I Vangeli. Queste cronache sono considerate generalmente
come le più autorevoli e per i devoti, sono coerenti e inoppugnabili. Fin
dall'infanzia si viene indotti a credere che la storia di Gesù, così com'è
tramandata nei Quattro Vangeli, sia se non proprio ispirata da Dio, almeno
definitiva. I quattro evangelisti, presunti autori dei Vangeli, sono ritenuti
testimoni impeccabili che rafforzano e confermano l'uno la testimonianza
dell'altro. Tra tutti i cristiani, ben pochi si rendono conto che i Quattro
Vangeli non solo si contraddicono l'un l'altro, ma a volte sono in violento
dissidio.
Per la tradizione popolare, l'origine e la nascita di Gesù
sono piuttosto note. Ma in realtà i Vangeli, sui quali si basa la tradizione,
sono considerevolmente più vaghi al riguardo. Solo due dei Quattro Vangeli,
quello di Matteo e quello di Luca, parlano dell'origine e della nascita di Gesù
e sono in netto contrasto tra loro. Secondo Matteo, ad esempio, Gesù era un
aristocratico, un legittimo re, disceso da Davide e da Salomone. Secondo Luca,
invece, la famiglia di Gesù, benché discesa dalla casa di Davide, era un po'
meno illustre. Ed è sulla base del racconto di Marco che è nata la leggenda del
"povero falegname". Insomma, le due genealogie sono così nettamente
discordi che potrebbero riferirsi addirittura a due personaggi diversi.
Le discrepanze tra i Vangeli non sono circoscritte alla
genealogia di Gesù. Secondo Luca, Gesù appena nato ricevette la visita di
alcuni pastori. Secondo Matteo, ricevette l'omaggio di tre re. Secondo Luca, la
famiglia di Gesù viveva a Nazareth e di qui i suoi genitori, a causa di un
censimento (che la storia non ha mai confermato) si sarebbero recati a
Betlemme, dove Gesù nacque in un'umile mangiatoia.
Ma secondo Matteo i genitori di Gesù erano piuttosto
benestanti, risiedevano a Betlemme e Gesù nacque in una casa. Nella versione di
Matteo, la strage degli innocenti ordinata da Erode costringe la famiglia a
fuggire in Egitto e solo al suo ritorno si stabilisce a Nazareth.
Le notizie contenute in ognuna di queste cronache non
collimano: è una contraddizione che non trova una spiegazione razionale. Non
c'è assolutamente modo di correggere i racconti contrastanti né c'è
assolutamente modo di conciliarli. Piaccia o no, si deve ammettere che uno di
questi due Vangeli ha torto, o che hanno torto tutti e due. Di fronte a una
conclusione così clamorosa e inevitabile, non è possibile considerare
inoppugnabili i Vangeli: come possono essere inoppugnabili, quando si
smentiscono l'un l'altro?
Più si studiano i Vangeli e più appaiono evidenti le
contraddizioni tra loro. Infatti non concordano neppure sul giorno della
Crocifissione. Secondo Giovanni, la Crocifissione avvenne il giorno prima della
Pasqua ebraica. Secondo Marco, Luca e Matteo, avvenne il giorno dopo. I Vangeli
non sono d'accordo neppure sulla personalità e il carattere di Gesù. E vi sono
altre discrepanze circa le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce. In
Matteo e Marco, queste parole sono:
"Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"
In Luca:
"Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".
In Giovanni, le ultime parole di Gesù sono semplicemente:
"Tutto è compiuto".
Date queste discrepanze, i Vangeli possono essere accettati
solo come un'autorità molto discutibile, certo non definitiva: o non
rappresentano la parola perfetta di un Dio, oppure le parole di Dio sono state
abbondantemente censurate, rivedute, corrette e riscritte da mani umane. La
Bibbia, dobbiamo ricordarlo - e questo vale tanto per l'Antico quanto per il
Nuovo Testamento - è soltanto una selezione di opere, sotto molti aspetti
piuttosto arbitraria. Infatti, potrebbe benissimo includere assai più libri e
scritti di quanti ne includa in realtà. E non si può neppure sostenere che i
libri mancanti siano andati perduti. Al contrario, furono esclusi di proposito.
Nel 367 d.C. il vescovo Atanasio d'Alessandria compilò un elenco delle opere da
includere nel Nuovo Testamento. L'elenco fu ratificato dal Concilio di Ippona
nel 393 e successivamente dal Concilio di Cartagine, svoltosi quattro anni
dopo. In questi concili fu scelta una selezione di opere. Certe furono raccolte
per formare il Nuovo Testamento quale lo conosciamo oggi, mentre altre furono
sprezzantemente ignorate. Come si può considerare definitivo un simile processo
di selezione?
Come poteva un'assise di ecclesiastici decidere per tutti
(anche per i posteri) che certi libri appartenevano alla Bibbia e altri no?
Soprattutto quando alcuni dei libri esclusi hanno una
pretesa di veridicità storica perfettamente valida.
Così com'è oggi, la Bibbia non è soltanto il prodotto di un
processo selettivo, è stata anche sottoposta a correzioni, censure e revisioni
piuttosto drastiche. Nel 1958, ad esempio, il professor Morton Smith della Columbia
University scoprì, in un monastero presso Gerusalemme, una lettera contenente
un frammento mancante del Vangelo di Marco. Il frammento non era andato
perduto. Al contrario, sembrava fosse stato volutamente soppresso per istigazione,
se non addirittura per ordine diretto, del vescovo Clemente d'Alessandria, uno
dei padri della Chiesa più venerati!
Clemente, a quanto pare, aveva ricevuto una lettera da un
certo Teodoro, il quale si lamentava di una setta gnostica, quella dei
carpocraziani. Questi, sembra, interpretassero certi passi del Vangelo di Marco
secondo i loro princìpi: princìpi che non collimavano con la posizione assunta
da Clemente e Teodoro. Per questo Teodoro li attaccò e ne riferì a Clemente.
Nella lettera trovata dal professor Smith, Clemente così risponde al suo
discepolo:
"Bene hai fatto a ridurre al silenzio gli innominabili insegnamenti dei carpocraziani, perché essi sono le stelle vagabonde di cui parla la profezia, che si allontanano dalla stretta via dei comandamenti e sprofondano nell'abisso sconfinato dei peccati della carne e del corpo. Perché, gloriandosi della conoscenza, come essi dicono, delle cose profonde di Satana, essi non sanno che così si gettano nel mondo intero delle tenebre della falsità e vantandosi di essere liberi, sono divenuti schiavi di desideri servili. A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perché, anche se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d'accordo con loro. Perché non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che sembra vera secondo le opinioni umane non dev'essere preferita alla verità vera, quella in armonia con la fede."
È un'affermazione incredibile, per un padre della Chiesa!
In effetti, Clemente proclama: "Se per caso i tuoi avversari dicono la
verità, devi negarla e mentire per confutarli". Ma non è tutto. Nel brano
seguente, la lettera di Clemente discute il Vangelo di Marco e dell'abuso che
secondo lui ne fanno i carpocraziani.
"In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria, portando i suoi scritti e quelli di Pietro e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza (gnosi). Egli perciò compose un Vangelo più spirituale ad uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia, non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, né mise per iscritto tutti gli insegnamenti del Signore, ma alle storie già scritte altre ne aggiunse. Morendo lasciò la sua composizione alla chiesa d'Alessandria, dove è tuttora scrupolosamente custodita e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri. Ma Carpocrate asservì un certo presbyter della chiesa d'Alessandria e ottenne da lui una copia del Vangelo segreto. Lo interpretò secondo la sua dottrina blasfema e carnale e inoltre lo inquinò, mescolando alle parole immacolate e sante menzogne spudorate."
Quindi, Clemente ammette che esiste un segreto e autentico
Vangelo di Marco, ma ordina a Teodoro di negarlo. Perché "non tutto il vero dev'essere
detto a tutti gli uomini."
Che cos'era questo Vangelo segreto, che Clemente ordinò al
suo discepolo di ripudiare e che i carpocraziani stavano interpretando falsamente?
Clemente risponde alla domanda includendo nella sua lettera
una trascrizione del testo, parola per parola:
"A te, quindi, non esiterò a rispondere a ciò che hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo. Ad esempio, dopo "Ed essi erano per via, diretti a Gerusalemme" e ciò che segue, fino a "Dopo tre giorni egli risorgerà", (il Vangelo segreto) contiene quanto segue, parola per parola:
- Ed essi giunsero a Betania, dov'era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse: "Figlio di Davide, abbi pietà di me". Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dov'era la tomba e subito dalla tomba si udì giungere un grande grido. E avvicinandosi, Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare e la sera il giovane venne a lui, portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull'altra sponda del Giordano.-
L'episodio non appare in nessuna versione esistente del
Vangelo di Marco. Nelle linee generali, tuttavia, è abbastanza familiare.
Ovviamente, è la resurrezione di Lazzaro, narrata nel Quarto Vangelo,
attribuito a Giovanni. Nella versione citata, però, vi sono alcune variazioni
significative. Innanzitutto c'è un grande grido che scaturisce dalla tomba prima
che Gesù rimuova la pietra o comandi al giovane di uscire. Questo indica che il
giovane non era morto e smentisce l'idea di un miracolo. In secondo luogo,
sembra chiaro che si tratta di qualcosa di più di quanto inducano a credere le
versioni accettate dell'episodio di Lazzaro. Certamente, il passo attesta uno
speciale rapporto tra l'uomo nella tomba e l'uomo che lo risuscita. Un lettore
moderno, forse, potrebbe essere tentato di vedervi un'allusione all'omosessualità.
È possibile che i carpocraziani vi scorgessero appunto un'allusione del genere.
Ma, come afferma il professor Smith, in realtà è assai più verosimile che
l'intero episodio si riferisca a un rito d'iniziazione: una morte e una
rinascita ritualizzate e simboliche, piuttosto comuni a quel tempo nel Medio
Oriente.
L'importante, comunque, è che l'episodio e il passo citato in
precedenza non compaiono in nessuna versione moderna o accettata di Marco.
Anzi, i soli riferimenti a Lazzaro o a un personaggio come Lazzaro, nel Nuovo
Testamento, sono contenuti nel Vangelo attribuito a Giovanni. Appare perciò
chiaro che il consiglio di Clemente fu accolto non soltanto da Teodoro, ma
anche dalle autorità successive. Molto semplicemente, l'intero episodio di
Lazzaro fu espunto dal Vangelo di Marco.
Il Vangelo di Marco offre così due esempi di un documento
sacro - presentato come ispirato da Dio - che è stato manomesso, modificato,
censurato, riveduto e corretto da mani umane. E non si tratta di casi sporadici.
Al contrario, oggi sono accettati dagli studiosi, che li considerano
dimostrabili e provati.
Si può supporre, allora, che solo il Vangelo di Marco
subisse alterazioni?
Evidentemente, se il Vangelo di Marco venne manipolato, è
ragionevole presumere che anche gli altri abbiano subito lo stesso trattamento.
Senza dubbio, non sono stati interamente fabbricati e forniscono alcuni indizi
circa gli eventi che accaddero in Terrasanta duemila anni fa. Per separare i
fatti dalle favole, la verità dalla matrice spuria nella quale tale verità è incorporata,
dobbiamo familiarizzare con la realtà storica e la situazione della Terrasanta
all'inizio dell'era cristiana. I Vangeli sono documenti come tanti altri: come
i Rotoli del Mar Morto, ma anche le epiche di Omero e Virgilio o i romanzi del
Graal. Sono prodotti di un dato luogo, di un dato tempo, di un dato popolo e
sono ricchi di particolari storici.
La Palestina al tempo di Gesù
Nel I secolo, la Palestina era una terra molto inquieta.
Per lungo tempo la Terrasanta era stata straziata da dissidi dinastici, lotte
intestine e qualche volta, vere e proprie guerre. Durante il II secolo a.C. era
stato creato un regno giudaico più o meno unificato, come narrano i due libri
dei Maccabei. Ma nel 63 a.C. la Palestina era di nuovo in pieno tumulto e
matura per venire occupata. Oltre mezzo secolo prima della nascita di Gesù, la
Palestina si arrese alle armate di Pompeo, che imposero la dominazione romana.
Ma a quel tempo Roma era troppo estesa e troppo presa dai propri problemi, per
insediare l'apparato amministrativo necessario a un potere diretto. Creò quindi
una dinastia di re fantocci perché regnassero sotto la sua egida: la dinastia
erodiana, che non era ebrea ma araba. Il primo della dinastia fu Antipatro, che
salì al trono nel 63 a.C. Quando morì, nel 37 a.C, gli successe il figlio,
Erode il Grande, che regnò fino al 4 a.C. Si deve quindi immaginare una
situazione analoga a quella esistita in Francia tra il 1940 e il 1944 sotto il
governo di Vichy. Si deve immaginare una terra conquistata e un popolo vinto,
governati da un regime fantoccio mantenuto al potere dai militari. La
popolazione poteva conservare la sua religione e i suoi costumi. Ma l'autorità
suprema era Roma. E questa autorità era imposta secondo la legge romana e dalle
truppe romane.
Nel 6 d.C. la situazione divenne più critica. Quell'anno il
paese fu diviso amministrativamente in due province, la Giudea e la Galilea.
Erode Antipa divenne re di quest'ultima. Ma la Giudea, dove era situata la
capitale spirituale e civile, divenne soggetta al diretto dominio romano e
venne amministrata da un governatore romano insediato a Cesarea. Il regime
romano era brutale e autocratico. Quando assunse il controllo diretto sulla
Giudea, più di tremila ribelli furono sommariamente giustiziati. Il Tempio fu
profanato e depredato. Furono imposte tasse pesantissime. La situazione non
migliorò sotto Ponzio Pilato, che governò la Giudea dal 26 al 36 d. C. In
contrasto con il ritratto che ne fa la Bibbia, documenti pervenuti fino a noi
indicano che Pilato era un uomo crudele e corrotto, che perpetuò e aggravò gli
abusi commessi dal suo predecessore. Perciò è tanto più sorprendente che i
Vangeli non Critichino Roma, non accennino neppure al peso del giogo romano.
Anzi, i Vangeli lasciano intendere che gli abitanti della Giudea se ne stavano
tranquilli, soddisfatti della loro sorte.
In realtà, pochi erano soddisfatti e molti non stavano
tranquilli affatto. Gli Ebrei di Terrasanta, a quel tempo, erano divisi in una
quantità di sette e sottosette. Per esempio, c'erano i sadducei, una classe di
proprietari terrieri, poco numerosi ma ricchi, che con grande indignazione dei
loro compatrioti collaboravano con i Romani. C'erano i farisei, che formavano
un gruppo progressista: introdussero molte riforme nel giudaismo e nonostante
il ritratto che ne fanno i Vangeli, conducevano nei confronti di Roma
un'opposizione ferma, anche se soprattutto passiva. C'erano gli esseni, una setta
austera e mistica, i cui insegnamenti erano assai più diffusi e influenti di
quanto in generale si ammetta o si presuma. Tra le sette più piccole, ce
n'erano molte il cui carattere preciso è andato perduto e che quindi sono
difficili da definire. È comunque il caso di ricordare i nazirei un termine che
sembra venisse usato per indicare anche Gesù e i suoi seguaci. Infatti, la
versione originale greca del Nuovo Testamento chiama Gesù il nazareno, un
termine che viene tradotto erroneamente Gesù di Nazareth. Ma Nazareno è una
parola che indica l'appartenenza a una setta e non ha relazioni con Nazareth.
Nell'anno 6 d. C., quando Roma assunse il diretto controllo
della Giudea, un rabbi fariseo, chiamato Giuda di Galilea, aveva creato un
gruppo rivoluzionario militante, composto a quanto sembra sia da farisei che di
esseni. I suoi seguaci passarono alla storia con il nome di zeloti. Gli zeloti,
a stretto rigore, non erano una setta. Erano un movimento, i cui aderenti
provenivano da sette diverse. Al tempo della missione di Gesù, gli zeloti
avevano assunto un ruolo rilevante nelle vicende della Terrasanta. Le loro
attività formavano forse il più importante sfondo politico sul quale si svolse
il dramma di Gesù. Molto tempo dopo la Crocifissione, l'attività degli zeloti
continuava ancora. Nel 44 d.C si era intensificata al punto che già sembrava
inevitabile la lotta armata. Nel 66 d.C. scoppiò la rivolta: la Giudea insorse contro
Roma. Fu un conflitto disperato, accanito ma in fondo vano. Nella sola Cesarea,
20.000 Ebrei furono massacrati dai Romani. Quattro anni dopo le legioni romane
occuparono Gerusalemme, la raserò al suolo e saccheggiarono il Tempio. Ma la
fortezza di Masada, arroccata su una montagna, resistette ancora tre anni, al
comando di un discendente diretto di Giuda di Galilea. Dopo la fine della
rivolta in Giudea, vi fu un esodo massiccio di Ebrei dalla Terrasanta. Ne
rimasero tuttavia abbastanza per fomentare un'altra insurrezione sessant'anni
più tardi, nel 132 d.C. Nel 135, l'imperatore Adriano ordinò che tutti gli
Ebrei venissero espulsi dalla Giudea, e Gerusalemme diventò sostanzialmente una
città romana, con il nome di Elia Capitolina.
La vita di Gesù si svolse approssimativamente durante i
primi trentacinque anni di una fase di inquietudini, disordini e rivolte che si
estese per centoquaranta anni. I disordini non finirono con la sua morte, anzi
continuarono per un altro secolo e generarono il clima psicologico e culturale
che accompagna inevitabilmente una sfida prolungata contro un oppressore. Di
questo clima psicologico faceva parte la speranza dell'avvento di un Messia che
liberasse il suo popolo dal giogo tirannico. Solo per una coincidenza storica e
semantica questo termine finì per venire riferito specificatamente ed
esclusivamente a Gesù.
Agli occhi dei suoi contemporanei, un Messia non sarebbe
apparso divino. Per loro, anzi, l'idea di un Messia divino sarebbe stata
impensabile. La parola greca per Messia è Christos: Cristo. Il termine, sia in
greco che in ebraico, significava semplicemente l'unto e in genere si riferiva
a un re. Quindi Davide, quando fu unto re, come narra l'Antico Testamento,
divenne esplicitamente un Messia o un Cristo. E ogni successivo re ebreo della
casa di Davide venne chiamato con lo stesso appellativo.
Per gli zeloti e per gli altri avversari di Roma il vero
Messia era qualcosa di ben diverso: il legittimo re, il discendente ignoto
della casa di Davide che avrebbe liberato il suo popolo dall'oppressione
romana. Durante la vita di Gesù, l'attesa di questo Messia aveva raggiunto un
culmine che sconfinava nell'isteria collettiva e l'attesa continuò anche dopo
la sua morte. Anzi, l'insurrezione del 66 d.C. fu istigata in gran parte dalla
propaganda degli zeloti, imperniata su un Messia il cui avvento veniva
annunciato come imminente.
Il termine Messia, perciò, era un termine tipicamente
politico, ben diverso dalla successiva idea cristiana di un Figlio di Dio. E questo
termine terreno e politico venne riferito a Gesù, che era chiamato Gesù il
Messia o, in greco, Gesù il Cristo. Solo più tardi questa designazione divenne "Gesù
Cristo" e un titolo che si riferiva esclusivamente a una funzione fu
trasformato in nome proprio.
I Vangeli, quindi, scaturirono da una realtà storica
riconoscibile e concreta. Era una realtà fatta di oppressione, di malcontento civico
e sociale, di persecuzioni incessanti e di ribellioni intermittenti. Era anche
una realtà pervasa da continui e allettanti sogni, promesse e speranze: la
speranza dell'avvento di un re legittimo, un capo spirituale e secolare che avrebbe
liberato il popolo. Per quanto riguardava la libertà politica, queste
aspirazioni furono stroncate brutalmente dalla tremenda guerra combattuta tra
il 66 e il 74 d.C. Trasposte in forma interamente religiosa, invece, le
aspirazioni non soltanto furono perpetuate dai Vangeli, ma ricevettero un nuovo
slancio.
Gli studiosi moderni concordano all'unanimità nel ritenere
che i Vangeli non furono scritti durante la vita di Gesù. Per la maggior parte,
datano dal periodo tra le due principali insurrezioni in Giudea, 66-74 e
132-135 d.C. benché siano quasi certamente basati su narrazioni precedenti.
Queste narrazioni includevano forse documenti scritti andati poi perduti, dato
che vi fu una totale distruzione degli archivi dopo la prima rivolta. Ma senza
dubbio c'erano anche le tradizioni orali. Alcune erano con sicurezza
grossolanamente esagerate e alterate, ricevute di seconda, terza e quarta mano.
In generale, il Vangelo più antico è ritenuto quello di
Marco, composto durante l'insurrezione del 66-74 o poco più tardi, se si
esclude la parte relativa alla Resurrezione che è aggiunta spuria e più tarda. Ma
il Marco che scrisse il vangelo, sembra non fosse il discepolo di Gesù e che provenisse
da Gerusalemme. Pare che fosse uno dei compagni di san Paolo e il suo Vangelo
mostra tracce inequivocabili del pensiero paolino. Il vangelo di "Marco",
come afferma Clemente d'AIessandria, fu scritto a Roma per un pubblico
greco-romano. E questo, in sé, spiega molte cose. Nel tempo in cui fu scritto
il Vangelo di Marco, la Giudea era in aperta rivolta (o Io era stata di recente)
e migliaia di Ebrei venivano crocifissi per essersi ribellati al dominio
romano. Se Marco voleva che il suo Vangelo sopravvivesse e si imponesse a un
pubblico romano, non poteva assolutamente presentare Gesù come antiromano.
Anzi, non poteva neppure attribuire a Gesù un orientamento politico. Perché il
suo messaggio sopravvivesse, Marco era obbligato a scagionare i Romani da ogni
responsabilità circa la morte di Gesù, ad assolvere il regime esistente e a scaricare
la morte del Messia sugli Ebrei. Questo sistema fu adottato non soltanto dagli
autori degli altri Vangeli, ma anche dalla Chiesa cristiana degli albori. Senza
questo "trucco"né i Vangeli né la Chiesa sarebbero sopravvissuti.
I filologi datano il Vangelo di Luca intorno all'80 d.C.
Sembra che Luca fosse un medico greco, che scrisse la sua opera per un alto
funzionario di Cesarea, la capitale romana della Palestina. Anche Luca, quindi,
si sarebbe trovato nella necessità di ingraziarsi i Romani e di attribuire ad
altri la responsabilità.
Quando fu scritto il Vangelo di Matteo, intorno all'85 d.C,
pare che questo trasferimento di responsabilità fosse ormai accettato come un
fatto indiscusso. Più della metà del Vangelo di Matteo, infatti, deriva
direttamente da quello di Marco, benché venisse scritto originariamente in
greco e rispecchiasse precise caratteristiche greche. L'autore sembra essere un
Ebreo, molto probabilmente profugo dalla Palestina. Non dev'essere confuso con
il discepolo omonimo, che doveva essere vissuto molto tempo prima e
probabilmente conosceva soltanto l'aramaico.
I Vangeli di Marco, Luca e Matteo sono conosciuti
collettivamente come i Vangeli Sinottici. L'espressione significa che
presentano la stessa visione dei fatti, anche se come abbiamo visto non è
affatto così. Tuttavia coincidono tra loro quanto basta per indicare che sono
derivati da una fonte comune, forse una tradizione orale, forse da un altro
documento andato successivamente perduto. Questo li distingue dal Vangelo di
Giovanni, che tradisce origini significativamente diverse.
Dell'autore del Quarto Vangelo non si sa assolutamente
nulla. Anzi, non c'è neppure ragione di presumere che si chiamasse Giovanni.
Escluso il Battista, lo stesso Vangelo non menziona mai un Giovanni e la sua
attribuzione a un uomo di questo nome viene generalmente riconosciuta come una
tradizione più tarda. Il Quarto Vangelo, in ordine di tempo, è il più recente
di quelli inclusi nel Nuovo Testamento: fu composto intorno all'anno 100 d.C.
nei pressi di Efeso, in Asia Minore. Presenta numerose caratteristiche
distintive. Ad esempio, non contiene la scena della Natività di Gesù e l'inizio
ha quasi un carattere gnostico. Il testo è decisamente più mistico di quello
degli altri Vangeli e anche il contenuto ne differisce. Ad esempio, gli altri
Vangeli parlano soprattutto delle attività di Gesù nella provincia settentrionale
di Galilea e rispecchiano quella che sembra essere soltanto una conoscenza di
seconda o di terza mano per quanto riguarda gli eventi accaduti al sud, in
Giudea e a Gerusalemme, inclusa la Crocifissione. Per contro, il Quarto Vangelo
dice relativamente poco della Galilea. Indugia ampiamente sugli eventi in
Giudea e Gerusalemme, che conclusero l'esistenza di Gesù ed è possibile che il
suo racconto della Crocifissione sia basato su una testimonianza diretta, di
prima mano. Inoltre, contiene un certo numero di episodi che non figurano negli
altri Vangeli: le nozze di Cana, il ruolo di Nicodemo e di Giuseppe d'Arimatea
e la resurrezione di Lazzaro (benché questa, un tempo, fosse inclusa nel
Vangelo di Marco). In base a questi fattori, vari studiosi moderni hanno
espresso l'opinione che il Vangelo di Giovanni, nonostante la composizione
tarda, possa essere il più attendibile e storicamente esatto tra i quattro. Più
degli altri Vangeli, sembra attingere a tradizioni in voga tra i contemporanei
di Gesù e ad altro materiale sconosciuto a Marco, Luca e Matteo. Un ricercatore
moderno fa notare che rispecchia una conoscenza topografica apparentemente
diretta di Gerusalemme, così com'era la città prima dell'insurrezione del 66
d.C. II Vangelo di Giovanni, sebbene non aderisca alla struttura cronologica
marciana e sia di data molto più tarda, sembra conoscere, sul conto di Gesù,
una tradizione che dev'essere primitiva e autentica.
I Vangeli di Marco, Luca e Matteo sono conosciuti collettivamente come i Vangeli Sinottici. L'espressione significa che presentano la stessa visione dei fatti, ma non è affatto così.
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