Los Angeles, 12 settembre 2008 ore 16:22. Un treno
pendolare con 225 persone a bordo si schianta contro un treno merci in quello
che è ricordato come “Chatsworth crash”. 135 persone rimasero ferite e 25 furono
i morti. Le cause dell’incidente vennero attribuite principalmente a
un’inadempienza professionale del personale sommata a un inefficienza
ingegneristica dei sistemi. Una delle persone che non sopravvisse fu Charles E. Peck, di 49 anni, agente di
assistenza al cliente per la Delta Air Lines all’aeroporto internazionale di
Salt Lake City. Stava andando a Los Angeles per un colloquio all’aeroporto di
Van Nuys e ottenere così un lavoro nel “Golden State” che gli avrebbe permesso
di sposare la sua fidanzata, Andrea Katz, del Westlake Village. Questo sarebbe stato
il suo secondo matrimonio: Peck, infatti, aveva tre figli avuti da una
precedente unione. Le indagini forensi dimostrarono che Charles Peck era morto
sul colpo. Il corpo senza vita dell’uomo fu recuperato dalle lamiere dodici ore
dopo eppure, durante le prime undici ore dopo l’incidente, il suo telefono
cellulare aveva fatto diverse telefonate. Si potrebbe ovviamente pensare ad un
malfunzionamento del dispositivo causato da un impatto violento, però la cosa
più strana è che furono composti i numeri delle persone a lui più care. I suoi
figli, la sua fidanzata, suo fratello, la sorella e la matrigna. In totale il
suo telefono aveva effettuato trentacinque telefonate quel maledetto giorno. I destinatari
raccontano che è stato crudele scoprire che, in realtà, era già morto perché
nelle telefonate si poteva sentire solo rumore di fondo e sembrava chiedesse
aiuto dando loro la speranza che fosse ancora in vita. Come ultimo dettaglio di
questa strana storia, nessuno è mai riuscito a ritrovare il cellulare di Peck.
Cerca nel blog
sabato 18 novembre 2017
venerdì 17 novembre 2017
L'INCIDENTE DI FALCON LAKE
Tutto iniziò il 20 maggio del 1967, a Falcon Lake,
una località situata a circa 120 chilometri a est di Winnipeg, nel Canada.
Steve Michalak, un giovane appassionato di geologia, era alla ricerca di
minerali di cui la zona è ricchissima. Il nostro geologo dilettante, munito dei
suoi attrezzi, procedeva lentamente attraverso i boschi verso una formazione
rocciosa che aveva individuato non lontano da una vasta palude. Ad un tratto,
mentre stava per cominciare a esaminare qualche pietra, sentì lo schiamazzo di
un branco di oche selvatiche spaventate. Nell'attimo stesso, scorse nel cielo
due luci rosse che si avvicinavano. Immediatamente dopo, distinse due oggetti
circolari, sormontati da una protuberanza, che scesero lentamente.
Uno degli apparecchi si posò a una cinquantina di
metri da lui, mentre il secondo, dopo essersi librato per un attimo sulla cima
degli alberi, scompariva rapidamente in una nuvola. Il nostro testimone poté
quindi osservare attentamente il singolare oggetto che era atterrato, il cui
colore subiva delle strane mutazioni: come un metallo arroventato, era bianco,
poi man mano che si raffreddava passava dal rosso brillante al rosso-grigio,
poi al grigio e infine al grigio-argento.
Steve Michalak pensò che l'oggetto fosse un
apparecchio sperimentale dell'aviazione militare. Aveva una corona periferica
di circa 10 metri di diametro, a forma di cono appiattito, che circondava una cupola centrale la cui
base era striata da fessure di 25 centimetri di lunghezza. Sotto quel
complesso, proprio di fronte a lui, si trovano nove pannelli rettangolari di 15
centimetri per 25 forati ciascuno da 30 buchetti che, pensò Michalak, fungevano
da prese d’aria o da scappamento.
Man mano che l'UFO pareva raffreddarsi, il
testimone sentì delle folate di calore affluire verso di lui. L'aria si
impregnava di un odore caratteristico: come di motore elettrico bruciato. AI
tempo stesso udiva un ronzio simile a quello di un rotore che girava al massimo
mentre, vicino ai pannelli d'aerazione, un’apertura lasciava passare un'intensa
luce violetta.
Dall'interno dell'UFO, giunse a Michalak il suono
di una conversazione. Le voci sembravano umane anche se lui non distingueva le
parole. Alquanto rassicurato, il testimone, che è poliglotta, lanciò dei
richiami prima in inglese, poi in russo, italiano, tedesco e polacco, per
attirare l'attenzione degli invisibili occupanti, ma invano: Michalak non
ricevette alcuna risposta. Allora, con gli occhi protetti dagli occhiali da
sole, decise di andare a vedere più da vicino quello strano apparecchio.
Con prudenza, Michalak si accostò all'entrata del velivolo
e vide molte piccole luci multicolori disseminate sulla parete circolare
interna, che proiettavano a intermittenza dei raggi luminosi, ora in
orizzontale, ora in diagonale. Poi la curiosità ebbe la meglio sulla prudenza e
Michalak si sporse per guardare meglio. Con sua grande sorpresa, notò che
l'apparecchio era vuoto e prima di dargli il tempo di proseguire nella sua
ricognizione, la porta gli si chiuse davanti agli occhi, offrendo al suo
sguardo tre pannelli scorrevoli due dei quali si chiusero orizzontalmente
mentre il terzo si alzò dal basso in alto.
Piuttosto interdetto e ormai convinto di non avere
a che fare con dei militari, Michalak cominciò a passare la mano guantata sulla
parete esterna che gli sembrava di acciaio cromato. Immediatamente avvertì un
odore di gomma bruciata: il guanto stava bruciando per effetto di un calore
misterioso. Senza alcun preavviso, l’oggetto cambiò posizione e Michalak si ritrovò di fronte ad una specie di griglia, da cui uscì un getto di gas caldo che lo investì in pieno. Dolorante e preso dal panico, si gettò a terra e si rialzò appena in tempo per vedere la partenza dell’oggetto, che si alzò in cielo cambiando colore, come aveva fatto precedentemente e scomparve alla vista. Scioccato, l’uomo si guardò attorno e vide gli effetti di un forte spostamento d’aria. I suoi abiti avevano preso fuoco e il giovane comprese immediatamente che il getto era venuto dai fori che prima aveva ritenuto per bocche d'aerazione.
Un forte odore di zolfo riempiva l'aria e nel punto
dove si era posato l'apparecchio, l'erba sta bruciando. Assalito da ondate di
nausea, il testimone tentò di ritornare in albergo. Dopo due ore di estenuante
marcia, durante le quali vomitò quasi costantemente, incontrò una pattuglia
della polizia canadese che lo ricondusse nella sua stanza. Là il giovane
avvertì la famiglia che, allarmata dal suo stato, decise di trasportarlo
d'urgenza all'Ospedale della Misericordia, a Winnipeg. Da quel momento, Steve
Michalak, per circa 18 mesi, fu preda di un malore che si manifestò con sintomi
diversi, intervallati da brevi periodi di guarigione.
Dapprima venne curato per le ustioni che,
fortunatamente, risultarono superficiali. Le ferite si cicatrizzarono piuttosto
rapidamente, ma altri sintomi apparvero e più preoccupanti: nel corso dei primi
otto giorni dal ricovero in ospedale, infatti, Michalak perse dieci chili di
peso. La perdita di peso fu tanto più allarmante in quanto Michalak era già
piuttosto magro. Informati della sua strana avventura, i medici dapprima avanzarono
l'ipotesi di un contatto con materiali radioattivi, ma tutte le analisi
effettuate al centro atomico di Pinawa risultarono negative. Tuttavia, senza
alcuna cura, la salute del malato finì per migliorare e in poco tempo, il
giovane riprese il suo peso normale. Poi, bruscamente, il 3 giugno, si presentò
un prurito al petto che andava aumentando fino a che, il 28 giugno, il
testimone provò la dolorosissima sensazione: come se migliaia di invisibili
bestioline gli stavano divorando la carne. In seguito a un adeguato
trattamento, il prurito scomparve, ma si trattò solo di un breve sollievo: due
mesi più tardi si manifestò di nuovo, poi ancora a gennaio, maggio e agosto del
1968.
Le sofferenze di Michalak, però, non erano che
all'inizio: un giorno, mentre si trovava al lavoro, avvertì un intenso bruciore
al collo e al petto ed ebbe l'impressione di avere la gola in fiamme.
All'ambulatorio, dove lo trasportarono immediatamente, si riscontrò che il suo
corpo era stranamente gonfio e che nel punto preciso delle vecchie scottature erano
comparse delle grandi macchie rosse. Michalak fu vittima di uno straordinario
fenomeno: in 15 minuti tutto il suo corpo diventò viola e si gonfiò a tal punto
che gli riuscì impossibile togliersi la camicia. Le mani poi diventarono come
due piccoli palloni. Gli illustri specialisti chiamati attorno al letto
d'ospedale in cui egli giaceva senza conoscenza, non credevano ai loro occhi e
si dichiararono impotenti a formulare una diagnosi su quel male misterioso.
Stranamente, tutti i mali di cui soffriva il
testimone svanirono completamente durante la notte senza il minimo intervento
medico. Il giorno dopo, fresco e riposato, Michalak rientrò a casa accolto con
gioia dalla sua famiglia che attribuì la sua guarigione a un miracolo.
I ventisette medici che si sono alternati attorno a
Steve Michalak hanno formulato varie ipotesi per cercare di spiegare i disturbi
quanto meno curiosi di cui egli è stato vittima. A forza di analisi e di
controanalisi, hanno proposto agli ufologi tre diverse teorie.
L’ipotesi più attendibile contempla la possibilità che
una radiazione di tipo gamma avrebbe provocato le bruciature e l'immediato
deterioramento, nello stomaco del testimone, del cibo che aveva consumato poco
prima dell'osservazione. In effetti, i sostenitori di questa teoria pensano che
tale decomposizione possa essere all'origine dell'orribile odore di zolfo percepito
dal testimone dopo i fatti e che questi, secondo la sua espressione, aveva
l'impressione di «portare in sé».
I raggi gamma vengono emessi dal decadimento di
materiali radioattivi. Inoltre, il risultato di una delle molte analisi a cui
fu sottoposto il malato può costituire un indizio prezioso: il tasso di
linfociti nel sangue passò dal 25 al 16
per cento nei giorni successivi alla sua osservazione, per poi tornare normale
quattro settimane più tardi. Queste diverse teorie non riescono però a spiegare
tutti i disturbi di Steve Michalak: né lo straordinario e istantaneo gonfiore
del corpo, né la brusca perdita di peso, né le macchie rosse seguite alle
bruciature. I sintomi manifestati dal testimone di Falcon Lake rimangono
inspiegabili.
Del resto, i medici della Clinica Mayo di Rochester
nel Minnesota (Stati Uniti), dove Michalak si è presentato spontaneamente per
sottoporsi ad un nuovo trattamento, non si sono sbilanciati e l'ermetismo della
loro diagnosi è rivelatore: «avvelenamento chimico del sangue».
Benché la strana malattia di Steve Michalak sia di
natura tale da convincere anche i più irriducibili, la Commissione Condon ha
compilato, sul caso di Falcon Lake, un rapporto negativo.
Steve Michalak non sarebbe dunque che un
simulatore, come ha sostenuto Roy Craig, esperto delegato dalla famosa
commissione. Certo, il rapporto della Commissione Condon, che ha messo in
rilievo certe incongruenze, ha rilevato giustamente che un fuoco in grado di bruciare
degli indumenti, di norma, avrebbe dovuto provocare un principio d'incendio
nella foresta. Mentre il malato era in cura, le indagini hanno tentato di
scoprire eventuali tracce dell'atterraggio dell'apparecchio. Se le prime
ricerche furono infruttuose, altre indagini, effettuate alla metà di giugno del
1967, rilevarono sul terreno una piccola zona circolare dove era sparita ogni
traccia di vegetazione. Campioni del terreno prelevati e analizzati dal
National Research Council (Consiglio nazionale della ricerca) del governo
canadese e dall'Aviazione militare del Canada hanno rivelato la presenza di
radioattività, ma secondo gli esperti del governo, i campioni risultavano
contaminati dalla vernice fosforescente di un orologio.
Il 19 maggio 1968 furono effettuati altri prelievi
che confermarono le prime risultanze. Gli stessi prelievi rivelarono anche la
presenza di piccole particelle metalliche che erano sfuggite alle prime analisi
e che erano essenzialmente composte di una lega d’argento a bassissimo tenore di
rame, quindi purissimo.
La scoperta delle particelle metalliche non ha
comunque turbato il rappresentante della Commissione Condon, che ha dichiarato
che è assolutamente improbabile che le particelle scoperte un anno dopo i primi
prelevamenti siano passate inosservate in occasione delle prime analisi. Gli
scettici sono perfino arrivati ad avanzare l'idea che sia stato lo stesso
Michalak, che aveva preso l'iniziativa dei secondi prelievi, a spargere le
particelle per autenticare il suo racconto. Invece, quando l'A.P.R.O. (Aerial
Phenomena Research Organization) decise di ripetere le analisi sui primi
prelievi, si scoprì che anche quelli contenevano le famose particelle. Analisi
mal fatta dunque? Comunque sia, gli esperti del Condon non modificarono il loro
rapporto.
A coloro che lo accusano di essere un millantatore,
Michalak risponde invariabilmente: “Non
chiedo a nessuno di credermi, ma io so quello che ho visto.”
sabato 11 novembre 2017
A. V. BOAS: A LETTO CON L'ALIENA
Il 15 Ottobre del 1957 Antonio Villas Boas, un
agricoltore di 23 anni, avvistò per due volte consecutive degli oggetti
luminosi nel cielo a S. Francesco di Sales, in Brasile. Una notte, dopo il
secondo avvistamento, l'uomo stava arando il proprio campo quando un oggetto a
forma di uovo apparve nel cielo ed atterrò proprio davanti al suo trattore. In
preda al panico, Antonio tentò inutilmente di scappare ma venne afferrato da
quattro esseri (che indossavano una tuta grigia e un casco) e trascinato a bordo
dell'UFO.
Antonio racconta: - Il mio inseguitore era un tipo basso (mi arrivava appena alla spalla) che indossava una specie di tuta e con la testa coperta interamente da un casco. Mi voltai con violenza ed una spinta mi fece rotolare a terra, su un fianco, ad un paio di metri di distanza. A questo punto, si affiancarono al primo altri tre individui e venni attaccato di lato e di fronte, fui agguantato per le braccia e per le gambe e sollevato... L'apparecchio stava a uno o due metri da terra, poggiato su una specie di treppiede. Aveva una porta aperta nella metà, con una scala, fatta dello stesso metallo argentato del disco. Fui portato dentro, il che non fu un lavoro molto facile, ed una volta dentro ci trovammo in una piccola saletta quadrata, illuminata fortemente da molte lampade fluorescenti, piccole e di forma quadrata, incastonate nel soffitto. Dentro era assolutamente vuoto. In tutto vi erano cinque persone e queste mi portarono in un altro locale molto più grande del primo e di forma ovale. Arrivato lì, mi sentii molto meno tranquillo, anche perché la porta esterna era chiusa ed io non avevo nessuna possibilità di fuggire.
Questo locale aveva una colonna centrale molto spessa alle due estremità e più sottile al centro, di forma piuttosto strana. Compresi subito che essa doveva essere il perno o l'asse dell'apparecchio. Sui lati vi era una bellissima tavola e attorno a questa molte sedie girevoli appena accostate e tutte di metallo...
Gli alieni comunicavano tra di loro per mezzo di
suoni simili a latrati e guaiti. Spaventato, l'uomo venne preso, svestito e
lavato. Gli venne prelevato un campione di sangue dal mento e venne lasciato da
solo in una stanza dove c'era un letto. Poco entrò una bellissima donna nuda. La donna aliena
La creatura era alta solo un metro e mezzo, aveva
un corpo stupendo, i capelli biondi e gli occhi grandi, blu e obliqui. Gli
zigomi erano alti, il naso dritto ed il mento appuntito. Comunicava con gli stessi "guaiti" emessi dai suoi compagni. Cominciò a strofinarsi
su di lui, eccitandolo. I due consumarono un rapporto sessuale e poco dopo la
donna aliena si toccò la pancia ed indicò le stelle, come ad indicare che il
nascituro sarebbe stato portato nello spazio.
L'incredibile resoconto potrebbe essere
interpretato come una fantasia sessuale del ragazzo e non sarebbe stato nemmeno
preso in considerazione dagli ufologi se Villas Boas non si fosse sentito così
male da ricorrere ad una visita medica.
Il dottor Olavo Fontes che lo esaminò affermò che
il giovane era stato esposto a radiazioni. Per effetto della contaminazione,
Antonio ebbe dei disturbi per molti mesi: insonnia, stanchezza, dolori in tutto
il corpo, mal di testa, disappetenza, bruciore degli occhi e lacrimazione
permanente. Constatò lesioni cutanee provocate da contusioni e macchie
giallastre che sparirono dopo venti giorni. Presentava, inoltre, piccoli noduli
arrossati, duri, ondulati in superficie, dolorosi se schiacciati e con un
piccolo orifizio nella parte centrale, da cui usciva un siero giallastro.
Larghi strati di pelle presentavano un'area ipercromica, violacea. Infine
riscontrò sul mento, ove gli era stato prelevato il sangue, due macchioline
ipocromiche, una per ciascun lato del mento, di forma più o meno arrotondata.
La pelle era sottile e liscia, come se si stesse rigenerando.
domenica 5 novembre 2017
IL CASO MERIDA
Il 20 marzo del 2005, alle due di notte, David
Espada, José Alonso Herrera Hernández ed un altro ragazzo (che ha preferito
l’anonimato) giocavano tranquillamente a pallone sul marciapiede davanti alle
loro case, nella zona di Fraccionamiento Del Parque, vicino Merida, nello
Yucatan (Messico). Herrera stava riprendendo con un cellulare i due amici che
giocavano, quando David Espada si fece sfuggire la palla che rotolò vicino ad un
palo della luce lì vicino. David andò quindi a riprendere la palla ed Herrera che lo
seguiva con l’occhio digitale della sua videocamera applicò uno zoom 2x.
David si apprestò a prendere la palla quando,
inaspettatamente, una misteriosa entità fece capolino da dietro al palo della
luce. Estendendo un lungo braccio, tentò di afferrare David. Quest’ultimo, una
volta sentito il tocco della creatura sul suo braccio, saltò dallo spavento, si
ritrasse e cominciò a correre verso gli altri due ragazzi urlando: - Porca …
qualcosa mi ha toccato il braccio! Non sto scherzando, lo giuro! –
In seguito racconterà in televisione:
"Andai a raccogliere la palla e improvvisamente, sentii una mano gelida afferrarmi il braccio, tirandomi con forza. Era un essere orribile, una strana creatura con delle lunghe braccia. Mi terrorizza il solo ricordo."
Nel frattempo, i ragazzi non si rendono ancora
conto di quello che è successo, ma David era terrorizzato e continuava ad urlare
indicando il palo: - È là, dietro al palo; continua a riprendere! - Herrera,
allora, puntò la sua videocamera nella direzione segnalata da David ed applicò
uno zoom di 4x. A questo punto, la creatura si mostrò una seconda volta,
sporgendo leggermente la testa da dietro al palo per circa tre secondi,
poi sparì definitivamente.
I tre ragazzi, a questo punto, realizzarono cosa stava
accadendo e cominciarono a scappare in preda al terrore. Lo shock subito dai
giovani fu talmente forte che per diversi giorni nessuno di loro volle né
parlare dell’evento né guardare il video girato da Herrera. Solo diversi mesi
dopo, David Espada e José Herrera, trovarono il coraggio per poter raccontare
lo sconcertante avvenimento ad alcuni compagni di scuola. La visione del video
allontanava lo scetticismo dalle menti degli spettatori, consentendo alla
storia di diffondersi a macchia d’olio fra gli studenti.
Otto mesi dopo l’accaduto, più precisamente il 30
Novembre 2005, l’investigatore messicano Jaime Maussan venne a Merida per
tenere una conferenza e casualmente, fu informato dell’esistenza del
controverso video da alcuni appassionati di ufologia. Maussan fu da
subito molto interessato e volle conoscere i ragazzi per ascoltare la loro
storia. Dopo aver visionato il video, l’investigatore convinse i ragazzi a
condividere la loro esperienza con il resto del mondo. David Espada era ancora
molto scosso ed accettò solo dopo molte insistenze. fu allora che il filmato venne trasmesso in
televisione ed i ragazzi furono intervistati diverse volte.
L’unica prova tangibile dell’evento, oltre alla
testimonianza dei ragazzi, è costituita dal video girato da Herrera con il suo
cellulare. La risoluzione è estremamente scadente ed è difficile distinguere i
particolari. Inoltre, gli artefatti dovuti alla compressione del video
potrebbero aver fuorviato gli investigatori per quanto riguarda la misura del
braccio dell'alieno: la parte finale del braccio (quella che dovrebbe
toccare David) è, molto probabilmente, un effetto ottico dovuto alla bassa
qualità delle immagini. Gli scettici come, ad esempio, Daniel Parquet, del
Journal of Hispanic Ufology (giornale ufologico spagnolo) Jorge Moreno
Gonzales, direttore del Centro d’Ivestigazioni sui Fenomeni Paranormali e
Sergio Valdez Diaz della rivista "I Misteri di Merida" asseriscono che
tutta la storia è in realtà una candid camera ideata dai ragazzi per prendersi
gioco del loro amico (David Espada).
D'altro canto, c'è Jaime Maussan che continua a
sostenere l'autenticità del filmato. Secondo il famoso giornalista, infatti,
sul luogo dell'avvistamento fu rilevata della radioattività anomala. Il
dato figura in un articolo inviato all'editoriale Milenio da Maussan: nel testo
si legge che l’astrofisico Jorge Guerriero ha trovato la scoperta tanto stupefacente
quanto inspiegabile, dal momento che non c’è alcun motivo che spieghi e
giustifichi la presenza di radioattività nella zona di Fraccionamento del
Parque.
sabato 4 novembre 2017
BIBLIOTECA
Ultimamente si è accesa una discussione su un sito
web molto popolare ma, in concreto, che ruolo hanno le biblioteche nell’era di
internet? Perché usare una biblioteca quando si possono avere quasi
tutte le informazioni dal web?
Molto dipende da cosa si cerca. Se si vuole la
descrizione sommaria di qualcosa, la si può trovare su Wikipedia, ma se si cerca
un libro o un articolo, la maggior parte delle volte queste cose sono
“protette” dal diritto di autore e riuscire ad acquisirle richiede una capacità
di spesa. C’è poi il solito problema inerente le fake news, che ora è di grande
attualità. Soprattutto sono luoghi d’incontri reali, tra le persone più diverse. E
questo internet non potrà mai offrirlo.
Prendiamo, ad esempio, la New York Public Library,
la più grande biblioteca americana pubblica, non è solo una raccolta di libri
con una sala di lettura (spettacolare nel caso specifico) ma un vero e proprio
polo culturale di integrazione, democrazia e cultura. L’ingresso è libero, così
ogni anno vi arrivano milioni di persone non solo per consultare libri e
archivi, ma anche per frequentare i corsi gratuiti di lingue, informatica,
storia, filosofia, teatro, cinema.
E in Italia? Il nostro servizio bibliotecario
pubblico si avvicina al modello della Grande Mela?
Secondo Rosa Maiello, presidente nazionale
dell’Associazione italiana biblioteche (Aib) e direttore della Biblioteca
dell’Università di Napoli “Parthenope”: - La
New York Public Library è quello che il servizio bibliotecario dovrebbe essere:
capace cioè di promuovere l’apprendimento, lo sviluppo del piacere della
lettura fin dalle prime fasce d'età, ma anche l’information literacy, cioè
corsi che insegnino l’uso delle tecnologie e come muoversi nel mare magnum
dell’informazione.
Una proposta: si potrebbe promuovere un progetto
per l’alfabetizzazione informatica dei pensionati, magari coinvolgendo i
ragazzi delle superiori nell'ambito dell'alternanza scuola-lavoro. Si
tratterebbe, in pratica, di un corso tenuto da ragazzi che insegnano agli
anziani come usare il pc, la posta elettronica, l’accesso alle utenze
domestiche e altri servizi. Un'iniziativa ambivalente: i ragazzi imparerebbero
a rapportarsi con le persone adulte e a razionalizzare quello che sanno fare,
perché devono spiegarlo.
In Italia il servizio è molto eterogeneo e dipende molto
dalle politiche dei singoli Comuni e dalle dotazioni finanziarie ad esso
destinate. Visto che l'amministrazione locale è libera di fare quello che
vuole, non essendoci uno standard comune, nel nostro Paese troviamo biblioteche
super attrezzate (con sale dedicate ai più piccoli, corsi, postazioni con wifi
per navigare in internet e orari di apertura adeguati alle esigenze dei
cittadini) e altre meno dotate di risorse, che restano aperte poche ore al giorno
per mancanza di personale e che sono poco più di una sala di lettura.
In effetti, manca una legge sulle biblioteche, una cornice
normativa di riferimento in cui si stabiliscono gli standard minimi di servizio,
la destinazione d’uso, le finalità. Giace in Parlamento una proposta di legge
(Disposizioni per la diffusione del libro su qualsiasi supporto e per la promozione
della lettura, testo unificato C. 1504 e C. 2267) che ha avuto l’unanime parere
favorevole della Commissione Cultura della Camera ed è poi passata in
Commissione Bilancio, dove si è fermata. Speriamo che l’iter prosegua e non decada con la fine
della legislatura. Nella proposta si declinano quelli che sono i servizi minimi
che la biblioteca pubblica deve poter fornire, si prescrive l’obbligo delle amministrazioni
locali di inserirle nei loro bilanci con un apposito capitolo di spesa.
Oggi, nella pianificazione delle attività
fondamentali di un ente locale, il servizio bibliotecario viene inserito nella
voce “varie ed eventuali”. Il problema è che in questi anni ci sono stati tagli
al personale nell’ambito di un più ampio ridimensionamento della Pubblica Amministrazione
e la scarsa sensibilità rispetto all’importanza del servizio in relazione a
quello che può offrire in termini di welfare, non è andato certo a favore delle
biblioteche. In parole povere: visto che queste strutture non sono percepite
come necessarie, sono le vittime predestinate dei tagli alla spesa.
Le regole dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile).
In aeroporto, non è raro incontrare passeggeri in procinto
di prendere un volo con bagagli a mano carichi di souvenir alimentari. C’è poi
chi, per esigenze personali, in volo preferisce portare uno spuntino da casa
piuttosto che mangiare il pasto servito in aereo (negli ormai sempre più rari
casi in cui questo è previsto).
A bordo, tuttavia, non tutto il cibo è permesso,
perché vigono delle restrizioni. Per esempio, non sono ammessi i formaggi a
pasta molle, quelli freschi come le mozzarelle e il formaggio spalmabile (anche
se è possibile portare un panino con questi prodotti all’interno); vietati
anche gli yogurt, le creme al cioccolato e i budini, le confetture e le salse
di vario genere. Questi prodotti devono essere trasportati nel bagaglio in
stiva. Al contrario si possono portare a bordo prodotti secchi, come pasta,
crackers, biscotti e anche il formaggio stagionato.
I liquidi (anche aerosol e gel) possono essere portati
a bordo solo se in contenitori singoli di capacità massima di 100 ml, inseriti
in un sacchetto di plastica trasparente e richiudibile da un litro.
giovedì 2 novembre 2017
GLOBSTER
Il termine Globster fu coniato da Ivan T. Sanderson
nel 1962 per descrivere la grande carcassa arenatasi in Tasmania nel 1960.
Queste colossali masse organiche, dette anche Blob, si distinguono dalle
normali carcasse marine per la difficoltà di essere identificate come resti di
animali conosciuti. Fino ad oggi si sono verificati parecchi ritrovamenti di
queste fibrose masse organiche, il più delle volte arenate sulle spiagge. Molte
sono le ipotesi avanzate dagli esperti di biologia e criptozoologia: c’è chi
afferma si tratti di gigantesche piovre (octopus o Kraken), calamari giganti o
giganteschi invertebrati sconosciuti. Esiste anche la possibilità, meno
sensazionalistica, che si tratti di carcasse di balene, capodogli o grandi
squali in avanzato stato di decomposizione. Alcuni globster sono effettivamente
stati identificati in tal senso, ma non è questo il caso.
Il Tasmanian Globster, una enorme massa organica mai
identificata ritrovata su una spiaggia nei pressi dell'Interview River, nella
Tasmania Occidentale, fu rinvenuta da due mandriani locali, Jack Boote e Ray
Anthony, mentre radunavano il bestiame assieme a Ben Fenton, il loro
principale. La sua lunghezza fu misurata in 7 metri e la larghezza in 6 metri; il
suo peso fu stimato dalle cinque alle dieci tonnellate. La carcassa non aveva
occhi e al posto della bocca presentava due protuberanze morbide simili a
zanne. La carcassa aveva una colonna vertebrale, sei 'braccia' morbide e
carnose e delle setole bianche che ne ricoprivano il corpo. Non emanava nessun
odore e non sembrava in stato di decomposizione. Fenton scattò una fotografia
della carcassa e riferì la sua scoperta a molte persone, tuttavia non riuscì a
suscitare alcun interesse. Soltanto un anno e mezzo dopo, riuscì a convincere
G. C. Cramp (membro del consiglio di amministrazione del Tasmanian Museum) ad
organizzare una spedizione per esaminare il reperto dal punto di vista
scientifico. Facevano parte della spedizione Bruce Mollison e Max Bennett, del
CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization) e due
funzionari del Tasmanian Field Naturalist Club: L. E. Wall e J. A. Lewis.
Affrontati gli ostici terreni della Tasmania
occidentale, il gruppo giunse sul posto il 7 Marzo 1962, constatando che la
carcassa, dopo un anno e mezzo, era rimasta pressoché immutata. La notizia
venne riportata sulla prima pagina del quotidiano della città di Hobart, The
Mercury, con un articolo ricco di particolari: “Duro, gommoso e in ottimo stato di conservazione. Gabbiani, corvi e
diavoli della Tasmania hanno per mesi tentato di strapparne brandelli di carne,
ma invano. Inizialmente era ricoperto di peli, descritti dagli allevatori come
simili a lana di pecora, ma untuosi al tatto. La creatura aveva una gobba di
circa un metro e mezzo, che nella parte posteriore andava degradando fino a
circa 13 centimetri. Sulla parte anteriore si osservano cinque o sei fessure
prive di peluria, simili a branchie, oltre a quattro grandi lobi penduli al cui
centro vi era un orifizio simile ad una gola. Non sembra avere una struttura
ossea”
Il 16 marzo di quello stesso anno, il governo
australiano organizzò una seconda spedizione, alla quale presero parte numerosi
scienziati: vennero prelevati dei campioni di tessuto dalla carcassa che
vennero poi portati ad Hobart per essere esaminati. I pareri degli scienziati
non furono unanimi; il professor Clark, della University of Tasmania, affermò
che si trattava di una enorme razza e che non poteva assolutamente essere un
cetaceo. Nonostante i pareri discordanti, il governo australiano intervenne per
chiudere frettolosamente la faccenda, affermando che si trattava di una grossa
massa di grasso di balena. Bruce Mollison, che guidò la prima spedizione, non
concorda con questo parere, affermando che la mancanza di ossa, la mancata
decomposizione e la presenza di branchie escludevano che potesse trattarsi di
un cetaceo.
Iscriviti a:
Post (Atom)