L’intervista esclusiva a Mauro Biglino, traduttore
di antichi testi ebraici. Ne riporto solo alcuni stralci, quelli che, a mio
giudizio, appaiono più significativi.
Chi approfondisce la storia riguardante le civiltà
antiche non può non notare che i nostri antenati non erano assolutamente
primitivi come noi ce li immaginiamo. Ma, anzi, per certi versi si potrebbero
considerare più evoluti di noi, ai giorni nostri. Non parliamo di situazioni
occulte, ma di fatti che sono sempre stati davanti agli occhi di tutti come,
per esempio, della conoscenza medica avanzatissima presente sia in India che
presso i Maya, dove si utilizzavano succhi di radici per curare fratture. O ancora
di uno dei testi più famosi al mondo, del quale nessuno parla: il Vaimānika
Śāstra. Termine che potremmo tradurre come la scienza dell’aeronautica. Testo
in cui osservando degli accuratissimi schemi, al pari dei nostri manuali
tecnici. C’è da chiedersi come fosse possibile che avessero una simile
conoscenza.
Che dire, invece, delle discipline orientali come
l’agopuntura, con la quale si facevano anestesie con il solo utilizzo degli
aghi? Come mai queste tecniche solo oggi cominciano a essere, a stento, validate
e riconosciute?
Come è possibile, c’è da chiedersi, che solo pochi
secoli fa moltissima gente sia morta di pellagra cibandosi quasi in maniera
esclusiva di farina di mais, quando i Maya e gli Incas da migliaia di anni
ovviavano al problema cuocendo il mais in ambiente fortemente basico per
rendere disponibile la vitamina PP presente nel cereale?
Come mai noi uomini moderni civilizzati questo non
lo sapevamo?
Antico non significa affatto “primitivo”, ancor
meno quando si parla dell’essere umano.
C’è un filo comune, in ogni caso, che potrebbe condurci
a queste e altre domande a cui la scienza ufficiale non può rispondere. E, come
sempre, la risposta è presente nelle fonti antiche. Tutte parlano e descrivono
qualcuno che ritengono molto importante e vicino a loro. Li chiamano dèi. Gli
dèi dell’India, della Sumeria, della Cina, dei Maya e di tutte le altre civiltà
antiche sono praticamente identici. Sono “Venuti dal cielo”, sono “i nostri
progenitori”, “sono coloro che ci hanno insegnato la matematica, l’astronomia
eccetera”, “gli dèi alti e biondi dagli occhi chiari”. Questi particolari sono
comuni a tutti, a tutti gli dèi, di tutte le popolazioni. Chi erano, dunque,
questi dèi?
Erano soltanto un’invenzione di tutte le civiltà
primitive?
Anche questa risposta si trova in molti reperti
antichi, per esempio nelle tavolette Sumere, dove si legge che si tratta di
esseri in cerca dell’oro provenienti dalla stella imperitura, ossia da Nibiru,
un pianeta che ha un’orbita gigantesca che dura ben 3.600 anni terrestri. Ma la
cosa che ci fa sorridere, amaramente, è che tutto questo è stato scritto, da
millenni ed è sempre stato a portata di mano, nel libro tra i più sacri al
mondo: la Bibbia.
Purtroppo vi sono errori di traduzione (voluti o
meno non sta a me dirlo), ma per fortuna, ci sono anche bravissimi ricercatori
che hanno ritradotto direttamente da fonti originali per comprendere davvero il
significato della Bibbia. Uno di questi è Mauro Biglino che nel suo libro “Il
dio alieno della bibbia” (Uno Editori) spiega in modo accuratissimo cosa,
secondo lui, è davvero questo antico testo sacro: il racconto reale della più
grande missione aliena sulla Terra. Mauro Biglino, quindi, pur percorrendo una
strada diversa dalla mia è arrivato ad analoghe conclusioni. In verità, l’ha
fatto ottenendo anche un certo successo: mentre io dirigo un blog, lui ha
pubblicato dei libri sull’argomento, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche
e televisive.
Riporto qui di seguito i tratti salienti di una sua
intervista: le domande sono visibili in grassetto.
I testi
ebraici sembrano emulare perfettamente gli antichi scritti Sumeri, eppure le
loro datazioni sono estremamente diverse, a quando risalgono esattamente?
Le datazioni
dei vari libri anticotestamentari sono diverse e molto controverse; in sintesi
possiamo dire che i papiri più antichi risalgono al 150 circa a.C. La maggior
parte dell’Antico Testamento risulta comunque composta dopo l’esilio
babilonese. Le Bibbie che abbiamo in casa sono redatte sulla base del Codice di
Leningrado, il codice universalmente accettato con la divisione in parole e la
vocalizzazione fatta dai masoreti tra il VI e il XI secolo d.C. Lo scritto che
si possiede risale al 1008: questo testo costituisce il punto di riferimento
per le Bibbie ufficiali.
Lo Yahwèh
biblico, quale dio era, se rapportato ai racconti Sumeri? E il serpente
tentatore, invece? Chi sembra essere, a giudicare dai racconti?
Non sono in
grado di fare parallelismi documentati; ci sono molte ipotesi e le vicende
bibliche fanno pensare a un Elohim abbastanza giovane, o quanto meno poco
esperto, cui è stato assegnato un territorio di scarsa importanza. Una ipotesi
lo identifica con ISHKUR, figlio dell’Anunnaki ENIL. Un’altra lo identifica con
Baal ma so bene che sono solo ipotesi appunto.
Il serpente,
che ha la tana sotto terra, indicherebbe simbolicamente gli studi che vanno in
profondità e la sua raffigurazione intrecciata riproduce con tutta evidenza la
doppia elica del DNA.
Il serpente
tentatore richiamerebbe quindi probabilmente i KASHDEIAN, il gruppo di Anunnaki
(i corrispondenti sumeri degli Elohìm biblici) che si occupava delle questioni
biomediche, secondo gli studi di un sumerologo del Christ College di Cambridge.
Viene da pensare che si tratti dello stesso gruppo che ha prodotto gli Adàm
(l’uomo) con l’ingegneria genetica e (in un secondo momento) ha reso fertile la
coppia dell’Eden: questa sarebbe infatti la probabile realtà del cosiddetto
“peccato originale” che è consistito nell’acquisire la capacità di riprodursi
autonomamente e contro il parere dei “capi”. In contrasto con il comandante del
GAN-EDEN – espressione ebraica che significa giardino recintato e protetto posto
in Eden. Il responsabile del gruppo di scienziati avrebbe infatti concesso la
fertilità alla coppia attribuendo loro la capacità di riprodursi. Si tratta di
un tema molto complesso cui non a caso ho dedicato un capitolo intero nel libro
IL DIO ALIENO DELLA BIBBIA.
Per inciso,
preciso che l’ebraico GAN corrisponde al sumero accadico KHARSHAG che significa
luogo recintato e protetto posto in alto. La lingua iranica ha ripreso il
concetto nel termine PAIRIDAEZA, da cui deriva il greco PARADEISOS, cui fa seguito
il PARADISUM latino e infine il nostro Paradiso. Come si vede il significato
originale rimanda a un concetto completamente diverso da quello che la
tradizione dottrinale gli ha assegnato. In quel luogo, che era con ogni
probabilità il centro di comando degli Elohim, si è sviluppato quel contrasto
trai vari gruppi in cui fa la comparsa il serpente biblico.
Quello che
nella Bibbia ufficiale viene tradotto come “gloria di Dio”, negli antichi testi
ebraici, in realtà, si usa il termine kewod, vuole dirci che significato ha
esattamente questa parola? E cosa ha a che fare con la gloria di Dio?
Diciamo
subito che la “gloria” (di Dio) è un concetto di non facile comprensione: ha
diversi significati collegati l’uno all’altro e interdipendenti. Il termine
ebraico si legge alternativamente kevòd/kebòd oppure kavòd/kabòd. Il verbo da
cui deriva indica i concetti di: “essere pesante, avere peso, essere onorato,
essere duro”. Tutta la descrizione degli eventi a esso legati e le conseguenze
che comporta la sua vicinanza fanno pensare a una macchina volante: si muove
producendo rumore e vento di tempesta. Produce fumo e fiamme visibili a
distanza. Se passa vicino a una persona la uccide e Dio non può prevenire né
mitigare questa azione. Quando passa può essere vista solo dal retro e non di
fronte, salvo subire conseguenze irreparabili, ma se ci si protegge dietro
rocce ci si salva. Queste descrizioni sono troppo precise per essere
interpretate come “visioni” o come il ricordo di fenomeni atmosferici naturali
(ai quali i nomadi erano sicuramente abituati), tanto meno possono essere
ricondotte a una ingenua volontà di inventare una qualche forma di apparizione
in grado di stupire il lettore.
Qui siamo di
fronte alla presentazione di eventi straordinari cui assisteva l’intero popolo,
fenomeni precisi, assolutamente nuovi per l’ordinaria esperienza di quella gente,
costituiti da immagini, situazioni e suoni che, se per un attimo ci liberiamo
dai pregiudizi e seguiamo liberamente il pensiero e le attuali conoscenze, sono
molto facilmente riconducibili alla presenza di un “qualcosa” che si
manifestava con grande potenza. Il termine kevòd in effetti identifica proprio
questo: ciò che è pesante e forte.
Insomma, il
concetto di gloria intesa come caratteristica spirituale e trascendente di Dio
rappresentata dalla teologia, risulta decisamente poco compatibile con tutto
ciò che la Bibbia racconta in modo molto concreto di questo kevòd.
Quelli che
la bibbia ufficiale ha tradotto come “Angeli”, nei testi originali si chiamano
Malachìm. Chi sono in realtà?
Il termine
significa “messaggeri”: le descrizioni anticotestamentarie li presentano come
dei portaordini, vigilanti, controllori, esecutori, intermediari tra gli Elohim
e l’uomo. La tradizione teologica li ha trasformati in creature angeliche ma
non vi è alcun dubbio che nella Bibbia sono individui in carne e ossa che mangiano,
bevono, dormono, camminano. Si sporcano e si devono lavare. Possono essere
aggrediti e si devono difendere. Vivono in accampamenti. Il vocabolo è chiaramente
un termine funzionale per cui non so dire con esattezza se appartenessero a una
tipologia diversa rispetto agli Elohìm o se costituissero un semplicemente
particolare grado all’interno della gerarchia militare di quella razza. Certo è
che non erano assolutamente creature spirituali. Va anche detto che incontrarli
non era considerato un piacere ma, al contrario, poteva costituire un rischio,
compreso anche quello di morire.
I Cherubini
(kerubim), invece, sono sempre “angeli” o sono tutta un’altra cosa?
Due sono i
capitoli che ho dedicato alla questione sensibilissima dei cherubini: posso
dire che mentre i malakìm erano degli individui, tutti i passi biblici ci
presentano i cherubini come oggetti meccanici. In sintesi ecco le
caratteristiche che emergono dall’Antico Testamento: intanto diciamo subito che
a loro non ci si rivolge, non prendono decisioni autonome, non hanno alcun
rapporto con gli uomini, non parlano. Non hanno quindi nessuna delle
caratteristiche tipiche degli individui dotati di una personalità propria.
Al contrario,
sono oggetto di descrizioni che ne rivelano la meccanicità: sono dotati di
lame/cerchi fiammeggianti che ruotano rapidamente. Sono rappresentati come
aventi dimensioni notevoli. Quando non si muovono autonomamente possono
(devono?) essere trasportati con un carro realizzato appositamente. Hanno ruote
che possono procedere in tutte le direzioni senza girarsi, rimanendo sempre
strutturalmente unite all’insieme dell’oggetto volante (kevòd) e hanno una
parte centrale circolare che ruota/turbina rapidamente. Quando sono collegati
al carro di Yahwèh hanno sotto di loro uno spazio nel quale può passare almeno
una persona. Sono dotati di strutture che coprono e proteggono quando sono
chiuse, mentre quando sono aperte servono per il volo. Nel muoversi producono
un rumore udibile a distanza. Sono un “qualcosa” su cui l’Elohìm si posa,
siede, staziona, si pone a cavalcioni e vola. Si muovono uniti al [kevòd,
ruàch] dell’Elohìm ma anche in modo indipendente. Insomma, pare proprio che non
avessero nulla a che vedere con le eteree figure angeliche della tradizione
dottrinale.
La Bibbia ci
dice che Dio (Elhoìm) muore come tutti gli altri uomini, nonostante abbia una
vita molto più lunga della nostra. C’è qualcosa di sbagliato oppure l’Elhoìm
non è il Dio spirituale che intendiamo noi?
Il Salmo 82 è
chiaro in questo senso: gli Elohìm muoiono come tutti gli Adam, cioè come
ognuno di noi. La dottrina tradizionale non può ovviamente accettare questa
affermazione per cui sostiene che nel Salmo 82 il termine Elohìm stranamente
non significa più Dio ma ”giudici”. Per quanto concerne la seconda parte della
domanda direi che tutto l’Antico Testamento lo è: Dio non è presente in quel libro.
E per giungere a questa conclusione non è necessario accedere a traduzioni
particolari: è sufficiente leggere molto attentamente la Bibbia che abbiamo in
casa. La studiosa ebrea Lia bat Adam scrive chiaramente che la Bibbia non è un
libro che si occupa di religione ma un testo di storia che riporta “solo fatti
umani” e che Yahwèh non si presenta come il creatore dell’universo ma
unicamente come “liberatore, giudice, condottiero e sponsor” di un popolo. Nei
codici biblici ci possono essere differenze interpretative dovute alle
difficoltà insiste nelle lingue antiche ma il concetto di fondo è, a mio parere
indubitabile, che l’Antico Testamento non parla di Dio e non voleva neppure
farlo. Per questo la Bibbia non si fa scrupolo di affermare che gli Elohìm muoiono.
Nel libro di
Neil Freer, “The god games” si legge: “I re erano improvvisamente descritti
nelle sculture in piedi come nel passato davanti a una sedia vuota dove
usualmente sedeva il maestro-dio. I loro lamenti erano scritti sulle tavolette
- Cosa farò adesso che il mio maestro-dio non è più qua ad istruirmi…cosa dirò
al popolo ? - osservando il cielo in attesa di un ritorno, il servizio di
ristorazione alla tavola del Maestro/dio si tramutò in vuoto rituale di offerta
di cibo, gradatamente i vari servizi di routine divennero rituali tipo la
cosiddetta cargo-cultura, mentre i loro palazzi si tramutarono in vuoti templi,
mentre coloro i quali erano stati istruiti dai vari maestri/dèi, vedendo che le
conoscenze di tecnologia, scrittura, scienza, astronomia, metallurgia venivano
dimenticate, decisero di preservarle in gruppi ristretti ”.
Perché,
secondo lei, improvvisamente, gli dèi ci lasciarono? Ci sono racconti dove
viene spiegato il motivo di questa loro “fuga improvvisa”?
Nella Bibbia
non ci sono indicazioni che consentano di formulare ipotesi dotate di un minimo
di fondamento. Prendo allora una indicazione dallo storico giudeo-romano
Giuseppe Flavio che nel suo libro Guerra Giudaica scrive così:
Libro VI:296 - Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a credere; Libro VI:297 - E in realtà, io credo che quanto sto per raccontare potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, dall’altra la conferma delle sventure che seguirono; Libro VI:298 - Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste; Libro VI:299 - I sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: “Da questo luogo noi ce ne andiamo”.
Chissà. Forse se ne sono andati nel 68 d.C.
Trattandosi di colonizzatori hanno mantenuto il
comportamento che ci si attenderebbe: venuto meno il motivo per il quale erano
qui, cessato l’interesse o terminate le operazioni programmate, hanno lasciato
il campo.
Nell’Antico Testamento non ci sono neppure
indicazioni su possibili ritorni.
Molte ipotesi e vicende bibliche fanno pensare che Yahwèh fosse un Elohim abbastanza giovane, o quanto meno inesperto, cui è stato assegnato un territorio di scarsa importanza.
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