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giovedì 6 settembre 2018

LEGGERE LA BIBBIA


Leggere la Bibbia (Antico Testamento; la Torah ebraica corrispondente al nostro Pentateuco) per come è scritta (naturalmente da traduzione letterale originale) e senza calarci dentro mille interpretazioni o significati misterici, evidenzia una storia completamente diversa da quella alla quale siamo stati abituati. Molto probabilmente gli autori, in realtà, ci hanno raccontato reali cronache storiche e non artificiose metafore. La sua lettura letterale acquisisce, a questo punto, una logica lucidissima e una coerenza scientifica strabiliante che dissolve ogni dogma e va a colmare ogni lacuna sia evolutiva, sia mistica.
Dalle traduzioni letterali effettuate sui testi originali in ebraico si scopre che la narrazione biblica racconta in realtà una storia molto diversa da quella interpretata e veicolata dalla filologia e dalla teologia ebraica e successivamente cristiana.

I termini Elyon, Elohim e Yahweh, che gli esegeti ebrei prima e le traduzioni teologiche cattoliche dopo, hanno unificato con la figura unica di Dio, in realtà descrivono tre differenti parole per tre differenti significati.
 
 
Elohim, innanzitutto, è un termine ebraico plurale (del singolare El o Eloah) che viene tradotto, solitamente, come “gli splendenti” (forse riferendosi al loro aspetto) e per quanto la teologia miri a convincere che sia stato usato il plurale come accrescitivo della potenza di Dio, in molti diversi passi dell’antico testamento tale giustificazione cade in palesi contraddizioni. Nei testi originali appare ogni volta che nella traduzione italiana troviamo la parola “Dio”. Calato nel contesto delle scritture nella loro completezza, emerge in modo evidente che gli Elohim erano un nutrito gruppo di individui assolutamente in carne e ossa, corrispondenti agli Anunnaki descritti nelle tavolette cuneiformi sumero-accadiche.
 
Elyon corrisponde alla traduzione italiana “l’Altissimo”. In Deuteronomio (cap. 32 ver. 8) viene descritta la suddivisione della Terra in Nazioni e la spartizione dei popoli tra gli Elohim. [Nella traduzione masoretica, così come nella versione cattolica, il termine plurale Elohim come destinatari delle assegnazioni da parte di Elyon, viene sostituita con israeliti: "Quando l'Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell'uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli “Israeliti"]. Naturalmente il testo originale non menziona affatto il termine “israeliti” in quanto a quel tempo né il popolo né la lingua ebraica esistevano. Tuttavia le esigenze teologiche non potevano permettersi di lasciare il termine Elohim, sarebbe stato assolutamente troppo esplicita la pluralità degli “Dei”. In sostanza dai testi originali si evince che Elyon era con molte probabilità il comandante supremo degli Elohim e discese sulla Terra solamente in pochissime occasioni. Al tempo della spartizione delle Nazioni e in occasione di un concilio (riunione) di Elohim narrata in Salmi 82: “Dio si alza nell’assemblea divina, giudica in mezzo agli Dei” “Io ho detto: Voi siete Dèi, siete tutti figli dell’Altissimo“. “Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti…” In questa narrazione l’originale traduzione ci racconta come durante un’assemblea degli Elohim, Elyon si alzò e parlò loro riprendendoli. Disse loro, voi siete tutti Elohim, ma ricordate che anche voi morirete, proprio come gli uomini.
Gli Elohim erano presumibilmente una razza (presumibilmente non umana) ma certamente in carne e ossa, il loro aspetto (tratto da pochissimi indizi veterotestamentari e scritti extrabiblici) li descrive come alti, dalla pelle bianca come il latte, capelli bianchi argentei e occhi grandi e iridescenti. Vengono considerati eterni o immortali ma solo per una loro spropositata longevità rispetto agli esseri umani. Pare potessero vivere oltre 400.000 anni, ma potevano essere uccisi come chiunque altro.
 
Yahweh è il nome di Dio secondo l’ebraismo e la Chiesa Cattolica. Nei testi biblici tradotti compare come “Signore” “l’Eterno” “Dio di Israele”. Secondo la tradizione Il suo nome fu pronunciato a Mosè nel famoso incontro sulla montagna (Libro dell’Esodo). In realtà ai tempi (presunti) di Mosè la lingua ebraica non esisteva ancora, sorge quindi spontanea la domanda: in quale lingua fu pronunciato originariamente? Le genti uscite dall’Egitto vissero per almeno quattro secoli in quelle terre, pertanto è presumibile che parlassero l’egiziano o al limite l’amorreo (una forma proto-semitica). Alcuni studiosi asseriscono che il popolo uscito dall’Egitto con Mosè fosse composto da soli egiziani. Originariamente del termine si conosce solo il famoso tetragramma trascritto la prima volta 400 anni dopo essere stato pronunciato, corrispondente al consonantico YHWH e vocalizzato in YaHWeH solo dopo altri 1.600 anni. Si può presumere che l’Eloah pronunciò il proprio nome nella sua lingua e fu successivamente riprodotto secondo la fonetica semitica.
Nonostante nella Bibbia il nome di “Dio” comparve con Mosè, in alcuni scritti ancora più antichi ritrovati in Libano, viene menzionato il nome di Yhwh come figlio giovane di uno dei capi Elohim di quel territorio. Anche nella stele di Mesha (Giordania) del IX secolo a.c. viene trovato il nome Yhwh in contesa con l’Eloah Kemosh (divinità moabita). Di Kemosh si parla anche in relazione alla guerra durante la quale la valle di Sodoma e Gomorra fu distrutta dalle “armi del terrore” utilizzate da un altro Eloah, Ninurta (sumero-accadico, figlio di Enlil fratello di Enki) regnante in Assiria. Altri testi extrabiblici riportano che Yhwh era conosciuto già secoli prima, in altri territori, con il nome di Shaddai. Inoltre, nei libri della Bibbia copta si parla anche della sua compagna Asherah (Cfr. ASHERAH: LA MOGLIE DI DIO) Sul fianco della giara di Kuntillet Ajrud, sono presenti motivi iconografici che mostrano tre figure antropomorfiche e un’iscrizione che nomina appaiati «Yahweh [...] e la sua Asherah». Conosciuta anche con il nome di Anat o Ashratum.
 
Secondo le scritture bibliche (originali), così come nei testi sumero-accadici, per altro ancora più precisi e dettagliati, gli Elohim decisero di fare l’Adàm incrociando il loro DNA con quello dell’ominide presente sulla Terra. Nella Genesi sono due gli episodi relativi alla creazione; nel primo, secondo la tradizione, troviamo scritto: “Dio disse facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”. La traduzione corretta e letterale dall’ebraico recita: “Gli Elohim (ricordiamo che è plurale e infatti anche i verbi che seguono lo sono) dissero, facciamo l’Adàm con la nostra immagine (DNA), l’Adàm sarà a nostra somiglianza”.
In ebraico viene utilizzato il termine “Zelem” che significa “quel qualcosa che contiene l’immagine” ed essendo un vocabolo derivante dal verbo “Zalem” che indica “tagliare fuori” (estrarre – togliere), descrive in modo chiaro che l’immagine degli Elohim è contenuta in un qualcosa che è stato “tagliato fuori” dagli Elohim stessi. Nelle cronache sumero-accadiche è esplicitamente descritto che quel “qualcosa” fu estratto dal sangue di giovani Anunnaki maschi. Si parla pertanto della metà “donatrice” cioè il primo racconto parla del DNA Elohim.
Nel secondo racconto si narra che Dio modellò l’uomo dalla terra e vi soffiò dentro la vita. “allora il Signore Dio modellò l’uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’ uomo divenne un essere vivente”. Nella versione originale il termine tradotto con polvere (argilla, fango) in realtà descrive “la forma” cioè la matrice nella quale inserire il “soffio di vita”. La versione sumerica ci dice che usarono provette d’argilla. Un palese riferimento a una operazione di ingegneria genetica con il quale gli Elohim hanno contribuito  al salto evolutivo dell’uomo rispetto a tutti gli altri primati terrestri.
Recentemente i genetisti si sono accorti della presenza nel genoma umano di parti consistenti di DNA inizialmente denominato “spazzatura” poiché non codificante, parte che non dovrebbe esistere nei nostri geni.
 
Adamo ed Eva
Innanzitutto va precisato che nelle scritture bibliche originali la parola Adàm non determina un individuo ma una specie, l’articolo determinativo presente nei testi ebraici (l’Adàm) ne è la prova. Come descritto ampiamente e con dovizia di particolari dalle tavolette sumero-accadiche, gli Anunnaki eseguirono diversi esperimenti prima di raggiungere il successo, generando l’Uomo. Sono descritti almeno sette tentativi andati male (aborti, mostruosità, menomazioni e mutazioni). Questi racconti ci confermano che la “creazione” dell’Uomo avvenne a fronte di una lunga catena di tentativi ed esperimenti assolutamente di natura genetica, non creazionista.
Tornando alla Bibbia, fatto l’Adàm, gli Helohim (o Anunnaki) lo posero in Eden e gli affidarono ogni sorta di animale e la cura del “giardino”. Presumibilmente affidarono agli “umani” la cura dei campi, degli alberi da frutto e del bestiame, all’interno del loro centro di comando (l’Eden). A un certo punto gli Elohim si accorsero che l’uomo non trovava negli animali una compagnia che gli fosse simile. La frase sta forse a significare che l’assenza femminile abbia portato gli Adàm a sfogare i naturali istinti sessuali verso altre specie? Non lo sappiamo, ma gli Elohim decisero quindi di creare la femmina e nel relativo passo biblico (Genesi 2,21) è evidente si parli di una operazione chirurgica con la quale venne estratto del materiale da “parte laterale ricurva” (tradotta con “costola” ma presumibilmente relativa alla cresta iliaca).
Oggi le cellule staminali vengono prelevate tramite aspirazione di sangue midollare proprio dalla cresta iliaca (parte laterale ricurva). La Bibbia scrive: “Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò e prese una delle sue costole e rinchiuse la carne al suo posto”. Incrociando ancora una volta i testi biblici con i resoconti sumero-accadici si può leggere in queste righe che gli Elohim indussero nei soggetti un sonno profondo (anestesia totale) e prelevarono le cellule staminali dalla cresta iliaca. Fatto ciò richiusero le carni al loro posto e con ciò prelevato procedettero, tramite clonazione e interventi genetici, alla produzione di soggetti femminili, le Eva.
 
Il peccato originale
All’interno del giardino (dell’Eden) ci dicono essere stati posti due alberi: l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. In realtà su questo argomento la Bibbia fa un po’ di confusione mischiando più volte l’uno con l’altro.
Tutti conosciamo bene la storia della mela e il serpente; tuttavia la teologia fa apparire il racconto come una fiaba o quanto meno una metafora finalizzata all’inserimento del peccato originale. Evidentemente una lettura letterale e corroborata da una corretta traduzione e ricerche trasversali (testi extrabiblici e parallelismi con tutte le altre culture) riescono a colmare le innumerevoli falle logiche oggi resi dogmatici dalla filologia ebraica e dalla teologia cattolica.
Quanto scritto originariamente nella Genesi è molto più concreto di quel che traspare dalle visioni spiritualistiche. Ciò che biblicamente viene descritto come il frutto del peccato non è mai indicato come mela ma solo “frutto”, mela presumibilmente deriva, nelle più recenti traduzioni teologiche, dall’analogia con il termine latino malus.
L’albero della conoscenza altro non era che la consapevolezza della propria sessualità e della sua funzionalità di procreare in modo naturale. Fino a quel momento a produrre gli Adàm ci pensavano gli Elohim. A questo fa riferimento il passo in cui si dice che mangiando del frutto della conoscenza l’uomo sarebbe diventato come “Dio”; allude alla capacità di procreare autonomamente (ovvero creare la vita), proprio come gli Elohim.
Il serpente dell’Eden era molto probabilmente un medico, forse una dottoressa, a volte, indicata come la Dea Serpente. È probabile  che fosse la genetista che programmò e seguì l’incrocio genetico con gli Elohim (pertanto la nostra madre “creatrice”). Comunque, mentre Enlil esigeva il controllo demografico e che la loro (ri)produzione fosse subordinata e programmata, Enki, più benevolo, desiderava per queste creature la possibilità di riprodursi ed evolversi naturalmente. Concesse agli uomini la fertilità, rendendoli quindi uguali a loro. I capi della fazione di Enlil disapprovarono tale azione e come conseguenza “cacciarono” gli Adàm dal Gad-Eden. Questa, in realtà, non fu una condanna, come espresso dalla teologia, bensì una relazione di causa-effetto. Seguono i passi che descrivono le “punizioni” di Dio: 


“Tu uomo lavorerai il suolo con il sudore.” 
È ovvio: finché vivevano nell’Eden, al cibo pensavano gli Elohim. Ora l’uomo per mangiare doveva cavarsela da solo, lavorare la terra e andare a caccia. Nessuna condanna, ma semplice conseguenza.
 
“Tu donna partorirai con gran dolore”
 
Altra ovvietà: finché vivevano nell’Eden, alla riproduzione pensavano gli Elohim, gli Adàm non erano fertili e venivano “prodotti” presumibilmente in vitro. Con il raggiungimento della fecondità e la possibilità di riprodursi autonomamente, le femmine (le Eva) avrebbero sperimentato che partorire era doloroso (esperienza naturale vissuta anche dagli Elohim). Ancora una volta nessuna condanna, ma semplice conseguenza della loro scelta.
Anche il concetto della conoscenza del bene e del male è semplicemente la sperimentazione diretta di ogni aspetto della vita, positivo o negativo. In sostanza gli Elohim concessero all’Adàm la libertà di sperimentare la loro nuova condizione.
 
L’albero della vita
Genesi 3,22: “Il Signore Dio disse allora: Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!”
In questo passo biblico torna il plurale “noi” relativo a “Dio”.
La preoccupazione di Enlil fu che l’uomo, ormai in grado di procreare liberamente, potesse accedere all’altra caratteristica tipica degli Elohim, la loro spropositata longevità. I genetisti odierni hanno appena cominciato a capire i meccanismi responsabili della degenerazione cellulare, gli errori di “copia” del codice genetico ad ogni sua replica. È probabile che gli Elohim avessero una tale conoscenza della genetica da aver sconfitto tali perdite di informazioni del DNA ed essere pertanto in grado di vivere oltre i 400.000 anni. C’è da dire che non trasmisero questa prerogativa agli uomini. Tuttavia, nei racconti sumeri sembra che, per garantire tale longevità, facessero uso dell’estratto di una pianta importata dal loro pianeta di origine. E’ pensabile, quindi, che temessero che l’uomo potesse ottenere l’accesso a questo elisir di lunga vita (non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre).
 
Se volete, potrete prendete tutto ciò alla stregua di una favola. Tuttavia, vi consiglio di riflettete sulla lucidità e logicità di questa versione che è quanto ricavabile da una semplice lettura letterale e basata su un racconto dei fatti incontrovertibile, condivisibile da tutti gli scritti antichi delle più svariate culture, dal medio oriente, all’estremo oriente, dai nativi americani alle tribù africane.
Quanto qui descritto non vuole in nessun modo escludere l’esistenza di Dio, semplicemente il “Dio dei destini” non è menzionato nelle sacre scritture: la Bibbia si limita a narrare la storia della relazione di un Elohim con il popolo che gli era stato assegnato.

2 commenti:

  1. Quanto qui descritto non vuole in nessun modo escludere l’esistenza di Dio, semplicemente il “Dio dei destini” non è menzionato nelle sacre scritture: la Bibbia si limita a narrare la storia della relazione di un Elohim con il popolo che gli era stato assegnato.

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  2. In relazione alla frase "Partorirai con dolore" è interessante quanto afferma il dott. Ellis Argento nel libro "Humans are not from earth" e cioè che l'uomo, a differenza delle specie animali, non è frutto dell'evoluzione naturale ed in sostanza egli non è adeguato alle condizioni di vita del nostro pianeta ma si deve adattare. Anche le grandi teste con cui nascono i neonati sono un'eccezione e rendono difficile il parto delle madri nella nostra specie.

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