Si fa un gran parlare in questi ultimi tempi di
strani avvistamenti connessi con creature fino ad ora credute inesistenti: le
mitiche Sirene. Eppure, nelle grotte del Paleolitico - forse anche prima di
quel periodo - sono visibili particolari graffiti in cui sono effigiati uomini
intenti a interagire con queste figure leggendarie. Persino su alcuni scudi
vichinghi appaiono Sirene con la coda caudata. In tutte le civiltà del passato
la presenza di tali enigmatiche “entità” è fortemente sentita, possibile dunque
che si tratti solo ed esclusivamente di un parto della fantasia?
Phineas
Taylor Barnum, (1810-1897), nacque a Bethel, nel Connecticut. A lui si
deve la creazione e l’organizzazione della prima manifestazione circense
organizzata in maniera spettacolare e ricca di straordinarie attrazioni,
conosciuta come: The Greatest Show on Earth (il più grande spettacolo del mondo).
Il circo, composto da tre piste e ben quattro palcoscenici, poteva ospitare
ventimila spettatori e fu distrutto in un incendio. Tra le tante incredibili
creature (gemelli siamesi, la donna cannone, l’uomo lupo, la donna tigre,
l’uomo più piccolo del mondo e quello più alto del pianeta, veniva esibita
anche la sirena delle Fiji: una scimmia assemblata con una coda di pesce creata
da un abile tassidermista. Ma Barnum era pronto a presentare ‘The Real Mermaid’
(la sirena autentica). Già in questo
modo dichiarava la natura fasulla di quella delle Fiji ma purtroppo non sapremo
mai davvero cosa davvero intendesse mostrare. Un incendio distrusse il reperto
prima dell’apparizione pubblica. Ciò che rimane è la fotografia che potete
vedere qui sotto.
Nel 1842, Prima di dare vita al “più grande
spettacolo del mondo”, Barnum aveva creato uno stupendo museo in cui erano
esposte tutte le maggiori curiosità provenienti da ogni parte mondo: l’American
Museum, che fu distrutto per ben due volte da un incendio. Intorno al 1864, sul
finire della guerra civile, Barnum venne a conoscenza di un circo itinerante che
esponeva una Sirena vera. L’ineffabile impresario riuscì ad acquistarla per una
cifra esorbitante e successivamente a esporla nel suo grande museo di New York,
allestito appositamente per essere inaugurato il 15 Luglio 1865. Due giorni
prima dell’inaugurazione un furioso incendio, uno dei peggiori che la città di
New York ricordi, distrusse completamente il museo Barnum. Seguì l’oblio quasi
completo sulla “vera sirena”. Nel 2010, in occasione del bicentenario di
Barnum, i ricercatori incaricati dell’allestimento di una retrospettiva
commemorativa, scovarono negli archivi nazionali dei negativi in vetro
(dagherrotipi) che ritraevano il palco del circo barnum e le sue numerose
attrazioni, compresa la vera Sirena. Poterono constatare che le immagini della
locandina legate alla pubblicità del nuovo museo Barnum e i negativi ritrovati,
raffiguravano in modo sorprendente e somigliante l’essere osservato nel 2007
dalla squadra dei biologi marini (allora in servizio al NOA) Brian McCormick,
Paul Robertson e Rebecca Davis. Questi ricercatori affermarono di avere avuto
un incontro ravvicinato con le Sirene.
In seguito, servendosi di una tecnologia
digitale estremamente avanzata, sono stati in grado di ricostruire le
autentiche fattezze della creatura marina, in tutto identica a quelle esibita
da Barnum.
Ma se pensate che sia la prima volta che un essere
umano si trovi a tu per tu con le sirene, vi ingannate.
All’inizio di giugno del 1962, un certo Colmaro
Orsini, genovese di quarantadue anni, si trovava a pescare sulla scogliera che
protegge la foce del fiume magra (Bocca di Magra - La Spezia) e che in
quell’occasione, come racconterà in seguito stava:
“… ritirando una lenza dal mare per verificare l’esca, allorché ho udito una strana e dolcissima melodia. Poiché nelle vicinanze vi sono stabilimenti balneari, ho pensato che si trattasse di qualche apparecchio radio in funzione. In seguito, però, mi accorsi che gli strani suoni salivano dal mare. Allora, distogliendo gli occhi dalla lenza, ho veduto l’incredibile: un volto umano con i capelli verdi che mi fissava. Sarà stato ad una distanza di quindici metri. Ma appena si avvide ch’io la guardavo, si immerse e prima che scomparisse ho chiaramente veduto uscire dal mare una coda di pesce di colore azzurrognolo. Sul momento credetti da avere un’allucinazione anche se in vita mia non ne ho mai avute. Però, la scia che quello strano essere aveva lasciato, una scia che si muoveva così rapidamente in direzione della Punta Bianca, mi diceva che non avevo sognato. Volevo chiamare gente, ma il timore di essere scambiato per un demente mi fece riflettere. Non ho provato spavento, perché ciò mi era apparso non come un essere mostruoso. Un po’ d’emozione però l’ho certamente provata”.
Il testimone, a detta di tutti era una persona
psichicamente normale, un buon pescatore in grado di distinguere un pesce da un
essere di quel genere. Una storia ai confini della realtà che fu riportata
dalla stampa di quel periodo.
Sicuramente la maggior parte di voi dopo aver letto
questa parola penserà alle splendide e sensuali sirene. Magari, quelle
folcroristiche, descritte come incantevoli ragazze mezze nude con la parte
sopra umana e la parte sotto di pesce.
Ma ammesso che le sirene esistano, siamo proprio
sicuri che siano proprio fatte così?
Qui mi sto inoltrando in un argomento lungo e al
centro di molte discussioni. Per farla breve, ci sono molti scienziati che
credono (anche in base a ritrovamenti e avvistamenti) che possa esistere una
specie umanoide acquatica nei nostri oceani frutto di un’evoluzione inversa: in
pratica una teoria molto diffusa è che circa 7 milioni di anni fa alcune specie
di primati, entrati in competizione con i grandi mammiferi del tempo, si siano
stabiliti lungo le coste e pian piano si siano adattati alla vita acquatica
cercando le prede in mare fino a sviluppare pinne e branchie. Un po’ come è
successo a foche e pinguini.
Per questo motivo le famose sirene sarebbero in
realtà simili a scimmie con la coda di pesce, ma senza peli e con una pelle
liscia come i delfini. Sarebbero quindi piuttosto brutte e non le candide
fanciulle ammaliatrici della mitologia.
Ma il punto è un altro: se perfino biologi marini
di un certo spessore e se associazioni come il NOAA spendono soldi ed energie
nella ricerca di questi umanoidi acquatici, almeno il dubbio che possano
esistere c’è.
Se questi esseri sfuggenti vengono cercati nel
Pacifico e nell’Atlantico anche a grandi profondità, sembra esserci un luogo
dove basterebbe attendere a riva per vederli o vedere qualcosa di simile. I
malesi li chiamano “Orang Ikan” e a loro dire ci sarebbe una grande colonia
attorno alle isole Kei, nella parte sud-orientale delle isole Maluka
dell’Indonesia.
In malese Orang significa “umano” e Ikan significa
“pesce” e sono descritti come esseri umanoidi con braccia, gambe ma anche
pinne, branchie e coda. I malesi sono a conoscenza di queste creature da
secoli, ma la notizia si è sparsa solo dopo la seconda guerra mondiale.
Nel 1943, nel bel mezzo dei combattimenti in tutto
il Pacifico, un battaglione di soldati giapponesi vi si stanziò con l’ordine di
presidiare le isole Kei. Queste isole coprono un’area totale di circa 555
miglia quadrate e sono famose per le loro spiagge incontaminate e per alcune
tribù indigene ancora oggi presenti in perfetta armonia con la natura. Fu in
questo contesto di sabbia bianca che i soldati giapponesi riferirono diversi
avvistamenti di strane creature in prossimità della riva, con arti e un volto
simile a un umano, ma una bocca larga, simile a quella di un carpa, branchie e
coda di pesce. Queste creature erano alte circa 150 cm, con la pelle color rosa
o rosso salmone, avevano una lunga pinna dorsale che formava una cresta in
testa e scendeva lungo le spalle. Furono descritte con braccia lunghe e due
prominenti gambe simili a quelle di una rana, entrambe terminanti con lunghi
artigli.
Sebbene in varie occasioni questi esseri furono
segnalati lungo le spiagge, il loro habitat sembrava essere nelle lagune. In
un’occasione, due delle creature vennero viste giocare e nuotare vicino al
bagnasciuga di giorno, ma il più degli avvistamenti avvenne di notte. Un
soldato affermò di aver visto due Orang Ikan esaminare la sabbia al crepuscolo,
come se fossero alla ricerca di qualcosa. I movimenti erano goffi, al contrario
di quelli in acqua che erano veloci e agili.
Un altro soldato, che si trovava in prossimità di una laguna, vide
emergere dall’acqua una “orribile scimmia con una bocca di pesce e spine, come
un riccio di mare” a non più di tre metri da lui. Mentre la creatura si avvicinava,
avvertì un forte odore di pesce marcio e quando prese il fucile per spararle,
lei guizzò nell’acqua colpendolo con la coda e scaraventandolo a terra per poi
immergersi e scomparire.
Altri soldati, pur non avendo avuto incontri
diretti con le bestie, dissero di averle avvistate in spiagge appartate o,
nuotando, in acque basse.
La testimonianza più straordinaria, però, giunse dal
sergente della squadra, Taro Horiba, che una sera fu convocato da un capo tribù
locale, con cui aveva stretto amicizia, che volle mostrargli un Orang Ikan ritrovato
morto sulla spiaggia. Horiba descrisse la strana creatura come alta circa 160
cm, con una testa molto larga coperta di peli rossi che arrivavano fino alle
spalle, aveva spine lungo tutto il collo. Riferì che il volto era una
combinazione di caratteristiche umane e scimmiesche: un naso basso e corto,
un’ampia fronte e piccole orecchie appuntite. La bocca non aveva labbra ed era
larga come quella di un pesce. Fu descritta come quella di una carpa, piena di
denti piccoli e duri come gli aghi. Le dita della creatura erano lunghe e
finivano con artigli traslucidi. Horiba ha anche riferito che c’erano delle
alghe attaccate su tutto il corpo che gli davano un colorito verdastro che si
alternava al rosa tipico della pelle della creatura.
Dopo essere tornato in Giappone, Horiba riportò le
sue esperienze e chiese al Governo di inviare dei biologi a investigare, ma
nessuno lo prese sul serio. Il fatto che non avesse scattato alcuna foto non ha
aiutato la sua causa e alla fine, è stato persino deriso.
Il caso venne chiuso: gli avvistamenti venero
attribuiti a dugonghi che, anche se rari, un tempo si trovavano in tutto
l’Indo-Pacifico e molto probabilmente esistevano anche sulle isole indonesiane.
I dugonghi però non hanno braccia né gambe e non sembra che il volto del
dugongo possa essere interpretato così male come riportarono Horiba e i suoi.
Non si può fare a meno di notare la somiglianza tra
questi Orang Ikan e altri esseri acquatici segnalati altrove. Sul lago di di
Thetis nell’isola di Vancouver, nel 1972, per esempio; come pure i Pugwis e
tutti i mostri lacustri o di laguna nel nord dell’America, tutte creature molto
simili tra loro e somiglianti nella descrizione all’Orang Ikan.
Gli abitanti dei villaggi delle Isole Ike affermano
tutt’ora che, spesso, vengono avvistati sulle isole e talvolta persino
catturati nelle reti. Si dice che siano terribilmente territoriali e a volte
attaccano pescatori e imbarcazioni se si avvicinavano troppo.
Tuttavia, l’Orang Ikan non sembra suscitare l’interesse
degli studiosi: se ne occupano solo i criptozoologi, ma se la teoria delle
scimmie acquatiche esposta per le sirene si rivelasse corretta c’è la
possibilità che questi esseri siano un tipo di primate che ha subito una
mutazione, adattandosi a una vita acquatica o semi-acquatica.
Sicuramente la maggior parte di voi dopo aver letto questo titolo penserà alle splendide e sensuali sirene, quelle folcroristiche, descritte come incantevoli ragazze mezze nude con la parte sopra umana e la parte sotto di pesce.
RispondiEliminaMa ammesso che le sirene esistano, siamo sicuri che siano proprio fatte così?