È un caso di rapimento avvenuto circa trent’anni fa
e che, dopo aver conosciuto una certa notorietà, è ricaduto poi nell’oblio, non
senza aver portato un penoso sconvolgimento nella vita del protagonista,
segnandola in modo indelebile.
La sera del 19 gennaio 1979, alle ore 11:30, circa, un boscaiolo di Lusiana
(un comune in provincia di Vicenza) Antonio Conte, stava rientrando a casa dopo
aver trascorso la serata ad Asiago in compagnia di alcuni amici, con i quali
aveva cenato. Ed ecco che, all’improvviso, il motore dell’automobile si fermò,
i fari si spensero e gli sportelli si aprirono: tutto in una volta e senza
alcuna causa apparente.
Mentre l’uomo cerca ancora di capire cosa stia
accadendo, un oggetto luminoso di forma sferica scende dal cielo e si posa a
breve distanza. Con immenso stupore e con paura, egli vide sbucare da quella
sfera due piccoli esseri di aspetto umanoide che, velocemente, si diressero
verso di lui. Letteralmente terrorizzato, l’uomo avrebbe voluto darsi alla
fuga, ma non ne ebbe la forza: si sentiva incapace di fare un passo, tanto che
dovette sostenersi contro la fiancata della sua vettura per non scivolare a
terra.
Gli alieni sembravano, per le loro dimensioni, dei
ragazzini: alti poco più di un metro, indossavano delle tute aderenti, a squame
metalliche, di colore simile al bronzo. Avevano le mani affusolate e terminanti
con delle punte simili a chiodi. Al posto delle orecchie avevano qualcosa che
sembrava del filo metallico, attorcigliato che produceva una sorta di ronzio a
ogni movimento.
L’uomo si calmò quando si rese conto che non
sembravano ostili, tanto che finì per accogliere l’invito a seguirli all’interno
dell’astronave. Qui poté osservare una varia strumentazione, in un ambiente
alquanto ristretto. Tutt’intorno, notò una serie di apparecchiature
elettroniche, al suo fianco uno schermo in cui delle palline luminose si
muovevano all’impazzata. Davanti a lui una superficie illuminata,
semitrasparente, al di là della quale gli parve di intravedere delle creature
in movimento. Mentre era intento a esaminare il luogo in cui si trovava,
tentando di darsi conto delle proprie sensazioni, uno degli esseri che lo avevano invitato a
salire gli si avvicinò con l’evidente intenzione di togliergli la giacca. Il
boscaiolo non sapendo che fare, in un primo momento rimane sorpreso,
irrigidito, passivo e lasciò che la creatura lo toccasse, poi si rinvenne,
scosso dalla paura: ora temeva che volessero fargli del male, magari anche
sottoporlo a qualche terribile esperimento. Istintivamente retrocesse e
allontanandosi si sottrasse al contatto. Qualunque fosse il suo intento, la
creatura rinunciò. Si accostò alla parete che al suo tocco si aprì lasciando
comparire una tuta del tutto simile a quella che indossavano loro. L’uomo intuì
che i due piccoli esseri volevano condurlo da qualche parte. Fu preso dallo
sconforto, le gambe gli cedettero improvvisamente e si accasciò a terra. Iniziò
a implorare che lo lasciassero andare, non voleva saperne di andare con loro,
si sentiva braccato, in trappola, l’angoscia era indescrivibile. Uno dei due esseri toccò nuovamente la parete
che sembrò aprirsi e dal nulla, comparve una fessura dalla quale l’essere
prelevò un piccolo oggetto. Con le mani parve incidervi qualcosa sulla sua
superficie, poi lo porse all’uomo, invitandolo a metterselo al collo. Quasi
contemporaneamente, ricomparve il portello dal quale il Conte era salito a
bordo e l’uomo non ci pensò due volte, trascinandosi fuori carponi. Tutto si
consumò in pochi attimi, la palla luminosa svanì e prima ancora che il
testimone potesse riprendersi dallo spavento, ogni cosa era tornata normale. Intorno
a lui, il freddo della notte invernale, il fruscio lieve della campagna e i
vaghi rumori attutiti e lontani che provenivano dal vicino centro abitato. I
fari dell’auto si riaccesero e l’auto stessa mise in moto al primo colpo.
Il Conte, esausto, rientrò a casa trovando, a suo
dire, la madre ancora alzata (il testimone non era sposato) che, vedendolo,
s’impressionò. Il figlio, ancora sconvolto, tentò di spiegarle l’accaduto. Ma
non trovava le parole. Neppure i gesti gli furono d’aiuto: tremava come una
foglia. La notte fu piena di incubi, di ricordi confusi, l’uomo si alzò e quasi
inconsapevolmente, prese l’oggetto che le due creature gli avevano dato e lo
nascose in una breccia del muro di casa: un estremo tentativo di rimuovere
quanto aveva vissuto.
Il mattino successivo, quando il suo amico,
Giuseppe Sciessere, passò a prenderlo per andare al lavoro, lo trovò ancora
stravolto e angosciato, di poche parole, chiuso in se stesso. Ci volle del
tempo e molta delicatezza, ma alla fine il Conte raccontò tutta la sua storia e
la confessione fatta a un amico si trasformò ben presto in una storia che fece
il giro del paese e richiamò l’attenzione della stampa.
Sul “Giornale di Vicenza» del 20 gennaio 1979 comparve
un’intervista ad Antonio Conte, da questi spontaneamente rilasciata: la prima e
l’ultima, poiché, demoralizzato dalla reazione dei suoi compaesani, fra
scetticismo e derisione, egli si chiuse ben presto in un silenzio totale, rifiutando
ogni ulteriore incontro con dei giornalisti.
Certe insinuazioni avevano ferito il protagonista,
uomo dalle abitudini estremamente morigerate, descritto da tutti come persona
riservata e schiva e dagli interessi limitati. Non era, di certo, un esibizionista
o un individuo dalla fervida immaginazione. Agli Ufo, poi, non aveva mai
rivolto un pensiero particolare, né era stato propenso a credervi, prima della
sua personale esperienza. Anzi, capitato il discorso in proposito, ne aveva
riso apertamente con gli amici. Quest’ultimo è un elemento assai significativo,
perché getta una luce eloquente sulla assoluta mancanza, in lui, di propensione
a quelle suggestioni che, invece, portano legittimamente a dubitare dei
racconti di altri protagonisti di esperienze relative ad “incontri ravvicinati”
con creature aliene.
Il caso di Antonio Conte è comunque emblematico
della solitudine e dell’angoscia che afferrano i protagonisti di simili
esperienze, specialmente quando mancano del tutto degli indizi oggettivi che
qualcosa di straordinario sia realmente accaduto. Sì, poiché la misteriosa
“scatolina”, quella che gli alieni, poco prima del commiato, avrebbero
consegnato al boscaiolo, facendogli cenno di mettersela al collo, nessuna l’ha
mai vista!
Si sussurra che il Conte l’abbia fatta scomparire,
per cercar di dimenticare la sua traumatica esperienza, oppure che l’abbia
nascosta chissà dove, temendo che potesse venirgli sequestrata dai carabinieri.
In ogni caso, se mai è esistita, ora non c’è più: il protagonista della vicenda,
che allora aveva quarantadue anni, non ha più voluto parlarne. L’esperienza di
quella notte non sembra aver agito in modo positivo nella sua vita: gli ha
provocato terrore, incomprensioni, solitudine, amarezza. Ha trasformato un uomo
normale, pacifico, bonario, in uno sospettoso, introverso, perseguitato dai
propri fantasmi. Come accennavo in un post precedente (Cfr. Considerazioni sui rapiti) si può sostenere che, il più delle volte, incontri di questo genere non
sono affatto positivi per quanti li hanno vissuti.
Quando un biologo, su qualche isoletta antartica,
cattura un pinguino o un albatro e poi li lascia andare, dopo aver applicato
sulla zampa una targhetta di riconoscimento, per poterne seguire gli
spostamenti e le abitudini sul medio e lungo periodo, ritiene di compiere
un’azione non solo legittima, in quanto motivata da intenti puramente
scientifici, ma anche assolutamente innocua e indolore. Ed è certo che non
agisce con intenzioni cattive. Ma cosa ne sappiamo noi di quel che avviene nella
vita di un altro essere vivente, allorché venga fatto oggetto di una attenzione
invasiva da parte di una specie molto più evoluta di quella cui appartiene?
Quando un biologo cattura un pinguino o un albatro e poi li lascia andare, dopo aver applicato sulla zampa una targhetta di riconoscimento, ritiene di compiere un’azione non solo legittima, in quanto motivata da intenti puramente scientifici, ma anche assolutamente innocua e indolore. Ed è certo che non agisce con intenzioni cattive. Ma cosa ne sappiamo noi di quel che avviene nella vita di un altro essere vivente, allorché venga fatto oggetto di una attenzione invasiva da parte di una specie molto più evoluta di quella cui appartiene?
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