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domenica 18 marzo 2012

Adam sul monte Tabor

In quest’altro stralcio di “Senza tempo” continua, al capitolo XL, la vicenda pubblicata alcuni giorni fa su questo stesso sito. Ricordiamo al lettore che Serel, come nel capitolo precedente, indossa abiti etnici maschili. 

-          Siamo giunti sul posto, è qui che ci hanno segnalato la sua presenza, Comandante. – Riferì il pilota dell’aereo.
-          Vedo che avete silenziato quest’apparecchio, era ora: non sopportavo più il rumore. – Disse Serel.
-          Bene, esegui una scansione con gli strumenti di bordo, individua la sua posizione.
-          Eseguo. L’ho individuato, dritto davanti a noi, in basso. Ma cosa?
-          Quel riverbero cos’è? – Chiese Serel.
-          E’ lui o meglio quella tunica che porta addosso, ha cominciato a brillare sotto l’azione dello    scan!
-          Signore qualcosa ha preso l’aereo!
-          Che significa: “qualcosa”, si spieghi meglio.
-          Gli strumenti non mostrano niente, ma avverto una difficoltà particolare nel manovrarlo; il veicolo non si muove liberamente!
-          Ma cosa ci blocca? – Chiese Serel.
-          Un campo di forza probabilmente, creato da un’energia sconosciuta. Credo che ci stiano esplorando!
-          Alzo gli scudi, Signore?
-          No, potrebbe essere interpretato come un atto ostile. Ci faccia scendere il più vicino possibile, ci riesce?
-          Di qualsiasi cosa si tratta è molto efficace, più ci avviciniamo e più si rafforza: non riesco ad uscire da questa situazione!
-          Scendiamo qui. Useremo le dotazioni di salvataggio.
-          Cosa! In una zona impervia, con questo buio? Ci spezzeremo le gambe cadendo sugli alberi o sulle rocce!
- Serel... resta a bordo, vado io! – Detto questo azionai la leva che apriva lo sportello di lancio e senza esitare mi buttai giù. Serel mi seguì a ruota. Nel buio non la vedevo, ma la sentivo imprecare, in alto, sopra di me. Scendevo piano, in modo da aver più tempo per abituare gli occhi all’oscurità. Dopo un po’ riuscivo già a scorgere le sagome degli alberi, completamente scure e fra gli alberi, in lontananza, l’uomo dalla tunica fosforescente.
Le odierne cinture di salvataggio permettono non solo di regolare la discesa ma anche la rotta, per cui, seppur con qualche limite dovuto all’altezza, si può procedere in una certa direzione.
L’uomo era facilmente raggiungibile. Allontanatosi dal gruppetto di seguaci, si era posto ai margini di una piccola radura. Sembrava volesse facilitarci il compito. Toccai terra con facilità, Serel scese subito dopo.
Mi avvicinai.
-          Tu... tu non sei di questo mondo! – Dissi additandolo.
-          Sono nato qui, come un figlio d’uomo.
-          Nessuno di questi uomini è come te!
-          Sì, eppure io sono qui per loro, ma anche per te.
Ricordai quanto mi aveva detto Delfina: “troverai un maestro, lui t’indicherà la strada del ritorno”.
-          Ma tu non mi conosci! – Dissi, per metterlo alla prova.
-          Io ti ho visto, nel disegno del Padre, molto, ma molto prima che tu nascessi.
Non mentiva, lo sapevo. Le sue parole erano... verità. Dimostrava di avere solo trent’anni ma, dal suo essere si sprigionava una saggezza millenaria. Sì mi aveva visto, di sicuro era già là mentre si scriveva il mio destino, in un posto senza tempo, prima ancora che io nascessi.
-          Sei un Antico? – Gli chiesi.
-          Ti meravigli che taluni siano in grado di formare pianeti o di creare sistemi? In verità ti dico che questa capacità è ben poca cosa! Ma non tergiversare, il mio tempo è prezioso, ancora un poco e non sarò più qui. Chiedi dunque e io ti risponderò.
-          Ma io vengo da un altro posto, da un altro tempo...
-          Ed è là che vuoi ritornare.
-          Sì è così. – Non mi chiesi più come facesse a saperlo.
-          A bordo della vostra nave c’è un essere in forma tentacolare.
-          Ma come... – Appoggiai la mano sulla bocca di Serel: volevo che stesse zitta, volevo ascoltare.
-          Siete crudeli con lui, lo tenete imprigionato sotto una cupola. E’ una forma di intelligenza, anche se diversa dalla vostra e soffre perché lo private della libertà.
-          Senza di noi sarebbe morto – rispose Serel – quella cupola lo protegge: per la sua natura non sopravvive entro un campo gravitazionale.
-          Donna, tutto fa parte di un grande disegno. Credetemi a voi viene chiesto di vivere, quello soltanto. Ma se non imparate, la vostra vita sarà trascorsa inutilmente.
-          Ma cosa dobbiamo imparare? – Chiese stupita, Serel.
-          Dovete imparare ad amare!
Serel scosse la testa.
-          Nelle acque impetuose di un fiume anche i più piccoli pesci nuotano, mentre un elefante, benché grosso e possente, vi perirebbe. Un insignificante pesciolino è in grado di godersi la vita fra le acque tumultuose di un fiume, mentre un potente elefante non ne sarebbe capace! Vi siete mai chiesti perché questo paradosso? Ciò che serve per stare in acqua, è il saper nuotare. Se non imparerete ad amare, non sopravvivrete. La vostra scienza non vi servirà, non è il sapere che vi viene richiesto, ciò che serve per vivere, è l’amore. Il vostro Universo, così come voi lo conoscete, sta per scomparire.
-          Ti riferisci alla Cosa? Sai come fermarla?
-          Non sarà fermata.
-          No, no, sento che non morirò, io non morirò!
-          Ma io sì. – rispose Serel rattristata – le sue parole mi hanno aperto la mente, ora ne sono certa!
-          Sciocchezze! - Gli gridai, ma ero in preda alla disperazione più profonda: Qualcosa, dentro di me diceva che era vero.
-          Non morirai, non morirai! – Continuavo a gridare più per convincermi che per convincerla.
Uno degli uomini del Maestro si era svegliato e accortosi di noi, con meraviglia e anche con timore, si stava avvicinando.
-          Non c’è più tempo, dovete andare, ora.
-          Ma, non ci hai detto ancora nulla!
-          Volete tornare? Allora liberate quell’essere tentacolare.
-          Il crisomo? Maestro, lo abbiamo lasciato che stava morendo, nelle sue condizioni non ci sarà d’alcun aiuto.
Mi fissò dritto negli occhi. Nel suo sguardo, intenso e puro come quello di un bambino, mi sentii sprofondare. Capivo che mi era concesso un grande onore: chissà quanti uomini e donne, in futuro, avrebbero desiderato ardentemente incontrarlo.
-          Adam, hai fede in me?
-          Sì... ho fede in te.
-          Allora va e fa quello che ti ho detto.
Intanto il suo seguace, timidamente, si era avvicinato e aveva scambiato con lui qualche parola. Senza dir nulla, preso in mano il suo pendaglio a forma di sacchetto, si concentrò, così come avevo visto fare a Delfina. Fummo avvolti in una cortina simile ad una nube e quando questa si dissolse, ci ritrovammo tutti in volo, a bordo dell’aereo.

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