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domenica 31 marzo 2019

QUATTRO VANGELI


I Vangeli. Queste cronache sono considerate generalmente come le più autorevoli e per i devoti, sono coerenti e inoppugnabili. Fin dall'infanzia si viene indotti a credere che la storia di Gesù, così com'è tramandata nei Quattro Vangeli, sia se non proprio ispirata da Dio, almeno definitiva. I quattro evangelisti, presunti autori dei Vangeli, sono ritenuti testimoni impeccabili che rafforzano e confermano l'uno la testimonianza dell'altro. Tra tutti i cristiani, ben pochi si rendono conto che i Quattro Vangeli non solo si contraddicono l'un l'altro, ma a volte sono in violento dissidio.
Per la tradizione popolare, l'origine e la nascita di Gesù sono piuttosto note. Ma in realtà i Vangeli, sui quali si basa la tradizione, sono considerevolmente più vaghi al riguardo. Solo due dei Quattro Vangeli, quello di Matteo e quello di Luca, parlano dell'origine e della nascita di Gesù e sono in netto contrasto tra loro. Secondo Matteo, ad esempio, Gesù era un aristocratico, un legittimo re, disceso da Davide e da Salomone. Secondo Luca, invece, la famiglia di Gesù, benché discesa dalla casa di Davide, era un po' meno illustre. Ed è sulla base del racconto di Marco che è nata la leggenda del "povero falegname". Insomma, le due genealogie sono così nettamente discordi che potrebbero riferirsi addirittura a due personaggi diversi.
Le discrepanze tra i Vangeli non sono circoscritte alla genealogia di Gesù. Secondo Luca, Gesù appena nato ricevette la visita di alcuni pastori. Secondo Matteo, ricevette l'omaggio di tre re. Secondo Luca, la famiglia di Gesù viveva a Nazareth e di qui i suoi genitori, a causa di un censimento (che la storia non ha mai confermato) si sarebbero recati a Betlemme, dove Gesù nacque in un'umile mangiatoia.
Ma secondo Matteo i genitori di Gesù erano piuttosto benestanti, risiedevano a Betlemme e Gesù nacque in una casa. Nella versione di Matteo, la strage degli innocenti ordinata da Erode costringe la famiglia a fuggire in Egitto e solo al suo ritorno si stabilisce a Nazareth.
Le notizie contenute in ognuna di queste cronache non collimano: è una contraddizione che non trova una spiegazione razionale. Non c'è assolutamente modo di correggere i racconti contrastanti né c'è assolutamente modo di conciliarli. Piaccia o no, si deve ammettere che uno di questi due Vangeli ha torto, o che hanno torto tutti e due. Di fronte a una conclusione così clamorosa e inevitabile, non è possibile considerare inoppugnabili i Vangeli: come possono essere inoppugnabili, quando si smentiscono l'un l'altro?
Più si studiano i Vangeli e più appaiono evidenti le contraddizioni tra loro. Infatti non concordano neppure sul giorno della Crocifissione. Secondo Giovanni, la Crocifissione avvenne il giorno prima della Pasqua ebraica. Secondo Marco, Luca e Matteo, avvenne il giorno dopo. I Vangeli non sono d'accordo neppure sulla personalità e il carattere di Gesù. E vi sono altre discrepanze circa le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce. In Matteo e Marco, queste parole sono:

"Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"

In Luca:

"Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".


In Giovanni, le ultime parole di Gesù sono semplicemente:

"Tutto è compiuto".

Date queste discrepanze, i Vangeli possono essere accettati solo come un'autorità molto discutibile, certo non definitiva: o non rappresentano la parola perfetta di un Dio, oppure le parole di Dio sono state abbondantemente censurate, rivedute, corrette e riscritte da mani umane. La Bibbia, dobbiamo ricordarlo - e questo vale tanto per l'Antico quanto per il Nuovo Testamento - è soltanto una selezione di opere, sotto molti aspetti piuttosto arbitraria. Infatti, potrebbe benissimo includere assai più libri e scritti di quanti ne includa in realtà. E non si può neppure sostenere che i libri mancanti siano andati perduti. Al contrario, furono esclusi di proposito. Nel 367 d.C. il vescovo Atanasio d'Alessandria compilò un elenco delle opere da includere nel Nuovo Testamento. L'elenco fu ratificato dal Concilio di Ippona nel 393 e successivamente dal Concilio di Cartagine, svoltosi quattro anni dopo. In questi concili fu scelta una selezione di opere. Certe furono raccolte per formare il Nuovo Testamento quale lo conosciamo oggi, mentre altre furono sprezzantemente ignorate. Come si può considerare definitivo un simile processo di selezione?
Come poteva un'assise di ecclesiastici decidere per tutti (anche per i posteri) che certi libri appartenevano alla Bibbia e altri no?
Soprattutto quando alcuni dei libri esclusi hanno una pretesa di veridicità storica perfettamente valida.
Così com'è oggi, la Bibbia non è soltanto il prodotto di un processo selettivo, è stata anche sottoposta a correzioni, censure e revisioni piuttosto drastiche. Nel 1958, ad esempio, il professor Morton Smith della Columbia University scoprì, in un monastero presso Gerusalemme, una lettera contenente un frammento mancante del Vangelo di Marco. Il frammento non era andato perduto. Al contrario, sembrava fosse stato volutamente soppresso per istigazione, se non addirittura per ordine diretto, del vescovo Clemente d'Alessandria, uno dei padri della Chiesa più venerati!
Clemente, a quanto pare, aveva ricevuto una lettera da un certo Teodoro, il quale si lamentava di una setta gnostica, quella dei carpocraziani. Questi, sembra, interpretassero certi passi del Vangelo di Marco secondo i loro princìpi: princìpi che non collimavano con la posizione assunta da Clemente e Teodoro. Per questo Teodoro li attaccò e ne riferì a Clemente. Nella lettera trovata dal professor Smith, Clemente così risponde al suo discepolo:
"Bene hai fatto a ridurre al silenzio gli innominabili insegnamenti dei carpocraziani, perché essi sono le stelle vagabonde di cui parla la profezia, che si allontanano dalla stretta via dei comandamenti e sprofondano nell'abisso sconfinato dei peccati della carne e del corpo. Perché, gloriandosi della conoscenza, come essi dicono, delle cose profonde di Satana, essi non sanno che così si gettano nel mondo intero delle tenebre della falsità e vantandosi di essere liberi, sono divenuti schiavi di desideri servili. A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perché, anche se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d'accordo con loro. Perché non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che sembra vera secondo le opinioni umane non dev'essere preferita alla verità vera, quella in armonia con la fede."

È un'affermazione incredibile, per un padre della Chiesa! In effetti, Clemente proclama: "Se per caso i tuoi avversari dicono la verità, devi negarla e mentire per confutarli". Ma non è tutto. Nel brano seguente, la lettera di Clemente discute il Vangelo di Marco e dell'abuso che secondo lui ne fanno i carpocraziani.

"In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria, portando i suoi scritti e quelli di Pietro e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza (gnosi). Egli perciò compose un Vangelo più spirituale ad uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia, non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, né mise per iscritto tutti gli insegnamenti del Signore, ma alle storie già scritte altre ne aggiunse. Morendo lasciò la sua composizione alla chiesa d'Alessandria, dove è tuttora scrupolosamente custodita e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri. Ma Carpocrate asservì un certo presbyter della chiesa d'Alessandria e ottenne da lui una copia del Vangelo segreto. Lo interpretò secondo la sua dottrina blasfema e carnale e inoltre lo inquinò, mescolando alle parole immacolate e sante menzogne spudorate."
Quindi, Clemente ammette che esiste un segreto e autentico Vangelo di Marco, ma ordina a Teodoro di negarlo.  Perché "non tutto il vero dev'essere detto a tutti gli uomini."
Che cos'era questo Vangelo segreto, che Clemente ordinò al suo discepolo di ripudiare e che i carpocraziani stavano interpretando falsamente?
Clemente risponde alla domanda includendo nella sua lettera una trascrizione del testo, parola per parola:

"A te, quindi, non esiterò a rispondere a ciò che hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo. Ad esempio, dopo "Ed essi erano per via, diretti a Gerusalemme" e ciò che segue, fino a "Dopo tre giorni egli risorgerà", (il Vangelo segreto) contiene quanto segue, parola per parola: 
- Ed essi giunsero a Betania, dov'era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse: "Figlio di Davide, abbi pietà di me". Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dov'era la tomba e subito dalla tomba si udì giungere un grande grido. E avvicinandosi, Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare e la sera il giovane venne a lui, portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull'altra sponda del Giordano.- 
L'episodio non appare in nessuna versione esistente del Vangelo di Marco. Nelle linee generali, tuttavia, è abbastanza familiare. Ovviamente, è la resurrezione di Lazzaro, narrata nel Quarto Vangelo, attribuito a Giovanni. Nella versione citata, però, vi sono alcune variazioni significative. Innanzitutto c'è un grande grido che scaturisce dalla tomba prima che Gesù rimuova la pietra o comandi al giovane di uscire. Questo indica che il giovane non era morto e smentisce l'idea di un miracolo. In secondo luogo, sembra chiaro che si tratta di qualcosa di più di quanto inducano a credere le versioni accettate dell'episodio di Lazzaro. Certamente, il passo attesta uno speciale rapporto tra l'uomo nella tomba e l'uomo che lo risuscita. Un lettore moderno, forse, potrebbe essere tentato di vedervi un'allusione all'omosessualità. È possibile che i carpocraziani vi scorgessero appunto un'allusione del genere. Ma, come afferma il professor Smith, in realtà è assai più verosimile che l'intero episodio si riferisca a un rito d'iniziazione: una morte e una rinascita ritualizzate e simboliche, piuttosto comuni a quel tempo nel Medio Oriente.

L'importante, comunque, è che l'episodio e il passo citato in precedenza non compaiono in nessuna versione moderna o accettata di Marco. Anzi, i soli riferimenti a Lazzaro o a un personaggio come Lazzaro, nel Nuovo Testamento, sono contenuti nel Vangelo attribuito a Giovanni. Appare perciò chiaro che il consiglio di Clemente fu accolto non soltanto da Teodoro, ma anche dalle autorità successive. Molto semplicemente, l'intero episodio di Lazzaro fu espunto dal Vangelo di Marco.
Il Vangelo di Marco offre così due esempi di un documento sacro - presentato come ispirato da Dio - che è stato manomesso, modificato, censurato, riveduto e corretto da mani umane. E non si tratta di casi sporadici. Al contrario, oggi sono accettati dagli studiosi, che li considerano dimostrabili e provati.
Si può supporre, allora, che solo il Vangelo di Marco subisse alterazioni?
Evidentemente, se il Vangelo di Marco venne manipolato, è ragionevole presumere che anche gli altri abbiano subito lo stesso trattamento. Senza dubbio, non sono stati interamente fabbricati e forniscono alcuni indizi circa gli eventi che accaddero in Terrasanta duemila anni fa. Per separare i fatti dalle favole, la verità dalla matrice spuria nella quale tale verità è incorporata, dobbiamo familiarizzare con la realtà storica e la situazione della Terrasanta all'inizio dell'era cristiana. I Vangeli sono documenti come tanti altri: come i Rotoli del Mar Morto, ma anche le epiche di Omero e Virgilio o i romanzi del Graal. Sono prodotti di un dato luogo, di un dato tempo, di un dato popolo e sono ricchi di particolari storici.

La Palestina al tempo di Gesù
Nel I secolo, la Palestina era una terra molto inquieta. Per lungo tempo la Terrasanta era stata straziata da dissidi dinastici, lotte intestine e qualche volta, vere e proprie guerre. Durante il II secolo a.C. era stato creato un regno giudaico più o meno unificato, come narrano i due libri dei Maccabei. Ma nel 63 a.C. la Palestina era di nuovo in pieno tumulto e matura per venire occupata. Oltre mezzo secolo prima della nascita di Gesù, la Palestina si arrese alle armate di Pompeo, che imposero la dominazione romana. Ma a quel tempo Roma era troppo estesa e troppo presa dai propri problemi, per insediare l'apparato amministrativo necessario a un potere diretto. Creò quindi una dinastia di re fantocci perché regnassero sotto la sua egida: la dinastia erodiana, che non era ebrea ma araba. Il primo della dinastia fu Antipatro, che salì al trono nel 63 a.C. Quando morì, nel 37 a.C, gli successe il figlio, Erode il Grande, che regnò fino al 4 a.C. Si deve quindi immaginare una situazione analoga a quella esistita in Francia tra il 1940 e il 1944 sotto il governo di Vichy. Si deve immaginare una terra conquistata e un popolo vinto, governati da un regime fantoccio mantenuto al potere dai militari. La popolazione poteva conservare la sua religione e i suoi costumi. Ma l'autorità suprema era Roma. E questa autorità era imposta secondo la legge romana e dalle truppe romane.
Nel 6 d.C. la situazione divenne più critica. Quell'anno il paese fu diviso amministrativamente in due province, la Giudea e la Galilea. Erode Antipa divenne re di quest'ultima. Ma la Giudea, dove era situata la capitale spirituale e civile, divenne soggetta al diretto dominio romano e venne amministrata da un governatore romano insediato a Cesarea. Il regime romano era brutale e autocratico. Quando assunse il controllo diretto sulla Giudea, più di tremila ribelli furono sommariamente giustiziati. Il Tempio fu profanato e depredato. Furono imposte tasse pesantissime. La situazione non migliorò sotto Ponzio Pilato, che governò la Giudea dal 26 al 36 d. C. In contrasto con il ritratto che ne fa la Bibbia, documenti pervenuti fino a noi indicano che Pilato era un uomo crudele e corrotto, che perpetuò e aggravò gli abusi commessi dal suo predecessore. Perciò è tanto più sorprendente che i Vangeli non Critichino Roma, non accennino neppure al peso del giogo romano. Anzi, i Vangeli lasciano intendere che gli abitanti della Giudea se ne stavano tranquilli, soddisfatti della loro sorte.
In realtà, pochi erano soddisfatti e molti non stavano tranquilli affatto. Gli Ebrei di Terrasanta, a quel tempo, erano divisi in una quantità di sette e sottosette. Per esempio, c'erano i sadducei, una classe di proprietari terrieri, poco numerosi ma ricchi, che con grande indignazione dei loro compatrioti collaboravano con i Romani. C'erano i farisei, che formavano un gruppo progressista: introdussero molte riforme nel giudaismo e nonostante il ritratto che ne fanno i Vangeli, conducevano nei confronti di Roma un'opposizione ferma, anche se soprattutto passiva. C'erano gli esseni, una setta austera e mistica, i cui insegnamenti erano assai più diffusi e influenti di quanto in generale si ammetta o si presuma. Tra le sette più piccole, ce n'erano molte il cui carattere preciso è andato perduto e che quindi sono difficili da definire. È comunque il caso di ricordare i nazirei un termine che sembra venisse usato per indicare anche Gesù e i suoi seguaci. Infatti, la versione originale greca del Nuovo Testamento chiama Gesù il nazareno, un termine che viene tradotto erroneamente Gesù di Nazareth. Ma Nazareno è una parola che indica l'appartenenza a una setta e non ha relazioni con Nazareth.



Nell'anno 6 d. C., quando Roma assunse il diretto controllo della Giudea, un rabbi fariseo, chiamato Giuda di Galilea, aveva creato un gruppo rivoluzionario militante, composto a quanto sembra sia da farisei che di esseni. I suoi seguaci passarono alla storia con il nome di zeloti. Gli zeloti, a stretto rigore, non erano una setta. Erano un movimento, i cui aderenti provenivano da sette diverse. Al tempo della missione di Gesù, gli zeloti avevano assunto un ruolo rilevante nelle vicende della Terrasanta. Le loro attività formavano forse il più importante sfondo politico sul quale si svolse il dramma di Gesù. Molto tempo dopo la Crocifissione, l'attività degli zeloti continuava ancora. Nel 44 d.C si era intensificata al punto che già sembrava inevitabile la lotta armata. Nel 66 d.C. scoppiò la rivolta: la Giudea insorse contro Roma. Fu un conflitto disperato, accanito ma in fondo vano. Nella sola Cesarea, 20.000 Ebrei furono massacrati dai Romani. Quattro anni dopo le legioni romane occuparono Gerusalemme, la raserò al suolo e saccheggiarono il Tempio. Ma la fortezza di Masada, arroccata su una montagna, resistette ancora tre anni, al comando di un discendente diretto di Giuda di Galilea. Dopo la fine della rivolta in Giudea, vi fu un esodo massiccio di Ebrei dalla Terrasanta. Ne rimasero tuttavia abbastanza per fomentare un'altra insurrezione sessant'anni più tardi, nel 132 d.C. Nel 135, l'imperatore Adriano ordinò che tutti gli Ebrei venissero espulsi dalla Giudea, e Gerusalemme diventò sostanzialmente una città romana, con il nome di Elia Capitolina.
La vita di Gesù si svolse approssimativamente durante i primi trentacinque anni di una fase di inquietudini, disordini e rivolte che si estese per centoquaranta anni. I disordini non finirono con la sua morte, anzi continuarono per un altro secolo e generarono il clima psicologico e culturale che accompagna inevitabilmente una sfida prolungata contro un oppressore. Di questo clima psicologico faceva parte la speranza dell'avvento di un Messia che liberasse il suo popolo dal giogo tirannico. Solo per una coincidenza storica e semantica questo termine finì per venire riferito specificatamente ed esclusivamente a Gesù.
Agli occhi dei suoi contemporanei, un Messia non sarebbe apparso divino. Per loro, anzi, l'idea di un Messia divino sarebbe stata impensabile. La parola greca per Messia è Christos: Cristo. Il termine, sia in greco che in ebraico, significava semplicemente l'unto e in genere si riferiva a un re. Quindi Davide, quando fu unto re, come narra l'Antico Testamento, divenne esplicitamente un Messia o un Cristo. E ogni successivo re ebreo della casa di Davide venne chiamato con lo stesso appellativo.
Per gli zeloti e per gli altri avversari di Roma il vero Messia era qualcosa di ben diverso: il legittimo re, il discendente ignoto della casa di Davide che avrebbe liberato il suo popolo dall'oppressione romana. Durante la vita di Gesù, l'attesa di questo Messia aveva raggiunto un culmine che sconfinava nell'isteria collettiva e l'attesa continuò anche dopo la sua morte. Anzi, l'insurrezione del 66 d.C. fu istigata in gran parte dalla propaganda degli zeloti, imperniata su un Messia il cui avvento veniva annunciato come imminente.
Il termine Messia, perciò, era un termine tipicamente politico, ben diverso dalla successiva idea cristiana di un Figlio di Dio. E questo termine terreno e politico venne riferito a Gesù, che era chiamato Gesù il Messia o, in greco, Gesù il Cristo. Solo più tardi questa designazione divenne "Gesù Cristo" e un titolo che si riferiva esclusivamente a una funzione fu trasformato in nome proprio.



I Vangeli, quindi, scaturirono da una realtà storica riconoscibile e concreta. Era una realtà fatta di oppressione, di malcontento civico e sociale, di persecuzioni incessanti e di ribellioni intermittenti. Era anche una realtà pervasa da continui e allettanti sogni, promesse e speranze: la speranza dell'avvento di un re legittimo, un capo spirituale e secolare che avrebbe liberato il popolo. Per quanto riguardava la libertà politica, queste aspirazioni furono stroncate brutalmente dalla tremenda guerra combattuta tra il 66 e il 74 d.C. Trasposte in forma interamente religiosa, invece, le aspirazioni non soltanto furono perpetuate dai Vangeli, ma ricevettero un nuovo slancio. 
Gli studiosi moderni concordano all'unanimità nel ritenere che i Vangeli non furono scritti durante la vita di Gesù. Per la maggior parte, datano dal periodo tra le due principali insurrezioni in Giudea, 66-74 e 132-135 d.C. benché siano quasi certamente basati su narrazioni precedenti. Queste narrazioni includevano forse documenti scritti andati poi perduti, dato che vi fu una totale distruzione degli archivi dopo la prima rivolta. Ma senza dubbio c'erano anche le tradizioni orali. Alcune erano con sicurezza grossolanamente esagerate e alterate, ricevute di seconda, terza e quarta mano.
In generale, il Vangelo più antico è ritenuto quello di Marco, composto durante l'insurrezione del 66-74 o poco più tardi, se si esclude la parte relativa alla Resurrezione che è aggiunta spuria e più tarda. Ma il Marco che scrisse il vangelo, sembra non fosse il discepolo di Gesù e che provenisse da Gerusalemme. Pare che fosse uno dei compagni di san Paolo e il suo Vangelo mostra tracce inequivocabili del pensiero paolino. Il vangelo di "Marco", come afferma Clemente d'AIessandria, fu scritto a Roma per un pubblico greco-romano. E questo, in sé, spiega molte cose. Nel tempo in cui fu scritto il Vangelo di Marco, la Giudea era in aperta rivolta (o Io era stata di recente) e migliaia di Ebrei venivano crocifissi per essersi ribellati al dominio romano. Se Marco voleva che il suo Vangelo sopravvivesse e si imponesse a un pubblico romano, non poteva assolutamente presentare Gesù come antiromano. Anzi, non poteva neppure attribuire a Gesù un orientamento politico. Perché il suo messaggio sopravvivesse, Marco era obbligato a scagionare i Romani da ogni responsabilità circa la morte di Gesù, ad assolvere il regime esistente e a scaricare la morte del Messia sugli Ebrei. Questo sistema fu adottato non soltanto dagli autori degli altri Vangeli, ma anche dalla Chiesa cristiana degli albori. Senza questo "trucco"né i Vangeli né la Chiesa sarebbero sopravvissuti.
I filologi datano il Vangelo di Luca intorno all'80 d.C. Sembra che Luca fosse un medico greco, che scrisse la sua opera per un alto funzionario di Cesarea, la capitale romana della Palestina. Anche Luca, quindi, si sarebbe trovato nella necessità di ingraziarsi i Romani e di attribuire ad altri la responsabilità.
Quando fu scritto il Vangelo di Matteo, intorno all'85 d.C, pare che questo trasferimento di responsabilità fosse ormai accettato come un fatto indiscusso. Più della metà del Vangelo di Matteo, infatti, deriva direttamente da quello di Marco, benché venisse scritto originariamente in greco e rispecchiasse precise caratteristiche greche. L'autore sembra essere un Ebreo, molto probabilmente profugo dalla Palestina. Non dev'essere confuso con il discepolo omonimo, che doveva essere vissuto molto tempo prima e probabilmente conosceva soltanto l'aramaico.
I Vangeli di Marco, Luca e Matteo sono conosciuti collettivamente come i Vangeli Sinottici. L'espressione significa che presentano la stessa visione dei fatti, anche se come abbiamo visto non è affatto così. Tuttavia coincidono tra loro quanto basta per indicare che sono derivati da una fonte comune, forse una tradizione orale, forse da un altro documento andato successivamente perduto. Questo li distingue dal Vangelo di Giovanni, che tradisce origini significativamente diverse.



Dell'autore del Quarto Vangelo non si sa assolutamente nulla. Anzi, non c'è neppure ragione di presumere che si chiamasse Giovanni. Escluso il Battista, lo stesso Vangelo non menziona mai un Giovanni e la sua attribuzione a un uomo di questo nome viene generalmente riconosciuta come una tradizione più tarda. Il Quarto Vangelo, in ordine di tempo, è il più recente di quelli inclusi nel Nuovo Testamento: fu composto intorno all'anno 100 d.C. nei pressi di Efeso, in Asia Minore. Presenta numerose caratteristiche distintive. Ad esempio, non contiene la scena della Natività di Gesù e l'inizio ha quasi un carattere gnostico. Il testo è decisamente più mistico di quello degli altri Vangeli e anche il contenuto ne differisce. Ad esempio, gli altri Vangeli parlano soprattutto delle attività di Gesù nella provincia settentrionale di Galilea e rispecchiano quella che sembra essere soltanto una conoscenza di seconda o di terza mano per quanto riguarda gli eventi accaduti al sud, in Giudea e a Gerusalemme, inclusa la Crocifissione. Per contro, il Quarto Vangelo dice relativamente poco della Galilea. Indugia ampiamente sugli eventi in Giudea e Gerusalemme, che conclusero l'esistenza di Gesù ed è possibile che il suo racconto della Crocifissione sia basato su una testimonianza diretta, di prima mano. Inoltre, contiene un certo numero di episodi che non figurano negli altri Vangeli: le nozze di Cana, il ruolo di Nicodemo e di Giuseppe d'Arimatea e la resurrezione di Lazzaro (benché questa, un tempo, fosse inclusa nel Vangelo di Marco). In base a questi fattori, vari studiosi moderni hanno espresso l'opinione che il Vangelo di Giovanni, nonostante la composizione tarda, possa essere il più attendibile e storicamente esatto tra i quattro. Più degli altri Vangeli, sembra attingere a tradizioni in voga tra i contemporanei di Gesù e ad altro materiale sconosciuto a Marco, Luca e Matteo. Un ricercatore moderno fa notare che rispecchia una conoscenza topografica apparentemente diretta di Gerusalemme, così com'era la città prima dell'insurrezione del 66 d.C. II Vangelo di Giovanni, sebbene non aderisca alla struttura cronologica marciana e sia di data molto più tarda, sembra conoscere, sul conto di Gesù, una tradizione che dev'essere primitiva e autentica.

1 commento:

  1. I Vangeli di Marco, Luca e Matteo sono conosciuti collettivamente come i Vangeli Sinottici. L'espressione significa che presentano la stessa visione dei fatti, ma non è affatto così.

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