Tutti, più o meno bene, conosciamo la storia di Peppino Impastato: d’altronde, nel 2000 è uscito in tutte le sale cinematografiche il film “I cento passi” del regista Tullio Giordana, dedicato proprio alla vita e all’omicidio di Peppino. Però qui vorremmo soffermarci, più che altro, su quella che era la sua radio, la sua arma di lotta e di propaganda.
Più volte Peppino si era soffermato sull’importanza del mezzo radiofonico, perché riteneva che il momento della controinformazione era fondamentale per la preparazione degli interventi politici nel sociale, per collegare e dare voce a tutte le istanze che dal sociale provenivano. Era l’inizio della primavera del ’77 quando propose di aprire una radio. Sentiva forte il bisogno di far sentire la sua voce, la sua opinione e di dare, al tempo stesso, voce a tutte le fasce sociali meno garantite: precari, braccianti, pescatori, contadini, donne, disoccupati, agli edili sfruttati, ai lavoratori in nero. In questo contesto, la radio offriva una nuova ed allettante possibilità in quanto poteva offrire alla gente un servizio fondamentale per la crescita della coscienza antimafiosa in un ambiente sociale bloccato e “drogato” dal perbenismo bigotto, dai condizionamenti e dai ricatti mafiosi, dall’apparato clientelare con cui la D.C. e le forze del pentapartito avevano costruito e consolidato i loro successi elettorali.
Peppino
e il suo gruppo riuscirono a mettere in piedi una struttura
radiofonica in poche settimane. In pochi giorni riuscirono a
procurarsi tutta l’attrezzatura necessaria (trasmettitore, antenna,
piastre e mixer), anche se già usata e non proprio in buone
condizioni. In quel momento, Radio Apache, un’emittente palermitana
d’assalto, era confluita in Radio Sud ed erano disponibili i loro
strumenti con pochi soldi. Cercarono una casa a Terrasini perché
erano convinti che da lì, e non da Cinisi, avrebbero avuto più
possibilità di raggiungere, in seguito (con un trasmettitore nuovo e
più potente) tutti i paesi del Golfo di Castellammare e
dell’entroterra. Trovarono subito anche la casa, piccola, scomoda e
umida, in corso Vittorio Emanuele, non lontano da Piazza Duomo. Si
decise, su proposta di Peppino, di chiamarla Radio Aut e, alla fine
di aprile ’77, cominciarono le prime prove di trasmissione sulla
frequenza di 98,800 Mhz.
Riuscirono ad organizzare, in base alla disponibilità e ai tempi di lavoro e di studio di ognuno, un primo nucleo redazionale che, a partire da Maggio, cominciò a mandare in onda, due volte al giorno, il “Notiziario di Radio Aut, giornale di controinformazione radiodiffuso”.
Naturalmente non si trasmettevano soltanto i due notiziari, ma il palinsesto comprendeva anche trasmissioni di musica classica, di musica rock e pop di ottima qualità. Inoltre, trasmetteva servizi speciali sui temi più scottanti di attualità e mandavano in onda, anche se non giornalmente, delle rassegne-stampa sugli eventi di maggior risalto, nazionali e internazionali, sui quali si proponevano commenti e approfondimenti di buona fattura. In genere era Peppino ad occuparsi di queste rassegne e anche di molti “speciali”, affiancato, di volta in volta, da qualcun altro che si proponeva spontaneamente perché coinvolto dall’argomento.
La radio era installata al primo piano. Vi si arrivava dalla piccola stanza-sottoscala del pianoterra, (in cui tenevano i pannelli per le mostre e altro materiale ingombrante), attraverso due rampe strette di scale che terminavano con un’entrata così bassa che, molto spesso, alcuni di loro, pur conoscendo benissimo l’insidia, prendevano indimenticabili “zuccate”. Superata la forca caudina c’era una piccola stanza in cui avevano sistemato una piccola libreria con un apposito spazio riservato alla raccolta dei giornali e delle riviste. A sinistra si apriva la piccola stanza della redazione (3 x 3,50), dove si tenevano anche le riunioni; subito a destra c’era la scala che portava sulla terrazza, di fronte, la persiana che dava sul balcone. Accanto al balcone, all’esterno, la scritta “Radio Aut, giornale di controinformazione radiodiffuso 98,800 Mhz.” Dentro, una piccola scrivania sulla quale si preparavano i notiziari, gli speciali e le rassegne-stampa. Sulla scrivania c’era il telefono e la vecchia Olivetti di Peppino. Sulla parete di sinistra, una porta immetteva nella stanza di trasmissione, uguale alla precedente, che era stata accuratamente rivestita e insonorizzata. Al centro della stanza, un grande tavolo su cui era sistemato il trasmettitore, le due piastre per i dischi, il registratore per le cassette, due microfoni collegati al trasmettitore e una radio. Il mixer era posto su un tavolo più piccolo accanto al primo. Alle spalle di chi trasmetteva, al muro, c’erano dei cassetti con il materiale discografico e le musicassette.
Peppino arrivava ogni pomeriggio, molto presto. Con Guido, Salvo, Giampiero, Benedetto, Giosuè, Aldo, Faro e Carlo, si cominciava a selezionare le notizie più interessanti. Ognuno di loro si era già preparato, la mattina, leggendo alcuni quotidiani. Quindi si arrivava in radio con diverse segnalazioni già pronte, ma bisognava mettere bene insieme le notizie individuate e trascriverle a macchina, dopo averle opportunamente semplificate ed elaborate con un linguaggio più semplice: diretto e immediato. Quelle due-tre ore al giorno, dedicate al notiziario, erano molto interessanti perché prima di decidere quali notizie inserire, si apriva sempre un dibattito spontaneo che consentiva efficaci ed utili scambi di opinione e di analisi. Spesso Peppino, durante quelle ore, si dedicava alla preparazione di uno “speciale” o di una rassegna-stampa, ma seguiva sempre la preparazione del notiziario, pronto a dare suggerimenti e indicazioni, soprattutto sulla lettura critica delle notizie e sul linguaggio con il quale bisognava porgerle all’ascoltatore. Ogni Notiziario era articolato in Notizie Internazionali, Notizie Nazionali, Notizie operaie, Notizie regionali e locali. Nella sezione delle notizie internazionali consideravano prioritarie tutte quelle che evidenziavano le contraddizioni e le ingiustizie del ”american way of life” e del sistema capitalistico nord-americano e quelle del sistema sovietico e dei paesi del Patto di Varsavia e del loro espansionismo militare.
Le notizie nazionali offrivano materiale e spunti per analisi critiche sull’operato del governo, sulla politica del compromesso storico, sul rapporto tra mafia e politica, sul terrorismo e gli “anni di piombo”, sulle leggi speciali, sulla criminalizzazione del movimento studentesco e operaio, sulle battaglie per i diritti civili sugli otto referendum promossi dai radicali.
Uno spazio a parte era dedicato alle notizie operaie, in cui si metteva in risalto tutto quello che quotidianamente accadeva nelle fabbriche, dalla più piccola alla Fiat, negli ambienti di lavoro, dai licenziamenti a tappeto alle “morti bianche”, dalla cassa integrazione alle occupazioni delle fabbriche, dalle assemblee dei lavoratori agli scioperi. Si criticavano le scelte del governo che, incoraggiando e sostenendo la “riconversione industriale”, aveva aperto la strada a una grave caduta dei livelli occupazionali e a licenziamenti a tappeto per diversi settori dell’industria. Al contempo, si criticavano anche le accomodanti posizioni dei sindacati confederali.
Le notizie regionali consentivano di mettere in luce l’incapacità, l’incompetenza e la corruzione del governo regionale. Le connivenze, gli affari e le collusioni tra i politici, le imprese e i vertici della mafia. I gravi problemi dell’ambiente, della disoccupazione, della siccità e della sete che tormentava quasi tutta la regione, le condizioni igienico-sanitarie carenti di molte scuole e le epidemie di tifo e di epatite virale che continuavano ad avere parecchi focolai d’infezione, oltre al cancro dell’inquinamento in tutte le sue forme.
Le notizie locali ovviamente si occupavano di quello che succedeva a Cinisi, a Terrasini e nei paesi limitrofi: l’attenzione era focalizzata non solo sui rapporti e sugli affari del binomio mafia-politica, ma anche sui guasti irreparabili causati dalla devastazione del territorio: dalla cementificazione delle coste deturpate dal fenomeno dell’abusivismo edilizio, dalle cave che avevano divorato i fianchi delle montagne, dalla speculazione dei privati, dall’inquinamento sempre crescente dell’aria, dell’acqua e del suolo.
Un notiziario completo comprendeva, mediamente, da 30 a 40 notizie circa, quasi equamente distribuite tra le varie sezioni. Di tutta quella frenetica attività, purtroppo, si è conservato ben poco: appena un sesto di quella produzione redazionale. Eppure riteniamo che siano molto indicativi di quello che era il “taglio”, l’impostazione, lo “stile” della controinformazione a Radio Aut.
Pochi tra Cinisi e Terrasini apprezzavano veramente quello che stavano facendo. Tantissimi erano quelli che ascoltavano, quasi quotidianamente, Radio Aut, ma non avevano il coraggio di dirlo pubblicamente: quasi tutti però dicevano o pensavano che erano dei pazzi e che erano usciti, non solo fuori di senno, ma dalla realtà e dal mondo.
Nello stesso periodo in cui cominciava l’attività di radio Aut avevano organizzato a Terrasini un comitato di disoccupati, con più di 40 iscritti, tra cui operai generici, diplomati e alcuni laureati in cerca d’occupazione. L’attività del “Comitato dei disoccupati” permise di attuare un controllo sistematico sull’Ufficio di Collocamento di Terrasini. La diffusione di volantini, l’esposizione, in piazza, di tabelloni pieni di dati e di informazioni per i disoccupati, ma soprattutto la controinformazione fatta dai microfoni di Radio Aut, attraverso notiziari e servizi speciali, permise di fare un buon lavoro politico a stretto contatto con decine di disoccupati di tutte le categorie e di tutte le estrazioni sociali, dai pescatori ai camerieri, dagli operai ai lavoratori di concetto e in alcune occasioni, si raggiunse anche un buon livello di mobilitazione nei presidi al collocamento.
Era molto importante portare fuori dalla radio, ogni volta che dall’esterno arrivavano segnali e sintomi di malessere e d’insofferenza, il lavoro politico e redazionale, così come era importante raccogliere le istanze e i bisogni delle fasce sociali, elaborarli come momenti di denuncia e riproporle al sociale attraverso lo “speciale”.
Peppino, dava adito alle loro potenzialità, facilitando l’intesa e la coesione ed è logico, col senno di poi, domandarsi se quel gruppo sarebbe diventato un collettivo ancora più organizzato ed efficace, sia per l’attività radiofonica, sia per l’intervento all’esterno, se avesse avuto la possibilità di continuare a lavorare con lui. La sua uccisione ha sicuramente spezzato un processo di maturazione e di responsabilizzazione che non è stato più possibile riprendere, poiché, anche se la radio continuò a trasmettere per altri due anni dopo la sua morte, rimase in piedi solo la dimensione radiofonica e quella della denuncia, senza che questa si trasformasse in dimensione dell’intervento politico. Senza Peppino, quella comitiva non riuscì più ad essere un “gruppo” e ognuno di loro, pur non avendo mai perso il contatto con gli altri, seguì, istintivamente, un percorso personale anziché collettivo.
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