C’era una volta un pastore, Yezid, che stava riportando il suo gregge nella caverna sulla montagna in cui viveva. All’improvviso il cielo venne squarciato da un lampo accecante mentre, quasi simultaneamente, si udì un assordante rumore di tuono. Il pastore atterrito vide apparire un angelo in mezzo al cielo con un’enorme lancia in mano. Seguì un altro tremendo rombo di tuono e cadde un fulmine, mentre qualcosa era scagliato giù dal cielo e precipitava sui picchi. Si levò una potente raffica di vento che percorse le cime delle montagne. La vallata ne fu scossa. Subito dopo una grande quiete. Riavutosi dal terrore, il pastore si alzò dalla terra sulla quale era caduto e si guardò attorno. E notò che, all’interno di una profonda gola, laddove si era abbattuto il fulmine, era comparso un enorme cedro. Dalla parte opposta al cedro si vedeva un meraviglioso pavone, malconcio ma ancora vivo, che si guardava attorno mentre tentava di uscire dall’abisso. Il pastore, con notevole rischio per la sua vita, camminò carponi sino all’albero caduto e prese l’uccello sofferente tra le sue braccia. Dopo aver lavato le sue ferite in un vicino ruscello, lo portò dentro la caverna che era la sua casa. Senza minimamente pensare al riposo, lo assistette per tutta la lunga notte. Quando giunse il mattino, il pavone si era completamente ristabilito e parlò al pastore in voce umana dicendo: “Non avere paura, uomo, tu sei stato cortese con me nella mia disgrazia, così io voglio ricambiare con te e con tutti i tuoi discendenti. Io sono lo Spirito del Male, scagliato giù dal cielo dal mio fratello, lo Spirito del Bene. Ma io non sono sconfitto. Sulla terra, come in cielo, voglio continuare la lotta. Tra gli uomini io seminerò infelicità e instillerò il mio veleno nei loro cuori in modo che un acerrimo conflitto possa nascere fra le genti e instaurarsi in modo permanente. Insegna ai tuoi discendenti ad accettare il Male come tu hai accettato me. Sii compassionevole nei confronti del Male come per voi stessi e gli altri. Dilettami con delle canzoni. Placami con delle preghiere. Assistimi come mi hai assistito nella notte appena trascorsa”. Così dicendo, l’Angelo Pavone, Malak Tawus, come aveva detto di chiamarsi, spiegò le sue ali e volò sulla cima inaccessibile della montagna.
Non è difficile capire perché il resto del mondo religioso disprezzi i discendenti di questo compassionevole pastore. “Dal giorno della caduta dell’Angelo Ribelle”, dichiara un esponente Yezidi durante il raduno di dicembre, data che commemora la nascita di Yezid e coincide con il solstizio d’inverno “noi cantiamo inni per placare e glorificare lo Spirito del Male, ma i nostri inni sono disprezzati dal resto del mondo. I cristiani e i musulmani ci odiano e ci perseguitano. Ci chiamano ‘Muraddun’, ovvero infedeli e adoratori del Diavolo. Lucifero per noi non è l’occidentale principe del Male e delle Tenebre, ma il capo supremo degli angeli e portatore di luce.
La filosofia religiosa Yezidi, per quanto corrotta con elementi giudaico-cristiani, nega infatti l’esistenza della malvagità e rifiuta quindi il concetto del peccato, del diavolo e dell’inferno. Un’occasionale disobbedienza alle leggi divine è espiata attraverso la metempsicosi, la trasmigrazione delle anime attraverso la quale avviene la progressiva purificazione dello spirito. Lucifero ha pagato, cadendo sulla Terra, e trasferendosi nel corpo del pavone. Dalla sua vicenda si traggono auspici di perdono e di tolleranza.
È una posizione forse incomprensibile per un occidentale. Ciò che invece salta agli occhi è che, a meno di trenta miglia dai templi di Lalish, ci sono – o dovrebbero ancora esserci – i siti archeologici di Shanidar-Zawi Chami, nel Kurdistan turco, dove gli archeologi Ralph e Rose Solecki scoprivano negli anni Cinquanta antiche rovine e grandi ali di uccello, particolarmente quelle di una grande otarda, risalenti a oltre diecimila anni fa, reliquie indicative di un religioso rituale che implicava gli uccelli e che impiegava le loro ali, possibilmente come parte di un particolare costume sacerdotale. L’artistica combinazione di ali ed esseri non alati come umani (per raffigurare gli dei), leoni (le sfingi), tori (simboli reali) o le ali più in generale come ornamento nei costumi sacerdotali, sono comuni in molte culture, ma la rappresentazione della suprema deità come un uccello pennuto e in grado di volare è una peculiarità degli Yezidis. L’uccello icona di Lalish è il pavone. Però non esistono pavoni in Kurdistan. Alla luce delle scoperte di Zawi Chami, la grande otarda potrebbe essere la “vera” icona originale degli Yezidis, in quanto nativa del Kurdistan e assomigliante al pavone, che è in realtà un uccello originario dell’India. Ma, forse, la verità potrebbe essere un’altra. Perché quelle grandi ali fossilizzate, a volte sei e a volte quattro, potrebbero identificarsi pure come le ali dei Veglianti, la mitica razza degli angeli corrotti divenuti, dopo la caduta, esseri maligni e crudeli.
A meno di trenta miglia dai templi di Lalish, ci sono – o dovrebbero ancora esserci – i siti archeologici di Shanidar-Zawi Chami, nel Kurdistan turco, dove gli archeologi Ralph e Rose Solecki scoprivano negli anni Cinquanta antiche rovine e grandi ali di uccello, risalenti a oltre diecimila anni fa, reliquie indicative di un religioso rituale che implicava gli uccelli e che impiegava le loro ali, possibilmente come parte di un particolare costume sacerdotale.
RispondiEliminaNon è difficile capire perché il resto del mondo religioso disprezzi gli Yezidi. Dal giorno della caduta dell’Angelo Ribelle - dichiara un suo esponente - durante il raduno di dicembre, noi cantiamo inni per placare e glorificare lo Spirito del Male, ma i nostri inni sono disprezzati dal resto del mondo. I cristiani e i musulmani ci odiano e ci perseguitano. Ci chiamano ‘Muraddun’, ovvero adoratori del Diavolo. Lucifero per noi non è l’occidentale principe del Male e delle Tenebre, ma il capo supremo degli angeli e portatore di luce. La filosofia religiosa Yezidi, per quanto corrotta con elementi giudaico-cristiani, nega infatti l’esistenza della malvagità e rifiuta quindi il concetto del peccato, del diavolo e dell’inferno. Lucifero ha pagato, cadendo sulla Terra, e trasferendosi nel corpo del pavone. Dalla vicenda si traggono auspici di perdono e di tolleranza.
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