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domenica 24 maggio 2020

VIMANA


Molti antichi testi Indiani, alcuni religiosi, altri di letteratura classica come ad esempio Ramayana, Mahabharata, Vymaanika-Shashtra, Puranas, Bhagaravata e molti altri, trattano di macchine volanti definite in sanscrito "Akasa yantrache".
Dall'analisi di tali testi, compiuta da innumerevoli studiosi e storici, sembrerebbe emergere che queste macchine, i Vimana appunto, altro non fossero che delle sofisticate macchine volanti le quali sfrecciavano comunemente nei cieli 15.000 anni fa.
Anche se il significato etimologico della parola Vimana non é molto chiaro ed é avvolto dal mistero, per alcuni studiosi sarebbe traducibile in: uova luminose anche se i riferimenti testuali a questi oggetti li definiscono come mezzi di trasporto utilizzati dai Deva: gli Dei.
Proseguendo nello studio degli antichi testi si evince che dovevano esistere Vimana grandi e piccoli. Alcuni di questi erano vere e proprie città volanti mentre quelli piccoli erano per il solo utilizzo del singolo pilota. Singolare é la particolarità dei dettagli: é come se avessimo a che fare con dei veri e propri manuali, in grado di spiegare la tecnologia di questi mezzi e addirittura esistono dei veri e propri corsi di pilotaggio.
L'importanza di questi dettagli é fondamentale perché ci porta a riflettere sul come circa 15.000 anni fa potessero soltanto pensare ad elaborare concetti che solo oggi si possono riscontrare nella moderna tecnologia aeronautica.

 

 

Il Vimaanika-Shashtra

 

Il Vymaanika-Shashtra é un manoscritto che fu dettato dal filosofo Indiano Pandit Subbaraya Sastry nel 1918. Questo incredibile documento, tra l'altro scritto interamente in Sanscrito (la lingua degli Dei) e non in Hindi, tradotto successivamente in inglese, già dal titolo esprime la voglia di addentrarsi in un mondo lontano 15.000 anni dove sembrerebbe essere esistita una realtà tecnologica ai limiti dell'immaginazione. Il titolo si potrebbe tradurre in "Pratiche Aeronautiche" o "Astronautiche". Questo stupefacente manoscritto racchiude la tecnologia dei Vimana e a differenza del Ramayana, in questo caso non si tratta di un poema epico, con racconti di battaglie tra Dei o leggende varie, questo testo sembra essere proprio un "manuale di costruzione, manutenzione e pilotaggio" di questi antichi velivoli.
In seguito cercheremo di mettere un po' d'ordine in queste complesse tematiche e di fornire, per quanto é possibile, una chiave di lettura moderna agli antichi testi indiani. Per fare ciò inizieremo ad analizzare il contenuto del manoscritto Vymaanika-Shashtra: lo scopo di questa ricerca é quello di scovare gli elementi di una tecnologia scomparsa.
Alcuni dati tecnici, molto dettagliati e interessanti, riguardano il sistema di propulsione dei Vimana che pare avvenga per mezzo di motori a combustione (nei testi si parla di caldaie) in altri casi, invece, la propulsione doveva avvenire per mezzo di un propulsore che utilizzava il mercurio come carburante.
Questo é un dato che mi sconcerta e probabilmente non va interpretato letteralmente; forse il mercurio serviva solo ad accumulare l'energia. In altri passi del manoscritto si parla di sistemi antigravitazionali controllabili con la forza della mente mediante tecniche di meditazione.  È singolare che, solo di recente, si stanno compiendo studi in questa direzione. I militari hanno compreso che, per ottimizzare ulteriormente i comandi dei caccia riducendo al minimo i tempi di reazione del pilota é necessario sviluppare una tecnologia che abbandoni ogni meccanismo manuale di guida. Sono già in fase sperimentale dispositivi di guida basati sul posizionamento della testa o addirittura sul solo movimento degli occhi del pilota. Mentre scriviamo, i primi velivoli sperimentali dotati di tali sistemi di guida stanno già volando nei nostri cieli, ma con essi si apre un capitolo nuovo: i piloti dovranno essere addestrati anche al controllo delle emozioni. Anche se l'uomo "moderno" é arrivato solo nel terzo millennio a sviluppare tecniche di volo basate sulle emozioni, nei testi riguardanti i Vimana vi era già traccia.
In altri passi del manoscritto indiano viene descritto anche l'interno della cabina di pilotaggio dove si trovano tre sedili tre leve e tre anelli ruotanti. Questi dovevano servire, rispettivamente, il primo a sollevare il veicolo, il seconda per dare la direzione e il terzo ad accelerarlo. Sono comandi molto simili quelli installati sui moderni elicotteri (collettivo, ciclico, pedaliera e manetta).
Uno dei passaggi più interessanti del testo Indiano é quello che descrive le varie leghe che venivano utilizzate per la costruzione dei Vimana nonché il procedimento impiegato per ottenerle. In proposito proponiamo alcuni passi del manoscritto.



"Shounaka dice che ci sono tre tipi di metalli detti Somaka, Soundaalika e Mourthwika che, opportunamente miscelati, danno origine a sedici tipi di leghe che assorbono molto bene il calore. Manibhadra dice che i metalli che sono luminosi sono adatti per produrre aeroplani e questi metalli sono sedici. Saambara dice ancora che sedici metalli formati da leghe di metalli del gruppo Soma, Soundaala e Mourthwika non sono conduttori di calore e sono utili per costruire vymaana."

 

Il testo continua cosí:



"Nel settimo strato della terra, nella terza miniera si trovano i metalli della serie Soma. Essi sono di trentotto tipi. Nel Lohatantra o Scienza dei Metalli viene detto anche che nella terza sezione del settimo livello della terra i metalli Soma possiedono cinque speciali qualità e sono detti beejalohas o metalli base"

 

e segue ancora:



"Nel settimo livello i metalli sono di ventisette specie. Il terzo tipo di metalli sono detti metalli base e hanno cinque qualità".
 

Per interpretare al meglio questa parte del Vymaanika-Shaastra é utile conoscere le regole con cui gli elettroni si distribuiscono attorno a un nucleo e quindi stabilire un sistema di classificazione degli elementi come quello della "tabella degli elementi" di Mendeleev. È noto che in chimica gli elettroni possono occupare proprio 7 livelli energetici distinti. È facile, quindi, ipotizzare che le popolazioni indiane di 15.000 anni fa conoscessero i 7 livelli energetici degli elettroni e che evidentemente conoscessero anche le regole con cui gli elettroni si dispongono nello spazio attorno al nucleo. Infatti noi conosciamo otto modi possibili di sistemare gli elettroni attorno al nucleo di un atomo e per questo abbiamo diviso la tabella di Mendeleev in otto gruppi.

 

Ecco un altro passo significativo del Vymaanika-Shaastra:

 



"La gravità del centro della terra, la gravità della terra globale, il flusso solare, la forza dell'aria, la forza emanante dai pianeti e dalle stelle, le forze gravitazionali del Sole e della Luna e le forze gravitazionali dell'Universo producono i livelli della terra nelle proporzioni 3, 8, 11, 5, 2, 6, 4, 9 e causano l'origine dei metalli".

 

La traduzione di queste parole, stando ai riferimenti dettati dalla chimica e dalla fisica odierna, sarebbe questa:

 



"Tutte le forze e le interazioni dell'Universo, espresse da leggi fisiche ben precise, hanno formato i diversi metalli che si dividono in otto tipi fondamentali descritti da otto numeri. Ciascun numero sembra descrivere la configurazione elettronica del primo elemento di ciascun gruppo, il 3 é il litio, l' 8 é l'ossigeno, il 5 é il boro, il 2 é l'elio, il 6 é il carbonio, il 4 é il berillio, il 9 é il fluoro mentre l'11 é il sodio ma al suo posto ci dovrebbe essere l'azoto (N = Nitrogeno)".

 

Quest'ultima é l'unica discrepanza che si trova in questo paragrafo del manoscritto. Forse il numero 11 é stato mal ricordato e quindi mal riportato nel libro. Oppure semplicemente mal tradotto. In fondo dopo 15.000 anni ci si può anche permettere un piccolo errore. È quindi molto plausibile che 15.000 anni fa gli indiani conoscessero molto bene la chimica e la fisica al punto di riuscire, anche meglio di quanto facciamo adesso, a miscelare i vari metalli per creare leghe particolarmente adatte alla costruzione dei Vimana.

 

 

I VIMANA AD USO MILITARE

 

In molti poemi indiani si parla molto dell'utilizzo dei Vimama da parte degli Dei come mezzo di locomozione, probabilmente queste navicelle avevano la capacità di viaggiare anche nello spazio. Tuttavia, un altro importante aspetto viene descritto in questi antichi testi indiani, ovvero quello di uso militare nelle millenarie guerre tra gli dei che si sono combattute, a quanto pare, nell'attuale Sri Lanka, nel deserto del Gobi e in altri luoghi ancora. È interessante notare che ancor oggi, in queste località, si trovano rovine di antiche città, vetrificate da un immenso calore. In poemi come il Ramayana, Mahabharata ecc. Si parla appunto di guerre millenarie combattute con armi terribili. L'arco di Gandiva era capace di scagliare frecce che inseguivano il nemico e al momento in cui colpivano il bersaglio generavano un onda di fuoco che inceneriva quanto colpito. Questa è, senza alcun dubbio, la rappresentazione primitiva di un missile a puntamento termico. Questi missili inseguono il bersaglio intercettando il calore emesso dai motori. Tralasceremo tutta una serie di armi che suscitano perplessità poiché non sono così riconoscibili per parlare di un’arma terribile: la così detta “Arma del caos". L'arma che possiede i poteri dell'architetto degli Dei: Tvashtar. In pratica la nostra bomba atomica. Riportiamo di seguito una traduzione testuale sugli effetti di questa inquietante arma:

 



"Aswatthaman scaglió una colonna esplosiva che si aprì in tutte le direzioni e provocó una luce brillante, come fuoco senza fumo, cui succedette una pioggia di scintille che circondò completamente l'esercito dei Parhta. I quattro punti cardinali, per un raggio che lo sguardo non poteva abbracciare, furono coperti di buio. Un vento violento e cattivo cominciò a soffiare, né il sole stesso diede più calore. Colpiti e bruciati i guerrieri caddero come alberi abbattuti da un fuoco furioso. Grandi elefanti scorticati dalla vampata, si misero a correre intorno lanciando urla di terrore. L'aria e l'acqua erano avvelenate. Coloro che sopravvissero morirono poco dopo: La loro pelle iniziò ad ingiallire e a cadere. I capelli e le unghie cadevano."
 

Se non si trattasse di un resoconto vecchio di 15.000 anni non sarebbe difficile vedere in esso un rapporto militare scritto dopo un sopralluogo a Hiroshima a seguito dell'esplosione atomica durante la II guerra mondiale.
Questo pone non pochi interrogativi ai quali non é facile dare risposta: come potevano, 15.000 anni fa, conoscere e descrivere così dettagliatamente un'esplosione atomica?
Se fossero solo storie (come alcuni sostengono) come avrebbero potuto descrivere così bene anche gli effetti secondari di un arma inventata solo nella nostra era?
Chi scrive ha la convinzione che le leggende trovino le proprie radici nella verità.

sabato 23 maggio 2020

GLI ALIENI DIPINTI





La parete di arenaria di Sego Canyon rappresenta una spettacolare galleria d’arte rupestre, dipinta dai nativi americani di circa ottomila anni fa. Mostra enigmatiche figure dipinte che, secondo gli studiosi rappresentano entità spirituali scesi dal cielo con lo scopo di portare la conoscenza sulla Terra, percepite in stato di trance da antichi sciamani. Con l’aiuto degli spiriti guida e delle divinità tutelari, gli sciamani invocavano la presenza di esseri divini e semi-divini per chiedere la fertilità della terra e delle donne, l’abbondanza dei raccolti, il successo nella caccia e la vittoria in battaglia.
Di tutt’altro parere sono i teorici degli antichi astronauti, la cui convinzione è che i petroglifi siano la prova che, in passato, la Terra sia stata visitata da una civiltà extraterrestre: le caratteristiche anatomiche delle figure indicano che gli artisti volevano sottolineare il fatto che non si trattava di esseri umani. le entità sono raffigurate, senza occhi, non c’è presenza di braccia e gambe mentre sono ben visibili delle antenne sul capo.
Facendo riferimento al fenomeno del Culto del Cargo, i teorici degli Antichi Astronauti sostengono la probabilità che antiche popolazioni indigene siano effettivamente entrati in contatto con una civiltà di viaggiatori extraterrestri e che abbiamo confuso la loro tecnologia per magia, fino a considerarli come esseri divini.
Intanto, si può affermare che questi petroglifi siano la testimonianza antichissima della presenza umana nella regione dello Utah occupata, senza soluzione di continuità, in un ampio periodo che va dal 6000 a.C. fino al 1800 d.C.
Il sito, infatti, presenta tre stili pittorici diversi, rappresentanti di altrettante culture distinte succedutesi nel tempo, inclusi in un arco di tempo di almeno ottomila anni.
La Roccia di Sego Canyon racconta, quindi, un contatto con gli antichi astronauti avvenuto ottomila anni fa?
Le forme artistiche più antiche appartengono al periodo cosiddetto arcaico, eseguite tra il 6000 fino al il 2000 a. C. Si tratta degli esempi più spettacolari di arte rupestre attribuita a un popolo antico, probabilmente nomade, di cacciatori-raccoglitori. Non costruivano strutture abitative permanenti, ma vivevano in caverne e in piccoli rifugi. Non furono i soli indiani a dipingere le rocce.




I pittogrammi degli indiani Fremont


La cultura Fremont ha prosperato tra il 7° secolo e il 13° secolo d.C., in contemporanea con la cultura Anasazi della zona di Four Corners. Come quest’ultima, la cultura Fremont coltivava il mais e viveva in case scavate nel terreno coperte con strutture in pietra, lavoravano il vimini e producevano artefatti in ceramica.
Si distinguono per la loro straordinaria arte rupestre. Un antico “pannello” rappresenta, nella parte superiore, figure dipinte con grandi corpi di forma rettangolare e piccole teste, i disegni sono simili a quelli riprodotti dagli Anasazi. Le realizzazioni più recenti, invece, sono state intagliate nella roccia e sembrano sovrapporsi a quelle più antiche. L’impressione è che gli artisti più recenti abbiano voluto circondare le entità sacre più antiche con scene di vita quotidiana, come la caccia e la vita del villaggio, come buon auspicio e richiesta di protezione divina.




I petroglifi degli indiani Ute


Si tratta delle ultime realizzazioni di petroglifi prodotte dai nativi americani, in particolare dal popolo degli Ute, anch’essi un popolo di cacciatori-raccoglitori. La datazione delle figure è stata determinata dalle incisioni che rappresentano uomini a cavallo, chiara indicazione della presenza dell’invasione spagnola. Sono rappresentate molte altre figure ed altri elementi, utilizzando i colori rosso e bianco: si notano un bisonte bianco, alcune figure antropomorfe e grandi cerchi ritenuti essere scudi. 

lunedì 18 maggio 2020

IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA


Da tempo desideravo pubblicare un post sul triangolo delle Bermuda. Un tema su cui si è detto e scritto tanto e che, forse, è caduto un po’ in disuso. Sarà il mio post n. 534 e sarà breve. Quanto basta, per completare un lavoro che contempla un po’ tutti gli aspetti misteriosi o insoliti che stimolano il nostro desiderio di conoscenza, là dove la conoscenza si affianca, senza però sostituirsi, alla scienza ufficiale che, in questi casi non è (ancora) in grado di dare risposte esaurienti.
Si dice che il Triangolo delle Bermuda è uno dei luoghi più misteriosi, pericolosi e talvolta, mortali di tutto il pianeta Terra. Intrepidi esploratori si sono trovati al cospetto con l’enigma che si cela dietro i misteriosi fenomeni generati in questa particolare zona del pianeta.
Si pensa erroneamente che solo a partire dagli anni ‘50 strani casi, come bizzarri eventi meteorologici, sparizioni di navi e di aerei e altri accadimenti enigmatici, abbiano cominciato a manifestarsi in questo luogo, ma esistono documentazioni riportate da Cristoforo Colombo che, durante le sue spedizioni nel Nuovo Mondo - a cavallo tra il XV e il XVI secolo - registra nei suoi diari strane manifestazioni luminose e malfunzionamenti della bussola.
Alcuni ricercatori indipendenti, sono convinti che i misteriosi fenomeni del Triangolo delle Bermuda siano causati da una qualche misteriosa e antica tecnologia sommersa nelle profondità dell’Oceano Atlantico, un dispositivo ad altissima energia in grado di creare dei veri e propri portali spazio-temporali capaci di trasportare uomini e cose verso altri mondi e altre dimensioni. Tali convinzioni hanno spinto numerosi team a effettuare molteplici ricerche in questo pezzo di mare nel corso di svariati decenni.
Di recente, una squadra composta da esploratori americani e francesi ha confermato una scoperta incredibile: una struttura piramidale gigantesca parzialmente trasparente, forse più grande della Piramide di Cheope in Egitto, sembra poggiare sul fondo del Mar dei Caraibi, lunghezza e altezza sono stimate rispettivamente 300 e 100 metri e la sua origine, età e scopo sono del tutto sconosciute.
 
 
Questa scoperta, però, non è stata una novità in quanto ai ricercatori è già nota dal 1968 quando, quasi per caso la piramide fu individuata da un medico il cui nome era Ray Brown. Brown si trovava in vacanza nei Caraibi a fare immersioni con i suoi amici al largo delle Bahamas. Nel bel mezzo di una immersione, raccontò di essersi ritrovato solo e mentre tentava di raggiungere i suoi amici, guardando verso il basso, notò una massiccia struttura innalzarsi dal fondo dell’oceano che dichiarò essere un oggetto lievemente illuminato dal sole e che sembrava avere la forma di una piramide. Siccome era a corto d’aria, non spese altro tempo a valutare l’oggetto, ma si diresse verso i suoi amici.
Successivamente, nell’estate del 1991, il famoso oceanografo il Dr. Verlag Meyer, durante una conferenza stampa fece una dichiarazione alquanto misteriosa. Comunicò che durante una scansione con il sonar del fondale del famoso Triangolo delle Bermuda, il suo team trovò ben due piramidi gigantesche, più grandi delle Piramidi di Giza, a una profondità di 600 metri.
Ma il fatto più sconcertante furono le dichiarazioni di alcuni scienziati dell’epoca i quali, basandosi sui dati e fatte le dovute considerazioni, affermarono che la tecnologia di costruzione sembrava, a dir poco, insolita. Infatti sembrerebbe che siano fatte di vetro o di qualcosa simile al vetro, forse cristallo, in quanto la superficie risulta completamente liscia e parzialmente traslucida.
 
 
Quindi le ipotesi sono due: o le piramidi sono di recente costruzione utilizzando una tecnologia di ultima generazione, oppure, se si vogliono collocarle in un tempo più remoto, affrontare l’ipotesi che possano essere di fattura aliena.
Sulla cima delle piramidi, inoltre, ci sono due fori molto grandi, attraverso i quali l’acqua del mare si passerebbe ad alta velocità generando dei vortici che influenzano fortemente anche la superficie del mare. Tanto da far nascere ipotesi circa la causa dei fenomeni inspiegabili che ben conosciamo. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato per anni che sul fondo del Triangolo delle Bermuda vi fosse una fonte di energia elettromagnetica capace di interferire con le radiotrasmittenti e i radar. Molti, allora, ipotizzano che queste strutture non siano altro che le rovine della civiltà perduta di Atlantide.
Si ritiene che Atlantide fosse una super-civiltà globale che esisteva tra il 10500 e il 10000 a. C. e che sia stata sopraffatta da una catastrofe globale, forse quella registrata nella Bibbia e conosciuta come il diluvio universale di Noè.
Purtroppo, gli abissi oceanici restano la grande frontiera sconosciuta dell’esplorazione umana. Ci troviamo in un momento storico nel quale la scienza conosce più la superficie della Luna che non gli abissi del nostro stesso pianeta. Non è la prima volta, infatti, che strane strutture dalle dimensioni notevoli, vengono scoperte sui fondali marini. Basti pensare alle piramidi di Yonaguni in Giappone, scoperte nel 1987, quando alcuni subacquei si immersero nelle acque a sud dell’isola per studiare la grande popolazione di squali martello che si radunano nella zona. La loro somiglianza con altri reperti del mondo antico ha portato taluni a teorizzare che potrebbero essere effettivamente i resti di un’antica civiltà risalente a 10.000 anni fa.
Un altro esempio lo troviamo tra le isole di São Miguel e Terceira nelle Azzorre del Portogallo. Proprio qui, recentemente è stata scoperta una misteriosa struttura sommersa dalla forma perfettamente piramidale che dalle prime stime l’altezza sembra essere di 60 metri con una base di 8000 metri quadri.

domenica 17 maggio 2020

IL RAPIMENTO DI A. CONTE


È un caso di rapimento avvenuto circa trent’anni fa e che, dopo aver conosciuto una certa notorietà, è ricaduto poi nell’oblio, non senza aver portato un penoso sconvolgimento nella vita del protagonista, segnandola in modo indelebile.
La sera del 19 gennaio 1979,  alle ore 11:30, circa, un boscaiolo di Lusiana (un comune in provincia di Vicenza) Antonio Conte, stava rientrando a casa dopo aver trascorso la serata ad Asiago in compagnia di alcuni amici, con i quali aveva cenato. Ed ecco che, all’improvviso, il motore dell’automobile si fermò, i fari si spensero e gli sportelli si aprirono: tutto in una volta e senza alcuna causa apparente.
Mentre l’uomo cerca ancora di capire cosa stia accadendo, un oggetto luminoso di forma sferica scende dal cielo e si posa a breve distanza. Con immenso stupore e con paura, egli vide sbucare da quella sfera due piccoli esseri di aspetto umanoide che, velocemente, si diressero verso di lui. Letteralmente terrorizzato, l’uomo avrebbe voluto darsi alla fuga, ma non ne ebbe la forza: si sentiva incapace di fare un passo, tanto che dovette sostenersi contro la fiancata della sua vettura per non scivolare a terra.
Gli alieni sembravano, per le loro dimensioni, dei ragazzini: alti poco più di un metro, indossavano delle tute aderenti, a squame metalliche, di colore simile al bronzo. Avevano le mani affusolate e terminanti con delle punte simili a chiodi. Al posto delle orecchie avevano qualcosa che sembrava del filo metallico, attorcigliato che produceva una sorta di ronzio a ogni movimento.
L’uomo si calmò quando si rese conto che non sembravano ostili, tanto che finì per accogliere l’invito a seguirli all’interno dell’astronave. Qui poté osservare una varia strumentazione, in un ambiente alquanto ristretto. Tutt’intorno, notò una serie di apparecchiature elettroniche, al suo fianco uno schermo in cui delle palline luminose si muovevano all’impazzata. Davanti a lui una superficie illuminata, semitrasparente, al di là della quale gli parve di intravedere delle creature in movimento. Mentre era intento a esaminare il luogo in cui si trovava, tentando di darsi conto delle proprie sensazioni,  uno degli esseri che lo avevano invitato a salire gli si avvicinò con l’evidente intenzione di togliergli la giacca. Il boscaiolo non sapendo che fare, in un primo momento rimane sorpreso, irrigidito, passivo e lasciò che la creatura lo toccasse, poi si rinvenne, scosso dalla paura: ora temeva che volessero fargli del male, magari anche sottoporlo a qualche terribile esperimento. Istintivamente retrocesse e allontanandosi si sottrasse al contatto. Qualunque fosse il suo intento, la creatura rinunciò. Si accostò alla parete che al suo tocco si aprì lasciando comparire una tuta del tutto simile a quella che indossavano loro. L’uomo intuì che i due piccoli esseri volevano condurlo da qualche parte. Fu preso dallo sconforto, le gambe gli cedettero improvvisamente e si accasciò a terra. Iniziò a implorare che lo lasciassero andare, non voleva saperne di andare con loro, si sentiva braccato, in trappola, l’angoscia era indescrivibile.  Uno dei due esseri toccò nuovamente la parete che sembrò aprirsi e dal nulla, comparve una fessura dalla quale l’essere prelevò un piccolo oggetto. Con le mani parve incidervi qualcosa sulla sua superficie, poi lo porse all’uomo, invitandolo a metterselo al collo. Quasi contemporaneamente, ricomparve il portello dal quale il Conte era salito a bordo e l’uomo non ci pensò due volte, trascinandosi fuori carponi. Tutto si consumò in pochi attimi, la palla luminosa svanì e prima ancora che il testimone potesse riprendersi dallo spavento, ogni cosa era tornata normale. Intorno a lui, il freddo della notte invernale, il fruscio lieve della campagna e i vaghi rumori attutiti e lontani che provenivano dal vicino centro abitato. I fari dell’auto si riaccesero e l’auto stessa mise in moto al primo colpo.
Il Conte, esausto, rientrò a casa trovando, a suo dire, la madre ancora alzata (il testimone non era sposato) che, vedendolo, s’impressionò. Il figlio, ancora sconvolto, tentò di spiegarle l’accaduto. Ma non trovava le parole. Neppure i gesti gli furono d’aiuto: tremava come una foglia. La notte fu piena di incubi, di ricordi confusi, l’uomo si alzò e quasi inconsapevolmente, prese l’oggetto che le due creature gli avevano dato e lo nascose in una breccia del muro di casa: un estremo tentativo di rimuovere quanto aveva vissuto.
Il mattino successivo, quando il suo amico, Giuseppe Sciessere, passò a prenderlo per andare al lavoro, lo trovò ancora stravolto e angosciato, di poche parole, chiuso in se stesso. Ci volle del tempo e molta delicatezza, ma alla fine il Conte raccontò tutta la sua storia e la confessione fatta a un amico si trasformò ben presto in una storia che fece il giro del paese e richiamò l’attenzione della stampa. 


 

 

Sul “Giornale di Vicenza» del 20 gennaio 1979 comparve un’intervista ad Antonio Conte, da questi spontaneamente rilasciata: la prima e l’ultima, poiché, demoralizzato dalla reazione dei suoi compaesani, fra scetticismo e derisione, egli si chiuse ben presto in un silenzio totale, rifiutando ogni ulteriore incontro con dei giornalisti.
Certe insinuazioni avevano ferito il protagonista, uomo dalle abitudini estremamente morigerate, descritto da tutti come persona riservata e schiva e dagli interessi limitati. Non era, di certo, un esibizionista o un individuo dalla fervida immaginazione. Agli Ufo, poi, non aveva mai rivolto un pensiero particolare, né era stato propenso a credervi, prima della sua personale esperienza. Anzi, capitato il discorso in proposito, ne aveva riso apertamente con gli amici. Quest’ultimo è un elemento assai significativo, perché getta una luce eloquente sulla assoluta mancanza, in lui, di propensione a quelle suggestioni che, invece, portano legittimamente a dubitare dei racconti di altri protagonisti di esperienze relative ad “incontri ravvicinati” con creature aliene.
Il caso di Antonio Conte è comunque emblematico della solitudine e dell’angoscia che afferrano i protagonisti di simili esperienze, specialmente quando mancano del tutto degli indizi oggettivi che qualcosa di straordinario sia realmente accaduto. Sì, poiché la misteriosa “scatolina”, quella che gli alieni, poco prima del commiato, avrebbero consegnato al boscaiolo, facendogli cenno di mettersela al collo, nessuna l’ha mai vista!
Si sussurra che il Conte l’abbia fatta scomparire, per cercar di dimenticare la sua traumatica esperienza, oppure che l’abbia nascosta chissà dove, temendo che potesse venirgli sequestrata dai carabinieri. In ogni caso, se mai è esistita, ora non c’è più: il protagonista della vicenda, che allora aveva quarantadue anni, non ha più voluto parlarne. L’esperienza di quella notte non sembra aver agito in modo positivo nella sua vita: gli ha provocato terrore, incomprensioni, solitudine, amarezza. Ha trasformato un uomo normale, pacifico, bonario, in uno sospettoso, introverso, perseguitato dai propri fantasmi. Come accennavo in un post precedente (Cfr. Considerazioni sui rapiti) si può sostenere che, il più delle volte, incontri di questo genere non sono affatto positivi per quanti li hanno vissuti.
Quando un biologo, su qualche isoletta antartica, cattura un pinguino o un albatro e poi li lascia andare, dopo aver applicato sulla zampa una targhetta di riconoscimento, per poterne seguire gli spostamenti e le abitudini sul medio e lungo periodo, ritiene di compiere un’azione non solo legittima, in quanto motivata da intenti puramente scientifici, ma anche assolutamente innocua e indolore. Ed è certo che non agisce con intenzioni cattive. Ma cosa ne sappiamo noi di quel che avviene nella vita di un altro essere vivente, allorché venga fatto oggetto di una attenzione invasiva da parte di una specie molto più evoluta di quella cui appartiene?

sabato 16 maggio 2020

CONSIDERAZIONI SUI RAPITI


Non scrivo libri né tengo conferenze sull’argomento e neanche posso definirmi un divulgatore. Ho iniziato questo blog per pubblicizzare i miei libri: sono uno scrittore di fantascienza. Per me l’ufologia è solo un hobby. A quelli che mi chiedono perché non scrivo, ad esempio, libri gialli, che tra parentesi si venderebbero di più, gli rispondo che non so farlo: la scrittura è un’arte e ti viene come ti viene: non puoi farci niente. Tanto, per chiarire che sin da subito, la gente ha cominciato a scrivermi. Prima per pormi delle domande, in seguito furono loro a raccontarmi delle esperienze, forse, per un impellente bisogno di liberarsi dell’angoscia.
Sì. Provate, per un momento a calarvi nei panni di un rapito. Che cosa si prova, dopo essere stati protagonisti involontari di un “incontro ravvicinato” con delle creature aliene. Cosa si prova a non essere creduti, a essere derisi, sospettati di esibizionismo, malvisti ed evitati perfino dalle persone che si credevano amiche?
Cosa si prova, quando tutto questo viene ad aggiungersi all’indicibile angoscia di una esperienza sconvolgente, che non consentirà mai più di guardare al mondo con la stessa fiducia e che, forse, a causa dell’enorme shock provato, si ripercuoterà per anni e anni, sotto forma di ansia, insonnia, depressione e necessità di continue cure mediche?
Da un lato, si dubita di se stessi e della realtà di ciò che si è vissuto: eppure proprio quell’angoscia, proprio quegli incubi notturni, proprio quel senso di totale smarrimento, sono lì a testimoniare che non si è trattato di un sogno o di una allucinazione, ma di una esperienza realmente vissuta, anche se una parte della coscienza vorrebbe negarla, cancellarla, rimuoverla, perché impossibile da conciliare con la ripresa di una vita tranquilla e serena.
Dall’altro lato, ci si scopre incompresi, abbandonati, rinnegati dai migliori amici, persino dai familiari e dai parenti più stretti e ci si rende conto che quella esperienza sconvolgente, oltre ad avere incrinato irreparabilmente il proprio equilibrio interno, ha spalancato una voragine anche verso il resto del mondo e che nessuno, mai, nemmeno le persone più care, potranno credere a quanto è avvenuto, nessuno potrà condividere e meno ancora, sostenere e confortare chi ha avuto la ventura di oltrepassare la soglia del conosciuto e di gettare un sia pur fuggevole sguardo su ciò che sta “oltre”, al di là della soglia proibita. Ed è per questo che, percorrendo i sentieri del WEB o seguendo altre strade che nemmeno io conosco, alcuni arrivano a me, un cronista dell’insolito disposto se non a crederli almeno ad accettare, senza troppe remore, il loro racconto.
 
 
Tornando ai rapimenti. Naturalmente, molto dipende dalle modalità in cui si è svolto l’incontro con le creature aliene, ossia dal carattere amichevole oppure ostile di quest’ultimo.
È noto che alcuni dei “rapiti”, o “addotti” (come si dice con un orribile inglesismo), affermano di non aver provato paura, ma un senso di profondo benessere, avendo percepito, fin dall’inizio, che tali creature erano animate da intenzioni amichevoli e che in se stesse apparivano di natura benevola, mentre altri ne sono rimasti letteralmente terrorizzati e in certi casi,  hanno riportato danni fisici, anche gravissimi e di carattere permanente, quando non addirittura la morte o la scomparsa definitiva (di questi ultimi casi si ha una scarsissima conoscenza).
Fra questi due estremi esiste poi tutta una gamma di esperienze intermedie, nelle quali, è bene dirlo subito, non sempre è facile stabilire una linea di separazione netta e precisa fra eventi di natura oggettiva ed eventi di natura assurda, onirica o allucinatoria. I testimoni provano una sensazione di alterazione del loro senso della realtà e si capisce facilmente come tale senso di alterazione, essendo soggettivo, può riferirsi tanto a eventi di natura intima e personale, quanto a eventi di natura oggettiva ed esterna. Inoltre, sia a fatti che si svolgono sul piano ordinario della realtà, cioè nella dimensione fisica dello spazio e del tempo quale noi li sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, sia sul piano prettamente spirituale, in cui al tempo quantitativo subentra un tempo puramente qualitativo e le leggi fisiche vengono ad essere, per così dire, sospese a favore di manifestazioni straordinarie. In quest’ultimo caso ci troviamo in prossimità dei eventi di tipo mistico, che investono la fenomenologia della religione o, meglio, in una zona piuttosto mal nota, in cui i confini tra paranormale e supernormale sfumano reciprocamente, ed entrambi tendono a confondersi, almeno in parte, con la sfera del soprannaturale.
Resta il fatto che, per un’alta percentuale di “rapiti”, l’esperienza del contatto alieno e del trovarsi alla mercé di creature sconosciute, dalla tecnologia infinitamente più potente di quella terrestre, non si è connotata positivamente ma, al contrario, ha segnato una pagina drammatica nel loro processo esistenziale, mettendoli bruscamente a faccia a faccia con una realtà incomprensibile, minacciosa e con un grande, opprimente senso di solitudine, derivante sia dalla consapevolezza di non poter assolutamente sfuggire a questo tipo di “aggressione”, sia dall’impossibilità di raccontare, di spiegare e di spiegarsi quanto è accaduto e soprattutto, di farsi credere.

mercoledì 6 maggio 2020

L'AVVISTAMENTO SULL'AEROPORTO O'HARE


Un caso emblematico: decine di testimoni, avvistano un oggetto volante non identificato che staziona per alcuni minuti su un grande aeroporto internazionale. Si tratta, per lo più, di personale aeronautico, quindi perfettamente in grado di distinguere un veicolo non convenzionale, eppure le autorità riescono a classificare questo caso riducendolo a uno strambo fenomeno meteorologico! È “morte dei fatti”, che ha trasformato il mito UFO in una rete di credenze che non hanno più nemmeno i caratteri di quella modernità che aveva generato l’idea degli extraterrestri in visita alla Terra. È in questo senso che al sistema sociale e alla gran parte degli attori che discutono l’argomento, ufologi inclusi, gli avvistamenti paiono una questione secondaria.
Per fortuna, del caso, si è occupato uno dei pochi gruppi di appassionati di orientamento scientifico oggi operanti, il NARCAP (National Aviation Reporting Center on Aerial Phenomena). Lo studio, porta la data del 9 marzo 2007. In oltre centocinquanta pagine, esso spiega come numerosi testimoni, facenti parte a vario titolo del personale aeronautico, descrissero con notevole coerenza un oggetto ovale dall’aspetto metallico, che probabilmente ruotava su se stesso, dal diametro di due o tre metri, dapprima fermo sopra alcuni edifici aeroportuali e poi ripartito di colpo verso l’alto con accelerazione quasi istantanea, che ha provocato una specie di “foro” osservabile a lungo nello strato nuvoloso che incombeva sull’area.
Il fatto si è verificato nel pomeriggio del 7 novembre 2006. Luogo dell’avvenimento è stata un settore di uno dei più grandi e trafficati scali aerei del mondo, l’aeroporto internazionale O’Hare di Chicago.
 
 
TESTIMONIANZE OCULARI  
Il NARCAP è riuscito a individuare con precisione otto testimoni diretti. Sono tutti appartenenti al personale aeronautico delle United Airlines. Nel rapporto e nelle pagine che seguono saranno indicati come:
A = un meccanico situato a fianco di un B-737 al gate C-17;
B = un meccanico aeronautico seduto a sinistra nella cabina di pilotaggio di un B-777 in fase di parcheggio;
C = un supervisore che si trovava al gate B5;
D = un meccanico vicino al gate C17;
E = un supervisore fuori del gate B5;
F = il comandante pilota di un B737-500 in sosta vicino al gate C17;
H = il primo ufficiale di un B737-500  in sosta vicino al gate C17;
I = un meccanico aeronautico presso la zona delle scalette d’imbarco del terminal internazionale. 
 
Il primo testimone cui si è potuti risalire è il sig. A, che stava assistendo alle manovre di un aereo dal gate C17. Si trovava sulla pista accanto alla prua dell’aereo e aveva in testa delle cuffie collegate agli apparati di telecomunicazione dell’aereo. Intorno alle 16:30, alzando la testa, vide in cielo un ordigno che sostava silenzioso. Chiamò allora tramite la radio il coordinatore responsabile dei gates cui fa riferimento anche il C17. Secondo il Sig. A, egli l'avrebbe prima avvisato di quanto vedeva il coordinatore del gruppo di gates cui faceva riferimento anche il suo, poi avrebbe avvertito via radio l’equipaggio dell’aereo. Uno dei suoi componenti avrebbe aperto un finestrino e guardato l’UFO, ma non ci sono conferme indipendenti del fatto. Stando ad A, il corpo si sarebbe trovato a un quota fra i 180 ed i 300 metri sopra il gate. Sarebbe stato rotondo e avrebbe avuto una rapida rotazione sul suo asse. Dopo circa due minuti sarebbe schizzato via fra le nuvole con accelerazione improvvisa e violentissima.
Il secondo e il terzo testimone, B e C, sono due tecnici delle United Airlines. Costoro stavano parcheggiando un jet commerciale vuoto. Le due versioni testimoniali differiscono un po’. B ha riferito che avevano ascoltato alla radio che l’equipaggio del B-737-500 al gate C17 segnalava di vedere “un oggetto circolare o a disco fermo sul gate” a poco più di 200 metri da terra. Risero di quanto ascoltarono e proseguirono la manovra. Mentre stavano per completarla, però, si sporsero in avanti e guardarono in diagonale verso il gate C17. Fu allora che videro con chiarezza l’UFO nella parte superiore del finestrino anteriore di sinistra. Secondo B in quel momento si sarebbe trovato a soli 30-60 metri sotto le nubi che gravavano basse sulla zona. Era fermo e non gli diede l’impressione di ruotare, ma sembrava come contornato da una “foschia” sia sul fondo sia alle due estremità destra e sinistra. Non cambiò mai luminosità, colore o forma e fu possibile vederlo per un tempo compreso fra i 30 ed i 60 secondi. B e C asserirono entrambi che non si trattava di un dirigibile o di un pallone. La forma era tonda, tendente all’ovale: con un modesto rapporto larghezza/lunghezza. Sentirono pure, attraverso la radio, il controllore della zona delle scalette d’imbarco della United chiedere se qualcuno era in grado di fotografare il fenomeno. Sentirono anche uno dei controllori del traffico, in servizio presso la torre, dire che da lì non riusciva a vedere nulla anche se l’UFO avrebbe dovuto essere osservabile da quella posizione. Poi si spostarono da un’altra parte e non lo scorsero più, ma anche loro videro il foro aperto fra le nubi. Il NARCAP ha stimato che l’UFO sarebbe rimasto ben visibile sulla zona per un tempo variabile tra i 3 e i 5 minuti.
In una conversazione radio la cui registrazione è stata ottenuta dal NARCAP un meccanico addetto al posteggio degli aerei riferiva a un controllore di volo, intento a dirigere il traffico degli aerei in arrivo, che anche lui aveva visto il fenomeno. Secondo lui doveva essere stato visto da centinaia di persone: di alcuni suoi colleghi era certo.
Un’altra registrazione proviene da una delle altre due unità di manutenzione impegnate in quel momento su aerei della Airlines a parte quella che comprendeva i testimoni B e C. Alle ore 16:48 è possibile sentire la voce di uno di questi addetti che chiamava il controllore addetto al traffico in arrivo il quale chiedeva a un altro pilota se vedesse “la cosa” di cui si stava parlando. Fu a quel punto che s’inserì il meccanico, che spiegò che lui e molti altri avevano visto l’UFO intorno alle 16:18.
Passiamo ora al testimone D. (un meccanico), questo, secondo quanto riferì al gruppo National UFO Reporting Center (NUFORC), stava lavorando nel suo ufficio quando intorno alle 16:30 sentì sulle frequenze della compagnia aerea che si parlava della presenza dell’UFO. Si diresse verso il gate G5 e lì poté vedere il fenomeno. Secondo lui doveva avere un diametro fra 1,8 e 3 metri, era fatto di metallo scuro e aveva forma ellittica. All’improvviso si spostò verso l’alto con un moto leggermente angolato e con accelerazione quasi istantanea, scomparve fra le nubi. Con lui c’era un altro testimone, il supervisore E.
Il testimone F, comandante di un B737-500, lo osservò soltanto per 30 secondi circa, ma pensando a un volatile a causa delle modeste dimensioni apparenti, quindi si allontanò, cessando l’osservazione.
Il testimone D chiamò il centro operazioni della compagnia per informarlo del fatto e poi andò verso la zona in cui si trovavano gli altri testimoni (il cosiddetto complesso C dell’aeroporto). Durante questo tragitto la responsabile del centro operazioni gli disse per radio che stava chiamando la torre di controllo per chiedere notizie sul fatto.
Il giorno dopo, il testimone B discusse con il testimone I, anche lui un meccanico, i dettagli della sua osservazione di un corpo che, secondo lui, era simile a qualcosa di ovale, grigio scuro, poco schiacciato, ma purtroppo in seguito quest’ultimo osservatore non si è reso disponibile per una prosecuzione dei contatti con gli inquirenti.
Il testimone H è un comandante pilota. Il suo aereo, un B737-500, era parcheggiato al gate C17. Sia lui, sia il suo copilota osservarono l’UFO per circa cinque minuti attraverso un finestrino laterale aperto della cabina di pilotaggio. Secondo il Comandante, il corpo era di color alluminio sporco, immobile e netto nel cielo, silenzioso e rotondo.
 
ALTRE TESTIMONIANZE
A parte quelle presentate, esiste un’ampia serie di notizie più o meno difficili da verificare circa la presenza di altri osservatori del fenomeno. Se ne hanno sia da impiegati di linee aeree, sia dall’interno delle United Airlines, che aprirono un’indagine interna per valutare se la sicurezza delle loro attività fosse stata messa a rischio da quanto accaduto. Non se ne conosce l’esito.
Ci sono varie note e telefonate fra dipendenti dell’aeroporto che indicano con chiarezza che altri constatarono la presenza dell’oggetto. Secondo il NARCAP, ciò che emerge dal comportamento complessivo delle strutture responsabili e della stessa Federal Aviation Administration (FAA) è un atteggiamento di apatia e disinteresse.
Non mancano notizie di osservazioni fatte da passeggeri in transito allo scalo. Una in particolare, la signorina J. H., è stata intervistata a lungo dallo studioso Sam Maranto.
In linea di principio quanto narrato dalla donna, che ha parlato di un «grosso corpo ovale di metallo» sembra confermare la dinamica ricostruita grazie alle testimonianze del primo gruppo di persone.
Insomma, tante, troppe persone slegate fra loro, altri testimoni plausibili intervistati o almeno contattati in modo indipendente, conducono verso una constatazione: queste persone hanno visto in cielo qualcosa che hanno ritenuto strano e l’hanno descritto al meglio delle loro possibilità.
Uno studio dettagliato delle caratteristiche del grande aeroporto, condotto dal NARCAP, mostra le difficoltà che l’osservazione visiva dell’UFO da parte della torre di controllo e anche la sua rilevazione radar avrebbe comportato, poiché il fenomeno si sarebbe trovato quasi nel centro geometrico del complesso aeroportuale. L’analisi dei diari delle operazioni aeroportuali secondo il NARCAP mostra che la presenza dell’UFO ha rallentato le normali attività aeroportuali e che almeno un decollo, quello del volo United Airlines 446 possa essere stato ritardato dalla Torre durante la permanenza dell’UFO, per motivi che dai documenti disponibili non appaiono chiari.
I dati meteorologici reperiti sono molto accurati. Per le 16:51 di quel giorno per la stazione dell’aeroporto O’Hare indica cielo coperto, con soffitto delle nubi a 580 m, visibilità di 4 miglia con foschia, vento da ovest a 7 nodi, temperatura di 53 °F, umidità dell’83%. 
 
IL “BUCO NELLE NUBI”
Il rapporto del NARCAP, viste le testimonianze convergenti circa il fatto che l’UFO, nell’alzarsi verso l’alto, avrebbe lasciato, penetrando fra le nubi, un “foro” in esse nettamente delineato che avrebbe persistito assai a lungo, ha dedicato molta attenzione alle possibili implicazioni di carattere fisico che si potrebbero trarre da questo effetto secondario. Il fenomeno non è nuovo: negli scorsi decenni si sono avuti diversi casi ben documentati in cui l’effetto è stato descritto in relazione al transito di un UFO.  Secondo il NARCAP era comunque possibile che il buco nella nube fosse stato causato da un processo di evaporazione. 
 
POSSIBILI RILEVAZIONI RADAR
Lo studio del NARCAP comprende una lunga parte dedicata alla possibilità che il fenomeno visto ad occhio nudo, sia stato registrato da qualcuno dei numerosi radar installati nell’aeroporto O’Hare.
Sono stati recuperati dei dati provenienti da un radar meteorologico VCP-32 che secondo l’analista Martin Shough sono compatibili con la presenza di un target che rifletteva le onde radio e che doveva trovarsi a circa 850 m di quota nella zona tollerabile con l’osservazione visiva. Tuttavia, limitazioni tecniche consigliano di essere prudenti nel ritenere queste registrazioni come probative della presenza dell’UFO.
Altri dati radar, ottenuti dal NARCAP grazie alle richieste fatte alla Federal Aviation Administration (FAA), denotano dei segnali di un qualche interesse. Si noti che il NARCAP ha fatto eseguire due studi indipendenti su questi dati: il primo all’analista William Puckett, il secondo a Martin Shough. Sebbene dei segnali isolati ci siano in più di un’occasione, il NARCAP non ritiene che essi costituiscano un’evidenza conclusiva.
Ciò che emerge dall’intera vicenda, secondo il NARCAP, è che la Federal Aviation Administration non si sia comportata in modo adeguato alla presenza di una possibile minaccia alla sicurezza del traffico civile su un grande aeroporto statunitense, sia per un processo collettivo di negazione dell’evidenza testimoniale, sia per la scarsa capacità da parte della rete radar di rilevare fenomeni di questo tipo. Non si dimentichi che l’UFO avrebbe stazionato a lungo, essendo così eliminato in modo automatico a causa dei filtri doppler di molti radar di terra e che poi, malgrado plausibili dimensioni sufficienti per essere rilevato, si sarebbe spostato a velocità tale da essere forse registrato ma con un numero d’impulsi talmente basso da esser considerato come un segnale spurio.
 
 
TENTATIVI DI SPIEGAZIONE
Giorni dopo la diffusione delle prime notizie sul fatto, una portavoce della FAA avanzò l’ipotesi che il fenomeno potesse esser dovuto a condizioni meteorologiche anomale che avevano causato qualche curiosa riflessioni di luci al suolo. Ma già a una lettura superficiale delle testimonianze risulta evidente che quanto descritto non appare riconducibile a qualcosa di simile.
Più interessante l’idea che l’UFO possa esser stato un pallone sonda. Luoghi di lancio certi per quella zona e condizioni dei venti, piuttosto forti per il giorno dell’accaduto sembrano contrastare con questa teoria. La lunga immobilità descritta dai testimoni in modo concorde sarebbe stata concomitante a venti che avrebbero spostato di alcuni chilometri in pochi minuti in orizzontale un involucro di quel tipo. Inoltre, le caratteristiche note per i palloni meteo impiegati dagli enti meteorologici pubblici e privati li rendono tutti - volutamente – rilevabili da radar di terra dei tipi presenti all’aeroporto O’Hare, dove sono seguiti spessissimo con facilità. L’ascesa in verticale dell’UFO, invece, ha avuto una velocità non compatibile con quelle di un corpo trascinato dai venti per motivi opposti a quelli dell’immobilità tenuta in precedenza.
La copertura nuvolosa rende improponibili spiegazioni di tipo astronomico, mentre le caratteristiche strutturali del corpo, di tipo non-aerodinamico, contrastano con quelle di eventuali velivoli militari ad alte prestazioni dell’US Air Force.
L’idea che il buco nelle nubi possa esser stato causato da un aereo a reazione è anch’essa improbabile. Stabilità, nettezza e lunga permanenza di esso non appaiono per niente tipici. Nessuna presenza di velivoli ad ala rotante (elicotteri) è stata confermata o menzionata da tutte le fonti aeroportuali e del traffico aereo che è stato possibile consultare. Nessuno dei testimoni ha notato qualche dettaglio riconducibile ad ali, rotori o impennaggi, né ha udito alcun rumore di motori.

lunedì 4 maggio 2020

LUGLIO 1979: L’INCONTRO RAVVICINATO DI TURIS


Alle 11:30 del 25 luglio 1979, giorno della festività di San Giacomo, Federico Ibáñez, un agricoltore cinquantaquattrenne lasciò il villaggio di Turís, una piccola città nella provincia spagnola di Valencia, per dirigersi verso la sua vigna a circa quattro chilometri di distanza, col proposito di raccogliere qualche grappolo di uva per il pranzo. Guidando la sua Renault 6, circa 700 metri prima di arrivare, vide un riflesso che attribuì al lunotto della Seat 600 del figlio del proprietario di un appezzamento di terreno adiacente. Lo perse quasi subito di vista a causa del tracciato della strada, con diverse curve. Circa tre minuti più tardi, quando si trovava approssimativamente 50 metri di distanza, il riflesso fu nuovamente visibile e Ibáñez proseguì pensando che si trattasse della macchina, ormai parcheggiata in mezzo alla strada di accesso ai campi.
Solo dopo essersi trovato a quattro metri dall’oggetto, che gli bloccava il passo, si accorse che non si trattava di un’automobile. Aveva la forma di un “mezzo uovo” e si appoggiava a terra su due “piedi”. Di colore bianco, dal fondo piatto da cui sporgevano dei sostegni lunghi circa 30 cm, era alto circa 2,5 metri (compresa anche l’altezza dei sostegni) e largo circa due metri e mezzo.
- Era qualcosa di metallico e molto brillante, un bianco così intenso, che non ho mai visto - ha affermato Ibáñez.
Stupefatto e ancora seduto nel proprio veicolo, vide due esseri identici saltar fuori da dietro un carrubo, undici metri alla sua sinistra. Alti tra gli 80 e i 100 cm correvano rapidamente uno dietro l’altro, quasi attaccati. Non si voltarono mai verso l’osservatore che poté guardarli, solo per qualche secondo, di profilo, poiché entrarono nel l’oggetto dal lato sinistro. Ibáñez poté notare che erano abbigliati con una veste bianca che pareva “gonfia d’aria”  come una vela che, dotata di una sorta di cappuccio si estendeva quasi sino a terra e lasciava scoperti dei piedi piccoli e neri. Le braccia erano corte, strettamente raccolte contro i corpi e terminanti con mani nere. L’unico dettaglio che Ibáñez poté notare sulle facce era una protrusione all’altezza degli occhi, dei tubi neri di circa 7-8 cm di lunghezza. Come occhiali da saldatore, ma più lunghi - è stata l’analogia usata dal testimone.
Bruscamente, l’oggetto ascese a grande velocità, non completamente in verticale, ma lievemente inclinato verso la sinistra del testimone, dirigendosi verso Ovest. L’ascensione provocò un turbine di vento che spazzò il terreno, ma nonostante ciò, a Ibáñez fu possibile distinguere, attraverso il parabrezza, una base circolare liscia dello stesso colore bianco brillante del resto dell’oggetto. Non vide i piedi dell’oggetto che dovevano essere rientrati. Scese velocemente dall’auto, giusto per osservare una “perla” che scompariva nel cielo. Non fu in grado di udire alcun suono provenire dall’oggetto poiché non ebbe il tempo di spegnere il motore, anche se il finestrino dal lato del conducente era abbassato. In tutto, dal momento in cui il testimone notò che c’era qualcosa di strano, fino all’inizio della partenza dell’oggetto trascorsero circa sei secondi e quindi altri quattro fino al  termine dell’avvistamento.
 
 

Con presenza di spirito, Ibáñez proseguì fino alla propria vigna, colse l’uva ma, a disagio, decise di andarsene. Prima, però, controllò l’area nei pressi dell’albero di carrube “nel caso avessero perso qualcosa”. Tornò a casa e descrisse nervosamente l’accaduto ai membri della sua famiglia radunati per celebrare il pranzo di San Giacomo.
Più tardi si recò nuovamente sul posto in compagnia di sua moglie, sua figlia, suo genero e un impiegato di quest’ultimo. Il posto dove era atterrato l’oggetto era ora occupato dall’auto del contadino che aveva la vigna adiacente, al quale non dissero nulla. Constatarono, comunque, che l’area nei pressi della strada era stata pulita dalla polvere per effetto della partenza dell’oggetto. Nei pressi del carrubo da dove erano fuoriusciti i due esseri, catturarono la loro attenzione due buchi, che il testimone non pensava potessero essere stati scavati dai conigli. 

 

Il fatto, molto commentato al villaggio, arrivò alle orecchie di un cronista locale che scrisse una storia per il quotidiano di Valencia, Las Provincias, il 10 agosto. Due giorni dopo, i membri del gruppo ufologico di Valencia AVIU, diretto da Juan Antonio Fernández Peris, visitarono il sito dell’avvistamento. intervistarono Ibáñez in più occasioni ed effettuarono le misurazioni del caso. Trovarono  sul terreno quattro tracce che unite tra loro formavano un rettangolo perfetto di 176 x 130 centimetri. Due di esse erano deteriorate, ma gli investigatori presero le esatte misurazioni e fecero un calco di gesso delle altre due. Ognuna aveva forma circolare di 8 cm di diametro, formata da otto sfere di 2,25 cm di diametro che circondavano simmetricamente una sfera centrale di circa 3,5 cm di diametro. Usando una sonda manuale, stimarono che l’oggetto capace di produrre questi segni sulla strada aveva esercitato una forza di quattro tonnellate. In altre parole, esclusero che quelle tracce potessero essere impresse da veicoli agricoli o che altri dispositivi o macchine presenti nell’area potessero essere capaci di generare questo tipo di tracce.
L’Incontro Ravvicinato di Turìs è unico poiché la fisionomia dei supposti occupanti dell’UFO non ha analogie nella letteratura ufologica internazionale (personalmente, il loro modo di camminare mi ricorda quello degli uccelli). Questo è precisamente il problema nei casi di incontri ravvicinati con UFO: ogni evento appare singolare e differente.

domenica 3 maggio 2020

L’ATTERRAGGIO DI #VILLA_LITERNO


Un vecchio caso, investigato trent’anni dopo (il 15 luglio del 2011) da Giovanni Ascione e Pasquale Russo, del CISU. Il testimone “A.”, le cui generalità non furono rese note, all’epoca dei fatti - probabilmente nel luglio del 1967 o del 1968 - aveva un’età compresa tra i dieci e i dodici anni.
 

Accadde a Villa Literno, comune in provincia di Caserta, a pochi chilometri dalla cittadina di Grazzanise che dagli anni 60 del secolo scorso è sede di un aeroporto militare. il giovane (A.) è in compagnia di alcuni coetanei. Giocano a pallone e occasionalmente raccolgono pesche. Mentre stanno giocando la palla finisce oltre un campo di granturco e A. si dirige da solo verso quell’area per recuperare il pallone. Superato il campo, scorge davanti a se, a una distanza di trenta (forse cinquanta metri) uno strano oggetto. Questa cosa fuma e sbuffa come un treno a vapore. Possiede una base circolare sormontata da un gran numero di tubi, apparentemente metallici, di varie dimensioni e di colori differenti. In prima battuta A. non fa troppo caso all’oggetto che ipotizza sia una macchina agricola, forse una trebbiatrice. Poi l’insolita forma lo fa recedere da quest’ipotesi. Non ha una visuale perfetta per la presenza del sole, ma riesce a scorgere una persona di spalle, vestita di scuro con addosso una tuta e un casco aderenti, che pare intenta alla manutenzione di quella “macchina”. l’individuo gesticola come se manovrasse o riparasse alcune parti di quell’ordigno. Il ragazzo allora si sposta di qualche metro per vedere meglio la scena anche perché il sole, quasi al tramonto, gli abbaglia la vista. Il testimone descriverà quell’individuo come del tutto simile a una persona normale, di altezza media e dal fisico asciutto, il casco che indossa riflette i raggi solari. Di tanto in tanto l’oggetto emette dei flussi di vapore come degli sbuffi, ma senza emettere alcun suono. Mentre il testimone assiste a questa curiosa scena, dal retro della macchina compare un secondo individuo simile al primo, che si accorge della presenza di del ragazzo. Questo secondo individuo attira, all’attenzione dell’altro, il ragazzo. A quel punto questo si gira, i due si scambiano qualche occhiata e si spostano sul retro della macchina. Dopo qualche istante l’oggetto si solleva dal suolo di qualche metro e poi schizza letteralmente via con traiettoria obliqua, sparendo alla vista dell’ignaro spettatore nel più totale silenzio.
Poco dopo, gli amici di A., non avendolo visto tornare, sopraggiungono sul posto, ma non si avvedono di nulla, deludendo la speranza che qualcun altro avesse assistito allo strano evento.

sabato 2 maggio 2020

AGOSTO 2017: UFO SU GIUGLIANO


 
Ci siamo sempre occupati di casi datati avvenuti, spesso, in terre lontane. Questa volta, invece, esamineremo un caso nostrano, risalente al 2017. Riportato dal CUFOM, questo caso, in particolare, si distingue perché ha un testimone d'eccezione e dispone di una foto ad altissima risoluzione. Il testimone, infatti, è Massimo Di Falco, maresciallo dei Carabinieri in pensione, già radarista nell'Aeronautica Militare.
 
 

Il luogo dell'avvistamento è Giugliano in Campania, Via degli Innamorati. È il 31 Agosto 2017, alle ore 21:40 il  cielo è sereno, la visibilità ottima.
Il testimone era sul terrazzo di casa, al quarto piano. Aveva appena terminato una telefonata quando notò, nel tratto di cielo di fronte a lui, un oggetto alquanto luminoso, di forma sferica, colore rosa/arancio, che procedeva ad altissima velocità, sicuramente “superiore a quella di un proiettile”, da sud/ovest verso nord/est.
Quella luce procedeva con modalità scomposta irrazionale e variabile, descrivendo linee a zig zag o ampie traiettorie circolari. Quindi, l'oggetto si fermava improvvisamente e, al posto della sfera rosa/arancio, rimaneva visibile una luce assimilabile a una stella di media grandezza (l'Orsa Maggiore era visibile poco sopra l'oggetto). Questo, secondo il testimone, doveva essere di dimensioni enormi: decine o centinaia di metri. Niente di convenzionale o di conosciuto: avendo dimestichezza di aerei militari e di quanto si muove normalmente nel cielo, Di Falco si rendeva conto che ciò che osservava non poteva essere riconducibile ad alcuna categoria di aeromobili, sia  civili che militari. Provava stupore, ma anche spavento in quanto era ben cosciente di assistere a qualcosa di non comune e di sconosciuto.
 

Per fortuna, aveva già in mano il cellulare (Samsung S7 con videocamera ad elevate prestazioni), impostato sulla massima risoluzione e per visibilità notturna, con zoom al massimo: per hobby, lo usava per fare foto astronomiche. La foto, a una successiva osservazione, mostrò intorno all'oggetto una zona circolare priva di stelle, quasi un buco scuro nel cielo intorno all'UFO.
La foto scattata rivela una sagoma indefinibile, vagamente circolare, con un rialzo nella zona centrale. Intorno sembra che ci siano delle manifestazioni di elettricità statica, forse fulmini che stemperano i bordi rendendoli irregolari. Il testimone conferma di aver avuto l'impressione che il cielo intorno all'oggetto si muovesse e si distorcesse (è un classico di alcuni avvistamenti). L'apparizione svanì quindi nel cielo rimpicciolendosi gradualmente, forse allontanandosi velocemente, subito dopo l'unico, fortunato scatto fotografico.
 
 
Poteva trattarsi di un asteroide? Improbabile per la traiettoria scomposta e poco lineare. La velocità elevatissima esclude anche che potesse trattarsi di palloni, aerei o lanterne cinesi. Tutto fa realmente pensare all’avvistamento di un UFO in piena regola, un oggetto volante non identificato, con le dichiarazioni e la foto di un testimone di eccezionale affidabilità ed autorevolezza.