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venerdì 11 dicembre 2020

LA TEORIA DEL DR. VIATIESLAV ZAITSEV


 

Una teoria, che è anche l’affermazione consapevole, di Viatieslav Zaitsev, nato nel 1918, filologo all’Accademia di Scienze della Russia Bianca, a Minsk e ricercatore appassionato di problemi e di enigmi del passato. Dopo aver raccolto per anni fatti misteriosi, partendo da avvenimenti biblici e riallacciandosi a scritti antichissimi da lui elaborati e tradotti, giunse a delle conclusioni stupefacenti.- Sono certo, ormai – affermò - che al principio della nostra era, una gigantesca nave spaziale proveniente da un altro sistema solare si fermò nell’orbita e osservò a lungo quanto gli uomini facevano. Poi da questa nave si staccarono veicoli più piccoli con a bordo dei missionari.

Lo scienziato russo non aveva alcun dubbio: in America Centrale il primo degli astronauti fu noto sotto il nome di Quetzalcoatl, in Asia Minore ebbe nome Gesù Cristo, e in Cina Djan Dao Riin.

- Queste tre figure leggendarie hanno tali rassomiglianze nel loro aspetto, nel loro comportamento e nel messaggio che portano, che il rapporto fra di loro è stupefacente - concorda anche Semitjov. Ma le prove di questa asserzione, dove sono?

Le prove, secondo Zaitsev, sono migliaia.

- Noi camminiamo in mezzo ad esse - disse durante un’intervista - ma ci siamo cosi abituati e siamo così poco interessati che non le rimarchiamo neppure.

Lo scienziato, insomma, sosteneva che gli “dei” non fossero altro che uomini extraterrestri scesi dai loro pianeti su navi spaziali.

- ... Perché si trovano sempre negli antichi scritti religiosi le descrizioni della discesa dal cielo degli angeli, del Figlio di Dio, circondati da fiamma e fumo? E fiamme sono ancora menzionate quando ritornano in cielo...

Secondo questa teoria, Gesù Cristo arrivò dunque da un altro pianeta per portare nell’Asia Minore la sua parola; la domanda che si è posto Zaitsev è stata quindi: la stella di Betlemme era una nave spaziale? Uno scritto apocrifo russo del XVI secolo, che traduce un testo originale latino del 250 d.C., dice: “La stella di Betlemme fu osservata in numerosi paesi d’Oriente. Si costruivano dei piccoli osservatori sulle montagne dove gli astronomi si installavano per studiare il fenomeno celeste. Una notte la stella illuminò tutto il cielo, come un sole. Discese come un’aquila e si posò su di una montagna. Cristo discese da questa stella...”

I tre magi asserirono di aver visto la stella spostarsi da est a ovest, da nord a sud, ma calcoli recenti hanno accertato anche che nessuna cometa poté esser vista nell’epoca della nascita di Cristo. Un satellite, una nave che splendeva quand’era colpita dai raggi del sole e che scompariva se il cono d’ombra della Terra la inghiottiva?

Pare di sì, almeno se vogliamo seguire nelle sue indagini storiche e nelle sue conclusioni lo studioso russo. Questi puntualizza il vuoto dei primi trent’anni di vita di Gesù, il silenzio, incolmabile anche dal mito e dalla leggenda, che circonda la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua giovinezza.

- Non possiamo fare a meno di meravigliarci dell’ignoranza di quest’uomo – affermava - sulle condizioni di vita quotidiana delle regioni in cui si trovava, dove si suppone che egli abbia vissuto tutta la sua vita. Gesù mostra di non conoscere gli usi e i costumi giudaici, non rispetta il ‘sabato’, trascura la regola di non mangiare prima dell’apparizione della prima stella nel cielo della sera, non rispetta il digiuno. Cristo stupisce continuamente il suo ambiente con degli atti che nessuno di quegli uomini avrebbe commesso (Cfr. l’episodio del fico) come si comporterebbe uno straniero disorientato, mentre pretende di essere nato e cresciuto nello stesso ambiente.

- Questi fatti - ci dice Zaitsev - erano ben conosciuti in diverse sette religiose nei primi secoli della religione cristiana: i loro seguaci erano fermamente convinti che le condizioni terrestri disorientavano Cristo.

Ma c’è una cosa ancora più degna di riflessione e che lo studioso russo fece notare: Cristo, benché figlio di un semplice falegname, quindi di gente del popolo, parlava esclusivamente una specie di ebraico antico, come se avesse imparato la lingua su testi scolastici in disuso.


 

 

Gesù rimase sul nostro Pianeta per soli tre anni, ma la sua presenza è viva nelle leggi ch’egli ha dato al popolo, a tutte le genti che le vollero accettare e le compresero. Alto, bruno, ma con la pelle chiara, la leggenda dice che suscitò subito, al suo primo apparire, un’ammirazione e una adorazione profonda. Egli compiva miracoli, aveva una sapienza superiore a qualsiasi altro dotto.

- Io vedo in Gesù non solo un uomo cresciuto in una civiltà assai evoluta, ma anche una personalità estremamente dotata - afferma Zaitsev - che rivela anche di aver appreso da antichi scritti monastici come Egli avesse l’abitudine di portare un piccolo astuccio nero legato a una striscia di cuoio appeso al collo.

- Quando saliva sulla montagna per parlare col padre celeste - dicono queste testimonianze - Cristo teneva lo scrigno sulle sue ginocchia e raccomandava ai discepoli di stare in silenzio.

Zaitsev allora si chiese: non poteva essere l’astuccio un dispositivo di comunicazione?

E i miracoli non potevano essere classificati come manifestazioni di una scienza superiore?

A dar ragione a questa tesi ci sarebbero anche degli antichi testi bulgari che narrano come gli angeli comunicassero con Dio attraverso degli “specchi” sui quali Dio scriveva come sull’acqua (non ho mai capito cosa fossero questi “specchi” finché non misero in commercio gli smartphone. N.d.R).

 


 

Non ci sembra giusto, dopo aver accennato alla tesi di Zaitsev, lasciare l’argomento a metà e passare oltre, ignorando che della stessa idea dello scienziato russo vi sono moltissimi altri uomini di pensiero, astronomi, filologi, studiosi di tutto il mondo. Essi sostengono che la missione extraterrestre venne preparata a lungo per ridare al mondo un ideale nuovo. La resurrezione di Gesù fu la pietra più importante, la base per l’espansione del cristianesimo. E Zaitsev aggiunge: - Cristo non è morto sulla croce, svenne. Gli angeli, ossia gli antichi astronauti, vennero a prenderlo e lo salvarono perché la loro conoscenza medica era straordinaria.

A sostegno di ciò, egli ricorda che la resurrezione è stata descritta in diversi modi e che San Luca riferì che alle donne giunte sulla tomba la mattina del terzo giorno, due giovani in ‘abiti abbaglianti’ dissero: “perché cercate fra i morti colui che è vivo?”

In due illustrazioni del XVI secolo, inoltre, Cristo si innalza in una aureola dalla forma di aereo a reazione, circondato da una capsula ovale, abbandonando tre apostoli che paiono piegati da un soffio potente: uno è caduto e giace con i piedi rivolti verso il velivolo e gli altri due si riparano gli occhi con le braccia alzate, mentre gli abiti si sollevano come per una ventata.

- E forse la partenza di un razzo che gli antichi artisti hanno cercato di riprodurre? - osserva Zaitsev - ciò pare fantastico, ma in fondo è forse più fantastico di altre descrizioni dell’Ascensione?

Sempre dalla Russia, Eugen Semitjov a sua volta interviene: - Si ritrovano su molte icone e in diversi scritti apocrifi, immagini simili di un velivolo che innalza Gesù al cielo. Un vangelo antico di seicento anni, scritto da due patriarchi russi, racconta che il Salvatore è stato innalzato al cielo da una nuvola e da una vettura di fuoco e che questa vettura si innalzava, saliva più veloce, fino a quando nessun occhio umano poté più seguirla.

La ragione umana, intrisa dal dogma e dalla fede assoluta, non accetta e non si entusiasma di fronte a queste deduzioni. Non ci resta che aspettare che venga una conferma da quella volta celeste senza fine che ci osserva da millenni e che, forse, ascolta i nostri pensieri e le nostre preghiere.

Troppe domande, sono rimaste senza risposta; Gesù, aveva realmente trent’anni quando venne sul nostro pianeta?

 - Molte cose fanno credere che Gesù ebbe un’esistenza anteriore, ch’egli visse e fu allevato in un altro mondo, assai evoluto - sostiene Zaitsev - quando si fissò la sua età a trent’anni si trattò di una valutazione terrestre. Avrebbe potuto avere anche qualche centinaio di anni: la vita sulla terra non è una scala universale. Il viaggio per venire da un altro sistema solare ha potuto durare molto a lungo, ma se effettuato a una velocità pari a quella della luce, bisogna tener conto del paradosso del tempo di Einstein.

Gli effetti della relatività avrebbero dunque prolungato la vita di Cristo e dei suoi compagni.

Tornerà per davvero, come ha promesso?

venerdì 20 novembre 2020

LE MISTERIOSE MUMMIE DI NAZCA

 

Si è scomodato persino un membro del Congresso di Cuzco, Armando Villanueva Mercado e il suo movimento politico “Acción Popular”, che ha presentato una proposta di legge per considerare formalmente l’importanza storica e culturale dell’indagine archeologica e tecnica delle Mummie umanoidi di Nazca. La proposta di legge raccomandava al Ministero della Cultura e al Consiglio Nazionale della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione Tecnologica, di continuare la ricerca per determinare con assoluta certezza la peculiarità delle mummie umanoidi presenti nella piana di Nazca. 

Anche il giornalista peruviano Jois Mantilla, uno dei pochi reporter che bada al sodo, presentò fatti concreti  chiedendo agli scienziati locali di intervenire, soprattutto per scoprire se questi reperti fossero dei falsi oppure delle autentiche mummie aliene.

L’Archeologo Cesar Soriano incontrò allora Leandro Benedicto (alias “Mario Peruano”) la guida turistica che trovò in una grotta chiamata La Citadella, nell’agosto 2018, i corpi umanoidi mummificati (che rimasero sotto la sua custodia) per chiedergli di poterli portare in laboratorio. La custodia, secondo alcuni spetterebbe alle comunità di Nazca e Palpa che potrebbero trarne vantaggio se ne assumessero il Patrocinio culturale. In tal modo si potrebbe promuovere il turismo locale e creare un sito in cui gli scienziati potrebbero lavorare. Si auspicava anche il sostegno dello Stato che avrebbe potuto così liberare il signor Leandro Benedicto dalle implicazioni legali.

Una conferenza stampa dell’equipe di ricercatori che aveva già studiato le mummie (supportati da GaiaTV e Jaime Maussan) si tenne a Lima, in Perù,  nel 2018. Furono esposti i risultati, incerti, sul DNA, l’aspetto medico legale e le prime conclusioni degli antropologi.

Intanto, l’archeologo Cesar Soriano affermava di aver trovato un sito in cui si trovavano altri piccoli corpi umanoidi. La zona è conosciuta come “La Millonaria”. Affermò di aver scattato fotografie di una piccola creatura umanoide rinsecchita, ma non poté procedere allo scavo perché non ne aveva il permesso e temeva di danneggiare il sito archeologico. Rivelò che giacevano in alcune gallerie artificiali dove, sembra, siano stati rinvenuti anche dei manufatti. Tuttavia, la scoperta non sembrò attirare l’attenzione del Ministero e dell’Instituto Nacional de Cultura.



L’università S. Luigi Gonzaga, di Ica, che ottenne in custodia le mummie tridattile (erano visibili in apposite teche) verso la fine del 2019 ha accettato di collaborare con i ricercatori per rivendicare (o smentire) l’autenticità e la straordinarietà di questi resti biologici, mummificati naturalmente, scoperti dai tombaroli locali vicino a Nazca, famosa in tutto il mondo per le sue enigmatiche linee visibili solo dall’alto. Thierry Jamin, direttore dell’Istituto Inkarri-Cusco e promotore del cosiddetto “Alien Project”, patrocinato dal giornalista messicano Jaime Maussan e dal gruppo di Gaia.com insieme a un numeroso team di medici e biologi, hanno effettuato svariati test dai risultati sconcertanti, le cui credenziali sono però state più volte contestate da chi crede che si tratti solo di una truffa ben congeniata. La consegna dei reperti all’Università di Ica è coincisa con una conferenza (“Le mummie di Nazca: frode o evento storico?”)  nella quale sono stati sintetizzati i punti centrali della ricerca scientifica condotta finora in centri e laboratori privati, visto l’ostracismo e la chiusura dimostrati dagli enti di ricerca nazionali e dal Ministero della Cultura di Lima che, senza neanche esaminarle, ha subito definito le mummie dei falsi creati solo a fini di marketing. Eppure, per i tre relatori principali - lo stesso Jamin, il medico russo Galetsky Dmitri Vladislavovich (professore di odontoiatria e chirurgia maxillo-facciale dell’Università di San Pietroburgo) e il biologo messicano José de la Cruz Ríos Lópe - non c’è invece alcun dubbio che si tratti di autentiche creature viventi con caratteristiche molto diverse da quelle umane

Mostrando foto e riproduzioni in 3D, i tre hanno presentato i loro studi basati sul Carbonio 14, oltre che su esami istologici, antropologici e anatomici effettuati su quei corpi dotati ancora di organi interni, conservati grazie alla polvere di diatomee, un’alga fossile molto ricca di silicio che ne ha impedito decomposizione. Ma è il test del DNA a dare l’idea della peculiarità di questi resti: a detta dei ricercatori, le mummie (alcune sono di piccole dimensioni, ma quella denominata “Maria” è grande come un essere umano adulto) condividerebbero con l’uomo solo il 15-25% del patrimonio genetico. Un’affermazione che lascia a bocca aperta!

Per quanto riguarda la fisiologia e l’anatomia, poi, i corpi mostrano crani più larghi, assenza di padiglioni auricolari, cavità oculari più ampie e vertebre cilindriche che avrebbero permesso loro di ruotare il collo quasi di 180 gradi. Anche la particolare conformazione dei piedi (dotati di tre lunghe dita, esattamente come le mani), del tallone e della pianta comportava una deambulazione diversa dalla nostra, ma comunque eretta. Non solo: di diverso rispetto agli umani, le bizzarre creature alte poche decine di centimetri avevano anche la clavicola, il bacino, la bocca, le articolazioni e le impronte digitali. Le narici sembravano in grado di respirare “aria satura”.

D’altronde, affermano sempre i ricercatori di Alien Project, quegli esseri non erano neppure mammiferi, ma ovipari, visto che in uno dei corpi di dimensioni minori, soprannominata “Josefina”, è stato trovato un uovo fecondato con all’interno un embrione. Al di là dell’aspetto umanoide, quelle creature avevano piuttosto le caratteristiche dei rettili e una pelle a squame che le rendeva adatte a vivere nell’ambiente desertico. Sorprendentemente, nell’intestino di uno degli esseri sarebbe stato trovato anche un seme d’uva, a riprova che nel continente sudamericano questo frutto esisteva prima dell’arrivo degli Spagnoli. Anzi, molto prima: gli esami avrebbero permesso di datare alcuni reperti addirittura a 1800 anni fa.

Jaime Maussan sostiene altresì che c’è un nesso tra le pietre di Aztlàn e il ritrovamento delle Mummie Aliene di Nazca. I volti delle Mummie Aliene somigliano tanto ai disegni che si trovano nelle ceramiche di Ojuelos e mostrano creature aliene con occhi e testa molto grandi, che interagiscono con le popolazioni locali. Insomma, nel II-III secolo d.C., a Nazca e Palpa, in mezzo alle comunità precolombiane, sarebbero vissute anche queste strane creature dalle caratteristiche assurde.

Da dove provenivano?

Jamin, Vladislavovich e Ríos López non si sono avventurati in ipotesi: hanno piuttosto spiegato che servono indagini più approfondite, per cercare di stabilire quali rapporti potessero intercorrere tra quegli individui tridattili e gli esseri umani dell’epoca e se questi esseri abbiano avuto un ruolo nella realizzazione delle celebri Linee. A rendere ancora più intricata la matassa, l’annuncio del ritrovamento di un nuovo geoglifo, ovvero un grande disegno tracciato nel terreno, scoperto nella regione cilena di  Tarapacá,  che raffigura un essere umano con tre dita.

Maussan, sicuro di se, afferma l’origine extraterrestre dei reperti. Le analisi, specialmente quelle del DNA sui corpi più piccoli, dimostrano che si tratta di reali esseri viventi che non somigliano a nessun altro essere vivente sulla Terra - ha detto il giornalista, citato dalla televisione Eco Peru. Maussan ha a sua volta esortato le autorità competenti in ambito archeologico a fare nuovi scavi e a intensificare le ricerche, perché a suo avviso, nascosti in altre tombe ancora da scoprire, potrebbero esserci molti altri esemplari di questi umanoidi. Un invito che il vicerettore dell’Università San Luigi Gonzaga, Martín Alarcón, ha fatto suo: le mummie rimarranno nell’ateneo per essere sottoposte a minuziosi esami, allo scopo di verificarne l’autenticità. E forse alla fine di questo nuovo ciclo di studi sapremo se abbiamo a che fare con la frode meglio orchestrata degli ultimi decenni oppure con la scoperta più incredibile del XXI secolo.

domenica 15 novembre 2020

L'AEREO CHE ATTERRO' DOPO 35 ANNI


Basandosi sulla teoria della relatività generale, che descrive le interazioni tra massa, spazio e tempo, i fisici cercano di scoprire se una distorsione in queste variabili possa generare qualcosa come un tunnel temporale, una sorta di "wormhole", ma responsabile del collegamento tra due punti nel tempo. È solo un'ipotesi, quindi non sappiamo se il fenomeno sia fattibile. La storia del volo 513 è sicuramente una leggenda metropolitana: non ne ho trovato traccia negli annali dell’aviazione. Ho trovato, invece, tante storie simili che però si distinguono nei particolari (aeroporto di partenza o di arrivo, compagnia aerea, identificativo del volo, date in cui sarebbe iniziato il volo, quella in cui è terminato etc.). Una storia poco credibile, quindi, ma che ha appassionato i lettori di questo genere. Se la pubblico è solo per dare completezza a un blog che ormai è divenuto un compendio di tutto ciò che è insolito o misterioso.


Il 4 settembre 1954 il volo 513, della compagnia aerea Santiago, partì dalla Germania Est, diretto a Porto Alegre, in Brasile. Il decollo avvenne in modo del tutto normale ma, una volta sull’Oceano Atlantico si perse il contatto radio con l’aereo. Allora, come oggi, la scomparsa di un aereo causa una gigantesca mobilitazione tesa alla ricerca degli eventuali sopravvissuti o almeno dei resti dell'aereo. Tuttavia, nonostante le intense ricerche, l'aereo non fu più trovato. Ma il 12 ottobre 1989, un vecchio aeroplano  apparve sopra l'aeroporto di Porto Alegre.Seguendo la procedura, ma senza attendere l’autorizzazione della Torre di controllo, con la quale non vi fu alcun contatto radio, l’aereo inizio le fasi di atterraggio, provocando scompiglio tra i controllori del traffico aereo che dovettero liberargli la pista (in qualche versione alternativa si palesa addirittura una quasi collisione in volo con un altro aereo). Quando l’aereo si fermò, fu inviata una squadra per investigare sull’accaduto. L'aereo era un vecchio modello (in molte versioni un lockheed costellation L-049/149) ma appariva in buone condizioni. Ciò che catturò l'attenzione della squadra, furono le insegne della compagnia, che aveva chiuso le attività nel lontano 1956. Le guardie aeroportuali fecero irruzione a bordo, ma ciò che videro li lasciò esterrefatti. In cabina c’erano novantadue scheletri, tutti seduti correttamente nelle loro poltrone. Come se ciò non bastasse, anche i membri del'equipaggio erano al loro posto, i motori erano accesi e il pilota aveva ancora le mani scheletriche sui comandi. Sebbene il caso fosse qualcosa di clamoroso non ebbe alcuna ripercussione. La storia venne alla luce solo grazie a un giornale americano il “Weekly World News”, noto per le sue pubblicazione che riguardano spesso argomenti soprannaturali o paranormali. Ciò ha fatto sì che in pochi fossero propensi a credere a questa storia. Tuttavia, c’è chi è propenso a credere che sia stata messa in atto una copertura.

L’ottimo aspetto dell'aereo, dopo trentacinque anni, potrebbe essere la prova che fosse davvero incappato in una fenditura dello spazio-tempo proprio mentre attraversava l'Atlantico. A sostenere questa tesi fu il Dr. Celso Atello, uno studioso del paranormale. Però secondo questa teoria, i passeggeri e il rispettivo equipaggio sarebbero dovuti rimanere in vita. Il motivo per cui i passeggeri sono morti, ha spinto i ricercatori a considerare l'ipotesi che il volo potrebbe avere avuto un contatto con degli alieni che avrebbero ucciso i passeggeri. Una volta che i passeggeri e l'equipaggio furono "soppressi" gli alieni avrebbero deviato l'aereo conducendolo fino all'atterraggio in un aeroporto del Sud America scelto in maniera casuale. Un’ipotesi fantasiosa e del tutto priva di fondamento. Insomma, ci sono molti dubbi sull'evento, anche considerando che la storia coinvolge questioni che vanno al di là delle nostre conoscenze.

venerdì 25 settembre 2020

FATTORE TERZO UOMO

Shackleton raccontò che a un certo punto di quella odissea iniziò a percepire la presenza nel gruppo di un altro ‘compagno’, che però non era visibile.
Il famoso esploratore antartico Ernest Shackleton, narra che nell’ultima tappa della sua spedizione del 1914-1917 visse una situazione drammatica. Insieme a due compagni e in condizioni estreme cercò disperatamente di raggiungere una stazione marina britannica. Erano a corto di cibo, disidratati, poco equipaggiati e molto vicini al collasso fisico.
Per una qualche ragione, sapeva che c’era una quarta persona in viaggio con a loro, la cui presenza, benché invisibile, era di conforto e incoraggiamento. Quando finalmente raggiunsero la stazione, Shackleton decise di tenere questo dettaglio per se e non ne parlò nemmeno in seguito. Solo dopo molti anni decise di raccontare la sua strana esperienza a un giornalista, e il susseguente articolo incoraggiò i suoi ex compagni di viaggio ad ammettere di avere vissuto anch’essi la strana sensazione di una presenza invisibile che marciava con loro.
Cos’era la ‘presenza’ che i tre avventurieri raccontarono di avere percepito?
Simili fattispecie furono registrate anche in seguito a naufragi ed altre avversità raccontate, in tutto il mondo, dai sopravvissuti. La scienza codificò il fenomeno con il nome di Fattore Terzo Uomo. Di solito l’esperienza si verifica quando qualcuno si trova completamente solo in estrema difficoltà, tanto da temere di non farcela e di perdere la vita. Tuttavia è successo che sia stata sperimentata anche da più soggetti contemporaneamente, come nella spedizione di Shackleton.
Nel caso di Frank Smythe, uno dei primi esploratori a tentare la scalata del monte Everest, dopo che i suoi compagni avevano scelto di rinunciare e fare ritorno al campo base, iniziò a percepire la presenza di un compagno di viaggio invisibile. Ne era certo al punto che tagliò una seconda fetta di torta e gliela offrì, prima di realizzare di essere solo e che nessuno in realtà gli sedeva accanto.

 

A volte è solo una netta percezione di non essere soli. In altre circostanze accade di udire una voce che ti parla, ti incoraggia a non mollare.
Quando James Sevigney fu sorpreso da una valanga sulle Montagne Rocciose canadesi, si ruppe la schiena in due punti, entrambe le ginocchia e perse molto sangue. Nei momenti drammatici vissuti sepolto sotto i detriti udì distintamente una voce intimargli che non poteva darsi per vinto: doveva sopravvivere. Era una voce perfettamente distinguibile e proveniva da pochi centimetri dal suo orecchio.
In altre circostanze la presenza assume addirittura forma fisica. Peter Hillary racconta che quando visse una disavventura nel corso di una spedizione al Polo Sud nel 1998, a un certo punto, fu accompagnato da sua madre, morta in un incidente d’auto vent’anni prima.
Fattore comune di tutti questi episodi è la condizione di enorme stress e pericolo vissuta dai narratori. Episodi analoghi sono stati raccontati da esploratori, alpinisti, subacquei, marinai e prigionieri di guerra, perfino un superstite degli attentati dell’11 Settembre asserisce di essere stato guidato fuori dalle Torri Gemelle da una ‘presenza’ invisibile.
Il fenomeno stimola ipotesi interessanti. Molti scienziati sostengono che tali presenze non siano altro che l’effetto di un processo mentale che si innescherebbe sull’orlo della morte. Tuttavia il processo sembra essere selettivo, dato che non scatta in chiunque si trovi in condizioni disperate. L’unica cosa certa è che accade all’improvviso, è percepito in modo diverso da un’allucinazione e in larga parte, chi l’ha sperimentato sostiene che susciti un effetto benefico. Le condizioni essenziali affinché si manifesti sono lo shock, la paura e lo stress.

 

Potrebbe trattarsi di un fenomeno metafisico. Ipotesi che si adatta molto bene al mito del cosiddetto “angelo custode.”
Al di là di quelle descritte, tutt’altro che conclusive, non esistono teorie scientifiche in merito al fenomeno del Terzo Uomo, specie per quei casi in cui si manifesti simultaneamente in un insieme di soggetti.

giovedì 24 settembre 2020

I MISTERIOSI WANDJINA




“Prima di ogni cosa esisteva Altjeringa, il Mondo del Sogno. I Kundingas, i Padri venuti dallo spazio sognavano l’Australia, la nostra terra, cercando un luogo dal quale i loro discendenti avrebbero potuto trarre nutrimento e conoscenza”.
Per quanto possa sembrare impossibile, ci sono cose in Australia che non si possono spiegare. Cose che rendono questa terra o comunque gran parte di essa, un mondo a parte, che è possibile osservare e recepire soltanto liberandosi dai preconcetti. In questa dimensione parallela, l’unico padrone è il Sogno: un particolare stato della mente che permette di distinguere una normale roccia da quella che invece rappresenta “il Sogno dell’Acqua”, oppure osservare gli anfratti tra i monti e trovare “il Sogno della Giustizia”. Non è soltanto una antica credenza, il residuo di atavici insegnamenti, per gli Aborigeni si tratta di una vera e propria eredità, del dono lasciato dagli Dei che scesero dal cielo. Essi sono una costante nella cultura di questo e di altri popoli primitivi, sono le radici di un passato che si presenta con non pochi misteri da risolvere.
Quello che ci rimane, sono delle pitture rupestri. In particolare quelle presenti nella zona di Alice Springs (dove è possibile imbattersi in pitture raffiguranti esseri con abiti spaziali) altri siti degni di nota sono quelli di Ndahla Gorge (degli Dei con antenne), di Yarbiri Soak e di Nimingarra. 



Chi fossero questi misteriosi esseri non è facile dirlo. Più ci si addentra nella cultura degli Aborigeni, più ci si scontra con realtà che non dovrebbero esistere. Come può una cultura, ostinatamente primitiva, essere a conoscenza del legame esistente tra la luna e il ciclo delle maree (il mito di Alinda, l’Uomo Luna), ed essere al corrente che la stessa luna ha un ciclo differente da quello del sole.
Chi portò queste conoscenze? 
 


Tutte le tradizioni orali si riferiscono ripetutamente ai misteriosi Wandjina, esseri giganteschi, senza bocca e dagli occhi neri, che portavano sulla testa una sorta di aureola a raggi. Sembra provenissero dalle Pleiadi. Vengono molto spesso rappresentati con una infinità di trattini verticali, a simboleggiare la pioggia della quale erano i portatori. Il loro capo, Maswac, era così potente che non aveva bisogno della bocca per esprimere la sua autorità.
I Wandjina (termine che significa “il Tutto”) vissero sulla Terra in un tempo chiamato “dei genitori”, un'era durante la quale alcuni di questi Dei insegnarono agli uomini. In un periodo indeterminato della loro storia, i Wandjina subirono una trasformazione e crearono il mondo attraverso il canto.
Provenivano da un’epoca antecedente, “Il Tempo del Sogno”, durante la quale questi “Dei” non avevano una forma ben definita. Loro principale compito fu quello di insegnare “le leggi, i precetti e le regole di comportamento”, oltre a introdurre i rituali e le pratiche cerimoniali ancora oggi in uso presso le varie tribù.
Si riscontrano somiglianze tra gli antichi e i moderni racconti riguardanti l’interazione con il nostro pianeta di esseri provenienti dallo spazio. Alcune tribù Aborigene, ad esempio, raccontano di un essere chiamato Djamar. Venne dallo spazio e atterrò sulla terra a bordo di un oggetto lucido, lasciando sul terreno quattro fori perfettamente regolari. La sua presenza fu preceduta da un forte vento. A riprova della veridicità del racconto, gli Aborigeni mostrano le colline circostanti sulle quali non cresce più alcuna pianta e le cortecce danneggiate: tutti danni permanenti provocati dall’atterraggio di Djamar. Il suo velivolo si chiamava “Tjurunga” e viene descritto come un lungo e lucente oggetto sigariforme con tante luci.
Altra tradizione degna di nota, è quella che parla degli “uomini intelligenti” o “uomini di alto grado” e delle loro “ascensioni celesti”. Si tratta degli sciamani aborigeni, i cui rituali di iniziazione mostrano un sorprendente parallelismo con la descrizione dei moderni casi di Abduction. lo stesso dicasi per il rituale di “morte e resurrezione”, durante i quali, al risveglio dallo stato estatico, il candidato racconta di un meraviglioso mondo celeste e tutti i soggetti, anche se appartenenti a tribù diverse e non in contatto tra loro, descrivono lo stesso scenario.



 
 
Nella mitologia degli aborigeni australiani, il “Dreamtime”, il Tempo del Sogno, rappresenta l'epoca precedente alla creazione del mondo, voluto dalle “creature sognanti” che cantavano tutto il creato. Ognuno di questi canti è la descrizione del percorso che segue ogni creatura ancestrale durante il suo viaggio originario. Le origini delle storie riferite al Tempo del Sogno si perdono nella notte dei tempi, tramandate sempre allo stesso modo da più di 40.000 anni. Per quanto possa apparire semplice nella sua esposizione, il Dreamtime in realtà si esprime attraverso regole ben precise e contiene molte parti, queste quelle principali:
  1. La storia delle cose che sono accadute.
  2. Come si venne a creare l'universo.
  3. Come furono creati gli esseri umani.
  4. Come il Creatore sognò il loro ruolo all’interno del cosmo. 

I racconti relativi al Sogno accennano spesso a Jiva o Guruwari, una sorta di seme di energia che venne depositato sulla Terra, la cui potenza creatrice è proprio il Sogno, capace di plasmare e dare vita ad ogni cosa.
Quando si scrive dell’Australia, degli Aborigeni e dei misteri che li circondano, non si può non citare il monolito più grande del mondo: nove chilometri di circonferenza e una moltitudine di enigmi, fanno di Ayers Rock una sorta di totem che simboleggia il mito della creazione. Nella tradizione sacra il luogo prende il nome di Uluru, il Cuore Rosso, plasmato dagli Dei venuti dal cielo quando tutto era piatto e senza alcuna forma.
Gli aborigeni sono ritenuti i più antichi abitanti del Cuore Rosso, la loro esistenza, infatti, fa retrodatare di oltre 30.000 anni la presenza dell'uomo in Australia. Le varie tribù, che tra loro si definiscono genericamente con il nome di Arunta, sono accomunate da un complesso di credenze mitiche e religiose intimamente legate alla natura e in particolare, proprio alle strutture rocciose di Ayers Rock e dei vicini Monti Olgas. Nelle caverne che si aprono alle pendici, pitture e graffiti raccontano da millenni una antica eredità, lasciata a questo mondo da misteriosi esseri provenienti dalle stelle.
 
 
 
Proprio su questo complesso roccioso abitavano, ai tempi dell’Altjeringa, i Kundingas. 
A questi misteriosi esseri si affiancavano gli Uomini Lumaca (Yankuntjatjara). Nelle grotte ai fianchi della montagna, alle quali il Governo Australiano ha vietato l’accesso tranne che per gli Aborigeni, nei pressi di una roccia chiamata “il Sogno del Saggio”, si svolgono le cerimonie di iniziazione alla Kadajingera.
Spostandosi da Ayers Rock, i Kundingas avevano iniziato a sognare; questo termine, che ricorre molto spesso nei racconti degli Aborigeni, non deve essere inteso nel senso comune che siamo soliti attribuirgli, si tratta in realtà di una via di mezzo tra il creare e il cantare. I Kundingas attraversarono tutto il territorio australiano alla ricerca di fonti, di rocce e di percorsi che si sarebbero in seguito rivelati utili ai loro discendenti. Durante i loro spostamenti creavano gli uomini dall’argilla, lasciandosi dietro una lunga scia di note musicali.
Quando ripartirono, lasciarono il ricordo del loro sogno nelle reminescenze e nelle tradizioni dei loro figli: gli Aborigeni.
Gli Aborigeni che hanno superato il rito iniziatico (Kadajingera), sono in grado di vedere questo mondo, ma poiché la terra nacque dal seme universale, la sua energia appartiene a tutti e da tutti può essere osservata. Anche i bianchi, quindi possono distinguere una semplice roccia da una roccia che esprime invece il Sogno dell'Acqua.
Coloro che sono in grado di sognare pur non essendo Aborigeni vengono definiti “Cumbo” e tutti sono legati da particolari vincoli di “parentela”, completamente diversi da quelli che noi concepiamo. Un Aborigeno, così come un Cumbo, può avere infatti molti “padri” e molte “madri”. Si tratta forse della più antica e semplice spiegazione di un legame tra l’uomo e alcune forme di vita che dimorano nello spazio, un legame che un tempo era ben conosciuto e che oggi rimane uno dei più antichi misteri da riscoprire. 

sabato 5 settembre 2020

KUMBANDY


Una strana scoperta, avvenuta nel tempio buddista di Wat Prapangmuni, rivela delle mummie che, a detta dei monaci, sarebbero dei “Kumbandy”, creature dal corpo traslucido da cui si sprigiona una luce verdastra. Queste creature sarebbero in grado di spostarsi nell’aria avvalendosi di un’energia sconosciuta. Inoltre, se necessario, hanno la capacità di diventare trasparenti  o addirittura completamente invisibili.
Il tempio si trova in Thailandia, si nasconde tra fitte foreste che per secoli hanno custodito le reliquie buddiste più importanti, tra cui quelle dei Kumbandy. I loro corpi, mummificati, sono stati collocati in una teca di vetro, insieme a una grande varietà di gioielli e dipinti. Il locale che custodisce queste reliquie è interdetto ai turisti, che senza un permesso speciale non possono accedervi.
Le mummie sembrano appartenere a piccole creature munite di strane teste, molto simili a un bocciolo di fiore. Sono perfettamente conservati e si possono notare distintamente gli occhi, una specie di bocca e un naso virtualmente indistinguibile da quello umano. Le analisi ai raggi X dimostrano che le creature, in vita, erano completamente strutturate e sono dotate di uno scheletro assolutamente identico a quello umano, anche se molto più piccolo.
Gli esperti che li hanno esaminati sono riusciti persino a distinguerei loro organi interni, o meglio, ciò che ne rimane, in particolare: i denti e la lingua.
Gli scettici sostengono che questi esserini mummificati non siano altro che dei bambini malformati, magari nati prematuramente. Ma, come abbiamo già detto, l’esame dell’apparato scheletrico dimostra che essi erano completamente formati, per cui si può tranquillamente affermare che avevano raggiunto l’età adulta.

martedì 1 settembre 2020

IL DIAVOLO DEL JERSEY


Anche un cronista dell’insolito deve poter decide se la notizia che pubblicherà, oltre a essere davvero insolita sia anche effettivamente credibile, magari lasciando al lettore il beneficio del dubbio. Raramente, invece, mi azzardo a pubblicare storie come questa, che narrano di un animale tanto bizzarro quanto improbabile, eppure avvistato più volte nel corso di moltissimi anni, a dimostrazione di come può nascere e diffondersi una leggenda metropolitana.
 

Secondo il folklore del New Jersey meridionale e di Filadelfia, il Jersey Devil (noto anche come Leeds Devil) è una bizzarra creatura che, si dice, abita i Pine Barrens del South Jersey. La creatura è spesso descritta come un bipede volante con gli zoccoli, ma ci sono molte varianti. La descrizione più comune è quella di una creatura simile a canguro con ali di pipistrello, corna, braccia piccole con mani artigliate, gambe con zoccoli fessurati e coda biforcuta. Si muove rapidamente ed emette un urlo agghiacciante.
La leggenda ebbe origine allorché Jane Leeds, madre di 12 figli, dopo aver scoperto di essere incinta per la tredicesima volta, presa dallo sconforto, maledì il nascituro, gridando che il bambino, una volta nato, sarebbe stato un diavolo. Durante una notte tempestosa (era il 1735) la signora Leeds entrò in travaglio. Era in casa sua dove i suoi amici si erano radunati per l’evento. Nato come un bambino normale, il tredicesimo bambino si è poi trasformato in una creatura leggendaria dotata di zoccoli, testa di capra, ali di pipistrello e coda biforcuta. Ringhiando e urlando, frustò tutti con la coda prima di volare via su per il camino e dirigersi verso la boscaglia.
La signora Leeds pare sia stata identificata come una certa Deborah Leeds, sulla base di un documento testamentario risalente al 1736. Suo marito, Japhet Leeds, nominò nel testamento dodici figli e ciò è compatibile con la leggenda. Deborah e Japhet Leeds, inoltre, vivevano nella sezione di Leeds Point di quella che ora è Atlantic County, New Jersey, che è comunemente identificato come il luogo della leggenda.
Sebbene questa storia vada avanti sin dal XVIII secolo, si afferma che la rappresentazione più moderna del mostro, così come l'ormai pervasivo nome "Jersey Devil", divenne standardizzata nella sua forma più attuale solo all'inizio del XX secolo.

 

Riferimenti a "Leeds Devil" o "Devil of Leeds" compaiono sulla carta stampata già dalla metà del XIX secolo. Nel 1859, l'Atlantic Monthly pubblicò un articolo che descriveva in dettaglio i racconti del Diavolo di Leeds popolari tra i residenti delle Pine Barren. Un giornale del 1887 descrisse gli avvistamenti di una creatura alata, denominata "il Devil of Leeds ", presumibilmente avvistato vicino a Pine Barrens e ben noto tra la popolazione locale nella contea di Burlington (New Jersey).



“Ogni volta che si avvicinava ai cani, emetteva un urlo ultraterreno che li spaventava. Ha frustato tutti i cani del posto. "Quella cosa", disse il colonnello, "non è un uccello né un animale, ma è il diavolo di Leeds. Secondo la descrizione, è nato a Evasham, nella contea di Burlington, cento anni fa. Non ci sono errori. Non ho mai visto l'orribile creatura di persona, ma ricordo bene quando, nei boschi di Evasham, cinquant'anni fa, veniva inseguita e cacciata con l’ausilio dei cani e venne anche colpita, ma non poté essere uccisa. Non c'è una famiglia a Burlington o in nessuna delle contee adiacenti che non conosca la leggenda: il diavolo di Leeds è lo spauracchio per tutti i bambini già da quando ero ragazzo!”
 

Ma molti ancora sono i resoconti di avvistamenti che riportano il Jersey Devil.
Si racconta che il Commodoro Stephen Decatur, mentre visitava l'Hannover Mill Works per supervisionare una fornitura di palle da cannone, non solo avvistò la creatura volante, ma gli sparò (con un cannone) senza ottenere alcun effetto.
Si dice anche che anche Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone, nel 1820, abbia visto il diavolo di Jersey mentre cacciava nella sua tenuta di Bordentown.
Nel 1840, il diavolo di Jersey fu accusato di aver ucciso del bestiame. Attacchi al bestiame furono segnalati anche nel 1841, furono caratterizzati da strane da tracce sul terreno e urla nella notte.
Durante la settimana dal 16 al 23 gennaio 1909, i giornali dell'epoca pubblicarono centinaia di presunti incontri con il Jersey Devil. Comparvero sulla stampa delle affermazioni: sembrava che la creatura avesse attaccato un tram a Haddon Heights e si fosse introdotta im un club a Camden. La polizia di Camden (Pennsylvania) avrebbe sparato contro la creatura senza riuscire ad abbatterla.

 

A Greenwich, nel dicembre 1925, un contadino sparò a un animale non identificato che tentava di sottrargli i polli. Fotografò il cadavere, ma affermò che nessuna delle 100 persone a cui, in seguito, aveva mostrato la foto fu in grado di identificarlo.
27 luglio 1937, un animale sconosciuto "con gli occhi rossi" fu visto dai residenti di Downingtown (Pennsylvania). Fu raffigurato come il Jersey Devil da un giornalista.
Nel 1951, un gruppo di ragazzi, del New Jersey, affermarono di aver visto un "mostro" che corrispondeva alla descrizione del famigerato Diavolo.
Nel 1957 fu rinvenuto il cadavere di un animale la cui descrizione corrispondeva a quella del Diavolo di Jersey.
Nel 1960, i mercanti intorno a Camden offrirono una ricompensa di $ 10.000 per la cattura del Jersey Devil. La cosa pareva così probabile che fu predisposta una gabbia per ospitare la creatura, se fosse stata catturata.
Altri rapporti riguardarono impronte non identificate nella neve, ma presto avvistamenti di creature somiglianti al Diavolo di Jersey furono segnalati in tutto il South Jersey, fino al Delaware e all'ovest  del Maryland. La notizia, apparsa sui giornali creò il panico nella Delaware Valley. Vennero chiuse le scuole e in molti contribuirono a formare gruppi di vigilanti, mentre i cacciatori perlustrarono le campagne alla ricerca del Diavolo. Durante questo periodo, pare che lo zoo di Philadelphia abbia assegnato una ricompensa di $ 10.000 per la cattura della creatura. L'offerta determinò una serie di frodi, tra l’altro, pur di riscuotere la ricompensa, fu presentato un canguro a cui erano stati attaccati artigli e ali di pipistrello.

 

Per gli scettici, il Jersey Devil è semplicemente il frutto dell’immaginazione dei primi coloni inglesi. Uno spauracchio nato dai racconti degli annoiati residenti di Pine Barren: una sorta di favola per bambini. D’altronde, le Pine Barrens godevano di una pessima reputazione che potrebbe effettivamente aver contribuito alla leggenda del Jersey Devil. Storicamente, le Pine Barrens erano considerate terre inospitali e rifugio di banditi. I ribelli lealisti noti come Pine Robbers, erano noti per i loro attacchi e le rapine ai viaggiatori di passaggio. Durante tutto il 1700 e anche nel 1800, i residenti delle isolate Pine Barrens erano, più che altro, degli emarginati: fuggitivi, briganti, nativi americani, bracconieri, schiavi in ​​fuga e disertori. Sicuramente furono promosse delle storie spaventose per tenere alla larga tutti gli estranei.
Jeff Brunner della Humane Society del New Jersey afferma: 


"Non ci sono fotografie, né ossa, né alcuna prova concreta e quel che è peggio, le origini di questo animale affondano nel soprannaturale."
 
Il sociologo Dr. Robert E. Bartholomew e l'autore Peter Hassall citano la serie di avvistamenti del 1909 (e il conseguente terrore tra la popolazione) come un classico esempio di isteria di massa, dovuta a una leggenda metropolitana.
Tuttavia, c’è un gruppo del New Jersey chiamato "Devil Hunters", sedicenti "ricercatori del Jersey Devil": si  dedicano assiduamente alla raccolta dei rapporti, alla ricerca di dati storici nonché a battute di caccia nelle Pine Barrens, per fornire la prova che il Jersey Devil esiste.

sabato 15 agosto 2020

L’AUTOSTRADA PER LE VACANZE


Milioni di italiani, quest'anno più ancora che in passato, stanno partendo per le vacanze in automobile, rinunciando agli spostamenti in treno o in aereo per paura di assembramenti turistici: l'ennesima eredità ricevuta dalla pandemia. Hanno incontrato cantieri stradali che perdurano anni e non scompaiono nemmeno nei periodi di esodo. Perché in Italia i lavori stradali non si sa mai esattamente quanto costano né quando finiscono?
Cosa li rende opere eterne, quando potrebbero essere smantellati in tempi ragionevoli?
Lavori uno dietro l'altro: la rete autostradale è costellata di barriere e interruzioni. C'è, in media, un cantiere ogni 15 chilometri. Avviene nelle tratte in concessione, la maggior parte delle quali gestite da Autostrade per l’Italia (Aspi, che fa capo ai Benetton, con 3.020 chilometri) e Astm (della famiglia Gavio, 1.423 chilometri). Sulla rete Anas, il principale gestore stradale, che fa capo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, c'è invece un cantiere ogni 46 km.
A maggio (2020) risultavano attivi 1.039 cantieri sulla viabilità principale italiana: 633 su rete Anas, 406 sulle autostrade in concessione.
Di sicuro chi ci rimette sono gli automobilisti, costretti a fare la coda e a pagare su strade che, proprio perché a pagamento, dovrebbero garantire una percorribilità fluida. Purtroppo i guai non finiscono qui. Un altro problema è la minore sicurezza che la presenza di cantieri porta con sé. La circolazione è meno sicura, in particolare se c'è una riduzione di carreggiata. Altri tipi di lavori in genere non determinano particolari problemi di sicurezza. Gli incidenti stradali che avvengono in presenza di cantieri sono causati dal fatto che gli utenti tendono ad assumere comportamenti poco sicuri. Cambia la guida che, per insofferenza, diventa meno prudente:  c’è poco rispetto della riduzione di velocità, e la distanza di sicurezza è inappropriata.


Dopo aver percorso, per vari motivi, più di 220 km di autostrada in lungo e in largo per la Campania è facile capire quali sono i problemi legati alla presenza di cantieri.
Gli scenari sono quelli tipici: cantieri infiniti, limitazioni di carico e riduzione carreggiata, rappresentano la fotografia della realtà locale.
Partiamo dalla riduzione di carreggiata, il disagio più diffuso. Sulla A16, in direzione Napoli-Bari,  c’era un cantiere lungo circa 600 metri, la velocità consentita era di 40 km/h (senza cantiere sarebbe 110 km/h). Davanti a me, un'auto e un camion viaggiano quasi a 80 all'ora. Ho assistito allo scenario tipico di pericolo che si verifica in queste condizioni: il mezzo che precede, il camion, si sposta velocemente sulla corsia libera
di sorpasso e costringe il veicolo che segue a un brusco rallentamento, dato che non viaggiava a distanza di sicurezza. Di fronte a un cantiere, infatti, si tengono distanze ridotte, nell'illusione di recuperare il ritardo dovuto al rallentamento. Questa insofferenza è svelata dal fatto che l'automobile, appena superato il cantiere, si riappropriava della corsia veloce superando il camion. Si creava così una colonna di veicoli molto ravvicinati, dove una minima distrazione poteva innescare un tamponamento a catena. La presenza del cantiere, tra l’altro, avrebbe reso difficoltoso pure l’arrivo dei soccorsi!
I progettisti lo sanno: la larghezza delle strade e il numero di corsie è frutto di un complesso studio della viabilità. Quando si rende necessario chiudere una o più corsie questo delicato equilibrio salta e le ripercussioni sul traffico sono immediate. Il rallentamento del flusso di veicoli provoca una guida nervosa, fatta di continue frenate e accelerazioni fino al blocco del traffico e alla creazione di una coda. Quanto più è esteso il cantiere o i più cantieri in successione ravvicinata tanto più la circolazione ne risentirà: l'ingorgo potrà estendersi fino a diventare un'unica coda, portando alla paralisi di lunghi tratti di autostrada.
Un rischio concreto, perché di cantieri ravvicinati ce ne sono. Sulla A16, è stato rilevato che il 25% del tratto Baiano-Benevento (la Napoli-Bari) è occupato da cantieri che riducono a una sola corsia per senso di marcia (pari a 10,7 km verso Bari e a 9,7 km verso Napoli).
Praticamente un cantiere ogni 3,5 km in entrambi i versi. Sul tratto del raccordo RA9 che collega Benevento alla A16, c’erano due cantieri per senso di marcia: si tratta del 13% verso l'A16-Benevento, del 6% nel percorso di ritorno).


Da anni le barriere di alcuni viadotti dell'autostrada A16 sono state sequestrate dalla magistratura, che sta indagando ancora sull’incidente del viadotto Acqualonga del 2013. L’approfondimento delle indagini sta evidenziando un problema diffuso sulla nostra rete, ovvero l’esistenza di strutture poco sicure che potrebbe richiedere il sequestro anche di altre aree della rete italiana. Sembrerebbe infatti che l'incidente sia dovuto alla scarsa manutenzione di alcuni bulloni che ancorano al suolo le barriere di bordo ponte. I tempi di intervento si prevedono lunghi: ecco un'altra causa della cattiva viabilità della nostra rete. Inoltre, negli ultimi anni, dopo l'incidente di Genova, sono stati intensificati i controlli e si stanno aprendo molti nuovi cantieri per fare accertamenti.
Un altro caso di cantiere infinito, che caratterizza la viabilità italiana, è quello dello svincolo della tangenziale di via Campana all'altezza di Pozzuoli (A56). Non si tratta di un interventi di manutenzione, ma del completamento di un'opera che ha origini nel 2006 e che a oggi deve essere ancora ultimata. Un iter durato 14 anni, fatto di lungaggini amministrative, piani di finanziamenti e indagini tecniche che lo hanno trasformato in un'italica fabbrica del duomo. A maggio, l'ingresso verso Napoli era impedito, con ripercussioni evidenti sul traffico locale.
A creare problemi di viabilità si aggiunge la limitazione di lungo periodo al traffico dei mezzi pesanti. Sulla A56, lungo il percorso da Napoli verso l'aeroporto di Capodichino, c’era un tabellone elettronico che indicava il divieto permanente di transito per i camion di peso superiore a 3,5 tonnellate. Si tratta di un provvedimento preso dopo alcune ispezioni di sorveglianza che hanno evidenziato la necessità di lavori di manutenzione al viadotto “Capodichino”, che sovrasta per 1,2 km una delle zone più densamente abitate di Napoli. Oggi il divieto riguarda solo i mezzi di peso superiore a 26 tonnellate, ma questo non ha ridotto i disagi per l'utenza, visto che la circolazione dei camion continua a essere dirottata dalla tangenziale verso la città.


Una soluzione a questi problemi sarebbe la prevenzione: il monitoraggio mediante sensori elettronici consente una manutenzione costante delle infrastrutture. È una prerogativa imprescindibile di un corretto sistema di gestione, perché permette di individuare i problemi sul nascere e quindi di risolverli con interventi di modesta entità e di facile attuazione. In questo modo si possono anche minimizzare i disagi a carico dei cittadini.
Altro discorso sono i pericoli dovuti a carenza di manutenzione (pensiamo ai i crolli in galleria in Liguria di solo pochi mesi fa), che sono un grave rischio per gli automobilisti di passaggio, ma anche un danno per tutti quelli che non potranno utilizzare l’infrastruttura per lungo tempo. Purtroppo la vita di un cantiere nasce già piena di insidie, per la maggior parte legate a vicende che poco hanno a che fare con le difficoltà tecniche di realizzazione delle opere. I rallentamenti sono quasi sempre dovuti a ostacoli burocratici. La ricostruzione del ponte Morandi in meno di due anni dimostra che quando si vuole le procedure possono rispettare i tempi. Ma, nel caso di Genova, si tratta di procedure superveloci, attuate da Commissari straordinari. Con il decreto Sblocca Cantieri sono state introdotte novità nel settore dei lavori pubblici, a partire dalla riforma del Codice degli appalti, che ha velocizzato l’iter di realizzazione delle opere.
L'iter ordinario delle opere stradali purtroppo è ben diverso e ancora troppo complicato. Non si trovano i finanziamenti in tempo o non li si sfrutta. Non si riesce a distinguere le imprese inaffidabili: il meccanismo delle aste è viziato, ci sono imprese che fanno ribassi impossibili pur di vincere le gare d'appalto e che poi falliscono o ritardano i lavori. C'è un sistema di norme che si automodifica in continuazione e anche questo rallenta i cantieri. Le autorizzazioni per arrivare ci impiegano anni e poi basta che qualcuno si metta di traverso e bisogna ricominciare daccapo, provocando chiusure a riaperture dei cantieri. Tanti ritardi sono dovuti dalle autorizzazioni che devono rilasciare i Comuni, la Provincia, le Regioni, il ministero dell'Ambiente, dei Beni culturali; poi ci sono i ricorsi degli ambientalisti e le prescrizioni. Insomma non c'è mai un responsabile, la burocrazia degli appalti è autoassolutoria, la colpa è collettiva. Così si non riescono mai a individuare le sacche di inefficienza.

sabato 8 agosto 2020

ESTATE COVID FREE


Quest’estate è un po’ diversa: c’è voglia di vacanza, ma anche timore per la propria salute. Quali precauzioni dobbiamo seguire per la prevenzione dei contagi? Tutti noi e in particolare i bambini, abbiamo un gran voglia di vivere questa ‘nuova’ estate. Per i più piccoli è fondamentale socializzare, mantenere i rapporti di amicizia con i coetanei e scoprirne di nuovi. Ma, anche in spiaggia, bisogna continuare a rispettare le norme anti contagio: distanziamento, igiene e mascherina nei luoghi chiusi. Nei centri estivi, se si svolgono giochi che non possono garantire un’adeguata distanza tra i bambini, è opportuno fargli indossare le mascherine. Non bisogna, quindi, rinunciare alla socialità: bambini e ragazzi potranno continuare a frequentare i loro coetanei, ma è meglio che lo facciano in gruppi omogenei, sempre gli stessi amichetti, in modo da ridurre la possibilità che vi sia qualche portatore del virus. In caso di contagio, inoltre, sarà più facile risalire ai contatti. Poi, l’igiene. È importante non trascurare la pulizia delle mani che vanno lavate spesso. Soprattutto ai più piccoli bisogna insegnare di non portare le mani alla bocca, né a stropicciarsi gli occhi quando si sono toccate più cose. Bambini e ragazzi devono essere consapevoli di quel che succede. La situazione che stiamo vivendo ci accompagnerà per molto tempo, anche durante il rientro a scuola e il futuro inverno. È dunque utile che i genitori infondano consapevolezza e diano messaggi chiari ai figli, naturalmente senza esagerare. Per quanto riguarda le mascherine (e l’obbligo o meno di portarle) meglio contare sulla distanza sociale invece di far leva solo sul senso di sicurezza che questa infonde. Attenzione alle fake news: non è vero che faccia male. Chi la indossa, anche per più ore al giorno, non rischia una carenza di ossigeno. La mascherina non indebolisce il sistema immunitario e non altera la flora intestinale. Nessuna controindicazione ad andare al mare, anzi, durante i periodi estivi le forme virali come quelle del coronavirus hanno modalità di trasmissione meno pericolose rispetto ai periodi autunnali o invernali, quando si vive in ambienti chiusi e c’è più umidità. Stare all’aperto, con un clima caldo e secco, rende più difficile la trasmissione attraverso le goccioline di saliva. Stessa cosa per la montagna e per i centri estivi. Dobbiamo prepararci ad affrontare il prossimo autunno, quanto è fondato il rischio di una recrudescenza del virus. Non lo sappiamo per certo, ma è possibile che tra novembre e gennaio prossimo ci sarà una recrudescenza e dunque, una seconda ondata di SarsCoV-2: le condizioni meteo favoriranno una nuova diffusione di questo virus che, tra l’altro, potrà nascondersi tra i casi delle varie forme respiratorie virali. Sono ottimista e penso che non sarà grave come la prima ondata, non tanto perché il virus sia diventato più buono, ma perché lo conosciamo meglio e sappiamo più cose su come gestirlo. Tuttavia, ricordate che il rischio di una seconda ondata dipenderà soprattutto da voi: da quanto saprete rispettare le misure chiave per contrastare il virus.

sabato 18 luglio 2020

SENZA TEMPO: RECENSIONE DI FRANK IODICE



È un peccato che questo romanzo sia rimasto per trent'anni in un cassetto e soltanto adesso Franco Cacciapuoti lo abbia tirato fuori. È un peccato per diverse ragioni, non soltanto perché da molto tempo l’autore avrebbe potuto ricevere le nostre lodi, ma perché in questi trent’anni sono stati scritti molti altri libri simili (ricordiamo Hopkinson, Matheson, o il più vicino Burgio) e girati diversi film (come “Star Wars”, “Man in black” o il più recente “Outlander”), libri e film con i quali “Senza tempo” potrebbe egregiamente competere.
Ex pilota professionista, l'autore ha saputo trasmettere attraverso il non detto, il suo amore per il volo oltre alla sua passione per il genere fantastico. A tratti sembra che egli stesso abbia viaggiato in una dimensione parallela e abbia parlato di persona con il popolo degli urani. Ciò non può che dimostrare l'abilità di un buon scrittore, capace di immergersi ed immergere noi in un mondo tanto sconosciuto quanto familiare, esplorato e immaginato, o semplicemente inventato. Non importa, purché nella finzione narrativa i personaggi giochino bene il loro ruolo.
Nota di merito anche ai dialoghi tra il protagonista, Adam, e gli urani; dialoghi che a un buon ritmo danno forma al romanzo, forse ancor meglio della parte narrata, a volte troppo scarna ed essenziale laddove avrebbe potuto rilassare un po’ la lettura prima di un colpo di scena ad esempio.
Un'ottima alternanza tra i capitoli scritti in terza persona e quelli nei quali è Adam stesso, personaggio dalla scaltrezza aliena e dal cuore terrestre, a narrare con passione e paura, binomio che da sempre ha delineato il carattere di un buon eroe.
Gli abitanti dei diversi pianeti colonizzati, immersi in una pace apparente e raggiunta in un tempo a noi sconosciuto, vedono avvicinarsi un’entità per la quale nessuno ha ancora trovato un nome, che viene definita “la Cosa”. Una delegazione del Governo Federale con sede sulla luna, presieduta dal Re in persona, convocherà il giovane umano per affidargli il compito più difficile sin da quando esiste l'umanità: salvarla.
I personaggi, abilmente inseriti nella storia, ricorderebbero i più noti protagonisti di “Star Trek”, ma si caratterizzano per un aspetto in particolare: la loro umanità. Il loro rapporto con la religione e, soprattutto, i loro sentimenti, conferiranno al romanzo di Cacciapuoti l’appartenenza a un nuovo sottogenere letterario la “fantascienza romantica”.
Infatti, se da un lato “Senza tempo” è un libro che potrebbe essere catalogato come l'ultimo di una lunga serie (anche se, come abbiamo detto con rammarico, avrebbe potuto essere uno dei primi) ed essere facilmente riposto in uno scaffale sotto la “F” di Fantascienza, dall’altro, l’aspetto romantico che caratterizza la vicenda di Adam ci farà cambiare idea.

mercoledì 15 luglio 2020

SENZA TEMPO ESCE IN LIBRERIA


C’era una volta un Re e c’era un epoca felice, un’età dell’oro della quale l’umanità serba ancora il ricordo. Questo libro potrebbe iniziare così. Badate bene: ho detto potrebbe! E in quest’epoca felice, due ragazzi che si amano. Ma allora, direte, è una storia romantica? Anche! E come tutte le grandi storie d’amore, si tratta di un amore travagliato.
Una terribile minaccia che nessuno riesce a definire e che viene chiamata la Cosa, distrugge la Galassia. Gli astronomi osservano che, dopo il passaggio della Cosa, il firmamento collassa subendo una radicale trasformazione. Tuttavia, rilevano, il cosmo sembra più funzionale: per certi versi, anche migliore. Ma, la nascita di una farfalla è, per il bruco, la fine del mondo! Tutti gli esseri viventi temono la morte e la sfuggono. Così, per sfuggire la minaccia, si organizza un esodo di proporzioni galattiche. Adam, il protagonista di questa storia, intravvede in questa pur triste vicenda l’occasione per realizzare un sogno: comandare una nave stellare di classe Ultralux. Ritorna perciò fiducioso su Luna, il grande pianeta dove sorge La Capitale, un’immensa metropoli che aveva lasciato qualche anno prima per dedicarsi all’agricoltura. Nonostante l’immane catastrofe, il racconto non è ammantato di pessimismo e aleggia continua la speranza di scampare al pericolo. Apprendiamo che il giovane era votato al successo: la sua mente sveglia, le sue grandi capacità deduttive, avrebbero fatto di lui un uomo di scienza su di un mondo dove il potere è appannaggio dei grandi inventori. A trarre vantaggio dalle sue scoperte è stato, invece, il suo precettore, che ha ottenuto fama e onori. Sarà quest’ultimo a candidarlo per una pericolosa missione. Adam, in un primo momento, declina la generosa offerta, ma quando una delegazione del governo federale, presieduta dal Re in persona, lo convoca per affidargli il compito, accetta. Non per desiderio di avventura, ma per un innato senso del dovere a cui proprio non riesce a sottrarsi. Lascia l’amata Eva per intraprendere un viaggio il cui ritorno sarà irto di ostacoli. Inizia così la sua personale Odissea nello spazio: un viaggio in cui scoprirà che il suo destino è nelle mani di misteriose entità, capaci finanche di costruire universi.  





SENZA TEMPO, il romanzo di Franco Cacciapuoti esce, oggi, con questo titolo, edito da Articoli Liberi. Lo potrete trovare anche sui maggiori book store - Clicca qui -
Questo romanzo, davvero fantascientifico, sa trasmettere attraverso l’arte del non detto, il mio amore per il volo oltre che la mia innata passione per il genere fantastico.
Leggendolo, avrete l'impressione di viaggiare in una dimensione parallela e di parlare di persona con il popolo degli Urani. I protagonisti, infatti, come per magia, sembrano uscire in carne e ossa dalle pagine del libro. Abilmente inseriti nella storia, ricorderebbero i più noti interpreti di “Star Trek”, ma la loro umanità e soprattutto i loro sentimenti, sembrano conferire al romanzo l’appartenenza a un nuovo sottogenere letterario il “fantascientifico romantico”.
La storia denota con quanta facilità, in questo caso, la scrittura sia capace di  far immergere i lettori in un mondo tanto sconosciuto quanto conosciuto, esplorato, immaginato in ogni più piccolo particolare, eppure semplicemente inventato. Il finale è una sorpresa che vi spingerà a ripercorrere, con il senno di poi, tutto l’intreccio della vicenda alla ricerca di quei piccoli dettagli, precisazioni, suggerimenti e rivelazioni che erano sapientemente sparsi lungo tutto il racconto.