Per Triangolo delle Bermuda si
intende un'area molto vasta dell'atlantico che ha il suo vertice nelle isole
Bermuda a sud e che si estende dalla punta meridionale della florida fino alla
piccole Antille. Questi confini, anche se molto imprecisi. La zona prende anche
il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di
incidenti inspiegabili che vi sono accaduti.
I fatti sono molti e iniziano da
molto lontano, ma proseguono con un crescendo impressionante fino in epoca
moderna.
Da tenere presente anche il fatto
che non si tratta di una zona ai confini del mondo, anzi di una zona che
comprende una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima
e la bellezza del paesaggio. Florida, Bahamas, Caraibi sono infatti nomi
favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno
assolutamente nulla di tetro e desolante. C’è però un particolare che rende diverse le disgrazie
accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo: il
fatto che di tutti questi incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto,
nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente
sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione
prevista, si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio
trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i
collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella
presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi
erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla.
Leggende e racconti paurosi sono
sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior
parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo
delle Bermude, anche se le sparizione sembrano essersi attenuate, resiste
tuttora.
Di seguito verranno riportati alcuni
episodi, tra più significativi.
Incidente di viaggio
"Giovedì 13 settembre: in questo giorno, all'inizio della notte, gli aghi delle bussole si spostavano verso Nord Ovest e alla mattina volgevano alquanto verso Nord Est (...). Sabato 15 settembre: al cominciar della notte videro cader dal cielo una meravigliosa striscia di fuoco, a quattro o cinque leghe dai navigli (...). Lunedì 17 settembre: i piloti fecero il punto e riconobbero che le bussole non indicavano la giusta direzione. I marinai se ne stavano timorosi e accorati e non dicevano di che.
L'Ammiraglio se ne accorse e ordinò ai piloti che allo spuntar del giorno tornassero a fare il punto e, preso il Nord, trovarono che gli aghi erano buoni.”
Questi incidenti di navigazione
sono tratti dai Giornali di Bordo di Cristoforo Colombo, scritti mentre era in
rotta per il Nuovo Mondo. In quei giorni le tre caravelle navigavano nel bel
mezzo di un triangolo di mare delimitato a nord dalle attuali Bermuda, a ovest
dall'isola di Grand Bahama e a sud da Portorico. Forse fu proprio allora, in
quel lontano settembre 1492, che ebbe inizio la sinistra fama di quella zona
ora nominata come "Triangolo Maledetto" o Triangolo delle Bermuda: un
posto dove le bussole smettono di funzionare e "meravigliose strisce di
fuoco" cadono dal cielo.
Gli Avengers scomparsi
Alle ore 14:00 del 5 dicembre
1945, cinque aerei TBM Avengers della marina americana partirono dalla base di
Fort Lauderdale (Florida) per un'esercitazione. La squadriglia puntò verso est,
in direzione delle Bahamas, raggiunse il bersaglio, completò l'esercitazione e
imboccò la strada del ritorno o, almeno, credette di farlo. Alle 15:15, infatti
la torre di controllo di Fort Lauderdale ricevette un messaggio dal comandante,
il tenente Charles Taylor.
"Chiamo la torre. Emergenza. A quanto pare siamo fuori rotta. Non riusciamo a vedere la terra…"
E ancora:
"Non sappiamo la nostra posizione! Non sappiamo dove sia l'ovest… Qui non funziona più niente… Anche il mare non è dove dovrebbe essere!".
La base di Fort Lauderdale
ricevette qualche altro confuso messaggio:
"Tutte le mie bussole sono guaste", "Non so dove ci troviamo", "Nessuna terra è in vista".
Le comunicazioni, sempre più
disturbate e contraddittorie, continuarono fino alle 16:00. Poi, più nulla.
Un apparecchio di ricognizione fu
inviato immediatamente sulla zona dove gli aerei avrebbero dovuto trovarsi: era
un grosso idrovolante Martin Mariner. L'apparecchio inviò un messaggio a
proposito dei venti che soffiavano con intensità sopra i 1800 metri. Furono le
ultime parole del suo comandante, il tenente Kane. Anche il Martin Mariner
interruppe ogni contatto con la base, senza alcuna apparente ragione.
Trecentosette aeroplani, quattro
cacciatorpediniere, diciotto vedette della guardia costiera, centinaia di aerei
e imbarcazioni private parteciparono alla più colossale ricerca della storia.
Novecentottantacinque miglia
quadrate di mare furono perlustrate palmo a palmo ma non fu rinvenuta nessuna
traccia (macchie di olio, zattere di salvataggio, relitti galleggianti o altro)
che potesse far pensare a un incidente.
La commissione d'inchiesta che si
occupò del caso non espresse un parere. Ascoltò cinquantasei testimonianze in
quattordici giorni di udienze: poi, tutto venne messo a verbale e il caso fu
chiuso.
Per la cronaca, il 18 Maggio 1991 la stampa ha dato ampio risalto al ritrovamento della squadriglia perduta, dichiarando così definitivamente risolto il mistero; qualche giorno dopo però la notizia è stata smentita: i relitti rinvenuti nelle profondità marine appartenevano ad aerei più recenti.
Aerei
Un anno e mezzo dopo, cioè nel
luglio del 1947, un incidente analogo colpì un altro aereo militare. Si
trattava di un C-54 che scomparve con sei uomini a bordo mentre era diretto a
una base in florida.
Sei mesi più tardi fu la volta di
un quadrimotore passeggeri che scomparve nei pressi delle Bermude. Le ultime
comunicazioni radio non segnalavano nulla di anormale, ma in seguito i contatti
cessarono e l'apparecchio non giunse mai a destinazione.
Un quadrimotore del tutto
identico a questo andò perduto nel 1949 mentre viaggiava dalle Bermude verso la
Giamaica. Apparteneva come il precedente a una compagnia aerea inglese che
insinuò l'idea di un sabotaggio organizzato. Non esisteva però alcuna prova in
proposito e del resto non furono i soli aerei a sparire in quel periodo.
Poco tempo prima era andato
perduto un DC-3 noleggiato da un'agenzia di viaggi di Miami che recava a bordo
una quarantina di persone. Questo incidente fu tanto più clamoroso, perché si
seppe che nell'ultimo contatto radio il pilota aveva comunicato di essere ormai
prossimo all'arrivo, anzi di intravedere già le luci della città. Naturalmente,
tutte le ricerche effettuate, anche in questo caso risultarono inutili.
Un aereo da trasporto scomparve
con trentacinque persone nel 1952 mentre era diretto a Kingston e nell'ottobre
del 1954 toccò ancora a un aereo della marina degli stati uniti. Era un Super
Constellation partito da Patuxent River nel Maryland, in viaggio verso le
Azzorre.
Nel 1956 precipita, o almeno così
si suppone, un a quadrimotore cisterna dell'Aviazione americana durante una
missione dalla propria base situata in Virginia, alle Azzorre.
Nel 1957 sono due gli aerei
cisterna perduti contemporaneamente. Erano diretti in Florida e le ultime
segnalazioni radio pervenute da bordo segnalavano la loro posizione a un
centinaio di miglia a nord est del Grande Banco delle Bahamas. Le lunghe
ricerche che seguirono portarono al ritrovamento di alcuni relitti che
avrebbero potuto appartenere ai due aerei: ma anche questo non era certo. Le
cose si complicarono quando, proseguendo le perlustrazioni del mare, altri
relitti vennero trovati a più di duecento chilometri di distanza dai primi. A
parte l'incertezza dell'identificazione, era chiaro che i rottami non potevano
essere contemporaneamente in due posti così lontani. E il mistero divenne
ancora più fitto.
Il 5 giugno 1965 un C-119 atteso
alla base aerea situata nell'isola di Great Turk una delle più meridionali
delle Bahamas, si perse durante il viaggio di trasferimento. Poco prima della
disgrazia l'aereo era in normale contatto radio con la torre controllo
dell'aeroporto a cui aveva preannunciato di arrivare in poco più di un'ora.
Testimoni militari riferirono che improvvisamente i collegamenti radio
peggiorarono, facendosi sempre più deboli e indecifrabili, fino a sparire
completamente. Anche in questo caso furono fatte ricerche molto ampie, partendo
dal luogo dell'ultima posizione segnalata. L'esito, come al solito, fu
negativo.
Navi
Nel 1800 la U.S.S. Pickering sparì
tra la Guadalupa e Delaware. Nel 1814 la U.S.S. Wasp scomparve nei Caraibi e
poi il Grampus, la Maria Celeste, l'Atlanta.
Nel 1840 la Rosalie, una nave
mercantile francese partita dall'Europa e diretta nei Caraibi venne ritrovata
completamente deserta, mancavano infatti tutti gli uomini che si trovavano a
bordo. Di vivo c'era solo un canarino nella sua gabbia. Ad aumentare il mistero
c'era poi la circostanza che sulla Rosalie tutto appariva in perfetto ordine,
sia sui ponti, sia sottocoperta, così come i locali dei passeggeri e tutto il
carico nella stiva non erano stati manomessi. A quel tempo gli atti di
pirateria erano frequenti, ma sembrava strano che si fosse assaltato la nave
solo per rapire le persone, senza impadronirsi della nave stessa e del carico.
Anche le scialuppe erano al loro posto. Non si capiva perciò come la gente
avesse potuto abbandonare lo scafo. Né il motivo per cui si sarebbe gettata in
mare, come per un raptus collettivo.
La Mary Celeste è forse il caso
più conosciuto di una nave ritrovata deserta nell'oceano. Nel 1872 venne
avvistata da un bastimento inglese che la abbordò mentre andava alla deriva e
la prese come bottino, senza porsi molti interrogativi sulla stranezza di
quell'incontro. Anche qui era tutto in ordine, non mancava nulla: viveri,
acqua, effetti personali dell'equipaggio. Solo la cabina del capitano appariva
chiusa da travi, come se questi vi si fosse barricato all'interno. Da dove
fosse poi uscito era comunque difficile immaginare. La Mary Celeste portava un
carico di alcool stivato in botti e così si pensò alla possibilità di un
incendio a bordo, poi subito rientrato per la caratteristica dell'alcool di
estinguersi dopo una breve fiammata. Forse tutti si erano gettati in mare presi
dal panico alla vista del fuoco e non erano poi più risusciti a raggiungere la
nave che si era allontanata con le vele al vento. Ma sinceramente rimane una
ipotesi poco convincente incapace di dare una spiegazione convincente della
tragedia avvenuta.
Sempre nella serie delle navi
trovate abbandonate inspiegabilmente, c'è il racconto del 1881 del capitano
della nave americana Ellen Austin. Viaggiando in pieno Atlantico del nord, in
una regione che dovrebbe corrispondere al margine est del triangolo, la Ellen
Austin incontrò un bastimento a due alberi chiaramente senza equipaggio. Anche
questa volta era tutto in ordine, le vele erano ammainate ma perfettamente
pronte per le manovre. Alcuni uomini della Ellen Austin vennero allora
trasferiti a bordo per prenderne possesso e rimorchiarlo. Il viaggio in tandem
era da poco iniziato quando le condizioni del mare peggiorarono, tanto che i
cavi di rimorchio si ruppero e i due scafi si persero di vista. Solo alcuni
giorni dopo l'Ellen Austin ritrovò il bastimento, che risultò però di nuovo
deserto in quanto gli uomini trasbordati dalla Ellen Austin erano tutti
scomparsi. Nessun segno di violenza fu trovato per far luce su quanto poteva
essere accaduto. Per una seconda volta alcuni volontari salirono a bordo della
goletta, evidentemente dietro le pressioni del capitano che voleva a tutti i
costi impadronirsene attirato dal grosso guadagno. Ma anche questa volta le due
navi non andarono molto lontano. Una seconda tempesta le divise e da allora né
il secondo equipaggio né il bottino furono più ritrovati.
La nave da guerra Atlanta
scomparve invece insieme a tutti i 300 uomini che erano a bordo, proprio in
quello stesso periodo. La nave era inglese e tornava in Europa dopo una lunga
crociera di addestramento. L'ammiragliato inglese organizzo una ricerca
sistematica per lungo tempo, ma senza alcun esito. Forse fu quella la prima
volta nella storia in cui furono condotte delle ricerche organizzate con
parecchie navi che perlustrarono l'oceano secondo un piano preordinato senza
però trarne alcun risultato.
Anche la nave Cyclops scomparve
misteriosamente nel marzo del 1918 mentre si trovava nel triangolo. C'erano a
bordo più di 300 uomini, tutti della marina degli stati uniti. Si trattava di
una nave da guerra e poiché si era in pieno conflitto mondiale, tra le ipotesi
della scomparsa, varie prendevano in considerazione un possibile attacco di
sommergibili tedeschi. Accurate indagini svolte dopo la fine della guerra
portarono però a escludere questa eventualità. Anche la marina statunitense
organizzò estese ricerche durate alcuni mesi, ma ogni tentativo fu inutile.
Venendo a tempi più recenti, non
possiamo non partire dalla San Paolo, una vecchia nave da guerra brasiliana che
viaggiava al seguito di due grossi rimorchiatori con un piccolo equipaggio
addetto alle manovre indispensabili del traino. L'episodio accade ai primi di
ottobre del 1951. Anche qui le condizioni del tempo consigliarono uno dei
rimorchiatori di sganciare le gomene per essere più libero nell'affrontare il
mare. La mattina dopo, gli uomini del secondo rimorchiatore si accorsero che
anche i loro cavi erano sganciati e che la san paolo era scomparsa. Avvertite
per radio, navi americane e inglesi aiutate da numerosi aeri iniziarono le
ricerche, senza trovare alcun relitto.
La sparizione della San paolo era
stata preceduta nel 1926 dalla perdita analoga della nave da carico Cottopaxy e
nel 1931 dal mercantile Stavenger che trasmise per l'ultima volta la propria
posizione mentre si trovava ad est del Grande Banco della Bahamas. Tutto
sembrava procedere regolarmente.
I resoconti di incidenti analoghi
proseguivano puntualmente anche negli anni sessanta e settanta.
Qualcosa di misterioso e comunque
inspiegabile toccò nel 1963 alla Marine Sulphur Queen, un grosso cargo
americano con quaranta uomini a bordo. La nave viaggiava all'uscita dal golfo
del Messico quando un suo messaggio fu ricevuto per l'ultima volta.
Considerando che essa doveva raggiungere un porto nella Virginia, si può
arguire che avrebbe in seguito percorso lo stretto della florida, seguendo la
corrente del Golfo in quanto è un passaggio obbligato per tutti i mezzi diretti
a nord, per giunta largo appena una cinquantina di miglia: difficile, quindi,
svanire in questa zona, sempre piena di traffico. Tuttavia la Marine non fu più
vista, né raggiunse mai la Virginia. Per due settimane molti mezzi della
guardia costiera americana perlustrarono il mare a nord di cuba e questa volta
almeno un salvagente venne ripescato. Apparteneva alla nave scomparsa e ciò
dette l'avvio ad una seconda fase di ricerche, che non portò tuttavia ad altri
risultati.
Nel 1966 fu la volta di un grosso
rimorchiatore, il Southern Cities che trainava una chiatta di sessantacinque
metri, carica di prodotti chimici e fertilizzanti. Alcuni giorni dopo che il
rimorchiatore aveva smesso di dare notizie, alcuni aerei della guardia costiera
riuscirono a individuare la chiatta che non recava segni di danni. Nessuna
traccia invece del Southern Cities e dei suoi uomini.
Anche Anita, una carboniera
tedesca che tornava in Europa svanì nel 1973 con 34 uomini a bordo.
Un caso eclatante fu quello dello
Scorpion, uno dei sottomarini atomici americani, che scomparve nel 1968 mentre
viaggiava dalle Azzorre diretto alla base in virginia. Il pensiero di
novantanove uomini imprigionati nello scafo trattenne desta, per molti giorni,
l'attenzione di tutto il mondo. Questa volta però la perdita era troppo
importante, almeno per la marina degli stati uniti, che impegnò una serie
impressionante di mezzi per rintracciare il sommergibile. Motivi militari e di
prestigio spingevano a farlo. Bisognava sapere ad ogni costo cosa era accaduto.
Solo dopo molti mesi si diffuse la notizia che una nave appositamente
attrezzata aveva individuato il relitto un migliaio di chilometri a sud ovest
delle Azzorre. Ne avevano dato conferma anche varie foto scattate sul fondale di
oltre tremila metri su cui giaceva ciò che poteva essere lo Scorpion. In questo
caso dunque non si poteva parlare di sparizione, ma le cause della sciagura
come l'esito delle successive ricerche rimasero sempre chiuse in un geloso
riserbo. Da quanto emerso tuttavia, sembra che la perdita del sottomarino non
sia avvenuta propriamente dentro i limiti del cosiddetto triangolo, nel quale
invece si continuò a non trovare traccia di relitti, e nemmeno di quelli degli
aerei che nel frattempo sparivano con preoccupante regolarità.
Che dire di queste cronache?
Una considerazione preliminare
riguarda la percentuale statistica degli incidenti rispetto al traffico
presunto o calcolato nella zona. Questa percentuale è assolutamente
sproporzionata secondo le stime che sono state fatte. Poi, per quanto ci è dato
sapere, uomini e merci trasportate non avevano un’importanza o un valore
particolare. Nessuna nave inaugurava nuove rotte commerciali in grado di ledere
interessi finanziari o d'altro genere. Nel caso del rimorchiatore Southern
Cities, il carico trasportato dalla grande chiatta venne ritrovato intatto e lo
stesso successe riguardo ad altre navi abbandonate. Gli aerei precipitati
risultavano essere quasi sempre vecchi apparecchi di linea se non addirittura
residuati di guerra poi trasformati per uso commerciale. Tra loro non c'era
nessun prototipo sensazionale.
Si trattò di errore umano?
Alcune sciagure possono essere
imputate a un simile fattore, specie riguardo agli aerei. Lo sbaglio del pilota
nella lettura degli strumenti o il concorso di cattive condizioni
meteorologiche, nebbia o turbolenza atmosferica, anche un malore improvviso
può, in qualche caso, essere fatale. C'è da tenere presente, tuttavia, che i
grossi aeroplani di linea come i quadrimotori militari, già prevedevano a bordo
un comandante e un secondo pilota in grado di intervenire all’occorrenza, ed
erano dotati di strumenti di controllo che facilitavano e automatizzavano tutte
le operazioni di volo. Nessun aereo è andato a cozzare contro montagne,
peraltro inesistenti, per una cattiva lettura dell'altimetro. L'ipotesi
dell'errore umano cade poi completamente se applicato al caso della squadriglia
dei bombardieri Grumman. Un aereo avrebbe potuto staccarsi dalla formazione e
trovarsi in difficoltà, ma la scomparsa di tutti e cinque restava assolutamente
inspiegabile. Non è possibile pensare che tutti i piloti abbiano sbagliato o si
siano sentiti male contemporaneamente; così come è impossibile ipotizzare che
un errore del caposquadriglia avesse trascinato i compagni in un disastro
fatale, facendoli precipitare in mare: il disastro non era stato improvviso, in
quanto la dinamica della disgrazia presenta una lunga serie di contatti radio
prima del silenzio finale. I messaggi pervenuti alla base di Fort Lauderdale
erano confusi e contraddittori ma non indicavano che qualcuno si sentisse male.
Nell'incidente che aveva coinvolto nel 1963 i due aerei cisterna americani si
può supporre che, per errore, uno dei piloti abbia causato una collisione in
volo, che poi ha letteralmente polverizzato
gli aeroplani rendendone impossibile il ritrovamento. E, invece, fu uno dei
pochi casi in cui dei rottami, per quanto non ben identificati, vennero trovati,
ma a oltre duecento chilometri di distanza e ciò urta contro l'ipotesi di una
collisione. Riguardo alle navi scomparse, il fattore umano acquista un’importanza
meno determinante. Sì, si può pensare a errori di manovra: durante una
tempesta, un colpo di barra inopinato può portare uno scafo a traversarsi,
imbarcare acqua e quindi ad affondare. Ma per navi da dieci e ventimila
tonnellate, ciò è praticamente insostenibile. Un errore di rotta avrebbe
eventualmente portato un bastimento ad arenarsi su un basso fondale o a
spezzarsi contro una scogliera, ma qui in seguito sarebbe stato facilmente
individuato.
Una seconda probabilità riguarda
i guasti meccanici, che certamente erano possibili. Si va dal blocco dei motori
degli aerei allo scoppio delle caldaie di alcune navi. Ma imputare tutte le
scomparse a ciò, non è sostenibile e comunque non spiegherebbe la totale
mancanza di relitti. Per i due incidenti aerei citati, valgono poi le stesse
considerazioni già fatte. Il guasto avrebbe dovuto riguardare tutti i motori della
squadriglia.
Tutti i libri e gli articoli che
si sono occupati dell’argomento concordano nel riferire che i piloti dei
Grumman non sapevano riconoscere la loro posizione, sembrava che le bussole
fossero impazzite. Questo fatto lasciava aperta la possibilità di un fattore
esterno che influenzasse gli strumenti. Vennero tirate in ballo le anomalie
magnetiche, proprie di quella zona, capaci di modificare se non di annullare il
funzionamento degli apparati di bordo. Il parere di autorevoli esperti conferma
l'esistenza di queste anomalie.
Ma a che cosa sono dovute?
Si sapeva che materiali
magnetizzabili perdono ogni traccia del loro magnetismo se portati ad alte
temperature. Una volta raffreddati però, assumono permanentemente le
caratteristiche del campo magnetico in cui si trovano. Molte delle rocce
presenti in questa zona rivelavano un comportamento magnetico inspiegabile.
Studi successivi del professor Vine dell’università di Cambridge avevano
portato a clamorose conclusioni. Ricerche magnetometriche in ampi tratti dell’oceano
avevano poi rilevato differenze positive e negative rispetto al campo magnetico
terrestre normalmente rilevabile. Presto fu evidente che questo aveva invertito
più volte, nel corso delle ere geologiche, la propria polarità. Altri studi del
campo magnetico sul mare furono condotti dagli scienziati del Lamont Geological
Observatory. I risultati ottenuti consentirono di chiarire da un punto di vista
geofisico la storia e la dinamica dei fondi oceanici, nonché correlare queste
prove con la teoria della deriva dei continenti. Ma questi risultati,
importanti per la conoscenza della geofisica, dello studio dei terremoti e dei
vulcani sembrano non avere nessun legame con gli incidenti del Triangolo
maledetto. La misura di queste anomalie è appena rilevabile con strumenti
sofisticati. Le indagini in proposito fecero progressi solo nel dopoguerra,
quando appunto la tecnica consentì di affinare i metodi di indagine e così chi
voleva ipotizzare la presenza di corpi estranei alla normale morfologia terrestre,
in grado di alterare enormemente la misura del campo magnetico con conseguenti
effetti nocivi su cose e persone dovette arrendersi di fronte all’evidenza: queste
fonti abnormi sarebbero state subito localizzate da un’imponente rete di
controlli scientifici che ogni giorno vengono effettuati per diverse ragioni ma
con precisi programmi. C’era poi da considerare che ogni giorno centinaia di
navi e aerei transitavano nella zona senza avvertire conseguenze su bussole e
strumenti. Ben presto si scoprì che anomalie magnetiche dello stesso tipo e
intensità erano presenti in tutti i mari del mondo, lungo le dorsali oceaniche
dell’atlantico e del Pacifico e questo lasciò ben poco spazio a queste teorie: se
qualcosa di strano avviene in quella zona, non avviene per questa causa.
Ma per renderci conto della realtà dei fenomeni naturali non comuni che
si verificano in quell'area, bisogna far riferimento ai racconti dei
sopravvissuti che subirono lo sconvolgimento degli elementi ma riuscirono a
scamparla.
Il capitano Don Henry era proprietario di una società di recuperi marittimi con sede a Miami. Era un pomeriggio di tempo buono e cielo limpido di quel 1966, col suo Good News, rimorchiatore di duemila cavalli, tirava una chiatta da duemilacinquecento tonnellate. La zona percorsa era tra Puerto Rico e Lauderdale. A un certo punto si accorse che la bussola stava girando in senso orario. Inoltre, disse: "sembrava che l'acqua arrivasse da tutte le direzioni. L'orizzonte era scomparso, non potevamo vederlo: l'acqua, il cielo e l'orizzonte si confondevano insieme. Non riuscivamo a capire dove eravamo."
Nonostante i generatori continuassero a funzionare, erano incapaci di erogare corrente elettrica. Una nube copriva la chiatta e il mare lì vicino sembrava più mosso che altrove. Una luminosità lattiginosa copriva la zona. Malgrado ciò il capitano riuscì ad allontanarsi da quel posto con il suo rimorchio la cui corda di traino era tirata al massimo.
I tifoni, sicuramente frequenti
da quelle parti, possono aver causato delle disgrazie. Questi disastri naturali
che devastano il mare e si abbattono sulle coste con enorme violenza hanno una
origine meteorologica che appunto li localizza in quella regione con maggior
frequenza che altrove. La loro azione distruttiva è spaventosa. Molti aerei e
navi potrebbero essersi perduti per questo motivo. Tuttavia, le cronache degli
incidenti avvenuti sono spesso concordi nel precisare che al momento delle
varie sciagure le condizioni meteorologiche erano normali, se non addirittura
buone.
Alcune ipotesi suppongono che i
naufragi siano avvenuti per improvvise e gigantesche onde di sessa che
avrebbero travolto e spazzato via le imbarcazioni incontrate sul loro cammino.
Le onde di sessa sono provocavate da frane sottomarine dovute a piccoli
terremoti di assestamento. Infatti nei fondali degli oceani vi troviamo
vallate, corrugamenti, altopiani, vere e proprie montagne, isolate o unite in
catene. Morfologicamente la loro instabilità è molto superiore a quella che si
riscontra in terraferma. Spesso le correnti o le eruzioni vulcaniche spostano
grandi masse di materiale che muovendosi improvvisamente causano moti ondosi
abnormi e molto pericolosi, chiamati appunto onde di sessa. Queste possono così
prodursi anche in mare calmo e in assenza di altre perturbazioni atmosferiche.
Sono quindi abbastanza imprevedibili. Una volta formate, le onde possono
raggiungere altezze molto maggiori a quelle del peggior mare in tempesta. Sono
vere e proprie montagne d’acqua che avanzano travolgendo qualsiasi cosa si
presenti sul loro cammino, prima di spegnersi lentamente secondo le leggi
dell’inerzia. Questa insidia esiste sicuramente e potrebbe aver causato
qualcuna delle disgrazie rimaste inspiegabili. Però, sembra strano per naufragi
verificatisi nei punti come lo stretto di Florida (rotta della Marine Sulphur
Queen) o nell’area dell’arcipelago delle Bahamas. In questi casi, gli effetti
delle onde di sessa si sarebbero avvertiti anche in prossimità delle coste, ma
ciò non è mai avvenuto. Siamo dunque ancora di fronte a elementi contraddittori
che restringono l’eventualità di una causa di questo tipo.
Lo stesso ragionamento vale per i
maremoti. I movimenti di assestamento che li provocano hanno una portata più
ampia e non sfuggirebbero al pennino dei sismografi, oltre al fatto evidente
che le loro conseguenze coinvolgerebbero le popolazioni rivierasche.
Vari giornalisti e scrittori che
si sono occupati delle sciagure accadute nel triangolo hanno rilevato come
queste siano divenute particolarmente frequenti a partire dal 1945, vale a dire
nell’immediato dopoguerra. Si è pensato allora alla possibilità di azioni di
sabotaggio o terrorismo da parte di alcuni nuclei di combattimento che non
avessero accettato l’esito del conflitto e avessero continuato a condurre una
lotta personale per quanto folle e senza speranza. Ma qui si dovrebbe poi
ipotizzare la presenza di sottomarini e di navi da combattimento nella zona e
ciò, sinceramente, è improponibile.
In conclusione nessuna delle
ipotesi prese in esame è capace di spiegare, in qualche modo, un numero
sufficiente di disgrazie. Anche pensando ogni volta a un insieme di concause,
che allargherebbe il numero degli incidenti possibili, ma ne rimarrebbero
comunque molti senza una spiegazione apparente.
Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità: riguardavano tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso del tempo. Allora perché il mistero del triangolo delle Bermude, anche se le sparizione sembrano essersi attenuate, resiste tuttora?
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