La salute non è uguale per tutti: chi può spendere
si cura prima e meglio, per gli altri ci sono liste d’attesa, dai tempi spesso
giurassici, che tutti hanno avuto il dispiacere di sperimentare almeno una
volta nella vita. Anzi, ci sono casi limite in cui l’esame medico, la cura o il
posto letto non sono arrivati in tempo utile per salvare il paziente. Non ci si
deve stupire se aumenta la propensione verso il regime privato, che è più
veloce, ha orari più flessibili e si attrezza sempre meglio per offrire
prestazioni a prezzi, tutto sommato, concorrenziali rispetto al ticket.
Ma il sempre maggiore ricorso alla sanità privata
non scalfisce il macigno delle liste d’attesa nel Servizio sanitario nazionale
(Ssn), appesantito da molti fattori. C’è ancora troppo consumismo sanitario e
un eccesso di medicalizzazione: si continuano a prescrivere troppi esami e
visite inutili e inappropriate. L’invecchiamento demografico fa crescere il
numero di pazienti cronici “complessi”, cioè affetti da più malattie (sono il
21% della popolazione), che assorbono una buona fetta delle prestazioni
ambulatoriali.
Manca la giusta trasparenza: c’è disallineamento
tra tempi d’attesa (più lunghi) per chi sceglie il Ssn e quelli più snelli di
chi invece opta per l’intramoenia (l’attività libero professionale dei medici
“all’interno delle mura” dell’ospedale). Insomma, a pagamento si fa molto prima.
Un obbligo cruciale, quello contenuto nel Piano nazionale di governo
delle liste di attesa (tra l’altro fermo al triennio 2010-2012 e non ancora
aggiornato) dispone che le Asl assicurino ai cittadini che il primo appuntamento
per una visita specialistica avvenga al massimo entro 30 giorni dalla richiesta
di prenotazione e quello per un esame diagnostico entro 60. E non sarebbe un obbligo
all’italiana se non fosse stata prevista una via di fuga: sono tempi che devono
essere garantiti almeno al 90% dei cittadini che richiedono la prestazione.
Mai arrendersi al primo colpo: con le prenotazioni
bisogna insistere, perché un posto si potrebbe liberare (per un’improvvisa
rinuncia) anche un momento dopo o di lì a qualche giorno. Ritentando si può essere più fortunati e riuscire a ottenere un appuntamento più
ravvicinato nel tempo e soprattutto entro i limiti previsti dalle norme.
Grave poi, che il paziente non venga mai informato
del fatto che, a fronte di tempi d’attesa che superano le soglie previste, ha
diritto a ottenere la prestazione in regime di libera professione (intramoenia)
a spese dell’Asl. In pratica, non dovrà pagare nulla di più oltre al ticket (e superticket,
quando previsto). Queste priorità valgono però solo per le prime visite e per
le prime prestazioni diagnostico terapeutiche: lo prevede il decreto legislativo
n. 124 del 1998.
Se invece si chiede di andare in una specifica
struttura sanitaria, perché più vicina a casa o, come spesso accade, perché
suggerita dal medico che ha fatto la prescrizione, è più facile che fiocchino
tempi d’attesa biblici. Non dobbiamo meravigliarci: è normale che si formino
code negli ambulatori e negli ospedali più gettonati. Ciò che invece non
dovrebbe accadere, in quanto vietata dalla Legge finanziaria 266 del 2005, è la
sospensione delle prenotazioni, le cosiddette “liste bloccate”. E invece nel 20%
dei casi ci si sente dire che non c’è una data disponibile o che non hanno
ancora l’agenda. La pratica delle liste bloccate, tra l’altro, è punita con una
multa da 1.000 a 6.000 euro. Questo è il malcostume da condannare, poiché è un
oltraggio alla trasparenza, presupposto necessario per procedere a monitoraggi
(anche questi previsti dalla legge) che individuino aree critiche sulle quali
intervenire con urgenza.
Eppure sulla carta il nostro sistema sanitario è
tra i più invidiati al mondo: l’agenzia americana Bloomberg nella sua ultima classifica
mette la sanità italiana al primo posto in Europa e al terzo nel mondo.
Valutazioni che hanno fatto inarcare le sopracciglia agli osservatori più
attenti. Fu istituito alla fine del 1978 e tenuto a battesimo dall’allora
ministra della Sanità Tina Anselmi, prima donna in Italia a raggiungere i
vertici di un dicastero. La riforma smantellava il sistema delle casse mutue,
causa di squilibri e disparità di trattamento tra i cittadini. Non solo perché
ciascuna mutua era competente per una categoria di lavoratori (e familiari a
carico), ma anche perché la qualità delle prestazioni variava sensibilmente a
seconda della cassa di appartenenza. Il Ssn è dunque nato per dare piena
attuazione al diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione e
pertanto, si ispira ai princìpi dell’universalità, dell’uguaglianza e
dell’equità. Princìpi, appunto, perché poi nella realtà il sistema sanitario è
lo specchio dei problemi e dei mali del paese: divario Nord-Sud, differenze tra
le singole Regioni (federalismo sanitario), burocrazia, inefficienze, corruzione,
sprechi, invecchiamento del personale, mancanza di turn over.
Sarebbe però sbagliato immaginare la nostra sanità
pubblica come una miserevole landa di mediocrità e iniquità, perché in mezzo a
tanti problemi non mancano vette d’eccellenza. L’immagine generale, che i dati
restituiscono, è però quella di un Ssn che perde terreno.
È pura utopia pensare di poter garantire tutto a
tutti subito. Le liste d’attesa sono fisiologiche in qualunque sistema sanitario, ma si può cambiare,
migliorandolo, il sistema delle liste. Per Giuliano Mariotti, padre di un innovativo
modello di gestione dei tempi di attesa che sta facendo scuola, noto con
l’acronimo RAO (Raggruppamenti di attesa omogenei), “la differenza sta tutta nella ragionevolezza dei tempi. Come al pronto
soccorso il paziente con codice rosso o giallo entra subito o prima, e chi ha
un codice bianco può aspettare ore, così anche nell’accesso a visite specialistiche
ed esami strumentali ci si deve basare sulle priorità cliniche”.
In pratica il medico di famiglia o lo specialista
fa riferimento a uno strumento di classificazione che stabilisce un tempo
massimo di attesa per ciascun problema clinico. Per esempio, se il paziente ha
avuto una recente colica renale, l’ecografia va fatta entro tre giorni. Se si
sospetta un tumore al colon, una colonscopia va eseguita entro dieci giorni,
così, nel caso di un sospetto tumore al seno, la mammografia va eseguita entro dieci
giorni. I codici di priorità clinica sono quattro: A se la prestazione deve avvenire
in tre giorni, B in dieci giorni, C in trenta ed E senza un limite preciso.
Il presupposto fondamentale per l’applicazione dei
RAO è il coinvolgimento attivo di tutti gli attori: medici, servizio di prenotazione
e cittadini.
La buona comunicazione è fondamentale per
l’accettazione di questo modello. Quando siamo in auto e sentiamo arrivare
un’ambulanza, viene naturale spostarsi per farle spazio; allo stesso modo
bisogna far comprendere che aspettare qualche giorno in più per un esame, se la
nostra condizione clinica lo consente, è una conquista per tutti. Nelle tante
Asl in cui sono stati adottati i RAO i tempi di attesa per le malattie più
gravi e urgenti sono diminuiti.
Non si può pensare di poter garantire tutto a tutti e subito. Le liste d’attesa sono fisiologiche in qualunque sistema sanitario, ma si può cambiare.
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