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giovedì 18 aprile 2019

LA CROCIFFISSIONE




Durante l'incontro con Pilato, Gesù viene chiamato più volte "Re dei Giudei". Per ordine dello stesso Pilato, sulla croce viene affissa un'iscrizione con questo titolo. Come sostiene S.G.F. Brandon dell'Università di Manchester, l'iscrizione affissa alla croce deve essere considerata autentica, innanzitutto perchè figura, virtualmente senza variazioni, in tutti i quattro Vangeli. In secondo luogo è un episodio troppo compromettente e imbarazzante perché l'abbiano inventato i revisori più tardi.
Nel Vangelo di Marco, Pilato, dopo aver interrogato Gesù, chiede ai dignitari: "Che farò dunque di quello che voi chiamate Re dei Giudei?" (Marco 15:12).
Questo parrebbe indicare che almeno alcuni Giudei consideravano veramente Gesù come il loro re. Nel contempo, però, in tutti i quattro Vangeli anche Pilato accorda questo titolo a Gesù. Non c'è ragione di supporre che lo faccia per ironizzare o per deriderlo. Nel Quarto Vangelo insiste a farlo, in tono serio, nonostante il coro di proteste. Nei tre Vangeli Sinottici, inoltre, lo stesso Gesù ammette di rivendicare il titolo: "Allora Pilato prese a interrogarlo: - Sei tu il Re dei Giudei? - Ed egli rispose: -Tu lo dici" (Marco 15:2).
Se, nella traduzione, la risposta può suonare ambivalente, nel testo originale, in greco, però, il suo significato è inequivocabile. Può essere interpretata solo come "Tu hai parlato giustamente".
I Vangeli furono composti dopo l'insurrezione del 68-74 d.C, quando il giudaismo aveva finito di esistere come una forza sociale, politica e organizzazione militare. E soprattutto, i Vangeli furono composti per un pubblico grecoromano e dovevano risultare accettabili. Roma aveva appena finito di combattere contro gli Ebrei una guerra feroce e dispendiosa. Quindi era del tutto naturale presentare i Giudei come malvagi. Inoltre, la parte avuta dai Romani nel processo e nell'esecuzione di Gesù doveva essere riveduta, corretta e presentata nel miglior modo possibile. Perciò nei Vangeli Pilato figura come un uomo onesto, serio e tollerante, che consente con grande riluttanza alla Crocifissione. Tuttavia, nonostante questa libertà che gli evangelisti si presero con la storia, si può ricostruire quale fu la vera posizione di Roma nella vicenda.






Secondo i Vangeli, Gesù venne inizialmente condannato dal Sinedrio, il consiglio degli anziani giudei, i quali lo portarono davanti a Pilato e chiesero al governatore di pronunciarsi contro di lui.
Da un punto di vista storico, questo non ha senso.
Nei tre Vangeli Sinottici, Gesù viene arrestato e condannato dal Sinedrio la notte di Pasqua; ma secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi per Pasqua. Nei Vangeli l'arresto di Gesù e il suo processo davanti al sinedrio hanno luogo di notte; secondo la legge giudaica, il sinedrio non poteva riunirsi di notte, in case private o in qualunque luogo che non fosse all'interno del recinto del Tempio. Nei Vangeli, il sinedrio sembra non avere l'autorità di pronunciare una condanna a morte e sarebbe per questa ragione che Gesù viene condotto davanti a Pilato; ma il Sinedrio aveva l'autorità di emettere condanne a morte: per lapidazione, se non per crocifissione. Perciò, se il sinedrio avesse voluto eliminare Gesù, avrebbe avuto l'autorità di condannarlo alla lapidazione: l'intervento di Pilato non sarebbe stato necessario.
Gli autori dei Vangeli attuarono altri numerosi tentativi per scagionare Roma da ogni responsabilità. Uno è rappresentato dall'offerta di grazia fatta da Pilato, il quale si dichiara disposto a liberare un prigioniero a scelta della folla. Secondo i Vangeli di Marco e Matteo, questa era un'usanza della festa di Pasqua.
In realtà, tale consuetudine non esisteva.
Gli autori moderni concordano che i Romani non adottarono mai tale politica e che l'offerta di liberare Gesù o Barabba è un'invenzione. Anche la riluttanza di Pilato di fronte alla prospettiva di condannare Gesù e la sua irritata rassegnazione alla pressione della folla sembrano altrettanto fittizie. In realtà, sarebbe stato impensabile che un governatore romano, per giunta implacabile come Pilato, si piegasse al volere della folla. Lo scopo di queste alterazioni è piuttosto chiaro: scagionare i Romani, attribuire tutta la colpa agli Ebrei e rendere così Gesù accettabile a un pubblico romano.
È possibile, naturalmente, che non tutti i Giudei fossero innocenti: senza dubbio, a Roma avrebbe fatto comodo che Gesù venisse tradito ufficialmente dal suo popolo. È quindi concepibile che i Romani si servissero di agenti provocatori. Ma anche così, rimane il fatto incontrovertibile che Gesù fu vittima di un'amministrazione romana, di un tribunale romano, di una condanna romana, dei militari romani e di un'esecuzione romana: un'esecuzione la cui forma era riservata esclusivamente ai nemici di Roma. Gesù non fu crocifisso per le sue colpe nei confronti del giudaismo, ma per le colpe nei confronti dell'impero.






Barabba

 Chi era lo sfuggente personaggio che nei Vangeli figura come Barabba o, per essere più precisi, come Gesù Barabba? In una prima versione del Vangelo di Matteo viene identificato infatti con questo nome.
I filologi moderni sono incerti circa la derivazione e il significato di "Barabba". "Gesù Barabba" può essere una forma corrotta di "Gesù Berabbi". Berabbi era un titolo riservato ai rabbi più stimati e seguiva il loro nome proprio. Quindi Gesù Berabbi potrebbe perciò riferirsi allo stesso Gesù. E c'è anche un'altra possibilità. Gesù Barabba potrebbe derivare da "Gesù bar Abba" e poiché in ebraico "Abba" significa padre, Barabba significherebbe allora "figlio del padre": una designazione priva di senso, a meno che il padre non fosse veramente il "Padre Celeste". Allora Barabba potrebbe ancora una volta riferirsi allo stesso Gesù.
Quale che sia il significato e la derivazione del nome, il personaggio Barabba è estremamente curioso. E più si considera l'episodio che lo riguarda e più diviene evidente che sta succedendo qualcosa di irregolare e che qualcuno sta cercando di nascondere la verità. Innanzitutto il nome di Barabba, come quello della Maddalena, sembra aver subito una sistematica campagna diffamatoria. Come la tradizione popolare fa della Maddalena una prostituta, così dipinge Barabba come un ladrone.
A stretto rigore, i Vangeli non descrivono Barabba come un ladro. Secondo Marco e Luca, è un prigioniero politico, un ribelle accusato d'omicidio e di insurrezione. Nel Vangelo di Matteo, tuttavia, Barabba è descritto come un prigioniero famoso. Nel Quarto Vangelo, Barabba è chiamato (nell'originale greco) un lestes (Giovanni 18:40).
Sì, la parola può essere tradotta come ladro o bandito, ma nel suo contesto storico significava qualcosa di ben diverso: lestes era infatti il termine abitualmente usato dai Romani per indicare gli zeloti, i rivoluzionari nazionalisti che da tempo fomentavano disordini.
Poiché Marco e Luca dicono concordemente che Barabba è colpevole d'insurrezione e poiché Matteo non contraddice questa affermazione, si può concludere con sicurezza che Barabba era uno zelota.
Ma queste non sono le sole notizie esistenti su Barabba. Secondo Luca, era stato coinvolto recentemente in disordini o in una sedizione avvenuta in città. La storia non parla di disordini accaduti a Gerusalemme in quel tempo, ma i Vangeli sì. Secondo i Vangeli, a Gerusalemme c'erano stati disordini solo pochi giorni prima: quando Gesù e i suoi seguaci avevano rovesciato i tavoli degli usurai nel Tempio.
Barabba aveva partecipato all'episodio e per questo era stato imprigionato?
Sembra probabile. Se così fosse, la conclusione ovvia è una sola: Barabba faceva parte del seguito di Gesù.
Secondo gli studiosi moderni, l'usanza di liberare un prigioniero in occasione della Pasqua non esisteva. Ma, anche se fosse esistita, la preferenza accordata a Barabba rispetto a Gesù non avrebbe senso.
Se Barabba era davvero un delinquente comune, colpevole di omicidio, perché il popolo decise di salvargli la vita?
E se, invece, era uno zelota, un rivoluzionario, è poco verosimile che Pilato rilasciasse un personaggio potenzialmente tanto pericoloso, anziché un innocuo visionario che, almeno come affermano i vangeli, era dispostissimo a "dare a Cesare ciò che è di Cesare". Tra tutte le discrepanze, le improbabilità e le incongruenze contenute nei Vangeli, la scelta di Barabba è la più sorprendente e inspiegabile.






Se si considera il ritratto che I Vangeli danno di Gesù, è inspiegabile che venisse crocifisso. Secondo i Vangeli, i suoi nemici erano in certi ambienti giudaici di Gerusalemme. Ma questi nemici, se esistevano veramente, avrebbero potuto lapidarlo di loro iniziativa e in nome della loro autorità, senza coinvolgere Roma nella questione.
Secondo i Vangeli, Gesù non aveva nessun motivo di dissidio con Roma e non violava la legge romana. Tuttavia venne punito dai Romani, secondo la legge e le procedure romane. Fu crocifisso: una pena riservata esclusivamente a coloro che erano colpevoli di delitti contro l'impero. Se Gesù fu davvero crocifisso, non poteva essere apolitico come lo rappresentano i Vangeli. Al contrario, doveva necessariamente aver fatto qualcosa per attirarsi la collera dei Romani. Quali che fossero le imputazioni per le quali fu crocifisso Gesù, la sua apparente morte sulla croce è piena d'incongruenze.
Presso i Romani, vigeva una procedura molto precisa per la Crocifissione. Dopo la sentenza, il condannato veniva flagellato e di conseguenza, la perdita di sangue l'indeboliva. Poi le sue braccia venivano fissate, di solito per mezzo di cinghie, ma qualche volta con i chiodi, a una pesante trave lignea caricata sulle spalle. Portando la trave, veniva condotto sul luogo dell'esecuzione. Lì la trave, con il condannato appeso, veniva sollevata e fissata a un palo verticale. Il condannato, appeso per le mani, non avrebbe potuto respirare, a meno che anche i piedi fossero fissati alla croce. Questo gli avrebbe permesso di esercitare una pressione sui piedi, alleviando quella sul torace. Ma nonostante la sofferenza, un uomo così appeso con i piedi fissati, soprattutto se era sano e robusto, di solito sopravviveva almeno per un giorno o due. Qualche volta, anzi, ci metteva una settimana a morire: di sfinimento, di sete o se venivano usati i chiodi, di setticemia. A questa sofferenza prolungata si poteva mettere fine più rapidamente spezzando le gambe o le ginocchia del condannato ed è quanto stavano per fare, i carnefici di Gesù, prima di essere trattenuti. Spezzare le gambe o le ginocchia non era un atto di sadismo. Al contrario: era un atto di misericordia, un colpo di grazia che causava una morte molto rapida. Quando non c'era più nulla che lo sostenesse, la pressione sul torace del condannato diventava intollerabile ed egli moriva rapidamente per asfissia.
Gli studiosi moderni concordano nel ritenere che solo il Quarto Vangelo sia basato su un racconto della Crocifissione fatto da un testimone oculare. Secondo il Quarto Vangelo, i piedi di Gesù furono fissati alla croce, alleviando così la pressione sui muscoli pettorali e le sue gambe non furono spezzate. Quindi, almeno in teoria, avrebbe dovuto sopravvivere per due o tre giorni. Tuttavia, Gesù era sulla croce da poche ore soltanto quando venne dichiarato morto. Nel Vangelo di Marco, lo stesso Pilato si stupisce della rapidità con cui sopravviene la morte (Marco 15:44).
Quale può essere stata la causa della morte?
Non il colpo di lancia nel costato, poiché il Quarto Vangelo afferma che Gesù era già morto quando gli fu inferta la ferita (Giovanni 19:33).
C'è una sola spiegazione: l'assommarsi dello sfinimento, della stanchezza, della debilitazione generale e del trauma della flagellazione. Ma neppure questi fattori avrebbero potuto essere fatali tanto in fretta. Naturalmente, è possibile che lo fossero: nonostante le leggi fisiologiche, qualche volta un uomo muore per un solo colpo, relativamente innocuo. Tuttavia, l'intera vicenda continua ad apparire sospetta. Secondo il Quarto Vangelo, i carnefici di Gesù si accinsero a spezzargli le gambe per affrettarne la morte.
Perché farlo, se era già moribondo? Insomma, non avrebbe avuto senso spezzare le gambe di Gesù, a meno che la sua morte non fosse apparsa tutt'altro che imminente.
Nei Vangeli, la morte di Gesù sopravviene in un momento quasi troppo opportuno. Avviene giusto in tempo per evitare che i carnefici gli spezzino le gambe.
Insomma, l'apparente e opportuna "morte" di Gesù lo salva appena in tempo da una fine certa. È tutto perfetto, troppo preciso per essere una coincidenza. Può trattarsi di un'interpolazione successiva, a posteriori oppure doveva far parte di un piano meticolosamente preparato. Vi sono molti altri indizi che fanno pensare a quest'ultima possibilità.
Nel Quarto Vangelo Gesù, appeso alla croce, dice di aver sete. Gli viene allora offerta una spugna che, è detto, era stata intrisa d'aceto. Questo episodio compare anche negli altri Vangeli. L'aceto o il vino inacidito è uno stimolante e ha effetti non dissimili da quelli dei sali da fiuto. A quel tempo veniva usato per rianimare gli schiavi infiacchiti a bordo delle galere. In un uomo ferito ed esausto, l'aceto, fiutato o bevuto causa una temporanea ripresa dell'energia. Invece, nel caso di Gesù, l'effetto è esattamente il contrario. Appena aspira o assorbe il contenuto della spugna, pronuncia le sue ultime parole e "rende lo spirito. Una simile reazione causata dall'aceto è fisiologicamente inspiegabile. D'altra parte, sarebbe perfettamente comprensibile se la spugna fosse stata imbevuta di un soporifero, ad esempio un composto di oppio o di belladonna, sostanze usate comunemente a quel tempo in Medio Oriente. Ma perché dare a Gesù un soporifero? A meno che l'azione, come tutti gli altri fattori della Crocifissione, facesse parte di uno stratagemma complesso e ingegnoso, uno stratagemma ideato per causare una morte apparente quando il condannato, in effetti, era ancora vivo. Lo stratagemma avrebbe non soltanto salvato la vita di Gesù, ma avrebbe anche realizzato le profezie dell'Antico Testamento riguardanti il Messia.
La Crocifissione presenta altri aspetti anomali che fanno pensare appunto a uno stratagemma del genere. Secondo i Vangeli, Gesù viene crocifisso in un luogo chiamato Golgota, "il luogo del teschio". La tradizione più tarda tenta di identificare il Golgota con una collina spoglia, più o meno a forma di teschio, situata a nord-ovest di Gerusalemme. Tuttavia i Vangeli chiariscono che il luogo della Crocifissione era molto diverso da una collina a forma di teschio. Il Quarto Vangelo è il più esplicito: "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto" (Giovanni 19:41). Gesù, dunque, non fu crocifisso su una collina spoglia a forma di teschio e neppure in un luogo riservato alle esecuzioni pubbliche. Fu crocifisso in un giardino dove c'era una tomba privata o nelle immediate vicinanze. Secondo Matteo (27:60), la tomba e il giardino erano proprietà di Giuseppe d'Arimatea, che secondo tutti i quattro Vangeli, era un ricco seguace segreto di Gesù.
La tradizione popolare raffigura la Crocifissione come un evento pubblico, al quale assistettero migliaia di persone. Eppure i Vangeli indicano circostanze ben diverse. Secondo Matteo, Marco e Luca, quasi tutti i presenti, incluse le donne, assistevano da lontano alla Crocifissione (Luca 23:49).
Sembrerebbe quindi evidente che la morte di Gesù non fu un avvenimento pubblico, bensì una crocifissione privata eseguita in una proprietà privata. Molti studiosi moderni sostengono che il luogo era probabilmente l'Orto di Getsemani. Se il Getsemani era proprietà di uno dei discepoli segreti di Gesù, questo spiegherebbe perché, prima della Crocifissione, potesse servirsene liberamente. È superfluo aggiungere che una crocifissione privata in una proprietà privata lascia considerevole spazio a un eventuale dubbio. Per il popolo, il dramma, come confermano i Vangeli Sinottici, sarebbe stato visibile solo da una certa distanza e quindi non sarebbe stato possibile accertarne la morte.
Una cosa del genere, ovviamente, avrebbe richiesto la connivenza di Ponzio Pilato o di un personaggio importante dell'amministrazione romana. In effetti, Pilato era un individuo crudele e tirannico, ma era anche corrotto e corruttibile. Il Pilato storico, ben diverso da come lo presentano i Vangeli, non avrebbe rifiutato di risparmiare la vita di Gesù, in cambio di una lauta somma e magari della garanzia che non vi sarebbero state altre agitazioni politiche. Quale che fosse il suo movente, non c'è dubbio che Pilato fosse già coinvolto nella faccenda: riconosce la pretesa di Gesù al titolo di Re dei Giudei. Esprime stupore (vero o finto) perché Gesù muore tanto presto. E c'è un fattore che forse è il più importante di tutti: permette a Giuseppe d'Arimatea di portar via il corpo di Gesù. Secondo la legge romana, a un uomo crocifisso veniva negata la sepoltura. Anzi, di solito venivano messi uomini di guardia per impedire che parenti o amici portassero via i cadaveri. La vittima era lasciata sulla croce, abbandonata agli elementi, ai corvi e agli avvoltoi. Eppure Pilato, violando clamorosamente la procedura, concede subito a Giuseppe d'Arimatea di portar via il corpo di Gesù. Questo attesta un'evidente complicità da parte di Pilato. E potrebbe attestare anche altre cose.






Poiché era vietato seppellire i crocifissi, è egualmente straordinario che Giuseppe ottenga ciò che ha chiesto.
Per quale ragione l'ottiene?
Che diritto aveva di richiedere il corpo di Gesù?
Se era un discepolo segreto, non poteva avanzare la richiesta senza rivelarsi. A meno che, Pilato sapesse già tutto o a meno che vi fosse un altro fattore favorevole a Giuseppe.
Vi sono ben poche notizie su Giuseppe d'Arimatea. I Vangeli riferiscono soltanto che era segretamente discepolo di Gesù, aveva grandi ricchezze e faceva parte del Sinedrio, il consiglio degli anziani che governava la comunità di Gerusalemme sotto gli auspici dei Romani. Sembrerebbe quindi evidente che Giuseppe avesse una notevole influenza e questa conclusione riceve conferma dalle sue trattative con Pilato e dal fatto che fosse proprietario di un appezzamento di terreno con una tomba privata.
Secondo altre tradizioni più tarde, Giuseppe è in qualche modo collegato alla famiglia di Gesù. Se era davvero così, questo gli avrebbe almeno dato una ragione plausibile per richiedere il corpo di Gesù: ben difficilmente Pilato avrebbe concesso a uno sconosciuto di portar via il cadavere di un uomo giustiziato, avrebbe potuto invece, in cambio di una somma cospicua, concederlo a un parente del morto. 

1 commento:

  1. Pilato, violando clamorosamente la procedura, concesse subito a Giuseppe d'Arimatea di portar via il corpo di Gesù. Questo attesta un'evidente complicità da parte di Pilato. E potrebbe attestare anche altre cose.
    Poiché era vietato seppellire i crocifissi, è egualmente straordinario che Giuseppe ottenga ciò che ha chiesto.
    Per quale ragione l'ottiene?
    Che diritto aveva di richiedere il corpo di Gesù?
    Se era un discepolo segreto, non poteva avanzare la richiesta senza rivelarsi.

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