fatto sta, che, con la promessa di raccontargli tutto, invitò i due a entrare. Gli disse di accomodarsi pure sul letto, ma quelli parvero non capire. Alle sue insistenze, saltarono sul materasso e vi rimasero in piedi, saltellando leggermente sulle molle, dando così l’impressione che fossero incapaci di stare seduti. Il prete presa una Bibbia cominciò a raccontare. Arrivati al punto in cui Dio, avendo posto l’uomo nel giardino dell’Eden, gli proibì di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, fu interrotto.
“L’avete mangiato, vero? Non avete saputo resistere. È andata veramente così?”
Il prete ammise che ne mangiarono, ma aggiunse: “avrei voluto vedere voi! Se fosse cresciuto sul vostro pianeta un albero simile.”
“Certo - ammise l’alieno – è cresciuto. Fu piantato milioni e milioni di anni fa e adesso è ancora verde.
“E voi i frutti non li avete mai, dico mai, assaggiati?”
“Mai! – rispose il marziano – una legge divina lo proibisce!”
Il diario riporta le conclusioni di Don Pietro: “quei due esseri erano puri come angeli, non conoscevano il peccato, non sapevano cos’era la cattiveria, l’odio, la menzogna.”
“Sì, per quel frutto ci siamo rovinati – rispose – ma il Figlio di Dio si fece uomo e scese qui, tra noi…”
“ E voi che gli avete fatto? Se ho ben capito è morto sulla croce: lo avete ucciso?!
“Da allora sono passati quasi duemila anni. Proprio per noi è morto, per la nostra vita eterna.”
Da alcuni passi del diario, a questo punto, si evince il turbamento e la profonda costernazione che affligge Don Pietro, costretto a confessare le colpe di un’intera umanità.
“E tutto questo – domandò il marziano – è poi servito?”
Don Pietro ci racconta che cadde in ginocchio, si coprì il volto con le mani e così rimase per un lasso di tempo che non riuscì a definire. Quando li riaprì scorse i marziani che erano già sul davanzale, in procinto di andarsene.
“Uomo – chiese uno dei due – cosa stavi facendo?
“Pregavo – si giustificò il parroco – voi non pregate mai?
“Pregare noi? E perché dovremmo?
Il diario, a questo punto, racconta la compassione di Don Pietro per quelle creature pure, incontaminate dal peccato originale e da tutte le sue implicazioni. Dalle sue parole si capisce che sente un certo sollievo.
Saliti a bordo della navicella, questa cominciò a riemettere quel lieve ronzio e a illuminarsi della luce azzurrina. Infine si staccò dal tetto con la “leggerezza di una farfalla” per poi schizzare via verso il cielo, in direzione della costellazione dei Gemelli.
Il caso ufologico finisce qui, il diario, invece, raccoglie le ultime considerazioni del parroco che esprime la sua volontà di non rendere nota la vicenda, almeno finché è vivo (Don Pietro è morto il 15/12/2019) il suo timore di non essere creduto e la possibilità di essere addirittura deriso.
Questa è una fake news.
Si tratta di un esperimento che, al momento, ha dato risultati incerti. Volevo dimostrare che l'utente medio legge, al massimo, le prime quattro righe, poi, credendo di aver già capito tutto, commenta in modo del tutto inappropriato. In questo caso, l'ultimo paragrafo attesta che questa è una fake news: in quanti l'avranno letto? Non ci è dato saperlo poiché, al momento in cui scrivo, ancora non ci sono commenti. Per la cronaca si tratta di una storia di Dino Buzzati, pubblicata in "Sessanta racconti" ed. Mondadori.
RispondiEliminaIo ho abitudine di leggere tutto senza mai commentare
RispondiEliminaChi può dire che dino buzzati non l'avesse davvero vissuto un esperienza simile, quale miglior modo: non posso dire a nessuno lo racconto al mondo intero. Ora è tardi, ma ci tornerò a farti visita... forse sono un aliena...ma ti abbraccio ugualmente e grazie
RispondiElimina