Piante mai catalogate, costellazioni mai esistite,
alfabeto ignoto, parole incomprensibili ma iper dettagliate, e poi figure di
donne e illustrazioni erboristiche, il libro è diventato così famoso che pochi
anni fa, grazie a un team di esperti spagnoli, l'unica copia esistente è uscita
dalla Biblioteca Beinecke dell'Università di Yale, dove era conservata ed è
arrivata a Burgos, in Spagna, da dove il codice è stato riprodotto.
Se al mondo esiste un libro considerato misterioso
e indecifrabile, questo è il manoscritto di Voynich. Per più di cento anni
almeno 1600 fra studiosi e ricercatori, tra cui anche esperti della Nasa, hanno
tentato di scoprire cosa volesse dirci quello strano volume ricco di
illustrazioni cosmologiche, erboristiche, spaziali e irreali scritto in una
lingua incomprensibile.
Il volume, scritto su pergamena di vitellino, è di
dimensioni piuttosto ridotte: 16 cm di larghezza, 22 di altezza e 4 di
spessore. Consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine. La rilegatura porta
tuttavia a ritenere che originariamente comprendesse 116 fogli e che 14 si
siano smarriti.
Fanno da corredo al testo una notevole quantità di
illustrazioni a colori, ritraenti i soggetti più svariati: proprio i disegni
lasciano intravedere la natura del manoscritto, venendo di conseguenza scelti
come punto di riferimento per la suddivisione dello stesso in diverse sezioni,
a seconda del tema delle illustrazioni:
Sezione I (fogli 1-66): chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute.
Sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione.
Sezione III (fogli 75-86): chiamata biologica, nomenclatura dovuta esclusivamente alla presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro.Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi.
Sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie. In questa sezione vi sono anche disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali.
L'ultima sezione del Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, fatte salve delle stelline a sinistra delle righe, ragion per cui si è portati a credere che si tratti di una sorta di indice.
L'alfabeto che viene usato, oltre a non essere
stato ancora decifrato, è unico. Sono però state riconosciute 19-28 probabili
lettere, che non hanno nessun legame con gli alfabeti attualmente conosciuti.
Si sospetta inoltre che siano stati usati due alfabeti complementari ma non
uguali, e che il manoscritto sia stato redatto da più persone.
Imprescindibile quanto significativa in tal senso è
poi l'assoluta mancanza di errori ortografici, cancellature o esitazioni,
elementi costanti invece in qualunque altro manoscritto. In alcuni passi ci
sono delle parole ripetute anche 4 o più volte consecutivamente.
Inoltre, poiché una delle piante raffigurate nella
sezione "botanica" è quasi identica al comune girasole giunto in
Europa all'indomani della scoperta dell'America e quindi successivamente al
1492, si è supposto che l'autore non potesse ancora conoscere tale pianta ergo
il libro sarebbe stato scritto solo successivamente a tale data.
Oggi importanti indizi fanno pensare che a
realizzare quest'opera sia stato un italiano, di origine ebrea, vissuto nel
Nord Italia. Il ritrovamento del manoscritto, del resto, parte proprio dal
nostro Paese.
Nel 1912 il collezionista e libraio polacco Wilfrid
Voynich lo acquistò a Frascati nel collegio gesuita di Villa Mondragone. Era in
mezzo ad altri 30 volumi messi in vendita dai religiosi nella speranza di
ristrutturare la villa. Con sorpresa, il polacco ritrovò all'interno
dell'indecifrabile libro una lettera del medico reale di Rodolfo II di Boemia
che inviava il testo a Roma, dall'amico poligrafo Athanasius Kircher, nella
speranza che lo decriptasse per il suo Re. Da allora, la ricerca per scoprire i
segreti di quelle 240 pagine rilegate nel codex del 1400 (datato tra il 1404 e
il 1438 secondo l'esame del carbonio) non si è mai fermata, anche se in molti
hanno pensato che potesse trattarsi di uno scherzo geniale e molto ben
architettato. Anche Luigi Serafini, autore del libro più strano del mondo, il
codex Seraphinianus, ha più volte affermato di non essersi ispirato al Voynich
e di credere che si trattasse di una 'bufala' rifilata dal braccio destro del
re.
Nell'agosto del 2017 una nuova riproduzione uscirà
con una lunga prefazione del curatore, il Dr. Stephen Skinner, che da 40 anni
studia attentamente il codex.
Skinner - come scrive nel nuovo testo - è convinto
che alla fonte di quel misterioso volume che ha eluso, per secoli, linguisti e
crittografi di mezzo mondo ci sia proprio un italiano. Per affermarlo, certo
che la sua intuizione contribuirà a "svelare
altri segreti del codice", si è basato su una analisi visiva degli
elementi del libro. A colpirlo sono, per esempio, alcune figure di donne nude
all'interno del testo raffigurate in strane piscine verdi collegate a tubi
intestinali. Secondo l'esperto medioevale si tratta di illustrazioni di bagni
ebraici chiamati mikvah, utilizzati per purificare le donne dopo parto o
mestruazioni. Nell'immagine non ci sono uomini.
"L'unico
posto dove vedere donne fare un bagno insieme in Europa a quel tempo era nei
bagni di purificazione che sono stati utilizzati dagli ebrei ortodossi per duemila
anni" spiega al Guardian, convinto che si tratti di un mikavh.
A questo aggiunge che, nel codex, manca il
simbolismo cristiano: cosa inusuale ai tempi dell'Inquisizione. "Non ci sono santi, croci, neanche
nelle sezioni cosmologiche". L'altro indizio che Skinner collega,
sostenendo che l'autore fosse ebreo, è legato alle piante: le uniche che si
possono ipotizzare nella realtà sembrano essere quelle di cannabis o oppio. Il
che fa pensare che fosse un erborista o comunque una persona con conoscenze in
materia e seppur perseguitati, a quei tempi i medici ebrei venivano spesso
consultati proprio per la loro conoscenza di botanica.
Infine, ed è qui che nella prefazione Skinner sottolinea
il collegamento con l'Italia, si è soffermato sulla raffigurazione di quello
che sembra un castello con merli a coda di rondine, tipici delle fortificazioni
ghibelline nel nord Italia del XV secolo. Se poi aggiungiamo all'indizio
geografico alcuni cenni storici sull'area di Pisa, sulla presenza degli ebrei e
le influenze dello stile germanico (che si nota in certi disegni) legato al
Sacro Romano Impero, tutto torna.
Tra l'altro, sempre parlando del Belpaese, qualche
anno fa proprio l’italiano Giuseppe Bianchi di Arquata Scrivia, esaminando i
caratteri, avanzò l'ipotesi che all'interno del codex si potevano trovare altri
codici segreti da analizzare.
La mia teoria – dice SKinner - dovrà chiaramente
essere testata da altri studiosi. Tuttavia, si dichiara certo dell'origine
italiana dell'autore e sicuro che la diffusione di numerose copie, in libreria,
aiuterà a risolvere questo mistero, anche contando sul fatto che qualcuno
potrebbe offrire un’interpretazione tanto personale quanto alternativa, mai
pensata prima.