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venerdì 13 settembre 2019

ISRAELE


Il cielo era pervaso da una foschia dorata che proveniva dal deserto. Il gigantesco jumbo, in fase di atterraggio, la perforò ed ebbe una rapida visione degli orti di cedri, color verde scuro, immediatamente seguita dal sobbalzo dell'impatto con la pista. Quello di Tel Aviv era uguale a tutti gli altri aeroporti del mondo, ma al di là delle sue porte c'era una terra che simile non aveva mai visto. La folla che con lui si mise in caccia di un posto in uno dei grossi sherut neri, i taxi collettivi coperti di manifesti e pieni di ninnoli penzolanti, era assolutamente frenetica. Una volta a bordo, però, il tutto prese l'aspetto di una gita di famiglia. Di una famiglia di cui anche lui faceva parte. Su un lato c’era un paracadutista, in berretto e blusa, con le mostrine sul petto e un fucile mitragliatore Uzi gettato a tracolla, il quale gli offrì una sigaretta. Sull'altro lato c'era una ragazzona ben piantata, anche lei con addosso un'uniforme color kaki e con scuri occhi da gazzella, tipicamente israeliani, che diventavano ancor più scuri e sentimentali ogni volta che si posavano su di lui. Pretese di dividere con lui un sandwich di pane non lievitato, con ceci fritti - l'onnipresente pita con felafel. Tutti gli occupanti dei posti anteriori si voltavano per unirsi in conversazione e naturalmente con loro si voltava anche l'autista, che comunque non ridusse assolutamente la velocità, sottolineando le proprie frasi con furibondi colpi di clacson e con urla di insulti ai pedoni e agli altri automobilisti. Sulla zona costiera aleggiava, simile a foschia di mare, un pesante profumo di fiori d'arancio, che da quel momento in poi per lui divenne un sinonimo di Israele. Poi si arrampicarono sulle colline della Giudea e percorsero la tortuosa autostrada che correva tra foreste di pini e pendii luccicanti, dove pietre bianche brillavano come ossa nel deserto e gli ulivi si torcevano in graziosa pena, levandosi dalle terrazze che costituivano un monumento a seimila anni di paziente fatica dell'uomo. Un paesaggio che era molto diverso dalle amate colline di casa sua. C'erano fiori che non riconosceva, corolle color cremisi simili a sangue versato ed esplosioni di petali di un giallo simile alla luce del sole. A mano a mano che si avvicinava alla donna per vedere la quale era arrivato fino a lì, sentiva levarsi nel proprio intimo un senso di eccitazione poiché non si trattava solo di una donna, ma di qualcos'altro, di cui ancora non era sicuro.
- Guarda! - gridò la ragazza, toccandogli un braccio e indicando un relitto bellico ancora gettato sul bordo della strada e lì conservato in memoria degli uomini morti sulla via di Gerusalemme - qui si è combattuto.
- Si combatterà ancora? - chiese.
- Si - rispose la ragazza senza esitazioni.
- Perché?
- Perché, se il fine è buono, bisogna combattere per raggiungerlo - rispose la ragazza, con un ampio gesto che parve abbracciare tutta quella terra e il suo popolo - e questa terra – aggiunse - è nostra ed è una buona terra.
Jericho assentì, rivolgendole un tenue sorriso, che venne ricambiato. Così arrivarono a Gerusalemme, con i suoi alti e severi condomini di pietra color senape, eretti come monumenti sulle colline e raggruppati attorno all'imponente cittadella murata che ne costituiva il cuore. Aveva prenotato una camera all'Intercontinental Hotel. Dalla finestra osservò, oltre il giardino di Getsemani, la vecchia città, con le sue torrette, le guglie e la luccicante cupola dorata della Moschea di Omar, centro del cristianesimo e del giudaismo, nonché luogo sacro per i musulmani, bimillenario campo di battaglia, antica terra rinata e provò un senso di timore reverenziale.
Era pomeriggio inoltrato quando pagò il taxi nel parcheggio dell'ambasciata e venne sottoposto a una sbrigativa perquisizione da parte di una guardia dell'ingresso principale. Da quelle parti, le perquisizioni corporali erano talmente abituali che ben presto si arrivava a non farci più caso.
 

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