L’esperienza insegna che le condizioni sociali ed economiche delle persone influenzano lo stato di salute e l’aspettativa di vita. Le disuguaglianze esistono anche all’interno del nostro Paese, ritenuto “ricco” e con conseguenze drammatiche anche in condizioni di povertà relativa. La povertà, che significa esclusione sociale, condizioni abitative precarie, lavori massacranti o frustranti, mancanza di istruzione, crea le condizioni per ammalarsi più facilmente, oltre che poi curarsi meno efficacemente.
Per quanto efficiente sia un servizio sanitario e motivato il suo personale, le disuguaglianze in salute resteranno, se rimangono immutati i fattori sociali che le determinano: Lavorare su problemi strutturali che creano ingiustizia sociale è il solo modo di tutelare la salute della collettività. Invece, vengono proposte campagne di prevenzione, screening e farmaci a persone sane, che spesso sono inutili, se non addirittura dannose e sottraggono risorse ai malati ingrassando il sempre più ricco mercato della salute.
La ricerca di tecnologie preventive universali ha stornato un’enorme quantità di tempo e di denaro dai malati dirottandola verso i sani a dai poveri verso i ricchi. Il compito di ridurre le disuguaglianze non può essere affidato solo ai servizi sanitari: la soluzione non è tecnica, è politica ed economica. I regimi di austerità puniscono ulteriormente i poveri, perché perdita del lavoro, della casa, del progetto di una vita dignitosa fanno ammalare, causano traumi, stress, privazioni e infelicità che hanno effetti profondi sul corpo. Non ci sono soluzioni sanitarie ai problemi di ingiustizia sociale: bisogna invece creare le condizioni per avere case adeguate, cibo sano, condizioni di lavoro dignitose, istruzione per i bambini.
La spesa per i servizi sanitari va aumentata, certo, ma in parallelo con quella per i servizi sociali. Solo con una politica economica che guardi all’equità si curano anche le disuguaglianze nella salute.
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