Secondo
il geografo greco Marciano di Eraclea (4° - 5° sec. d. C.) l’attività
produttiva di Artemidoro di Efeso ebbe luogo tra il primo ed il quarto anno
della 169° Olimpiade, cioè tra il 104 ed il 101 a. C.
Verso
la metà del primo secolo a. C., qualche committente (un privato o forse la
stessa biblioteca di Alessandria) dovette chiedere una copia del trattato di
Artemidoro, Geographia, ma durante la
ricopiatura del secondo libro (su un totale di undici) avvenne un incidente: il
cartografo copiò una cartina geografica sbagliata che non aveva alcuna
relazione con il testo. Cosicché il papiro, che non poteva più essere usato per
ricopiare interamente il secondo libro, fu riposto in un angolo della bottega
in attesa di altri utilizzi (a quel tempo la carta era preziosa). Passarono
ancora degli anni finché quel rotolo abbandonato non fu ripreso da un atelier
di disegno, dove i giovani studenti cominciavano ad esercitarsi per le loro
“prove d’artista”. Questa “seconda vita” del papiro di Artemidoro, vale a dire
i 43 disegni del suo “bestiario”, dimostra con forza il tema della possibile
esistenza di “modelli” per mosaicisti e tessitori nell’Egitto greco-romano.
Per
la realizzazione di composizioni vaste e complesse, come ad esempio il celebre
mosaico di Palestrina (realizzato tra la fine del II sec. a. C. e gli inizi del
I), l’artista non poteva fare a meno di modelli figurativi precostituiti,
contenuti in raccolte facilmente trasportabili: trattati di zoologia, bestiari
o quaderni di modelli che fossero.
Il
grande mosaico di Palestrina (5,85 x 4,31 m.) fu realizzato con ogni
probabilità dal paesaggista alessandrino Demetrio detto il topografo (che
abitava a Roma già dal 165 a. C.) ed è custodito nel Museo Archeologico Nazionale
di Palestrina (Palazzo Colonna-Barberini). Esso, confrontato con altri
documenti, di epoche precedenti e coeve, ci dà un quadro di quelle che erano le
nozioni zoologiche in possesso del mondo antico ed intorno alle quali noi oggi
sappiamo ben poco, anche a causa del rogo in cui arse la biblioteca di
Alessandria, che cancellò per sempre un immenso patrimonio di dati e
conoscenze.
Ora
nel mosaico di Palestrina è raffigurata, con ottima precisione, una
straordinaria varietà di animali, molti dei quali ben riconoscibili come reali
ed attualmente esistenti.
All’estrema
destra del mosaico di Palestrina, immediatamente sopra l’immagine di un tempio
egizio, che secondo alcuni sarebbe la rappresentazione del tempio di Osiride a
Canopo (per altri quella di un tempio menfita, o forse l’errata dislocazione di
qualche tempio egizio della Nubia sulle rive del Nilo), vediamo raffigurati due
animali molto strani, dai nomi (secondo l’usanza greca si scriveva sempre il
nome di un personaggio o di un animale accanto alla sua rappresentazione) che da soli già dicono qualcosa: uno, quello
più in basso, è indicato col termine CROCODILOPARDALIS, mentre l’altro, sopra
al primo, CROCODILOSCHERSAIOS.
In
effetti, il termine CROCODILO suggerisce che si tratta della raffigurazione di
un grande rettile acquatico. E il suffisso PARDALIS? Certamente deve denotare
la caratteristica di una pelle maculata, esattamente come avviene per un’altra
analoga parola greca, CAMELO-PARDALIS, la giraffa.
Molto
più incerto è l’etimo del secondo grande rettile. Infatti il suffisso
SCHERSAIOS è di difficile interpretazione, anche se si può ipotizzare
un’indicazione di provenienza geografica: SA(I)HO sono infatti alcune
popolazioni di origine cuscita stanziate oggi ad Est dei monti Soira, in Eritrea,
che, vivendo ancora in Nubia in epoca tolemaica, dovevano necessariamente
occupare una zona vicino ad un fiume, presumibilmente il Nilo. Certamente non è
un caso che i cacciatori raffigurati nel mosaico davanti ai due animali siano
proprio nubiani.
Ma
potevano esistere grandi rettili d’acqua con la pelle maculata? Sì, si tratta
di una delle due grandi famiglie in cui sono stati divisi i plesiosauri, e cioè
gli elasmosauri.
Non
c’è da meravigliarsi: è già successo in passato che animali ritenuti estinti siano
stati, poi, trovati vivi e vegeti in giro per il mondo e nei mari. Nulla quindi
può portarci ad escludere che i plesiosauri, ritenuti estinti anch’essi da 65
milioni di anni, siano ancora vivi, (come ipotizzava Heuvelmans) o perlomeno lo
erano all’epoca.
È
singolare notare che il creatore del mosaico del Nilo di Palestrina, escludendo
altre fonti, sia pur attendibili e disponibili, ha voluto escludere ogni
suggestione ed ogni cedimento all’ignoto, a ciò di cui non si aveva conoscenza
diretta o che fosse comunque estraneo all’ambiente acquatico e terrestre lungo
tutto il corso del Nilo.
Se dunque il mosaico del Nilo di Palestrina vuole essere una riproduzione fedele (per lo meno nelle intenzioni) di animali reali ed esistenti sui territori solcati da quel grande fiume, allora devono esistere altri riscontri che riguardano l’esistenza di plesiosauri ed anche di enormi serpenti (di cui troviamo due riproduzioni nel mosaico) in Africa settentrionale. È quello che vedremo in un prossimo articolo posto a corredo del mio racconto “L’anfora”.
All’estrema destra del mosaico di Palestrina, immediatamente sopra l’immagine di un tempio egizio vediamo raffigurati due animali molto strani, dai nomi (secondo l’usanza greca si scriveva sempre il nome di un personaggio o di un animale accanto alla sua rappresentazione) che da soli già dicono qualcosa: uno, quello più in basso, è indicato col termine CROCODILOPARDALIS, mentre l’altro, sopra al primo, CROCODILOSCHERSAIOS.
RispondiElimina