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domenica 24 marzo 2019

CATARI


Questa volta voglio raccontarvi dell'eresia dei Catari o Albigesi e della crociata che ne susseguì nel XIII secolo. I Catari hanno sofferto parecchio durante la Crociata: questa storia è intrisa di sangue e il ricordo di quel sangue persiste ancora oggi, insieme a un profondo rancore. Molti contadini di quell'area, oggi che non esistono più gli inquisitori, confessano apertamente le loro simpatie per i Catari. C'è addirittura una chiesa catara e un “Papa cataro” è vissuto nel villaggio di Arques fino alla sua morte, avvenuta nel 1979.  Ci soffermeremo sul pensiero e sulle tradizioni dei Catari. La nostra indagine rivelerà dimensioni misteriose e concepirà molti interrogativi inquietanti.


LA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI
Nel 1209 un esercito di circa 30.000 uomini tra fanti e cavalieri, provenienti dall'Europa settentrionale, piombò come un ciclone sulla Linguadoca, la regione nord-orientale dei Pirenei, nel sud della Francia Durante la guerra che seguì l'intero territorio fu devastato, le messi distrutte, le città e i villaggi furono rasi al suolo e intere popolazioni vennero passate per le armi. Lo sterminio fu perpetrato su una scala così immane e terribile da poter essere considerato come il primo caso di “genocidio” nella storia dell'Europa moderna. Nella sola città di Béziers, ad esempio, furono massacrate almeno 15.000 persone tra uomini, donne e bambini: molti furono addirittura uccisi nella chiesa dove si erano rifugiati. Quando un ufficiale chiese al legato pontificio come avrebbe potuto distinguere gli eretici dai veri credenti, la risposta fu: “Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i Suoi”. Questa frase, sebbene venga citata molto spesso, potrebbe essere apocrifa. Tuttavia, esprime benissimo lo zelo fanatico e la ferocia sanguinaria con cui vennero perpetrate queste atrocità. Lo stesso legato pontificio, scrivendo a Innocenzo III, annunciò orgogliosamente che non c'era stato riguardo “né per l'età né per il sesso né per la condizione sociale”. Dopo Béziers, l'esercito invasore dilagò in tutta la Linguadoca. Cadde Perpignano, cadde Narbona, cadde Carcassonne, cadde Tolosa. E i vincitori passarono oltre, lasciandosi dietro una scia di sangue, di morte e di carneficina. La guerra, che si protrasse per circa quarant'anni, oggi è conosciuta come la Crociata contro gli Albigesi. Fu una crociata nel vero senso della parola. Era stata bandita dal Papa. I partecipanti portavano una croce sulla tunica, come i crociati in Palestina e le ricompense erano quelle promesse ai crociati in Terrasanta: remissione di tutti i peccati, dispensa dalle penitenze, un posto assicurato in Paradiso, più tutto il bottino che ognuno riusciva ad arraffare. Inoltre, in questa Crociata, i guerrieri non erano costretti ad attraversare il mare. E secondo la legge feudale, nessuno era tenuto a combattere più di quaranta giorni, presumendo, naturalmente, che non fosse troppo interessato a far bottino. Quando la Crociata si concluse, la Linguadoca era stata completamente trasformata: era ripiombata nella barbarie che caratterizzava il resto dell'Europa. Perché? Perché tanti orrori, tanta brutalità, tante devastazioni?

All'inizio del XIII secolo, la zona oggi conosciuta come Linguadoca non faceva parte ufficialmente della Francia. Era un principato indipendente e la lingua, la cultura e le istituzioni politiche, più che con quelle del nord, avevano affinità con quelle della Spagna, con i regni di Leon, Aragona e Castiglia. Il principato era governato da alcune famiglie nobili e tra queste spiccavano i conti di Tolosa e il potente casato dei Trencavel. Entro i confini del principato fioriva una cultura che a quei tempi era la più avanzata e raffinata dell'intera cristianità, con l'unica eccezione dell'Impero bizantino. La Linguadoca aveva molte cose in comune con Bisanzio. L'erudizione, ad esempio, era tenuta in grande onore, diversamente da quanto avveniva nell'Europa settentrionale. Fiorivano la filosofia e altre attività intellettuali, la poesia e l'amor cortese godevano di grande fervore, il greco, l'arabo e l'ebraico venivano studiati con entusiasmo e a Lunel e Narbona prosperavano scuole votate allo studio della Cabala, l'antica tradizione filosofico-esoterica del giudaismo. Anche i nobili erano colti e spesso si dedicavano alla letteratura, in un periodo in cui gli aristocratici del Nord, in maggioranza, non sapevano neppure scrivere il loro nome. Sempre come Bisanzio, la Linguadoca praticava una civilissima tolleranza religiosa, in contrasto con il fanatismo che caratterizzava altre parti dell'Europa. Il pensiero islamico e giudaico, ad esempio, penetrava tramite i centri commerciali marittimi come Marsiglia, oppure perveniva dalla Spagna attraverso i Pirenei. Nel contempo, la Chiesa di Roma non godeva di una grande stima: i religiosi romani, soprattutto a causa della loro ben nota corruzione, erano riusciti ad alienarsi la popolazione della Linguadoca. C'erano addirittura chiese nelle quali non veniva celebrata messa da trent'anni. Molti preti si disinteressavano dei parrocchiani per dedicarsi ad attività commerciali o amministrare grandi proprietà terriere. Un arcivescovo di Narbona non si degnò mai di visitare la sua diocesi. Nonostante la corruzione della Chiesa, la Linguadoca aveva raggiunto un vertice culturale quale non si sarebbe più visto in Europa fino al Rinascimento. Tuttavia, come a Bisanzio, erano presenti i fattori di rilassatezza, di decadenza e di tragica debolezza che lasciarono la regione impreparata al feroce attacco scatenato successivamente. Da diverso tempo la nobiltà nord-europea e la Chiesa romana erano ben consapevoli della sua vulnerabilità e aspiravano ad approfittarne. Da molti anni l'aristocrazia settentrionale invidiava la ricchezza e i lussi della Linguadoca e la Chiesa era interessata per ragioni sue. Innanzitutto, la sua autorità nell'intera regione era molto debole. Ma in Linguadoca, mentre fioriva la cultura, fioriva anche qualcos'altro: l’eresia. Secondo le autorità ecclesiastiche, la Linguadoca era “contagiata” dall'eresia albigese e sebbene i seguaci di questa eresia fossero fondamentalmente nonviolenti, rappresentavano una grave minaccia per l'autorità di Roma, anzi la più grave che Roma avrebbe conosciuto fino a quando, tre secoli più tardi, gli insegnamenti di Martin Luterò avrebbero dato l'avvio alla Riforma.
Nel 1200 c'era l'incontestabile possibilità che questa eresia spodestasse il cattolicesimo romano quale forma dominante del cristianesimo in tutta la Linguadoca. Inoltre, fattore ancora preoccupante agli occhi della Chiesa, l'eresia si stava già diffondendo in altre regioni dell'Europa. Gli eretici venivano chiamati con nomi diversi. Nel 1165 erano stati condannati da un concilio svoltosi ad Albi, una città della Linguadoca. Per questa ragione, o forse perché Albi continuò a essere uno dei loro centri, spesso gli eretici venivano chiamati Albigesi. In altre occasioni erano chiamati Catari; in Italia li chiamavano Patarini. Non di rado, poi, venivano bollati o stigmatizzati con le denominazioni di eresie assai più antiche: ariani, marcioniti e manichei. Albigesi e Catari erano sostanzialmente nomi generici. In altre parole, non indicavano una chiesa unica, come quella di Roma, con un corpus dottrinale e teologico codificato e definitivo. Gli eretici in questione comprendevano una moltitudine di sette diverse, parecchie guidate da un capo indipendente, dal quale prendevano nome i seguaci. E sebbene sia possibile che queste sette avessero in comune certi principi, differivano radicalmente nei dettagli. Inoltre, gran parte delle informazioni pervenute fino a noi sul conto degli eretici deriva da fonti ecclesiastiche come l'Inquisizione. Crearsi un quadro in base a tali fonti è come tentare, poniamo, di farsi un'idea della Resistenza francese basandosi sui rapporti delle SS e della Gestapo. Quindi è virtualmente impossibile presentare un'esposizione coerente e definitiva di quello che era in realtà il pensiero cataro. In generale, i Catari accettavano la dottrina della reincarnazione e il riconoscimento del principio femminile nella religione. Anzi, i predicatori e i maestri delle congregazioni catare, chiamati parfaits (perfetti), erano di entrambi i sessi. Nel contempo, ripudiavano la Chiesa cattolica e negavano la validità di tutte le gerarchie ecclesiastiche o di intercessori ufficiali ordinati tra l'uomo e Dio. Alla base di questa presa di posizione stava un importantissimo principio cataro: il ripudio della fede, almeno nel senso in cui l'intendeva la Chiesa. Alla “fede” accettata (imposta) di seconda mano, i Catari sostituivano la conoscenza diretta e personale, un'esperienza religiosa o mistica acquisita direttamente. Questa esperienza era stata chiamata gnosi, dal termine greco che significa conoscenza. Data l'importanza attribuita al contatto diretto e personale con Dio, i preti, i vescovi e le altre autorità ecclesiastiche diventavano superflui. I Catari erano anche dualisti. Tutto il pensiero cristiano, ovviamente, in ultima analisi può essere considerato dualistico, poiché pone l'accento su un conflitto tra due princìpi opposti: bene e male, spirito e carne, superiore e inferiore. Ma i Catari spingevano questa dicotomia molto più lontano di quanto fosse disposto ad accettare il cattolicesimo ortodosso. I Catari proclamavano l'esistenza non già di un unico Dio, bensì di due, che avevano uno status abbastanza simile. Insomma, per loro, l'Universo era l'opera di un “Dio usurpatore”, il Rex Mundi (il Re del Mondo). È importante osservare l'assenza di dogmi, dottrine e ideologie di carattere fisso. Come in gran parte delle deviazioni rispetto all'ortodossia conclamata, c'erano soltanto certi atteggiamenti di carattere generale definiti a grandi linee mentre i doveri morali che accompagnavano tali atteggiamenti erano soggetti all'interpretazione individuale. Agli occhi della Chiesa di Roma i Catari si macchiavano di gravi eresie, considerando intrinsecamente malefica la creazione materiale per la quale era morto Gesù e sottintendendo che il Dio che aveva creato il mondo, era un usurpatore. La loro eresia più grave, tuttavia, era l'atteggiamento assunto nei confronti dello stesso Gesù. Pare che la maggioranza dei Catari lo considerasse un profeta non diverso dagli altri: un mortale che, in nome del principio dell'amore, era spirato sulla croce. Insomma, non c'era nulla di mistico, nulla di sovrannaturale e di divino nella Crocifissione; cosa, questa, di cui sembra che molti Catari dubitassero. Comunque, tutti i Catari ripudiavano con veemenza il significato della Crocifissione e della croce, forse perché ritenevano che queste dottrine avessero poca rilevanza, o forse perché Roma le esaltava con tanto fervore, o perché il carattere brutale della morte di un profeta non appariva loro degno di venerazione. E la croce, strumento di tortura e di morte era considerata un emblema del Rex Mundi, signore del mondo materiale, antitesi del vero principio di redenzione.
Gesù, se era stato mortale, era stato un profeta di AMOR, il principio dell'amore. E AMOR, quando viene pervertito o mutato in potere, diventava ROMA: Roma, la cui Chiesa opulenta e sfarzosa appariva agli occhi dei Catari l'incarnazione concreta e la manifestazione terrena della sovranità del Rex Mundi. Di conseguenza, i Catari non solo rifiutavano di adorare la croce, ma negavano la validità di sacramenti. Nonostante queste posizioni teologiche sottili, complesse, astratte, magari inconsistenti per una mentalità moderna, in maggioranza i Catari non erano eccessivamente fanatici, per quanto riguardava il loro credo erano, in maggioranza, uomini e donne comuni, che trovavano nel loro credo un rifugio contro l'assillante ortodossia del cattolicesimo, un'evasione dalle interminabili decime, penitenze, sottomissioni, rigori e imposizioni della Chiesa di Roma. Insomma, i Catari erano estremamente pratici e realistici.
Vari indizi fanno pensare che praticassero il controllo delle nascite. Quando in seguito Roma li accusò di pratiche sessuali contro natura, questo venne interpretato come un riferimento alla sodomia. Tuttavia i Catari, almeno secondo i documenti pervenuti fino a noi, erano estremamente rigorosi nel vietare l'omosessualità. È possibile che le pratiche sessuali contro natura fossero in realtà dei metodi di controllo delle nascite e, forse, di aborto. Sappiamo bene qual è, ancora oggi, la posizione di Roma nei confronti di questi problemi e non è difficile immaginare l'energia e lo zelo vendicativo con cui questa posizione veniva imposta durante il Medioevo. In generale, sembra che i Catari vivessero una vita di estrema devozione e semplicità. Poiché deploravano le chiese, di solito svolgevano i riti e le funzioni religiose all'aperto. Inoltre, praticavano quella che oggi noi chiamiamo meditazione. Erano rigorosamente vegetariani, sebbene fosse consentito mangiare il pesce. E quando viaggiavano per le campagne, i parfaits andavano sempre in coppia, accreditando così le accuse di sodomia sparse dai loro nemici.  


Era questo, dunque, il credo che si era diffuso nella Linguadoca e nelle province confinanti, al punto di minacciare il cattolicesimo. Per parecchie e comprensibili ragioni, molti nobili furono attratti da questo credo. Alcuni ne apprezzavano il carattere tollerante. Altri erano motivati dall'anticlericalismo. Alcuni erano delusi e amareggiati dalla corruzione della Chiesa. Certuni trovavano insopportabile il sistema delle decime, che faceva affluire le rendite delle loro tenute nei forzieri della lontana Roma. Perciò molti nobili, in tarda età, diventavano parfaits. Anzi, si calcola che il 30 per cento di tutti i parfaits provenisse dalla nobiltà della Linguadoca. Nel 1145, mezzo secolo prima della Crociata contro gli Albigesi, lo stesso San Bernardo si era recato in Linguadoca per predicare contro gli eretici. Ma quando arrivò, inorridì non tanto a causa degli eretici quanto per la corruzione della sua Chiesa. Invece, gli eretici gli fecero una buona impressione. “Nessun sermone è più cristiano dei loro – dichiarò - E la loro morale è pura”.
Nel 1200, è superfluo precisarlo, Roma era decisamente allarmata per la situazione e sapeva benissimo che i baroni dell'Europa settentrionale guardavano con invidia le ricche terre e le città del sud. Quell'invidia poteva venire sfruttata agevolmente e i signori del nord avrebbero costituito le sue truppe d'assalto. Occorreva soltanto una provocazione, un pretesto per scatenare l'opinione pubblica. Il pretesto non tardò ad arrivare. Il 14 gennaio 1208 uno dei legati pontifici in Linguadoca, Pierre de Castelnau, fu assassinato. Sembra che l'omicidio fosse stato commesso da ribelli anticlericali che non avevano nessun legame con i Catari. Roma, che aveva trovato il pretesto desiderato, non esitò invece ad accusare gli aborriti eretici. Subito papa Innocenzo III bandì una Crociata. La Chiesa mobilitò tutte le sue forze. L'eresia doveva essere estirpata per sempre. Si radunò un vero esercito, al comando dell'abate di Citeaux. Le operazioni militari vennero affidate soprattutto a Simone di Montfort. Guidati da Simone, i crociati del Papa partirono, decisi a distruggere la più eletta cultura europea del Medioevo. In questa santa impresa si avvalsero dell'aiuto di un fanatico spagnolo che si chiamava Domenico Guzmàn. Spronato da un odio feroce contro l'eresia, nel 1216 Guzmàn fondò l'Ordine dei domenicani e nel 1233 i  domenicani crearono un'istituzione infame: la Santa Inquisizione. I Catari non sarebbero stati le sue uniche vittime. Nel 1218 Simone di Montfort fu ucciso mentre assediava Tolosa. Tuttavia le devastazioni in Linguadoca continuarono, con brevi tregue, per altri venticinque anni. Nel 1243, tuttavia, tutta la resistenza organizzata era finita. Col 1243 tutte le principali città e roccaforti catare erano state espugnate dagli invasori venuti dal Nord, eccettuate poche fortezze remote e isolate. La più importante era la maestosa cittadella montana di Montségur, librata come un'arca celeste sopra le valli circostanti. Per dieci mesi, Montségur fu assediata dagli invasori; respinse vari assalti e resistette con grande tenacia. Alla fine, nel marzo del 1244, la fortezza capitolò e il catarismo, almeno apparentemente, smise di esistere nella Francia meridionale.
Ma le idee non si possono annientare.

1 commento:

  1. Da molti anni l'aristocrazia settentrionale invidiava la ricchezza e i lussi della Linguadoca e anche la Chiesa guardava a quei territori, ma per ragioni sue. Innanzitutto, la sua autorità nell'intera regione era molto debole, ma cera dell'altro: in Linguadoca, mentre fioriva la cultura, cresceva anche qualcos'altro: l’eresia.

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