Questa volta voglio raccontarvi dell'eresia dei
Catari o Albigesi e della crociata che ne susseguì nel XIII secolo. I Catari
hanno sofferto parecchio durante la Crociata: questa storia è intrisa di sangue e il ricordo di quel sangue persiste ancora oggi, insieme a un profondo
rancore. Molti contadini di quell'area, oggi che non esistono più gli
inquisitori, confessano apertamente le loro simpatie per i Catari. C'è
addirittura una chiesa catara e un “Papa cataro” è vissuto nel villaggio di
Arques fino alla sua morte, avvenuta nel 1979.
Ci soffermeremo sul pensiero e sulle tradizioni dei Catari. La nostra
indagine rivelerà dimensioni misteriose e concepirà molti interrogativi
inquietanti.
LA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI
Nel 1209 un esercito di circa 30.000 uomini tra
fanti e cavalieri, provenienti dall'Europa settentrionale, piombò come un
ciclone sulla Linguadoca, la regione nord-orientale dei Pirenei, nel sud della
Francia Durante la guerra che seguì l'intero territorio fu devastato, le messi
distrutte, le città e i villaggi furono rasi al suolo e intere popolazioni
vennero passate per le armi. Lo sterminio fu perpetrato su una scala così
immane e terribile da poter essere considerato come il primo caso di “genocidio”
nella storia dell'Europa moderna. Nella sola città di Béziers, ad esempio,
furono massacrate almeno 15.000 persone tra uomini, donne e bambini: molti
furono addirittura uccisi nella chiesa dove si erano rifugiati. Quando un
ufficiale chiese al legato pontificio come avrebbe potuto distinguere gli
eretici dai veri credenti, la risposta fu: “Uccideteli
tutti. Dio riconoscerà i Suoi”. Questa frase, sebbene venga citata molto
spesso, potrebbe essere apocrifa. Tuttavia, esprime benissimo lo zelo fanatico
e la ferocia sanguinaria con cui vennero perpetrate queste atrocità. Lo stesso
legato pontificio, scrivendo a Innocenzo III, annunciò orgogliosamente che non
c'era stato riguardo “né per l'età né per
il sesso né per la condizione sociale”. Dopo Béziers, l'esercito invasore
dilagò in tutta la Linguadoca. Cadde Perpignano, cadde Narbona, cadde
Carcassonne, cadde Tolosa. E i vincitori passarono oltre, lasciandosi dietro
una scia di sangue, di morte e di carneficina. La guerra, che si protrasse per
circa quarant'anni, oggi è conosciuta come la Crociata contro gli Albigesi. Fu
una crociata nel vero senso della parola. Era stata bandita dal Papa. I
partecipanti portavano una croce sulla tunica, come i crociati in Palestina e
le ricompense erano quelle promesse ai crociati in Terrasanta: remissione di
tutti i peccati, dispensa dalle penitenze, un posto assicurato in Paradiso, più
tutto il bottino che ognuno riusciva ad arraffare. Inoltre, in questa Crociata,
i guerrieri non erano costretti ad attraversare il mare. E secondo la legge
feudale, nessuno era tenuto a combattere più di quaranta giorni, presumendo,
naturalmente, che non fosse troppo interessato a far bottino. Quando la
Crociata si concluse, la Linguadoca era stata completamente trasformata: era
ripiombata nella barbarie che caratterizzava il resto dell'Europa. Perché?
Perché tanti orrori, tanta brutalità, tante devastazioni?
All'inizio del XIII secolo, la zona oggi conosciuta
come Linguadoca non faceva parte ufficialmente della Francia. Era un principato
indipendente e la lingua, la cultura e le istituzioni politiche, più che con
quelle del nord, avevano affinità con quelle della Spagna, con i regni di Leon,
Aragona e Castiglia. Il principato era governato da alcune famiglie nobili e
tra queste spiccavano i conti di Tolosa e il potente casato dei Trencavel.
Entro i confini del principato fioriva una cultura che a quei tempi era la più
avanzata e raffinata dell'intera cristianità, con l'unica eccezione dell'Impero
bizantino. La Linguadoca aveva molte cose in comune con Bisanzio. L'erudizione,
ad esempio, era tenuta in grande onore, diversamente da quanto avveniva
nell'Europa settentrionale. Fiorivano la filosofia e altre attività
intellettuali, la poesia e l'amor cortese godevano di grande fervore, il greco,
l'arabo e l'ebraico venivano studiati con entusiasmo e a Lunel e Narbona
prosperavano scuole votate allo studio della Cabala, l'antica tradizione
filosofico-esoterica del giudaismo. Anche i nobili erano colti e spesso si
dedicavano alla letteratura, in un periodo in cui gli aristocratici del Nord,
in maggioranza, non sapevano neppure scrivere il loro nome. Sempre come Bisanzio,
la Linguadoca praticava una civilissima tolleranza religiosa, in contrasto con
il fanatismo che caratterizzava altre parti dell'Europa. Il pensiero islamico e
giudaico, ad esempio, penetrava tramite i centri commerciali marittimi come
Marsiglia, oppure perveniva dalla Spagna attraverso i Pirenei. Nel contempo, la
Chiesa di Roma non godeva di una grande stima: i religiosi romani, soprattutto
a causa della loro ben nota corruzione, erano riusciti ad alienarsi la
popolazione della Linguadoca. C'erano addirittura chiese nelle quali non veniva
celebrata messa da trent'anni. Molti preti si disinteressavano dei parrocchiani
per dedicarsi ad attività commerciali o amministrare grandi proprietà terriere.
Un arcivescovo di Narbona non si degnò mai di visitare la sua diocesi.
Nonostante la corruzione della Chiesa, la Linguadoca aveva raggiunto un vertice
culturale quale non si sarebbe più visto in Europa fino al Rinascimento.
Tuttavia, come a Bisanzio, erano presenti i fattori di rilassatezza, di
decadenza e di tragica debolezza che lasciarono la regione impreparata al
feroce attacco scatenato successivamente. Da diverso tempo la nobiltà
nord-europea e la Chiesa romana erano ben consapevoli della sua vulnerabilità e
aspiravano ad approfittarne. Da molti anni l'aristocrazia settentrionale
invidiava la ricchezza e i lussi della Linguadoca e la Chiesa era interessata
per ragioni sue. Innanzitutto, la sua autorità nell'intera regione era molto
debole. Ma in Linguadoca, mentre fioriva la cultura, fioriva anche qualcos'altro:
l’eresia. Secondo le autorità ecclesiastiche, la Linguadoca era “contagiata” dall'eresia
albigese e sebbene i seguaci di questa eresia fossero fondamentalmente
nonviolenti, rappresentavano una grave minaccia per l'autorità di Roma, anzi la
più grave che Roma avrebbe conosciuto fino a quando, tre secoli più tardi, gli
insegnamenti di Martin Luterò avrebbero dato l'avvio alla Riforma.
Nel 1200
c'era l'incontestabile possibilità che questa eresia spodestasse il cattolicesimo
romano quale forma dominante del cristianesimo in tutta la Linguadoca. Inoltre,
fattore ancora preoccupante agli occhi della Chiesa, l'eresia si stava già
diffondendo in altre regioni dell'Europa. Gli eretici venivano chiamati con
nomi diversi. Nel 1165 erano stati condannati da un concilio svoltosi ad Albi,
una città della Linguadoca. Per questa ragione, o forse perché Albi continuò a
essere uno dei loro centri, spesso gli eretici venivano chiamati Albigesi. In
altre occasioni erano chiamati Catari; in Italia li chiamavano Patarini. Non di
rado, poi, venivano bollati o stigmatizzati con le denominazioni di eresie
assai più antiche: ariani, marcioniti e manichei. Albigesi e Catari erano
sostanzialmente nomi generici. In altre parole, non indicavano una chiesa
unica, come quella di Roma, con un corpus dottrinale e teologico codificato e
definitivo. Gli eretici in questione comprendevano una moltitudine di sette
diverse, parecchie guidate da un capo indipendente, dal quale prendevano nome i
seguaci. E sebbene sia possibile che queste sette avessero in comune certi
principi, differivano radicalmente nei dettagli. Inoltre, gran parte delle
informazioni pervenute fino a noi sul conto degli eretici deriva da fonti
ecclesiastiche come l'Inquisizione. Crearsi un quadro in base a tali fonti è
come tentare, poniamo, di farsi un'idea della Resistenza francese basandosi sui
rapporti delle SS e della Gestapo. Quindi è virtualmente impossibile presentare
un'esposizione coerente e definitiva di quello che era in realtà il pensiero
cataro. In generale, i Catari accettavano la dottrina della reincarnazione e il
riconoscimento del principio femminile nella religione. Anzi, i predicatori e i
maestri delle congregazioni catare, chiamati parfaits (perfetti), erano di
entrambi i sessi. Nel contempo, ripudiavano la Chiesa cattolica e negavano la
validità di tutte le gerarchie ecclesiastiche o di intercessori ufficiali
ordinati tra l'uomo e Dio. Alla base di questa presa di posizione stava un
importantissimo principio cataro: il ripudio della fede, almeno nel senso in
cui l'intendeva la Chiesa. Alla “fede” accettata (imposta) di seconda mano, i
Catari sostituivano la conoscenza diretta e personale, un'esperienza religiosa
o mistica acquisita direttamente. Questa esperienza era stata chiamata gnosi,
dal termine greco che significa conoscenza. Data l'importanza attribuita al
contatto diretto e personale con Dio, i preti, i vescovi e le altre autorità
ecclesiastiche diventavano superflui. I Catari erano anche dualisti. Tutto il
pensiero cristiano, ovviamente, in ultima analisi può essere considerato
dualistico, poiché pone l'accento su un conflitto tra due princìpi opposti:
bene e male, spirito e carne, superiore e inferiore. Ma i Catari spingevano
questa dicotomia molto più lontano di quanto fosse disposto ad accettare il
cattolicesimo ortodosso. I Catari proclamavano l'esistenza non già di un unico Dio,
bensì di due, che avevano uno status abbastanza simile. Insomma, per loro, l'Universo
era l'opera di un “Dio usurpatore”, il Rex Mundi (il Re del Mondo). È
importante osservare l'assenza di dogmi, dottrine e ideologie di carattere fisso.
Come in gran parte delle deviazioni rispetto all'ortodossia conclamata, c'erano
soltanto certi atteggiamenti di carattere generale definiti a grandi linee
mentre i doveri morali che accompagnavano tali atteggiamenti erano soggetti
all'interpretazione individuale. Agli occhi della Chiesa di Roma i Catari si
macchiavano di gravi eresie, considerando intrinsecamente malefica la creazione
materiale per la quale era morto Gesù e sottintendendo che il Dio che aveva
creato il mondo, era un usurpatore. La loro eresia più grave, tuttavia, era
l'atteggiamento assunto nei confronti dello stesso Gesù. Pare che la maggioranza
dei Catari lo considerasse un profeta non diverso dagli altri: un mortale che,
in nome del principio dell'amore, era spirato sulla croce. Insomma, non c'era
nulla di mistico, nulla di sovrannaturale e di divino nella Crocifissione;
cosa, questa, di cui sembra che molti Catari dubitassero. Comunque, tutti i
Catari ripudiavano con veemenza il significato della Crocifissione e della
croce, forse perché ritenevano che queste dottrine avessero poca rilevanza, o
forse perché Roma le esaltava con tanto fervore, o perché il carattere brutale
della morte di un profeta non appariva loro degno di venerazione. E la croce,
strumento di tortura e di morte era considerata un emblema del Rex Mundi,
signore del mondo materiale, antitesi del vero principio di redenzione.
Gesù,
se era stato mortale, era stato un profeta di AMOR, il principio dell'amore. E
AMOR, quando viene pervertito o mutato in potere, diventava ROMA: Roma, la cui
Chiesa opulenta e sfarzosa appariva agli occhi dei Catari l'incarnazione
concreta e la manifestazione terrena della sovranità del Rex Mundi. Di
conseguenza, i Catari non solo rifiutavano di adorare la croce, ma negavano la
validità di sacramenti. Nonostante queste posizioni teologiche sottili,
complesse, astratte, magari inconsistenti per una mentalità moderna, in
maggioranza i Catari non erano eccessivamente fanatici, per quanto riguardava
il loro credo erano, in maggioranza, uomini e donne comuni, che trovavano nel
loro credo un rifugio contro l'assillante ortodossia del cattolicesimo,
un'evasione dalle interminabili decime, penitenze, sottomissioni, rigori e
imposizioni della Chiesa di Roma. Insomma, i Catari erano estremamente pratici
e realistici.
Vari indizi fanno pensare che praticassero il
controllo delle nascite. Quando in seguito Roma li accusò di pratiche sessuali
contro natura, questo venne interpretato come un riferimento alla sodomia. Tuttavia
i Catari, almeno secondo i documenti pervenuti fino a noi, erano estremamente
rigorosi nel vietare l'omosessualità. È possibile che le pratiche sessuali
contro natura fossero in realtà dei metodi di controllo delle nascite e, forse,
di aborto. Sappiamo bene qual è, ancora oggi, la posizione di Roma nei
confronti di questi problemi e non è difficile immaginare l'energia e lo zelo
vendicativo con cui questa posizione veniva imposta durante il Medioevo. In
generale, sembra che i Catari vivessero una vita di estrema devozione e
semplicità. Poiché deploravano le chiese, di solito svolgevano i riti e le
funzioni religiose all'aperto. Inoltre, praticavano quella che oggi noi
chiamiamo meditazione. Erano rigorosamente vegetariani, sebbene fosse
consentito mangiare il pesce. E quando viaggiavano per le campagne, i parfaits
andavano sempre in coppia, accreditando così le accuse di sodomia sparse dai
loro nemici.
Era questo, dunque, il credo che si era diffuso
nella Linguadoca e nelle province confinanti, al punto di minacciare il
cattolicesimo. Per parecchie e comprensibili ragioni, molti nobili furono
attratti da questo credo. Alcuni ne apprezzavano il carattere tollerante. Altri
erano motivati dall'anticlericalismo. Alcuni erano delusi e amareggiati dalla
corruzione della Chiesa. Certuni trovavano insopportabile il sistema delle
decime, che faceva affluire le rendite delle loro tenute nei forzieri della
lontana Roma. Perciò molti nobili, in tarda età, diventavano parfaits. Anzi, si
calcola che il 30 per cento di tutti i parfaits provenisse dalla nobiltà della
Linguadoca. Nel 1145, mezzo secolo prima della Crociata contro gli Albigesi, lo
stesso San Bernardo si era recato in Linguadoca per predicare contro gli
eretici. Ma quando arrivò, inorridì non tanto a causa degli eretici quanto per
la corruzione della sua Chiesa. Invece, gli eretici gli fecero una buona
impressione. “Nessun sermone è più
cristiano dei loro – dichiarò - E la
loro morale è pura”.
Nel 1200, è superfluo precisarlo, Roma era decisamente
allarmata per la situazione e sapeva benissimo che i baroni dell'Europa
settentrionale guardavano con invidia le ricche terre e le città del sud.
Quell'invidia poteva venire sfruttata agevolmente e i signori del nord
avrebbero costituito le sue truppe d'assalto. Occorreva soltanto una
provocazione, un pretesto per scatenare l'opinione pubblica. Il pretesto non
tardò ad arrivare. Il 14 gennaio 1208 uno dei legati pontifici in Linguadoca,
Pierre de Castelnau, fu assassinato. Sembra che l'omicidio fosse stato commesso
da ribelli anticlericali che non avevano nessun legame con i Catari. Roma, che
aveva trovato il pretesto desiderato, non esitò invece ad accusare gli aborriti
eretici. Subito papa Innocenzo III bandì una Crociata. La Chiesa mobilitò tutte
le sue forze. L'eresia doveva essere estirpata per sempre. Si radunò un vero
esercito, al comando dell'abate di Citeaux. Le operazioni militari vennero
affidate soprattutto a Simone di Montfort. Guidati da Simone, i crociati del Papa
partirono, decisi a distruggere la più eletta cultura europea del Medioevo. In
questa santa impresa si avvalsero dell'aiuto di un fanatico spagnolo che si
chiamava Domenico Guzmàn. Spronato da un odio feroce contro l'eresia, nel 1216
Guzmàn fondò l'Ordine dei domenicani e nel 1233 i domenicani crearono un'istituzione infame: la
Santa Inquisizione. I Catari non sarebbero stati le sue uniche vittime. Nel
1218 Simone di Montfort fu ucciso mentre assediava Tolosa. Tuttavia le
devastazioni in Linguadoca continuarono, con brevi tregue, per altri
venticinque anni. Nel 1243, tuttavia, tutta la resistenza organizzata era
finita. Col 1243 tutte le principali città e roccaforti catare erano state
espugnate dagli invasori venuti dal Nord, eccettuate poche fortezze remote e
isolate. La più importante era la maestosa cittadella montana di Montségur,
librata come un'arca celeste sopra le valli circostanti. Per dieci mesi,
Montségur fu assediata dagli invasori; respinse vari assalti e resistette con
grande tenacia. Alla fine, nel marzo del 1244, la fortezza capitolò e il
catarismo, almeno apparentemente, smise di esistere nella Francia meridionale.
Ma le idee non si possono annientare.
Da molti anni l'aristocrazia settentrionale invidiava la ricchezza e i lussi della Linguadoca e anche la Chiesa guardava a quei territori, ma per ragioni sue. Innanzitutto, la sua autorità nell'intera regione era molto debole, ma cera dell'altro: in Linguadoca, mentre fioriva la cultura, cresceva anche qualcos'altro: l’eresia.
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