Il nostro Paese, l’Italia, non è privo di fatti di cronaca
misteriosi e inquietanti. Questa è la storia di un assassino che
divenne famoso per il suo terribile modus operandi: egli mirava
sempre a giovani coppie, uccidendole a sangue freddo a una distanza
ravvicinata con una Beretta calibro 22 e mutilava gli organi sessuali
della donna. Questo killer è stato il presunto responsabile di 16
omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985: stiamo parlando di quello che
oggi è conosciuto come il mostro di Firenze.
21 agosto 1968. È mezzanotte. In segreto due amanti, Antonio Lo
Bianco di 29 anni e Barbara Locci di 32, appartati all’interno
della macchina del giovane, sono intenti in preliminari amorosi. Sul
sedile posteriore dell’auto dorme Natalino Mele di 6 anni, figlio
di Barbara e di suo marito, Stefano Mele. Una figura misteriosa si
avvicina all’auto senza che la coppia se ne accorga ed esplode otto
colpi di pistola da distanza ravvicinata; quattro colpiscono l’uomo
e quattro la donna. Le indagini successive recupereranno solo cinque
bossoli di una Beretta calibro 22. Poche ore dopo il piccolo Natalino
suona alla porta di una casa ad oltre due chilometri di distanza da
dove era parcheggiata l’automobile. Il proprietario che era sveglio
si affaccia alla finestra e scorge il bambino che dice: “Aprimi
la porta che ho sonno e dopo riaccompagnami a casa perché mia mamma
e lo zio sono morti in macchina…”. Questo è quello che anni
più tardi sarà reputato come il primo assassinio del mostro di
Firenze anche se nel frattempo in carcere è finito Stefano Mele,
condannato a una pena di 14 anni nonostante le molte incongruenze. È
il primo delitto di una lunga e sanguinosa serie, infatti passarono
ben sei anni prima che il misterioso assassino colpisse ancora.
1974. Le vittime sono ancora due giovani, una coppia: Pasquale
Gentilcore e Stefania Pettini di 19 e 18 anni. I colpi esplosi sono
ancora otto, cinque verso l’uomo e tre verso la donna che tuttavia
non la uccidono. Stefania viene trascinata violentemente fuori
dall’auto, non poteva fuggire a causa delle profonde ferite alle
gambe causate dai proiettili. Viene infine uccisa con tre coltellate
allo sterno ma l’assassino non si accontenta, infatti la colpisce
con brutale ferocia altre 96 volte. Infine l’assassino le penetra
la vagina con un tralcio di vite, particolare che fece pensare a un
qualche rito esoterico. Il mostro di Firenze, nome affibbiatogli dai media, cominciò a
guadagnare la sua notorietà il 6 giugno 1981, dopo che i corpi del
30enne Giovanni Foggi e della sua fidanzata Carmela di Nuccio di 21
anni, vennero trovati vicino alla loro auto nei pressi di Mosciano di
Scandicci, in provincia di Firenze. I due si conoscevano da pochi
mesi ma avevano già programmato di sposarsi, probabilmente avevano
dei grandi progetti per il futuro, progetti che vennero distrutti,
ancora una volta, da otto colpi di pistola fatali, tre a Giovanni e
cinque a Carmela, mentre erano ancora in macchina. Un particolare che
era già avvenuto e che si ripeterà anche in alcuni omicidi
successivi è che vennero trovati meno bossoli di quelli
effettivamente usati. A quanto pare all’assassino non bastò aver
semplicemente ucciso i due giovani dato che infierì sui cadaveri con
colpi di coltello, inoltre trascinò la donna poco distante
dall’auto, recise i suoi jeans e per mezzo di tre precisissimi
fendenti ne asportò interamente il pube. I corpi dei due giovani
vennero rinvenuti il mattino dopo e la polizia non poté fare a meno
di notare le analogie con i due duplici omicidi avvenuti nel 1968 e
nel 1974. La polizia cominciava a rendersi conto di aver a che fare
con un serial killer.
Gli investigatori inizialmente sospettarono di Enzo Spalletti, un
autista di autoambulanze che era conosciuto per essere un guardone,
la cui macchina era parcheggiata vicino alla scena del crimine.
Quando gli agenti della polizia lo interrogarono, diede prima
risposte poi dettagli inerenti al delitto che però non erano ancora
stati divulgati dalla stampa: dunque venne arrestato. Tuttavia,
mentre l’uomo era ancora in carcere, un nuovo efferato omicidio
portò la polizia a credere di aver arrestato l’uomo sbagliato. Le
vittime sono ancora una giovane coppia in auto: Stefano Baldi di 26
anni e Susanna Cambi di 24. Anche loro avrebbero dovuto sposarsi
entro pochi mesi ma la sera del 23 ottobre del 1981 non tornarono a
casa. Ancora una volta colpi provenienti da una Beretta calibro 22,
ancora una volta vengono ritrovati meno bossoli di quelli
effettivamente usati e ancora una volta alla ragazza è stato escisso
il pube. La polizia brancolava nel buio e otto mesi dopo ci fu un
altro omicidio, il quinto! Questa volta il delitto si differenzia dai
precedenti in quanto il luogo in cui avviene l’aggressione non è
appartato, inoltre non viene eseguita l’escissione degli organi
sessuali femminili. Le vittime sono Paolo Mainardi, di 22 anni, e
Antonella Migliorini di 19. L’assassino sopraggiunge favorito
dall’oscurità ed esplode alcuni colpi verso la coppia. La ragazza
muore sul colpo mentre Paolo viene solo ferito e riesce a fuggire,
tuttavia in preda al panico non controlla la macchina che sbanda e
finisce fuori strada. Un colpo di fortuna per l’assassino che
avvicinandosi all’auto fredda il giovane. Quando viene scoperto
l’omicidio, Paolo respira ancora e viene immediatamente trasportato
all’ospedale più vicino dove morirà il mattino seguente. Qualche
giorno dopo arrivò alla polizia una lettera anonima che recitava:
“Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro
Stefano Mele?”. Copn tutta probabilità, il messaggio faceva
riferimento al primo omicidio avvenuto nel 1968 in cui era stato
processato e condannato Stefano Mele, evidentemente l’assassino si
stava prendendo gioco di loro.
L’ondata di omicidi è incessante: il 9 settembre 1983. Avviene
l’omicidio di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, due turisti
tedeschi di 24 anni. 29 luglio 1984. Vengono uccisi Claudio
Stefanacci e Pia Rontini di 21 e 18 anni. Questa volta un particolare
raccapricciante sta nel fatto che l’assassino abbia asportato il
pube della donna mentre era ancora in vita, seppur in agonia. 7
settembre 1985. Avviene l’ultimo omicidio, vengono assassinati
Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, ragazzo e ragazza di
origini francesi. Stesso modus operandi dei delitti precedenti. A seguito di otto duplici omicidi avvenuti nell’arco di quasi venti
anni, gli investigatori non erano ancora in grado di trovare il vero
colpevole. Vennero interrogate oltre 100.000 persone nella speranza
di raccogliere qualche tipo di prova. Le indagini portarono alle
porte della casa di Pietro Pacciani, un contadino che nel 1951 venne
arrestato per aver ucciso l’uomo che aveva trovato a letto con la
sua fidanzata. L’uomo era stato accusato più volte di stupro.
Pacciani venne rilasciato nel 1964 dopo aver scontato 13 anni di
carcere e gli investigatori credettero che l’uomo ancora a piede
libero fosse tornato a commettere violenti omicidi. Durante un
processo nel 1994, il giudice condannò Pacciani per 14 delle 16
accuse di omicidio, ma nel 1996 una corte d’appello ribaltò la
condanna citando la mancanza di prove. La polizia, nel vano tentativo
di trovare l’assassino, iniziò a sviluppare una teoria
alternativa: rituali satanici. Agendo su questa convinzione, gli
investigatori conclusero che due amici di Pacciani, Mario Vanni e
Giancarlo Lotti furono complici nei crimini e che commisero gli
omicidi al fine di ottenere un qualche tipo di potere dagli organi
sessuali delle vittime durante i loro culti. Pacciani venne tenuto in
prigione per un nuovo processo mentre nel 1997 Lotti e Vanni furono
condannati all’ergastolo pur avendo pochissime prove a sostegno
delle rivendicazioni. Pacciani morì di arresto cardiaco nel febbraio
del 1998, prima che fosse in grado di affrontare l’ennesimo
processo e Lotti morì in carcere quattro anni più tardi.
Gli investigatori invertono la rotta nel gennaio del 2004, quando
accusarono il farmacista Francesco Calamandrei per aver guidato il
culto satanico e l’allora giornalista de La Nazione, Mario Spezi
per colpa delle sue indagini private. Quest’ultimo venne anche
arrestato con una serie di accuse pesantissime: dal depistaggio al
concorso in omicidio, alla turbativa di servizio pubblico, fino alla
calunnia. Anni prima la ex moglie di Calamandrei, si recò dai
carabinieri e riferì che quando era ancora sposata con lui, aveva
trovato in casa una pistola, precisamente una Beretta calibro 22 e
nel frigorifero alcuni macabri feticci, a sua detta provenienti dalle
vittime femminili del mostro di Firenze. Ben presto la ex moglie fu
vista come una visionaria che voleva solo vendicarsi dell’ex marito
che l’aveva lasciata. Aveva forse ragione? A quanto pare no perché
il 21 maggio 2008, al termine di un processo con rito abbreviato
iniziato nel settembre 2007, Calamandrei venne assolto dalle accuse
per mancanza totale di prove. Due anni più tardi, Vanni morì in una
casa di cura e se partecipò ai crimini oppure no, è un mistero che
si è portato nella tomba. Nel corso degli anni sono state fatte
decine di ipotesi su questo macabro fatto di cronaca che ha sconvolto
il nostro Paese, solo ipotesi però: nessuna prova concreta. Dunque,
il mistero legato al mostro di Firenze, probabilmente, non verrà mai
risolto.
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