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sabato 13 luglio 2019

BIGLINO


L’intervista esclusiva a Mauro Biglino, traduttore di antichi testi ebraici. Ne riporto solo alcuni stralci, quelli che, a mio giudizio, appaiono più significativi.
 
Chi approfondisce la storia riguardante le civiltà antiche non può non notare che i nostri antenati non erano assolutamente primitivi come noi ce li immaginiamo. Ma, anzi, per certi versi si potrebbero considerare più evoluti di noi, ai giorni nostri. Non parliamo di situazioni occulte, ma di fatti che sono sempre stati davanti agli occhi di tutti come, per esempio, della conoscenza medica avanzatissima presente sia in India che presso i Maya, dove si utilizzavano succhi di radici per curare fratture. O ancora di uno dei testi più famosi al mondo, del quale nessuno parla: il Vaimānika Śāstra. Termine che potremmo tradurre come la scienza dell’aeronautica. Testo in cui osservando degli accuratissimi schemi, al pari dei nostri manuali tecnici. C’è da chiedersi come fosse possibile che avessero una simile conoscenza.
Che dire, invece, delle discipline orientali come l’agopuntura, con la quale si facevano anestesie con il solo utilizzo degli aghi? Come mai queste tecniche solo oggi cominciano a essere, a stento, validate e riconosciute?
Come è possibile, c’è da chiedersi, che solo pochi secoli fa moltissima gente sia morta di pellagra cibandosi quasi in maniera esclusiva di farina di mais, quando i Maya e gli Incas da migliaia di anni ovviavano al problema cuocendo il mais in ambiente fortemente basico per rendere disponibile la vitamina PP presente nel cereale?
Come mai noi uomini moderni civilizzati questo non lo sapevamo?
Antico non significa affatto “primitivo”, ancor meno quando si parla dell’essere umano.
C’è un filo comune, in ogni caso, che potrebbe condurci a queste e altre domande a cui la scienza ufficiale non può rispondere. E, come sempre, la risposta è presente nelle fonti antiche. Tutte parlano e descrivono qualcuno che ritengono molto importante e vicino a loro. Li chiamano dèi. Gli dèi dell’India, della Sumeria, della Cina, dei Maya e di tutte le altre civiltà antiche sono praticamente identici. Sono “Venuti dal cielo”, sono “i nostri progenitori”, “sono coloro che ci hanno insegnato la matematica, l’astronomia eccetera”, “gli dèi alti e biondi dagli occhi chiari”. Questi particolari sono comuni a tutti, a tutti gli dèi, di tutte le popolazioni. Chi erano, dunque, questi dèi?
Erano soltanto un’invenzione di tutte le civiltà primitive?
Anche questa risposta si trova in molti reperti antichi, per esempio nelle tavolette Sumere, dove si legge che si tratta di esseri in cerca dell’oro provenienti dalla stella imperitura, ossia da Nibiru, un pianeta che ha un’orbita gigantesca che dura ben 3.600 anni terrestri. Ma la cosa che ci fa sorridere, amaramente, è che tutto questo è stato scritto, da millenni ed è sempre stato a portata di mano, nel libro tra i più sacri al mondo: la Bibbia.
Purtroppo vi sono errori di traduzione (voluti o meno non sta a me dirlo), ma per fortuna, ci sono anche bravissimi ricercatori che hanno ritradotto direttamente da fonti originali per comprendere davvero il significato della Bibbia. Uno di questi è Mauro Biglino che nel suo libro “Il dio alieno della bibbia” (Uno Editori) spiega in modo accuratissimo cosa, secondo lui, è davvero questo antico testo sacro: il racconto reale della più grande missione aliena sulla Terra. Mauro Biglino, quindi, pur percorrendo una strada diversa dalla mia è arrivato ad analoghe conclusioni. In verità, l’ha fatto ottenendo anche un certo successo: mentre io dirigo un blog, lui ha pubblicato dei libri sull’argomento, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive.
Riporto qui di seguito i tratti salienti di una sua intervista: le domande sono visibili in grassetto.
 
I testi ebraici sembrano emulare perfettamente gli antichi scritti Sumeri, eppure le loro datazioni sono estremamente diverse, a quando risalgono esattamente? 
 
Le datazioni dei vari libri anticotestamentari sono diverse e molto controverse; in sintesi possiamo dire che i papiri più antichi risalgono al 150 circa a.C. La maggior parte dell’Antico Testamento risulta comunque composta dopo l’esilio babilonese. Le Bibbie che abbiamo in casa sono redatte sulla base del Codice di Leningrado, il codice universalmente accettato con la divisione in parole e la vocalizzazione fatta dai masoreti tra il VI e il XI secolo d.C. Lo scritto che si possiede risale al 1008: questo testo costituisce il punto di riferimento per le Bibbie ufficiali.
 
Lo Yahwèh biblico, quale dio era, se rapportato ai racconti Sumeri? E il serpente tentatore, invece? Chi sembra essere, a giudicare dai racconti?
 
Non sono in grado di fare parallelismi documentati; ci sono molte ipotesi e le vicende bibliche fanno pensare a un Elohim abbastanza giovane, o quanto meno poco esperto, cui è stato assegnato un territorio di scarsa importanza. Una ipotesi lo identifica con ISHKUR, figlio dell’Anunnaki ENIL. Un’altra lo identifica con Baal ma so bene che sono solo ipotesi appunto.  
Il serpente, che ha la tana sotto terra, indicherebbe simbolicamente gli studi che vanno in profondità e la sua raffigurazione intrecciata riproduce con tutta evidenza la doppia elica del DNA.
Il serpente tentatore richiamerebbe quindi probabilmente i KASHDEIAN, il gruppo di Anunnaki (i corrispondenti sumeri degli Elohìm biblici) che si occupava delle questioni biomediche, secondo gli studi di un sumerologo del Christ College di Cambridge. Viene da pensare che si tratti dello stesso gruppo che ha prodotto gli Adàm (l’uomo) con l’ingegneria genetica e (in un secondo momento) ha reso fertile la coppia dell’Eden: questa sarebbe infatti la probabile realtà del cosiddetto “peccato originale” che è consistito nell’acquisire la capacità di riprodursi autonomamente e contro il parere dei “capi”. In contrasto con il comandante del GAN-EDEN – espressione ebraica che significa giardino recintato e protetto posto in Eden. Il responsabile del gruppo di scienziati avrebbe infatti concesso la fertilità alla coppia attribuendo loro la capacità di riprodursi. Si tratta di un tema molto complesso cui non a caso ho dedicato un capitolo intero nel libro IL DIO ALIENO DELLA BIBBIA.
Per inciso, preciso che l’ebraico GAN corrisponde al sumero accadico KHARSHAG che significa luogo recintato e protetto posto in alto. La lingua iranica ha ripreso il concetto nel termine PAIRIDAEZA, da cui deriva il greco PARADEISOS, cui fa seguito il PARADISUM latino e infine il nostro Paradiso. Come si vede il significato originale rimanda a un concetto completamente diverso da quello che la tradizione dottrinale gli ha assegnato. In quel luogo, che era con ogni probabilità il centro di comando degli Elohim, si è sviluppato quel contrasto trai vari gruppi in cui fa la comparsa il serpente biblico. 
 
 
Quello che nella Bibbia ufficiale viene tradotto come “gloria di Dio”, negli antichi testi ebraici, in realtà, si usa il termine kewod, vuole dirci che significato ha esattamente questa parola? E cosa ha a che fare con la gloria di Dio? 
 
Diciamo subito che la “gloria” (di Dio) è un concetto di non facile comprensione: ha diversi significati collegati l’uno all’altro e interdipendenti. Il termine ebraico si legge alternativamente kevòd/kebòd oppure kavòd/kabòd. Il verbo da cui deriva indica i concetti di: “essere pesante, avere peso, essere onorato, essere duro”. Tutta la descrizione degli eventi a esso legati e le conseguenze che comporta la sua vicinanza fanno pensare a una macchina volante: si muove producendo rumore e vento di tempesta. Produce fumo e fiamme visibili a distanza. Se passa vicino a una persona la uccide e Dio non può prevenire né mitigare questa azione. Quando passa può essere vista solo dal retro e non di fronte, salvo subire conseguenze irreparabili, ma se ci si protegge dietro rocce ci si salva. Queste descrizioni sono troppo precise per essere interpretate come “visioni” o come il ricordo di fenomeni atmosferici naturali (ai quali i nomadi erano sicuramente abituati), tanto meno possono essere ricondotte a una ingenua volontà di inventare una qualche forma di apparizione in grado di stupire il lettore.
Qui siamo di fronte alla presentazione di eventi straordinari cui assisteva l’intero popolo, fenomeni precisi, assolutamente nuovi per l’ordinaria esperienza di quella gente, costituiti da immagini, situazioni e suoni che, se per un attimo ci liberiamo dai pregiudizi e seguiamo liberamente il pensiero e le attuali conoscenze, sono molto facilmente riconducibili alla presenza di un “qualcosa” che si manifestava con grande potenza. Il termine kevòd in effetti identifica proprio questo: ciò che è pesante e forte.
Insomma, il concetto di gloria intesa come caratteristica spirituale e trascendente di Dio rappresentata dalla teologia, risulta decisamente poco compatibile con tutto ciò che la Bibbia racconta in modo molto concreto di questo kevòd.
 
Quelli che la bibbia ufficiale ha tradotto come “Angeli”, nei testi originali si chiamano Malachìm. Chi sono in realtà? 
 
Il termine significa “messaggeri”: le descrizioni anticotestamentarie li presentano come dei portaordini, vigilanti, controllori, esecutori, intermediari tra gli Elohim e l’uomo. La tradizione teologica li ha trasformati in creature angeliche ma non vi è alcun dubbio che nella Bibbia sono individui in carne e ossa che mangiano, bevono, dormono, camminano. Si sporcano e si devono lavare. Possono essere aggrediti e si devono difendere. Vivono in accampamenti. Il vocabolo è chiaramente un termine funzionale per cui non so dire con esattezza se appartenessero a una tipologia diversa rispetto agli Elohìm o se costituissero un semplicemente particolare grado all’interno della gerarchia militare di quella razza. Certo è che non erano assolutamente creature spirituali. Va anche detto che incontrarli non era considerato un piacere ma, al contrario, poteva costituire un rischio, compreso anche quello di morire.
 
 
I Cherubini (kerubim), invece, sono sempre “angeli” o sono tutta un’altra cosa?
 
Due sono i capitoli che ho dedicato alla questione sensibilissima dei cherubini: posso dire che mentre i malakìm erano degli individui, tutti i passi biblici ci presentano i cherubini come oggetti meccanici. In sintesi ecco le caratteristiche che emergono dall’Antico Testamento: intanto diciamo subito che a loro non ci si rivolge, non prendono decisioni autonome, non hanno alcun rapporto con gli uomini, non parlano. Non hanno quindi nessuna delle caratteristiche tipiche degli individui dotati di una personalità propria.
Al contrario, sono oggetto di descrizioni che ne rivelano la meccanicità: sono dotati di lame/cerchi fiammeggianti che ruotano rapidamente. Sono rappresentati come aventi dimensioni notevoli. Quando non si muovono autonomamente possono (devono?) essere trasportati con un carro realizzato appositamente. Hanno ruote che possono procedere in tutte le direzioni senza girarsi, rimanendo sempre strutturalmente unite all’insieme dell’oggetto volante (kevòd) e hanno una parte centrale circolare che ruota/turbina rapidamente. Quando sono collegati al carro di Yahwèh hanno sotto di loro uno spazio nel quale può passare almeno una persona. Sono dotati di strutture che coprono e proteggono quando sono chiuse, mentre quando sono aperte servono per il volo. Nel muoversi producono un rumore udibile a distanza. Sono un “qualcosa” su cui l’Elohìm si posa, siede, staziona, si pone a cavalcioni e vola. Si muovono uniti al [kevòd, ruàch] dell’Elohìm ma anche in modo indipendente. Insomma, pare proprio che non avessero nulla a che vedere con le eteree figure angeliche della tradizione dottrinale.
 
 
La Bibbia ci dice che Dio (Elhoìm) muore come tutti gli altri uomini, nonostante abbia una vita molto più lunga della nostra. C’è qualcosa di sbagliato oppure l’Elhoìm non è il Dio spirituale che intendiamo noi? 
 
Il Salmo 82 è chiaro in questo senso: gli Elohìm muoiono come tutti gli Adam, cioè come ognuno di noi. La dottrina tradizionale non può ovviamente accettare questa affermazione per cui sostiene che nel Salmo 82 il termine Elohìm stranamente non significa più Dio ma ”giudici”. Per quanto concerne la seconda parte della domanda direi che tutto l’Antico Testamento lo è: Dio non è presente in quel libro. E per giungere a questa conclusione non è necessario accedere a traduzioni particolari: è sufficiente leggere molto attentamente la Bibbia che abbiamo in casa. La studiosa ebrea Lia bat Adam scrive chiaramente che la Bibbia non è un libro che si occupa di religione ma un testo di storia che riporta “solo fatti umani” e che Yahwèh non si presenta come il creatore dell’universo ma unicamente come “liberatore, giudice, condottiero e sponsor” di un popolo. Nei codici biblici ci possono essere differenze interpretative dovute alle difficoltà insiste nelle lingue antiche ma il concetto di fondo è, a mio parere indubitabile, che l’Antico Testamento non parla di Dio e non voleva neppure farlo. Per questo la Bibbia non si fa scrupolo di affermare che gli Elohìm muoiono.
 
 
 
Nel libro di Neil Freer, “The god games” si legge: “I re erano improvvisamente descritti nelle sculture in piedi come nel passato davanti a una sedia vuota dove usualmente sedeva il maestro-dio. I loro lamenti erano scritti sulle tavolette - Cosa farò adesso che il mio maestro-dio non è più qua ad istruirmi…cosa dirò al popolo ? - osservando il cielo in attesa di un ritorno, il servizio di ristorazione alla tavola del Maestro/dio si tramutò in vuoto rituale di offerta di cibo, gradatamente i vari servizi di routine divennero rituali tipo la cosiddetta cargo-cultura, mentre i loro palazzi si tramutarono in vuoti templi, mentre coloro i quali erano stati istruiti dai vari maestri/dèi, vedendo che le conoscenze di tecnologia, scrittura, scienza, astronomia, metallurgia venivano dimenticate, decisero di preservarle in gruppi ristretti ”.
Perché, secondo lei, improvvisamente, gli dèi ci lasciarono? Ci sono racconti dove viene spiegato il motivo di questa loro “fuga improvvisa”?
 
Nella Bibbia non ci sono indicazioni che consentano di formulare ipotesi dotate di un minimo di fondamento. Prendo allora una indicazione dallo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio che nel suo libro Guerra Giudaica scrive così:
 
  • Libro VI:296 - Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a credere;
  • Libro VI:297 - E in realtà, io credo che quanto sto per raccontare potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, dall’altra la conferma delle sventure che seguirono;
  • Libro VI:298 - Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste;
  • Libro VI:299 - I sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: “Da questo luogo noi ce ne andiamo”.
 
Chissà. Forse se ne sono andati nel 68 d.C.
Trattandosi di colonizzatori hanno mantenuto il comportamento che ci si attenderebbe: venuto meno il motivo per il quale erano qui, cessato l’interesse o terminate le operazioni programmate, hanno lasciato il campo.
Nell’Antico Testamento non ci sono neppure indicazioni su possibili ritorni.

1 commento:

  1. Molte ipotesi e vicende bibliche fanno pensare che Yahwèh fosse un Elohim abbastanza giovane, o quanto meno inesperto, cui è stato assegnato un territorio di scarsa importanza.

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