In una storia ipotetica, ma molto probabile, Mario
accompagna suo figlio tredicenne, Lorenzo, (i nomi sono di fantasia), alla
scuola della società sportiva con cui il ragazzo gioca da anni. Qualcuno dell'organizzazione
arriva con un modulo da firmare: è per l'assicurazione – dice. Senza farsi troppe
domande, sapendo quanto è importante essere assicurati e soprattutto, fidandosi
della società, Mario, senza pensarci troppo, firma un modulo di "primo
tesseramento atleti". Succede spesso: senza neanche saperlo, perché
raramente si leggono i regolamenti prima di firmare e ci sono società che non
brillano per trasparenza. Dopo tre mesi, a stagione iniziata, il ragazzo
vorrebbe andare in un'altra squadra: in quella di sempre non si trova più bene,
non gioca mai, sta sempre in panchina ed è sempre più deluso e triste. Il padre
lo comunica alla società. Peccato che quel modulo, firmato frettolosamente mesi
prima non fosse solo un'assicurazione, ma anche un tesseramento, con un generico
riferimento alla "normativa vigente sul vincolo degli atleti". Un
vincolo che può impedire a Lorenzo di giocare in altre squadre per moltissimi
anni.
Per cedere il cartellino, la società gli chiede "per
prassi" 500 euro, cifra che la squadra dove il ragazzo vorrebbe
trasferirsi non è disposta a pagare (si tratta di società sportive medio/piccole
e di giocatori molto giovani, dilettanti, ancora da formare). L'unica
alternativa, per garantire la serenità del figlio è che a pagare, alla fine,
siano i suoi genitori.
Mario si sente preso in giro: È ridicolo – pensa –
Lorenzo aveva solo tredici anni, non giocava naenche da titolare e poi gli
hanno dato un prezzo!
Alla fine, tra discussioni, intimazioni e
patteggiamenti che durano un anno, la cifra scende a 150 euro e si trova un
accordo. In tutto questo tempo, però, il tredicenne non può scendere in campo
con la nuova squadra perché non ancora formalmente svincolato.
Certo, ogni società sportiva è diversa dall'altra e
ogni storia è una storia a se, ma di casi come questi ne ho sentiti e visti
tanti. Capita infatti che, all'ombra del vincolo sportivo, la libertà dei
ragazzi di fare sport si trasformi in un'occasione per monetizzare. Il vincolo,
per i dilettanti, è previsto per tutti gli sport. Nel momento in cui si firma
il cosiddetto cartellino, con alcune eccezioni previste dai vari regolamenti
federali (uno diverso dall'altro), si accetta un vincolo che dura per anni (dai
14 ai 25 anni nel calcio). Tutta l'adolescenza, fino agli anni dell'università
e anche oltre. Vuol dire che per tutto quel periodo, senza il consenso della
società, i ragazzi non possono andare a giocare in un'altra squadra che fa
parte della federazione. Si chiedono soldi alle famiglie degli atleti a fronte
dello svincolo: pratica illegittima, sanzionabile come illecito disciplinare
dal punto di vista sportivo ma, di fatto, praticata. Ho visto chiedere somme
considerevoli per lo svincolo di un calciatore di 18 anni e ho visto ragazzi a
cui veniva impedita la carriera o che addirittura, per questo, abbandonavano l'attività
sportiva.
Il rischio, infatti, è che i ragazzi mollino e
vadano a giocare in altre realtà che non fanno campionati nel Coni. Il che va
anche bene, ma tolgono loro la possibilità di crescita sportiva. Alla fine a
perderci sono sempre i ragazzi.
Alla base degli abusi c'è chiaramente una questione
di soldi: in alcuni casi, magari si tiene davvero a un calciatore che si è
formato ed è particolarmente promettente. Più spesso c’è la volontà di lucrare
anche su ragazzi che vogliono solo divertirsi. Infatti, le società
dilettantistiche potrebbero non applicare il vincolo, nonostante questo sia
previsto dai regolamenti federali.
Diverso può essere, ad esempio, se arriva una
squadra di serie A interessata a un giocatore. Allora vuol dire che si è
lavorato bene e un riconoscimento può essere anche giusto. Ma se è vero che gli
atleti vengono formati, è anche vero che è proprio grazie alla loro prestazione
che si raggiungono certi risultati. Nel calcio, è previsto un "premio di
preparazione" con cui si riconosce alla società che cede il giocatore il
lavoro fatto negli anni, calcolato sulla base di parametri come l'età, gli anni
di attività, etc. Una cosa ben diversa dal fare una scelta quasi ricattatoria,
a spese del giocatore, chiedendo dei soldi come condizione necessaria per
concedere lo svincolo.
Come avrete capito, io non sono del tutto contrario
al vincolo ma, a livello economico, dovrebbe avvenire tutto tra società e con
delle regole chiare, con dei parametri prestabiliti e non con la libertà di
poter fissare "prezzi" in modo arbitrario.
Nell'ambito di vari sport, arrivano richieste di
una riforma da parte di famiglie e atleti. Un'annosa questione, difficile da
risolvere. L’ordinamento statale riconosce l’ordinamento sportivo come autonomo
e quindi non interferisce. Inoltre, chi governa la politica sportiva viene
scelto proprio da quelle associazioni e società per cui il vincolo è un
vantaggio. Se qualcuno si presenta a un’elezione del Coni o di una Federazione
dicendo che abolirà il vincolo sportivo, probabilmente, nessuno lo voterà più. L'ordinamento
sportivo è una sorta di fortino, che gode di una sua specifica autonomia ed è
difficile da cambiare. È fatto di capisaldi consolidati negli anni, che si tiene
molto stretti e il vincolo è proprio uno di questi: si sono spesi fiumi di
parole ma alla fine non si è mai fatto niente perché, di fatto, è uno di quei paletti
che permette al movimento sportivo, nel male e nel bene, di andare avanti.
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