Poteva capitare a chiunque e infatti capitò a
milioni di donne in tutta Europa, bruciate vive perché troppo libere
intellettualmente e sessualmente. Pensate che in tre secoli alcuni storici
hanno stimato che furono sterminati nove milioni di streghe, l’80% delle quali
erano donne o addirittura bambine.
Molte personalità famose caddero vittime
dell’Inquisizione. La più nota è senza dubbio Giovanna d’Arco, la pastorella
che assunse il comando dell’esercito, salvò la Francia dall’invasione nemica e
rimise in trono il legittimo sovrano. Fu però accusata di stregoneria ed eresia
perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo, quindi, fu bruciata
viva. Oggi la stessa Chiesa che la condannò l’ha resa santa.
A dire il vero, sia uomo che donna, oggi come
allora, chiunque usa la testa costituisce una minaccia alla ricchezza e al
potere di una minoranza di privilegiati e va quindi eliminato.
Tra il XV e il XVIII secolo furono celebrati in
tutta Europa, oltre 100.000 processi. Numeri impressionanti, confermati da
esempi drammatici: alla fine del 1500, nel principato tedesco di Eichstatt, in
un solo anno 274 persone furono condannate per stregoneria. Nella contea di
Quedllimburg, addirittura 133 persone in un solo giorno. Una vera e propria
persecuzione che raggiunge il parossismo in paesi come la Germania, i Paesi
Bassi, l’Inghilterra, la Francia settentrionale e la Svezia; ove si consumarono
gli episodi più efferati.
In Italia e in Spagna, invece, la furia
inquisitrice preferiva accanirsi contro gli eretici, i musulmani e gli ebrei. Ma,
all’inizio del XVI secolo, anche l’Italia ebbe i suoi roghi per stregoneria:
165 donne furono processate in val Camonica tra il 1518 e il 1521 (65 furono
bruciate); a Bologna, nel 1523 furono celebrati 60 processi e 10 imputate finirono
sul rogo. Il triste primato di oltre 1000 procedimenti tra il 1519 e il 1522 va
alla città di Como.
L’atteggiamento dell’inquisitore nei confronti
della stregoneria era paragonabile a quello che potrebbe avere un medico nei
confronti di una malattia infettiva e
molto contagiosa. La “cura” era immediata e definitiva: il rogo. Furono secoli
di terrore con poche voci di dissenso. Come quella di Frederich Spee, padre
gesuita, che nel 1600 scrisse:
“Le accompagnavo al rogo: erano tutte condannate, mentre io sapevo che erano tutte innocenti. E poteva capitare a chiunque”.
Le vittime venivano accompagnate dalla folla, a
partire dal carcere, fino alla piazza principale dove era stato preparato il
rogo. Agli eretici e alle streghe veniva proposto l’atto di fede: la vittima,
fatta salire sulle cataste di legno, veniva legata al palo mentre si ordinava
al boia di appiccare il fuoco. Se il condannato si pentiva, otteneva il
“privilegio” di venire strangolato prima di essere arso vivo tra le fiamme.
In realtà, la morte veniva provocata non dal fuoco,
bensì dall’asfissia, prodotta dai fumi stracarichi di gas e prodotti dalla
combustione. Ora, qualche devoto si chiederà come mai proprio la Chiesa
ricorresse a simili crudeltà. La risposta è che, 500 anni fa, tale azione era
considerata crudele ma necessaria e tanti ecclesiastici, durante questi secoli
bui, pensavano davvero che questi rimedi sarebbero riusciti a salvare il mondo
dall’invasione del Maligno.
Ma chi erano le streghe?
Anche se esiste una letteratura che ne fa delle
vere e proprie eroine, consapevoli dei loro diritti e in opposizione a una
cultura religiosa che le voleva sottomesse, in realtà non avevano nulla di così
epico. In generale erano donne del popolo, donne marginali che lavoravano nella
marginalità. Non adoravano Satana, ricorrevano piuttosto al demonio per
ottenere vantaggi. Alcune agivano nell’illegalità, per ottenere aborti, filtri
d’amore, malocchi. Ma c’erano anche donne che assistevano ai parti, levatrici
che conoscevano i poteri curativi delle erbe, per tradizione millenaria.
Tanti processi furono condotti contro donne
giovanissime o molto anziane, sostiene lo scrittore Valerio Evangelisti. Delle
prime si temeva l’avvenenza e le forme provocanti e tentatrici, delle altre la
decadenza, il declino sessuale. Senza contare il “Malleus maleficarum”, che
chiamava le donne “femine”, da fe-minus. Un modo come un altro per dimostrare
che le donne avevano meno fede degli uomini ed erano, per natura, portate alla
lascività, alle pratiche occulte vietate e alla terribile magia nera.
Il “Malleus maleficarum”, detto anche “Martello
delle streghe“, fu pubblicato su mandato specifico del Papa Innocenzo VIII nel
1486 da Kramer e Sprenger, due Inquisitori domenicani dell’Alsazia. Kramer e
Sprenger descrissero attentamente il modo di vivere delle streghe, tratto dalle
tradizioni popolari e dalle confessioni (rese sotto tortura). Quanto scritto
nel “Malleus maleficarum” convinse la gente comune dell’esistenza di un vero
pericolo. E così, attraverso la stampa, i libri, i sermoni, le caratteristiche
della strega furono standardizzate e descritte in modo inequivocabile.
La magia e la stregoneria sono parte di una religione
millenaria che risale all’età della pietra, l’epoca in cui gli uomini primitivi
praticavano culti pagani per ottenere il favore delle divinità. I riti
propiziatori indoeuropei delle prime civiltà, legati all’abbondanza, alla
fertilità e alla prosperità dei raccolti, mescolavano il naturale al
sovrannaturale: in queste cerimonie le donne venivano a contatto con gli
spiriti dei boschi, dell’acqua, delle piante per ottenere fertilità, forza e
salute.
Il termine strega cominciò a essere usato solo alla
fine del 1300. A Milano, verso il 1390, ci fu un processo che vide come
protagoniste delle “malefiche”, accusate di essere al servizio non di
Satana, ma di una divinità pagana, chiamata Apulia. A quell’epoca la magia era
ancora un termine impreciso. Si conoscevano 18 tipi di magia, di cui solo 1 negativo
ed era quello che presumeva l’invocazione del demonio. Nei secoli precedenti i
processi erano stati per lo più casi sporadici: ma dalla fine del Medioevo, per
circa due secoli, iniziò la lotta contro quelle che venivano considerate “forze
del maligno”.
Perché proprio allora?
In quel periodo, il mondo stava cambiano velocemente.
Le città crescevano a dismisura e fiorivano i commerci, che stavano sostituendo
le antiche attività contadine. Le mura fortificate delle città non erano, però,
un baluardo capace di tenere a bada ogni pericolo. L’ordine razionale del mondo
e l’armonia religiosa, tipiche del Medioevo, si erano ormai spaccate: con la
riforma luterana e quella calvinista, la perdita di potere della Chiesa e
l’instabilità economica e sociale provocarono paura e incertezza che avevano bisogno di
trovare un colpevole. La Chiesa, dotata di specifici tribunali, dovette dare
una risposta alla paura dell’ignoto: le streghe diventarono il capro espiatorio
di ogni problema.
L’Inquisizione non iniziò subito a occuparsi della
stregoneria. In principio questo tribunale della Chiesa aveva il compito di
vigilare sulle questioni di fede e difendere il dogma cristiano dalle eresie
che ne minavano la solidità. Ma all’inizio del XVI secolo, grazie a una bolla
papale di Innocenzo VIII, questi stessi tribunali vennero incaricati di lottare
contro la piaga dilagante della stregoneria, che prima veniva contrastata in
maniera sommaria e senza regole precise.
Le streghe vennero così definite “discepole del
diavolo” e per fermare la loro opera “immonda” si poteva ricorrere a mezzi
estremamente crudeli. Per ottenere la confessione di colpevolezza e di commerci
con il maligno, venivano usate specifiche forme di tortura. Una pratica non
solo tollerata dalla Chiesa, ma addirittura incoraggiata, dato che permetteva
di arrivare in modo più rapido alla “verità” e allo stesso tempo, diminuiva i
tempi di detenzione e i costi delle cause. I poteri speciali degli Inquisitori,
poi, non lasciarono indifferenti prìncipi e regnanti, i quali cercarono di
volgerli a proprio vantaggio. Si strinsero saldi legami tra l’Inquisizione
ecclesiastica e gli Stati, che approfittarono di una temibile macchina
repressiva, senza doversene assumere la responsabilità. In Francia, Germania e
Spagna i tribunali secolari (comunque presieduti da figure religiose) si
sostituirono via via all’Inquisizione religiosa, organizzando processi di una
crudeltà inaudita e senza alcuna garanzia per gli imputati. Dal 1257 al 1816
l’Inquisizione torturò e bruciò sul rogo milioni di persone, tutte innocenti. Erano
accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate senza
processo, in segreto, col terrore della tortura. Se “confessavano” erano
dichiarate colpevoli di stregoneria, se invece “non confessavano” erano
considerate eretiche e quindi arse sul rogo. Alcune erano sottoposte alla prova
della pietra al collo: la presunta colpevole veniva gettata in acqua legata a
una pietra. Se annegava era innocente, se invece restava a galla era una
strega… in ogni caso moriva! Nessuno sfuggiva all’inquisizione.
Come abbiamo visto, stregoneria non vuol dire
stringere un patto con il diavolo. Fin dalla notte dei tempi la magia si è
espressa anche con figure mitiche di guaritori e indovini. Se le streghe
rappresentavano l’incarnazione del male, esiste anche una fitta categoria di
figure schierate dalla parte del bene, che grazie ai doni di chiaroveggenza,
virtù taumaturgiche e poteri divinatori, poteva mettersi al servizio del
benessere e della felicità. Indovini, chiaroveggenti, sibille, maghi,
sacerdotesse e profeti, hanno infatti da sempre popolato la faccia della terra,
fin dai tempi e dalle culture più remote.
Gli “aruspici” erano, nella religione etrusca, i
sacerdoti che interpretavano il volere divino utilizzando e analizzando il
fegato di animali. Rappresentanti di un’arte divinatoria giunta praticamente
integra ai romani e da questi continuata per secoli, ci si rivolgeva a loro per
interpretare i segni del cielo e i prodigi della natura. Insomma: tutto ciò che
poteva essere una manifestazione del divino.
Le Sibille, invece, erano gli oracoli della cultura
romana arcaica: esclusivamente di sesso femminile, isolate dal mondo,
sembravano abitare in luoghi remoti sparsi fra l’Asia Minore, l’Africa e le
coste occidentali del Mediterraneo. Alcuni pensavano che in realtà esistesse
un’unica Sibilla, immortale, che si spostava in luoghi diversi: era la Sibilla
Cumana, una delle figure più complesse e affascinanti dell’antichità. Veniva consultata
solo in caso di estrema necessità e solo da un unico ordine di sacerdoti. La
tradizione vuole che scrivesse i suoi responsi sulle foglie che poi il vento,
penetrando nel suo antro, disperdeva.
Ma anche in epoche recenti il fascino degli
indovini non viene a mancare: basti pensare a Michel de Notre Dame, noto ai più
con il nome latinizzato di Nostradamus, uno tra i più famosi veggenti della
storia recente. La sua figura, che ancora fa discutere, è avvolta nel mistero.
La sua leggenda inizia nella Provenza francese, nella città natale di St. Remy,
dove c’è ancora la sua casa. Scienziato e medico, viaggiò moltissimo in tutta
Europa e raccolse le sue predizioni nelle famose “centurie”, scritte con un
linguaggio che, secondo alcuni, ancora deve essere correttamente decodificato.