Gli over 60, per la prima volta nella storia d’Italia, sono più numerosi degli
under 30. Il 2018 segna il sorpasso: il 28,7% della popolazione italiana ha più
di 60 anni, contro il 28,4% che ne ha meno di trenta. Lo dice l’Istat. “Il numero degli anziani si è moltiplicato,
ma le nostre società non si sono organizzate abbastanza per fare posto a loro,
con giusto rispetto e concreta considerazione per la loro fragilità e la loro
dignità” ha detto Papa Francesco. Certo, finché siamo giovani, siamo
indotti a ignorare la vecchiaia, come se fosse una malattia da tenere lontana;
quando poi diventiamo anziani, specialmente se siamo poveri, malati e soli,
sperimentiamo le lacune di una società
programmata sull’efficienza che, conseguentemente, ignora gli anziani.
La salute, una buona condizione economica e familiari su cui contare sono
gli elementi più importanti per una buona vecchiaia.
Il futuro preoccupa. Gli anziani di oggi sono soddisfatti della propria
qualità della vita, soprattutto chi è in salute, non vede compromesse le
proprie capacità motorie e ha una buona condizione economica. Sono pessimisti,
sulla loro vecchiaia, invece, le persone che oggi hanno più di 45 anni: uno su
tre è molto preoccupato della sua futura condizione economica perché non crede che
gli garantirà una buona qualità della vita. Quasi la metà di loro, ritiene che i propri risparmi non saranno
sufficienti per far fronte a tutte le esigenze della terza età. Solo la casa di
proprietà è considerata una solida base per la tranquillità futura.
Non solo. Gli anziani di domani non contano sull’aiuto da parte dei
familiari: solo un terzo di loro pensa che, se il partner non fosse più in
grado di assisterlo, riceverebbe aiuto dagli altri familiari. Non sono ottimisti
sul proprio stato di salute e una delle maggiori preoccupazioni, è quella di
diventare un peso per i propri familiari.
Insomma, come al solito, il nostro Paese sta affrontando il cambiamento
demografico in atto non come un’opportunità, ma come un problema e in termini
di emergenza, anche di fronte a una realtà ampiamente annunciata. Bisogna
cambiare mentalità e pensare alla longevità come una risorsa. Abbiamo tre
milioni di persone non autosufficienti in Italia di cui l’80% sono persone
anziane. A fronte di ciò ci sono solo 300mila posti letto nelle Residenze per
anziani e nelle Residenze sanitarie assistenziali (RSA). Il pubblico copre solo
il 25% di questi posti, il resto è fornito dal privato con i relativi costi.
Quindi ci sarà chi se lo può permettere e chi no.
Oggi sono le famiglie a farsi carico dell’assistenza ingaggiando le
badanti, un fenomeno cresciuto in maniera esponenziale nel nostro Paese, indice
di un servizio pubblico che non è in
grado di far fronte alla non autosufficienza. C’è l’indennità di
accompagnamento, ma poi l’onere resta alla famiglia. Non è sostenibile. Anche
perché i pensionati di domani avranno pensioni più basse e questo inciderà sul
mercato privato di cura. Una situazione che potrà compromettere seriamente il
futuro dell’assistenza domiciliare agli anziani non autosufficienti. Con il
cambiamento demografico, l’alto numero di persone non autosufficienti e i pochi
servizi disponibili, intervenire sulla
“domiciliarità” è una strada obbligata. Invecchiare a casa propria è un
diritto che va garantito con una rete efficace di servizi sul territorio nel
rispetto della persona in tutto l’arco della sua vita. Purtroppo, i servizi sono
pochi e maldistribuiti. La maggior parte dei fruitori non sono soddisfatti. Va
un po’ meglio nel Nord-Est del Paese, va molto peggio al Sud.
Allora chi si prende cura degli anziani non più autonomi?
In tanti sono già impegnati nella cura di un familiare non
autosufficiente (la madre per lo più). Un impegno che condiziona molto la
qualità della vita del caregiver – colui che si prende cura di un familiare non
autosufficiente. Anche la salute mentale e psicologica ne risente. Infatti,
spesso i familiari sono nella cosiddetta generazione sandwich: si trovano schiacciati
tra i figli adolescenti e i genitori anziani di cui prendersi cura oltre ad
avere l’impegno lavorativo da assolvere. Questo si traduce in alti livelli di stress
che impattano sulla loro salute.
Come si può cambiare?
Bisogna ripensare il nostro
sistema di welfare. Si può iniziare approvando la legge sui caregiver che giace in Parlamento dalla scorsa legislatura che prevede il riconoscimento
giuridico di chi si prende cura di un familiare anziano permettendogli di avere
flessibilità sul lavoro, assistenza psicologica e soprattutto, sostegno
economico. Con il nuovo governo è ricominciato l’iter.
Bisogna anche cambiare la tassazione delle pensioni che in Italia sono
trattate alla stessa stregua dei redditi da lavoro dipendente o da lavoro
autonomo anzi, peggio, perché non hanno le stesse detrazioni. La vera
rivoluzione, però, sarebbe un’alleanza tra giovani e anziani, come ha suggerito
il Papa. Bisogna ripensare il ruolo degli anziani nella nostra società
sfruttando il capitale umano di esperienze e saggezza che rappresentano,
considerando che sono portatori della nostra storia.
Chi si prende cura degli anziani non più autonomi?
RispondiEliminaIn tanti sono già impegnati nella cura di un familiare non autosufficiente. Un impegno che condiziona molto la qualità della vita del caregiver. Anche la salute mentale e psicologica ne risente. Infatti, spesso i familiari sono nella cosiddetta generazione sandwich: si trovano schiacciati tra i figli adolescenti e i genitori anziani di cui prendersi cura oltre ad avere l’impegno lavorativo da assolvere. Questo si traduce in alti livelli di stress che impattano sulla loro salute.