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domenica 13 gennaio 2019

ASSISTENZA DOMICILIARE


Gli over 60, per la prima volta nella storia d’Italia, sono più numerosi degli under 30. Il 2018 segna il sorpasso: il 28,7% della popolazione italiana ha più di 60 anni, contro il 28,4% che ne ha meno di trenta. Lo dice l’Istat. “Il numero degli anziani si è moltiplicato, ma le nostre società non si sono organizzate abbastanza per fare posto a loro, con giusto rispetto e concreta considerazione per la loro fragilità e la loro dignità” ha detto Papa Francesco. Certo, finché siamo giovani, siamo indotti a ignorare la vecchiaia, come se fosse una malattia da tenere lontana; quando poi diventiamo anziani, specialmente se siamo poveri, malati e soli, sperimentiamo le lacune di una società programmata sull’efficienza che, conseguentemente, ignora gli anziani.
La salute, una buona condizione economica e familiari su cui contare sono gli elementi più importanti per una buona vecchiaia.
Il futuro preoccupa. Gli anziani di oggi sono soddisfatti della propria qualità della vita, soprattutto chi è in salute, non vede compromesse le proprie capacità motorie e ha una buona condizione economica. Sono pessimisti, sulla loro vecchiaia, invece, le persone che oggi hanno più di 45 anni: uno su tre è molto preoccupato della sua futura condizione economica perché non crede che gli garantirà una buona qualità della vita. Quasi la metà di loro,  ritiene che i propri risparmi non saranno sufficienti per far fronte a tutte le esigenze della terza età. Solo la casa di proprietà è considerata una solida base per la tranquillità futura.
Non solo. Gli anziani di domani non contano sull’aiuto da parte dei familiari: solo un terzo di loro pensa che, se il partner non fosse più in grado di assisterlo, riceverebbe aiuto dagli altri familiari. Non sono ottimisti sul proprio stato di salute e una delle maggiori preoccupazioni, è quella di diventare un peso per i propri familiari.
 
 
Insomma, come al solito, il nostro Paese sta affrontando il cambiamento demografico in atto non come un’opportunità, ma come un problema e in termini di emergenza, anche di fronte a una realtà ampiamente annunciata. Bisogna cambiare mentalità e pensare alla longevità come una risorsa. Abbiamo tre milioni di persone non autosufficienti in Italia di cui l’80% sono persone anziane. A fronte di ciò ci sono solo 300mila posti letto nelle Residenze per anziani e nelle Residenze sanitarie assistenziali (RSA). Il pubblico copre solo il 25% di questi posti, il resto è fornito dal privato con i relativi costi. Quindi ci sarà chi se lo può permettere e chi no.
Oggi sono le famiglie a farsi carico dell’assistenza ingaggiando le badanti, un fenomeno cresciuto in maniera esponenziale nel nostro Paese, indice di un servizio pubblico che non è in grado di far fronte alla non autosufficienza. C’è l’indennità di accompagnamento, ma poi l’onere resta alla famiglia. Non è sostenibile. Anche perché i pensionati di domani avranno pensioni più basse e questo inciderà sul mercato privato di cura. Una situazione che potrà compromettere seriamente il futuro dell’assistenza domiciliare agli anziani non autosufficienti. Con il cambiamento demografico, l’alto numero di persone non autosufficienti e i pochi servizi disponibili, intervenire sulla “domiciliarità” è una strada obbligata. Invecchiare a casa propria è un diritto che va garantito con una rete efficace di servizi sul territorio nel rispetto della persona in tutto l’arco della sua vita. Purtroppo, i servizi sono pochi e maldistribuiti. La maggior parte dei fruitori non sono soddisfatti. Va un po’ meglio nel Nord-Est del Paese, va molto peggio al Sud.
Allora chi si prende cura degli anziani non più autonomi?
In tanti sono già impegnati nella cura di un familiare non autosufficiente (la madre per lo più). Un impegno che condiziona molto la qualità della vita del caregiver – colui che si prende cura di un familiare non autosufficiente. Anche la salute mentale e psicologica ne risente. Infatti, spesso i familiari sono nella cosiddetta generazione sandwich: si trovano schiacciati tra i figli adolescenti e i genitori anziani di cui prendersi cura oltre ad avere l’impegno lavorativo da assolvere. Questo si traduce in alti livelli di stress che impattano sulla loro salute.
 
 
Come si può cambiare?
Bisogna ripensare il nostro sistema di welfare. Si può iniziare approvando la legge sui caregiver che giace in Parlamento dalla scorsa legislatura che prevede il riconoscimento giuridico di chi si prende cura di un familiare anziano permettendogli di avere flessibilità sul lavoro, assistenza psicologica e soprattutto, sostegno economico. Con il nuovo governo è ricominciato l’iter.
Bisogna anche cambiare la tassazione delle pensioni che in Italia sono trattate alla stessa stregua dei redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo anzi, peggio, perché non hanno le stesse detrazioni. La vera rivoluzione, però, sarebbe un’alleanza tra giovani e anziani, come ha suggerito il Papa. Bisogna ripensare il ruolo degli anziani nella nostra società sfruttando il capitale umano di esperienze e saggezza che rappresentano, considerando che sono portatori della nostra storia.

1 commento:

  1. Chi si prende cura degli anziani non più autonomi?
    In tanti sono già impegnati nella cura di un familiare non autosufficiente. Un impegno che condiziona molto la qualità della vita del caregiver. Anche la salute mentale e psicologica ne risente. Infatti, spesso i familiari sono nella cosiddetta generazione sandwich: si trovano schiacciati tra i figli adolescenti e i genitori anziani di cui prendersi cura oltre ad avere l’impegno lavorativo da assolvere. Questo si traduce in alti livelli di stress che impattano sulla loro salute.

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