Antonio La Rubia all'epoca risiedeva a Paciencia,
un borgo a 45 Km da Rio De Janeiro e per via del suo turno di servizio, era
solito alzarsi alle primissime ore del mattino, per incamminarsi alla volta del
deposito delle Linee Orientali.
Quella mattina del 29 settembre 1977, come
consuetudine, era uscito di casa verso le 2:15. Il suo stato d'animo era
relativamente disteso, non fosse che per la paura di subire un'aggressione o
una rapina, essendo le strade del paese completamente deserte a quell'ora.
Poco prima di arrivare alla fermata presso la
quale, di norma, l'attendeva il pulmino che l'avrebbe portato in ditta, mentre
stava transitando in prossimità della piccola piazza del paese, notò che il proprio
orologio si era fermato. Voltando lo sguardo in direzione di un campo
limitrofo, in buona parte immerso nell'oscurità, scorse improvvisamente la
sagoma di un grande oggetto di colore grigio scuro, simile ad un enorme
cappello.
Avvicinatosi per verificare di cosa si trattasse,
realizzò che quel presunto "veicolo" era troppo strano per poter
anche solo vagamente somigliare all'autobus della Compagnia. Preda di un
incontrollabile sconcerto, che rapidamente si stava trasformando in paura,
Antonio cercò di allontanarsi dalla zona. Non aveva mosso che due passi quando
una vivissima ed intensa luce blu illuminò a giorno i paraggi e il suo corpo si
bloccò, alla stessa stregua di quanto era capitato al suo orologio,
congelandone la fuga.
Accanto ad un palo elettrico, Antonio scorse a
pochi metri da lui tre piccole strane figure: erano alte circa un metro e
mezzo. La loro testa ricordava un pallone da rugby ed era attraversata
longitudinalmente da una fila di "specchietti". I corpi, tarchiati,
presentavano un ampio "torace", dal quale si dipartivano due arti
simili a proboscidi che si assottigliavano progressivamente in una specie di
punta terminale. Il tronco era coperto da scaglie ruvide e si arrotondava verso
il basso in un'unica gamba, a sua volta terminante in una specie di piattaforma
che ricordava certi sgabelli.
In una successiva intervista, Antonio riferirà: "mi sentivo come inchiodato al suolo e
vidi quei due esseri afferrarmi... Intorno regnava il più totale silenzio. Non
ricordo come entrai nel disco: mi ci trovai improvvisamente, fluttuante tra due
file di una dozzina di quegli esseri, su ogni lato."
Si trovava in una specie di corridoio,
apparentemente fatto di alluminio. Era percorso da un brivido. Rivolto lo
sguardo dietro di sé vide, dall'alto, allontanarsi il campo che aveva appena
lasciato ed ebbe l'impressione che il disco fosse trasparente. D'improvviso si
riaccese la luce blu e si ritrovò in una grande stanza circolare.
"Vidi
allora una cinquantina di quegli esseri. Era come se mi sentissi chiuso in una
campana di vetro e avevo l'impressione che essi stessero comunicando tra loro,
dato che volgevano l'un l'altro le teste, come per dirsi qualcosa."
Antonio, che si era invano dibattuto sino a quel
momento incapace di emettere alcun suono, riuscì improvvisamente a urlare
all'indirizzo di quegli esseri: "Chi
siete? Cosa volete?"
Con sua grande sorpresa le creature caddero tutte
al suolo come birilli. La luce blu si riaccese, fortissima, accecandolo. Lui
continuò affannosamente a dibattersi, sia per la paura, sia perché da quando
era entrato nel disco aveva preso ad avvertire difficoltà respiratorie.
Ora non sentiva più il proprio respiro, ma recepiva
paradossalmente quello delle entità, cosa che lo stupì, in quanto credeva
fossero dei robot.
Nella grande sala disadorna, c’era unicamente un
grande schermo e una specie di scatola, di circa 15 centimetri di larghezza,
posta davanti a lui, il cui aspetto era vagamente simile a un pianoforte in
miniatura per la presenza di alcuni tasti. Lo strano congegno poggiava su due
lunghi sostegni e sulla sommità c’era una specie di lattina nella quale gli
esseri inserivano degli oggetti simili a siringhe che essi portavano lungo i
fianchi. Ogni volta che compivano tale operazione, compariva un'immagine a
colori sullo schermo.
Ad Antonio vennero mostrate diverse scene che egli
così descriverà in seguito:
Lui stesso nudo, sdraiato su un tavolo invisibile, le braccia a penzoloni, mentre due esseri lo stanno esaminando, tenendo due lampade blu puntate sul petto. Contemporaneamente un terzo essere gli esamina la nuca a mezzo di una lampada che stranamente non emette luce, ma rende completamente blu la parte superiore del suo corpo.
Questa scena scomparve non appena una delle entità,
avvicinatasi alla scatola, vi introdusse un'altra siringa.
Ancora lui, nudo, in piedi.
Lui, vestito, con la valigetta in mano e l'aspetto nervoso, mentre batte i denti.
Un cavallo e un carro lungo una strada polverosa. Si tratta di un luogo a lui sconosciuto, ma riesce a vedere il carrettiere: indossa un cappello di paglia, ha i piedi nudi e la camicia strappata.
Una sfera arancione luminosa e lui accanto, in piedi.
Ancora la sfera, stavolta bluastra e con accanto uno degli esseri.
Un cane che tenta disperatamente di afferrare uno degli esseri, che sta davanti a lui, senza che riesca a raggiungerlo. Quando però abbaia, l'essere si "scioglie" dalla testa ai piedi come un budino. La scena prosegue: uno degli esseri si stacca dalla fila procedendo verso di lui, punta la siringa verso il cane, che improvvisamente assume una colorazione blu, per iniziare gradualmente a sciogliersi trasformandosi anch'esso in un informe ammasso gelatinoso.
Uno stabilimento in cui, su tre linee di assemblaggio, vengono costruiti gli UFO, con milioni di analoghe entità addette ai lavori, tuttavia sprovviste di utensili.
Un treno di vecchio tipo, malridotto e sprovvisto di finestrini, mentre imbocca una galleria, scomparendo alla sua vista.
Una grande strada affollata di turisti, che gli ricorda la Avenida Presidente Vargas (una delle principali arterie di Rio) intasata dal traffico, al punto tale che tutte le auto sono ferme.
Successivamente nel suo resoconto Antonio tornerà
su questa sequenza di immagini, rammentandone una scena riguardante se stesso,
con del fumo proveniente dalla sua schiena, e un'altra, vestito che vomita e
non riesce a trattenere le feci.
A un certo punto uno degli esseri gli si avvicina e
puntatogli la siringa sulla punta del dito medio della mano destra, gli estrae
del sangue, riempendola sino a farla traboccare: fu questo l’unico momento in
cui scorse un colore diverso dal blu o dal bianco. L'essere quindi puntò la
siringa verso un riquadro della parete, tracciando (presumibilmente col sangue)
l'enigmatico disegno di tre cerchi tagliati da una "L".
Antonio ricorda che il proprio sequestro è
terminato dopo la scena della grande strada affollata: proiettato all'esterno
del grande oggetto, fu depositato in una strada posta quasi di fronte alla
stazione di Paciencia.
È probabile che, in realtà, venne teletrasportato
dove l’avevano prelevato da tre o
quattro chilometri di distanza. Non riuscirà ovviamente di ricostruire come
fosse ritornato lì: l'unica cosa certa fu che si ritrovò in una strada
adiacente alla ferrovia e guardando verso il basso, realizzò che una di quelle
creature era con lui. Rivolto lo sguardo al cielo, vide un "grande pallone
scuro" allontanarsi e al tempo stesso si rese conto che l'essere, che
prima gli stava accanto, ora era scomparso. Ritrovò la sua valigetta ed era
vestito allo stesso modo nel quale era uscito di casa. Batteva i denti per un
forte senso di brivido: esattamente come aveva illustrato la seconda immagine
proiettata sullo schermo a bordo del disco.
Il suo orologio segnava ancora le 2:20, bloccato
nel momento in cui era iniziato il suo allucinante viaggio.
Arrivato alla stazione di Paciencia, Antonio chiese
l'ora: erano le 2:50. Alle 3:10 arrivò l'autobus: lo prese, arrivando al lavoro
in orario.
Si sentiva male, nervoso e dolorante, ciò
nonostante volle a tutti i costi sobbarcarsi l'intero turno, forse
nell'illusione di rimuovere il ricordo della tremenda esperienza. A casa, non volle
dire nulla alla moglie e la notte di venerdì fu un vero inferno: la temperatura
corporea era sempre più alta, violenti e ripetuti conati di vomito lo colpivano
e l'intestino era afflitto da continui problemi d'incontinenza. Un fortissimo
mal di testa prese a tormentarlo per giorni.
Gli tornarono alla mente le immagini che aveva
visto a bordo dell'UFO, particolarmente quella col fumo che fuoriusciva dalla
sua schiena, legata al forte calore che ora lo pervadeva e nella quale erano
stati anticipati i suoi pesanti problemi gastrointestinali contingenti.
Il sabato e la domenica questi sintomi si acuirono
al punto da costringerlo a casa, con la febbre alta: il proprio corpo,
letteralmente, scottava. Invano la moglie cercò di alleviarne le sofferenze
strofinandolo con un po' di alcool. Il bruciore era particolarmente intenso
proprio laddove, durante il sequestro, era stata applicata la luce blu.
Il lunedì si presentò alla Compagnia, con l’intento
di licenziarsi per via del suo tormentato stato di salute. I colleghi rimasero sconcertati
dal suo aspetto, nel quale non riconoscevano più il giovane di sana e robusta
costituzione che ora appariva, come riferirono, "verde in volto ". Ad
essi Antonio chiese di essere "innaffiato” perché si sentiva bruciare.
Il suo malessere era talmente palese agli occhi del
personale medico, da indurre un'infermiera a proporgli la somministrazione di
un sedativo, che egli nervosamente rifiutò, lasciando allibiti i presenti: si
trattava infatti di un'iniezione!
A questo punto cominciava a farsi strada l'idea che
fosse impazzito e se ne decise il ricovero coatto. Tuttavia, prima che fosse portato in ospedale, lo
psicologo della compagnia, il Dr. Neli Carbonell David, volle esaminarlo,
convincendosi del fatto che il giovane era afflitto solo da inaudite sofferenze
fisiche, incomprensibilmente insorte.
In ospedale, Antonio cominciò a parlare
confusamente di UFO. Ciononostante i medici che sulle prime l'avevano creduto
folle, convennero poi alle conclusioni raggiunte dal Dr. Neli. Soprattutto
quando riscontrarono che la sua temperatura corporea segnava l'incomprensibile
ed altissimo valore di 42° centigradi!
Psicologicamente il suo stato era catastrofico. Fu
tenuto sotto osservazione da un team di medici, in quanto presentava un quadro
clinico assolutamente fuori dell'ordinario.
Il Dr. Neli riferì, inoltre, che quando quel lunedì
mattina lo aveva visitato per la prima volta, Antonio piangeva come un bambino.
Gli chiese di togliersi i vestiti e riscontrò che il suo corpo era completamente
coperto da eruzioni cutanee. Il giovane aveva un'incredibile sete, in quanto
sentiva la gola letteralmente ardergli. Inoltre, il medico confermò che aveva
effettivamente vomitato per l'intera notte.
Antonio presentava la classica sindrome da abduction,
sintetizzata nel mutamento radicale della persona, nello stato confusionale,
nella soverchiante paura, nella paresi corporea e nella sensazione di
"camminare nel vuoto", che si
riscontra in una vastissima casistica internazionale, più o meno nota e da una
letteratura specialistica i cui contributi vanno da John Mack a David Jacobs e
da Karla Tumer a Whitley Strieber.
Il caso La Rubia venne indagato da una figura
storica dell'ufologia brasiliana, Irene Granchi, che in una intervista
concessale dal giovane, poche settimane dopo il rapimento, raccolse tutti i
particolari di quella che è da considerarsi una sconcertante vicenda, ma che
non è affatto unica, in quanto presenta incredibili analogie con altri episodi
registrati su scala mondiale che pongono un inquietante interrogativo sulle
finalità perseguite dalle entità che si celano dietro la fenomenologia delle
abductions.