I Nativi americani tramandano per via
orale racconti di grandi creature bipedi che vivono nei boschi. Il termine
Sasquatch che, specialmente in Canada, è sinonimo di Bigfoot è stato introdotto
dall’insegnante americano John W. Burns intorno al 1920. Burns era anche un
agente indiano e lavorata nella la riserva dei Chehalis a Harrison Hot Springs,
nella Columbia Britannica. Furono questi nativi a raccontargli fantastiche
storie di giganti che abitavano la foresta. Il punto è che queste creature non
erano affatto simili al bigfoot a cui oggi siamo abituati: i Sasquatch erano
alti, ma erano uomini a tutti gli effetti. Parlavano, si vestivano, usavano
strumenti e sebbene venissero descritti come hairy giants, questo si riferiva
al fatto che sia gli uomini, sia le donne avevano capelli lunghi fino alla
vita; non che fossero ricoperti di pelo.
La mutazione in chiave scimmiesca del
Sasquatch avvenne solo nel 1957. In occasione del centenario della Columbia
Britannica, Harrison Hot Springs decise di rilanciare la leggenda locale e
propose al comitato per le celebrazioni, di organizzare una caccia allo
Sasquatch. La proposta, grazie alla stampa, generò così tanta pubblicità che
alla fine il comitato promise cinquemila dollari a chiunque fosse stato in
grado di catturare uno Sasquatch vivo. Si fece avanti un tale William Roe, che
fece una dichiarazione giurata alla stampa su uno strano incontro avvenuto due
anni prima. L’uomo spiegò dettagliatamente la creatura: un grande primate di
sesso femminile con le braccia lunghe quasi fino alle ginocchia, completamente
ricoperto di peli scuri con la punta argentata, eccetto le piante dei piedi che
rivelavano una pelle grigio-marrone.
Sebbene questo Sasquatch non
assomigliasse affatto agli indiani giganti, descritti negli anni ’20, fu questa
testimonianza a fissare per sempre la fisionomia del Bigfoot.
Nel 1958 cominciarono a diffondersi
in California le prime orme e la creatura, ormai ribattezzata Bigfoot. Il
criptide cominciava a manifestare la sua presenza anche negli States. Le orme comparvero
nella regione del Bluff Creek e molti le considerano le migliori prove della
sua esistenza. A taluni questo potrebbe sembrare un po’ poco, ma dobbiamo
considerare che, in America, il Bigfoot è molto di più di una semplice
leggenda: è un importante pezzo di cultura popolare. Un recente sondaggio dimostra
che oltre il 20% dei cittadini crede nell’esistenza del criptide.
Il mito ha continuato a crescere, avvistamento
dopo avvistamento si arriva al 1967 e il Bigfoot viene immortalato su
pellicola. Nel celebre spezzone girato lungo il Bluff Creek da Roger Patterson e
Bob Gimlin, vediamo un grande primate che attraversa una radura e per un
attimo, si volta in direzione dell’operatore. Scettici e credenti litigano su
queste immagini da decenni, ma sulla loro autenticità non esistono prove
conclusive, né in un senso né nell’altro. Esistono molti indizi circostanziali
che si tratti di un falso: Patterson e Gimlin avevano detto a tutti che
andavano in spedizione per filmare il Bigfoot ed è un po’ sospetto che ci siano
subito riusciti. Inoltre, Patterson era un avventuriero sempre alla ricerca di
nuovi modi per sfondare e grazie al film guadagnò molti soldi. D’altra parte,
chi crede che il filmato sia autentico, anche se gode di una reputazione di accademico,
ha ancora meno prove a supporto: le sue argomentazioni vertono su movimenti,
dimensioni e baricentro dell’animale ripreso in video.
Ma, si potrebbe dire: “dove c’è fumo,
deve esserci fuoco”. Con migliaia di impronte e avvistamenti deve esserci
qualcosa nei boschi del Nord America, difficile credere che si tratti solo
folklore. Eppure dopo oltre cinquant’anni dal suo primo avvistamento,
l’esistenza del criptide rimane ancora un mistero irrisolto.
Negli ultimi anni si è parlato ripetutamente di prove
genetiche dell’esistenza del Bigfoot. Il problema è che agli studi che
dimostrerebbero l’esistenza di questo primate non è mai seguita una rigorosa
pubblicazione scientifica: la veterinaria Melba Ketchum, che a stabilito
addirittura il nome scientifico dell’ominide in Homo sapiens cognatus, ha
pubblicato il suo “genoma di Bigfoot” solamente su un sito internet il “DeNovo
Journal”.
I nativi raccontano storie di giganti che abitano la foresta. Il punto è che queste creature non sono affatto simili al bigfoot a cui oggi siamo abituati: i Sasquatch erano alti, ma erano uomini a tutti gli effetti. Parlavano, si vestivano, usavano strumenti e sebbene venissero descritti come hairy giants, questo si riferiva al fatto che sia gli uomini, sia le donne avevano capelli lunghi fino alla vita; non che fossero ricoperti di pelo.
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