Prima ancora che un governatore vi regnasse in nome
dei re divini, visse a Battria un uomo che sarebbe diventato, più di qualsiasi
altro, una figura determinante per la notorietà della cultura persiana in
occidente. Costui fondò una religione e diede alla Persia una nuova
spiritualità ma, ancora di più: egli ha elaborato una visione del mondo che ha
avuto ripercussioni decisive sulla nostra stessa cultura, plasmandola in
aspetti non secondari. L'uomo era Zarathustra.
Quando gli arabi conquistarono la Persia e vi
diffusero l'islamismo, la religione antico-iraniana scomparve quasi
completamente dalla regione e Zarathustra rimase a lungo, per i posteri, un
profeta la cui dottrina era stata superata e soppiantata da quella di fondatori
di religioni più affermate: Gesù Cristo, Maometto, Budda. Un uomo,
quindi, irrevocabilmente travolto dalla storia. Pur tuttavia, molti principi
teologici delle religioni moderne, la cui origine fu a lungo ricercata nei
profeti ebraici, sono già delineati negli scritti di Zarathustra. Questo è già
un motivo sufficiente per chiedersi se la religione ebraica e in seguito, il cristianesimo e
l'islamismo non
siano stati profondamente influenzati dal suo insegnamento. Sulla persona di
Zarathustra sappiamo ancor oggi ben poco. Gli storici disputarono a lungo sulla
sua data di nascita e sui luoghi in cui visse e agì. Non esistono indizi
veramente affidabili anche perché i suoi insegnamenti furono messi per iscritto
secoli dopo la sua morte con l'eccezione delle Gàthà, le prediche in versi, o
inni, che si ascrivono a Zarathustra stesso; anche quest'ultime però ritraggono
la biografia del profeta a tratti vaghi. Oggi, dopo complessi studi linguistici
e comparazioni di testi antico-iraniani, la maggior parte dei ricercatori è
arrivata alla conclusione che Zarathustra sarebbe nato attorno all'anno 630 a. C.
nella città di Battria. Di conseguenza non era un persiano bensì un battriano,
come allora si chiamavano gli abitanti della regione. Apparteneva, come i
persiani, agli Arya (oggi arii o ariani), la grande stirpe indoeuropea che, a
partire dal terzo millennio a. C., si era spinta ininterrottamente dall'Asia
centrale verso sud. Alcune tribù erano penetrate in India attorno al 1900 a. C.
e avevano fondato nel corso di dieci generazioni il sistema di caste degli indù.
Altre tribù erano confluite, nello stesso periodo, nei grandi altipiani
disabitati, con steppe e deserti, montagne e fertili valli, in quel paese che
alla fine si chiamerà Iran "paese degli ariani". Se si vuole prestar
fede alla leggendaria tradizione dell'Avesta, Zarathustra fu il terzo figlio di
una nobile famiglia, gli Spitama. Il padre sembra sia stato sacerdote di un
clan di nobili allevatori che non avevano alcun tempio e offrivano i loro riti
sacrificali all'aperto, nella steppa. Influenzato spiritualmente dalle
tradizioni nomadi della sua tribù e dalla vita cittadina di Battria, fu
destinato, ancora molto giovane, a seguire le orme del padre, a diventare lui
pure sacerdote. Ma di quale religione? Le testimonianze scritte del tempo sono
poche, ma bastano a delineare un quadro sufficientemente chiarificatore. Gli
iraniani, dai battriani ai medi fino ai persiani, suddividevano i loro dei in
due classi: le divinità superiori della luce che abitavano nel cosmo, gli
ahura, e gli spiriti inferiori che dimoravano nella terra, nel vento,
nell'acqua e nel fuoco, i daeya. Nessun uomo però si sentiva in grado di
comprendere razionalmente l'autorità di tali dei, talvolta li si percepiva
senza un motivo ben identificabile come amici e soccorritori, altre volte
crudeli e distruttori. Gli iraniani potevano solo sperare di rendere clementi
quegli dei misteriosi e inquietanti tramite canti di lode e doni sacrificali.
Nei loro solenni rituali doveva scorrere abbondante sangue di tori e di buoi,
per lenire il terrore di un destino incommensurabile. I sacerdoti e il popolo
bevevano, in determinate occasioni, una bevanda inebriante che portava il nome
del loro dio dell'estasi, Haoma, e con danze ritmiche interminabili cadevano in
trance per percepire, sia pur per brevi momenti, l'incantevole ebbrezza
dell'immortalità, come i loro dei. Zarathustra si accorse ben presto
dell'inadeguatezza di tali rituali, dato che all'età di vent'anni abbandonò la
sua patria e parti in solitudine. Lui, che si nominava uno zaotar, poeta sacro
e predicatore, voltò le spalle al mestiere di sacerdote. Dieci anni, forse
anche vent'anni, dovettero durare le peregrinazioni del religioso viandante.
Nell'Avesta troviamo scritto soltanto che alla fine, sul fiume Daitya, gli
apparve un angelo e si sarebbe verificato uno dei più fecondi avvenimenti per
la storia delle religioni. Zarathustra ebbe la visione della lotta cosmica tra
le forze del bene e del male, tra Dio e Satana; poi della resurrezione
dei morti nel giorno del giudizio universale e della continuazione
dell'esistenza dopo la morte, nel paradiso o nell'inferno. Tutto ciò molto
prima che i profeti di altre religioni annunciassero gli stessi principi. Se le
supposizioni degli storici sono esatte, questo è avvenuto negli anni che vanno
dal 610 al 590 a. C. quindi seicento anni prima di Cristo e mille e duecento
anni prima di Maometto. Sul fiume Daitya apparve - cosi raccontano le Gàthà - al
religioso viandante l'angelo Vohu Manu "animo buono" avvolto in uno
splendido mantello di luce che lo condusse al trono del dio Ahura Mazdah
"signore saggio".
Passarono diversi anni prima che Zarathustra, dopo
quella visione, uscisse dalla solitudine iniziando quindi a predicare nella
capitale della sua patria. La gente lo ascoltava senza troppo interesse, i
sacerdoti e i nobili lo respingevano duramente. Pochi furono i seguaci che si
strinsero attorno a lui e lo accompagnarono nei suoi viaggi di predicazione.
Dopo anni di delusioni e di persecuzioni lasciò Battria e con i pochi suoi
discepoli andò nel regno di Corasmia. Il re Vistaspa lo accolse benevolmente,
tenne lunghe conversazioni con lui e si convertì alla nuova fede: fu un
successo decisivo. I nobili a corte seguirono ben presto l'esempio del Re.
Zarathustra poté iniziare la sua opera. Sotto la protezione del Re fece
costruire davanti alle porte della città il suo famoso tempio del fuoco al cui
altare, all'aperto, i sacerdoti intonavano canti e catechizzavano il popolo.
Non c'era più bisogno di sacrificare vittime animali per rendere benevoli gli
dei. Chi agiva secondo i precetti del "saggio signore", Ahura Mazdah,
cioè rettitudine, laboriosità e onestà, poteva sperare nella grazia divina per
l'avvenire. Keshmar divenne la residenza di Zarathustra e in quella città
affluirono i curiosi per ascoltare le sue prediche, da lì partirono i suoi
allievi come missionari nelle province lontane e in altri regni. Ciò nonostante
non mancarono le difficoltà e gli ostacoli. La casta sacerdotale, rimase
testardamente fedele alla religione preesistente e si coalizzò con i principi
degli stati vicini contro il riformatore. La guerra che segui fu fatale al
fondatore della religione e al suo protettore, il re Vistaspa. Per Zarathustra
terminò in una catastrofe. Le truppe nemiche, quando penetrarono nella
capitale, bastonarono a morte il vecchio di settantasette anni prima di doversi
ritirare in fuga. Zarathustra mori da martire, come tanti padri fondatori di
religioni. Avvenne attorno all'anno 553 a.C. Secondo la leggenda, la dottrina
di Zarathustra fu scritta, ancora ai tempi del maestro, con inchiostro d'oro su
dodicimila pelli di bue e fu poi conservata nella biblioteca reale di
Persepoli. Di quell'originale non ci è pervenuto alcunché. Dev'essere
verosimilmente finito alle fiamme nell'anno 330 a. C. quando i soldati di
Alessandro il Grande, conquistata la città, vi appiccarono fuoco. Ciò che è
rimasto sono copie redatte, seicento anni dopo, da sacerdoti, sulla base di
altri esemplari dell'Avesta. Purtroppo, anche di quelle ci sono pervenute soltanto
parti frammentarie perché gli arabi, durante la loro avanzata conquistatrice,
operarono ripetute distruzioni. I brani a noi pervenuti forniscono in ogni caso
sufficienti chiarificazioni sulla sua dottrina. Zarathustra ha, come molti
padri di religioni, lasciato ben poco di scritto. Di tutto ciò che ci è
pervenuto, solo le Gàthà (gli inni) nei libri Yasna (riti del sacrificio) che
potrebbero essere ascritti direttamente a lui. Furono, infatti, redatte in un
dialetto simile al sanscrito com’era allora in uso a Battria. Si tratta però di
pochi punti di riferimento precisi che, nonostante ciò, permettono di
ricostruire con una certa approssimazione i caratteri grandiosi e unici della
sua dottrina. Zarathustra confutò la fede dei suoi padri che riconosceva un
gran numero di ahura, le divinità della luce, e di daeva, i demoni. Egli sostenne
che una sola di quelle divinità ahura era l'unico
dio: Ahura Mazdah, il "saggio signore". Ahura Mazdah non appare
più agli uomini, come gli altri ahura, in maniera visibile, non sposa altre dee
e non genera figli, non è nemmeno più una divinità volubile che, incomprensibilmente,
dispensa a volte il bene e altre volte il male. Il suo Ahura Mazdah non ha un’immagine
corporea, è onnipresente, astratto ed eterno. Ben lontano dalle passioni umane,
incarna un principio facilmente identificabile: il bene. A quest’unico dio si
oppone però un antagonista col nome di Angra Mainyu, lo "spirito del
male". Il grande oppositore, un daeva in origine, non lascia niente d’intentato
per distogliere gli uomini dalla fede nel bene. Ci sono poi figure ausiliarie
quali forze del bene e del male, sono spiriti e demoni derivati, nelle loro
qualità, dalle divinità precedenti. Dalla parte di Ahura Mazdah sta innanzi
tutto Spenta Mainyu, lo "spirito
santo" che compare talvolta quale incarnazione dell'unico dio, altre
volte come entità a se stante in qualità di annunciatore della volontà divina. Gli
dei-servitori di questo "spirito santo" sono divinità della luce,
amesha spentas, "spiriti immortali": gli angeli. Essi ricevono di regola l'incarico di annunciare agli
uomini i messaggi divini. Vohu Manu, "animo buono", era uno di quegli
angeli: apparve a Zarathustra per accompagnarlo al trono del dio. Dalla parte
dello "spirito del male", Angra Mainyu, stanno i daeva, i demoni. A
quel gruppo appartengono la maggior parte delle divinità venerate dai contemporanei
di Zarathustra e sono spiriti cupi al servizio del male. Dio è eterno ma la
lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, è limitata nel tempo,
così insegnò Zarathustra. La lotta iniziò dopo che Dio aveva creato un mondo
senza peccato, abitato da un uomo e da un animale ideali. Allora, nel regno
della luce di Ahura Mazdah, comparve il suo antagonista Angra Mainyu che negò
la creazione divina e volle corromperla. Passarono tremila anni‚ ma lo spirito
del male riuscì a penetrare nel mondo senza peccato e a eliminare l'uomo e
l'animale ideali. Da quel momento si moltiplicarono sulla terra i demoni
inferiori generati da Angra Mainyu. Lo spirito del male non riuscì, però, a
scacciare dal mondo l'influenza del bene perché sia l'uomo sia l'animale ideali
avevano lasciato il loro seme sulla terra. Da quel seme nacquero, magicamente,
la prima coppia umana e le prime specie animali. In quelle nuove forme viventi
erano però frammischiati sia il bene che il male, l'epoca d'oro del paradiso
senza antagonismi e senza peccato era finita. Fu così che iniziò la storia
universale costellata da conflitti e intrighi drammatici, da quel momento
l'uomo fu, ed è ancora, chiamato a scegliere tra il bene e il male. La nuova
epoca durava da trentamila anni. Poi Dio decise di aiutare gli uomini inviando
tra loro un profeta: Zarathustra. Il profeta però viene riconosciuto tale solo
da una minoranza degli uomini e più tempo passerà dalla sua morte, più gli
uomini si allontaneranno dalla morale e dalla virtù. Come punizione Dio
condannerà il mondo a una serie di catastrofi, d’inondazioni, d’incendi e di
guerre disastrose, quindi i suoi angeli suoneranno le trombe del giudizio
universale. Così gli uomini tutti si alzeranno dalle loro tombe e dovranno
rispondere al cospetto del divino signore della loro vita, se hanno accettato o
rifiutato il messaggio spirituale del profeta. Mentre per i fedeli inizia a
quel punto una "vita eterna" nel regno di Dio, gli altri saranno
condannati all'eterno tormento nell'inferno. Alcuni caratteri di questo
insegnamento religioso erano nuovi, mai formulati e predicati fino ad allora da
nessun altro uomo. Spesso si tratta di concetti che i cristiani, gli ebrei e i
musulmani, pur con tutte le differenze nei dettagli, riconoscono a loro
familiari. Ancora oggi gli storici delle religioni dibattono attorno alla
questione se Zarathustra abbia riformulato in maniera più chiara idee già
preesistenti oppure se creò qualcosa di radicalmente nuovo. Alcune delle loro
ricerche però possono già essere prese come certezze e ora le esamineremo.
Iniziamo dalla fede in un dio unico. Zarathustra ha fondato una religione
monoteistica ma non fu affatto il primo ad annunciare il credo in un unico dio.
Gli ebrei, i cristiani e i musulmani ascrivono tale primogenitura al patriarca
ebreo Abramo. Ciò nonostante è poco verosimile che il pensiero ebraico sia
arrivato fino a Battria dato che gli ebrei non mostravano propensione a
viaggiare cosi lontano e meno ancora a predicare ad altri popoli la loro
religione. Zarathustra dovette ricevere stimoli da un'altra direzione. Un
popolo però aveva già mosso i primi passi in quella direzione: gli indiani
arii. Gli indiani
avevano iniziato già un secolo prima di Zarathustra a sviluppare nella parte
filosofica del loro Veda, la cosiddetta Upanisad (dottrina segreta), una nuova
forma di religione. Non pochi, tra i loro significativi pensatori, presumevano
che dietro la complicata molteplicità degli dei ci fosse una magica forza
primigenia, un'anima universale creatrice del tutto che veniva chiamata brahman. Si
trattava di un principio astratto quasi incomprensibile per le masse dei
fedeli. I semplici contadini e artigiani continuavano a credere solo a Siva,
Visnu e a mille altre divinità, ma per i colti sacerdoti quegli dei
rappresentavano soltanto forme apparenti dell'inesauribile brahman. Presso gli
indiani si stava delineando, sia pur con contorni vaghi, l'idea del dio unico.
Zarathustra conosceva forse quei testi? E probabile. Addirittura molto
verosimile dato che l'orientalista americano Richard Frye richiama l'attenzione
sul fatto che le sue preghiere in versi, le Gatha, sono riconducibili per metro
e ritmo al Veda dei brahman indiani. Lo stesso titolo dell'opera omnia Avesta
(Sapere) corrisponde a quello della raccolta indiana di scritti religiosi Veda
(Sapere). Inutile sottolineare che non dovrebbe esser stato difficile decifrare
la "lingua sacra" degli indiani arii, il sanscrito, che era parecchio
somigliante al dialetto di Battria. A quel tempo dovevano poi verificarsi
frequenti contatti tra i sacerdoti arii dell'Iran orientale e dell'India settentrionale.
Zarathustra avrebbe quindi sviluppato ulteriormente e in maniera radicale, ciò
che gli eruditi indù avevano fatto germogliare. Ha, indipendentemente dai
profeti ebraici e con lo sguardo diretto all'India, impresso un nuovo corso
all'idea di un "principio primordiale", di “un’anima
universale". Zarathustra però non diventerà per questo un genio nella
storia delle religioni. Elaborò soltanto ciò che gli ebrei avevano già
formulato in maniera analoga. L'idea della fede in un unico dio non avrebbe tardato
a imporsi se lui stesso non fosse vissuto. Dove sta dunque l'aspetto unico e
originale che, prima di lui, nessun profeta annunziò? Qual è il nuovo che
influì in maniera decisiva su altre e posteriori religioni? Oggi una gran parte
degli studiosi di storia delle religioni, impegnati nell'analisi delle fonti
storiche, sono d'accordo nel loro giudizio su un punto: Zarathustra fu il primo
profeta ad annunciare l'esistenza di Satana. Zarathustra per primo ha
considerato il mondo terreno come il luogo dello scontro tra il bene e il male
e nessuno prima di lui ha chiamato gli uomini a fare una libera scelta tra
queste due forze assolute. È certo che questo modello ha dei precedenti: gli
indiani arii e gli iraniani operavano da tempo una distinzione tra dei del bene
e del male, suddividendo così l'universo in due mondi contrapposti, ma fu
peculiare di Zarathustra l'aver fissato linee precise in quell'ordine ancora
vago. Lui per primo predicò la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio
universale, in cui l'uomo, al cospetto di Dio, deve rispondere delle sue buone
e cattive azioni. Prima di Zarathustra nessuno ha annunciato l'esistenza di un
aldilà, del paradiso per i buoni e dell'inferno per i cattivi. Ciò che molti di
noi credevano appartenesse al patrimonio inventivo degli ebrei non venne ideato
per tramite di apparizioni nei deserti della Giudea o sul fiume Giordano, bensì
nelle montagne e nelle steppe dell'Afghanistan e sulle
rive dell'Amu Darja. Gli ebrei ai tempi di Zarathustra conoscevano già i dieci
comandamenti di Mosé e credevano che i peccatori suscitassero l'ira di Dio. La
pena però li minacciava nell'aldiquà e spesso avveniva. Lo raccontano, in
maniera leggendaria, le parti più antiche del Vecchio Testamento, che Dio
intervenisse direttamente e funestasse i peccatori con la guerra e le epidemie.
Una giustizia compensatrice nell'aldilà era sconosciuta anche agli stessi
profeti Isaia ed Ezechiele, che furono quasi contemporanei di Zarathustra. E
pur vero che nelle loro scritture si trova formulata la promessa che i morti
sarebbero rinati, ma quella profezia per immagini e metafore annunciava più che
altro la resurrezione dello stato di Israele dopo un periodo di decadenza: il
loro pensiero era quindi legato all'aldiquà, era di tipo politico. Nella
fantasia degli ebrei esisteva soltanto un regno delle ombre, dove tutti i morti
sarebbero giunti, senza distinzioni tra ricompensa e pena, tra paradiso e
inferno. Un tale regno delle ombre era in tutto simile all'ade dei greci. Gli
ebrei non conoscevano ancora il diavolo quale potente antagonista di Dio. Nelle
scritture bibliche di quel tempo Satana compariva soltanto quale esecutore di
Jahvè e spirito della punizione, cioè doveva sempre adempiere al volere del suo
supremo signore. Il diavolo non era ancora il demone ostinato che cercava di
trionfare su Dio con l'aiuto degli uomini. Gli ebrei consideravano la storia
dell'umanità come un eterno ripetersi di avvenimenti simili, senza uno scopo
intrinseco al divenire. Immagini e concetti religiosi degli ebrei di quel tempo
non si discostavano molto da quelli degli altri popoli progrediti, dagli
indiani ai cinesi ai babilonesi ed egiziani fino ai greci e romani.
Tre secoli dopo la morte di Zarathustra, gli ebrei
pensavano diversamente. Nelle loro scritture bibliche si ritrovavano ormai
quelle idee religiose che noi oggi consideriamo essere in tutto e per tutto
ebree e, in senso traslato, cristiane. La diffusione delle idee religiose di
Zarathustra fu assicurata dal sorgere di una potenza politica che riuscì a
difendere efficacemente la nuova religione contro i suoi oppositori. Solo
allora si realizzò per Zarathustra la possibilità di diventare famoso oltre i
confini iraniani e di influenzare così in maniera decisiva altre religioni.
Questa forza politica stava già formandosi al tempo di Zarathustra stesso: era
l'impero dei persiani. L'incontro con Zarathustra portò a una svolta religiosa
di grande importanza presso uno dei popoli sottomessi: gli ebrei. Gli effetti
furono d’importanza storica mondiale. Gli ebrei di quel tempo passarono
attraverso la più grande crisi della loro storia. Nell'anno 587 a.C.
Nabucodonosor re di Babilonia aveva fatto distruggere la capitale ebraica
Gerusalemme fino alle mura di cinta e deportato soprattutto uomini di lettere,
sacerdoti, funzionari dell'amministrazione, commercianti e soldati nelle
regioni del Tigri ed Eufrate. Lo stato ebraico non esisteva più, l'intera élite
intellettuale e con lei, una parte del popolo, viveva sotto il dominio di
governanti stranieri, molto lontano dalla patria nativa. Quell'epoca, che è
entrata nella storia col nome di prigionia babilonese, ebbe fine per mano di
Ciro, il Grande Re dei persiani. Ciro fece tornare gli ebrei nella terra dei
loro padri dopo aver conquistato il regno babilonese. Ma idee e indirizzi
spirituali di coloro che tornarono a casa erano diversi da quelli dei loro
diretti antenati: nella loro permanenza in terra straniera erano stati
influenzati dall'incontro e scontro con una cultura assolutamente nuova e per
certi versi, affascinante. Messi alla prova da quell'esperienza, profondamente
disorientati, i sacerdoti ebrei cominciarono a riflettere intensamente sulle
grandi questioni religiose, sul senso dell'esistenza, anche il popolo si
mostrava ricettivo a nuovi messaggi profetici. Durante quel periodo storico
vennero formulate parti fondamentali del Vecchio Testamento ispirate al
patrimonio culturale straniero. Innanzi tutto a Babilonia: da lì gli ebrei
presero il mito della creazione della prima coppia di uomini dal fango e la
leggenda del diluvio. Ma impararono molto anche dai persiani.
Come possiamo però dimostrare che gli ebrei furono
influenzati proprio dalla dottrina di Zarathustra? A questo riguardo siamo in
possesso di un documento illuminante. Si trova nel Vecchio Testamento: il libro
di Daniele. Non ne conosciamo gli autori, probabilmente il libro è stato
scritto uno o diversi secoli dopo la morte del profeta ebraico. Deve poi
trattarsi di una commistione di elementi leggendari e di avvenimenti realmente
accaduti; ciononostante possiamo tirare alcune importanti conclusioni dal
testo. Daniele visse alla corte del re babilonese Nabucodonosor. Daniele fece
carriera a corte grazie alla sua capacità di interpretare in maniera convincente
i sogni di Nabucodonosor e ciò non era poco in un paese in cui dai sogni si leggeva
il futuro. Egli diventò addirittura alto funzionario. Quando Ciro conquistò
Babilonia, l'esperto di riguardo andò a corte a Susa e diventò per decenni un
importante consigliere del Grande Re Dario. Fin qui la sua biografia. D’importanza
decisiva sono le parole che gli autori biblici a lui posteriori attribuiscono a
Daniele. Nel dodicesimo capitolo del libro che porta il suo nome, leggiamo:
"E molti, sicché‚ giacciono
dormienti sotto la terra, si sveglieranno, certuni per la vita eterna, altri
per l'umiliazione e la vergogna eterne... Tu però Daniele (è Dio che parla)
vai pure finché arriverà la fine e sii
tranquillo, che tu risorgerai nella tua terra alla fine dei giorni".
Frasi simili non si erano mai trovate negli scritti del Vecchio Testamento. Sono
pensieri attribuiti a un ebreo al servizio dei persiani e che a Susa ebbe
senz'altro contatti quotidiani con seguaci di Zarathustra. Per la prima volta
un ebreo annuncia la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale.
Nello stesso libro si legge, per la prima volta, che il divenire storico ha una
meta precisa nella fine del tempo: la necessaria scomparsa del nostro mondo
imperfetto e l'inizio raggiante di un eterno regno di Dio. Il libro di Daniele
dimostra l'influenza della religione di Zarathustra sul pensiero ebraico. Non
deve trattarsi certo dell'unico caso. Nel corso del III e II secolo a. C. gli
ebrei si appropriarono anche della dottrina degli angeli e dei demoni, di Dio e
Satana quali antagonisti universali in questo mondo terreno. Gli ebrei non cedettero
più che sia il bene quanto il male provenivano in uguale misura da Dio e che in
quanto tali dovevano essere accettati. Da quel momento tutto il male era da
ascriversi a forze demoniache che operavano da un ben definito regno delle tenebre
e contro le quali bisognava opporre un'energica resistenza. Nel II secolo a.C.,
la religione ebraica si configurava così come Gesù la conobbe. Il Redentore
accolse poi diversi aspetti fondamentali di quelle nuove idee. E non solo lui.
Seicento anni dopo, Maometto diede vita all'islamismo prendendo le mosse dal
patrimonio ebraico e cristiano: anche quest'ultimo predicò che gli uomini erano
posti in questo mondo per scegliere tra Dio e Satana, anche lui insegnò la
resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale, anche lui annunciò
il paradiso quale ricompensa per gli uomini retti e l'inferno come punizione
per i peccatori. E' un vero paradosso: i seguaci di Zarathustra sono oggi una
minoranza in via di sparizione. Nemmeno duecentomila fedeli, ma il pensiero del
padre fondatore ha collaborato a forgiare tre grandi religioni, i cui segnaci
rappresentano più della metà della popolazione mondiale. In Persia si trovano
oggi quarantamila seguaci di Zarathustra, un numero insignificante rispetto al
totale della popolazione. La maggior parte di loro vive a Teheran e nelle
regioni di Kerman e Yasd. Nessun persiano musulmano impedisce loro di
raccogliersi attorno al fuoco sacro e di pregare Ahura Mazdah: ai seguaci di
Zarathustra è assicurata piena libertà di culto. In questo caso anche gli
sciiti fanatici non fanno eccezione, nonostante la loro fama d’intolleranti.
Secondo i precetti islamici, nessuna religione che insegni la fede in un unico
Dio può essere ostacolata. I musulmani riconoscono la fede di Zarathustra come
una forma primitiva dell'islamismo e ciò permette ai fedeli di Ahura Mazdah di
sopravvivere, almeno fino a oggi, nel loro paese di origine. Al di fuori della
Persia i seguaci di Zarathustra sono presenti in un certo numero in India, dove
erano fuggiti già nel VII secolo. Là si nominano parsen, che significa
nient'altro che persiani. Il loro centro è la metropoli di Bombay. Essi
riuscirono a tramandare il loro credo nella memoria dei posteri in maniera più
efficace dei loro fratelli persiani e poterono mantenere le loro tradizioni
nella società induista religiosamente tollerante senza essere ostacolati. Non è
quindi un caso che proprio a Bombay gli storici europei fecero il primo
incontro con la dottrina di Zarathustra. Il numero dei parsen si limita a
centotrentamila persone circa. Se a loro si aggiungono i persiani, si arriva a
un totale di circa centosettantamila credenti che sono rimasti fedeli a questa
religione un tempo così importante. La fede di Zarathustra non è mai diventata
una religione universale, ma non ha neppure mai tentato di diventarlo. Sulla
base delle notizie in nostro possesso bisogna supporre che i suoi seguaci non
abbiano mai sentito l'esigenza di predicare da missionari ai popoli stranieri.
"Andate nel mondo... ", questo comandamento di Gesù, che Maometto ha
ripreso in forma analoga, manca ai seguaci di Zarathustra. Essi si comportarono
come gli ebrei a cui bastava costatare che la fede nell'unico dio fosse ben
radicata nel popolo eletto. Gli imperatori antico-persiani hanno favorito quest’autolimitazione,
reputavano fosse meglio lasciare agli altri popoli la loro religione, anche
solo per amore di pace politica. La scoperta di Zarathustra da parte della
cultura europea iniziò nell'anno 1771. A quel tempo lo storico francese di
religioni nonché orientalista Abraham Anquetil-Duperon conobbe a Bombay i
parsen e s’imbatté in qualcosa di più importante ancora: la loro bibbia,
l'Avesta. Più precisamente: quegli importanti frammenti che erano rimasti dopo
secoli di lotte religiose e politiche. Portò con sé un esemplare a Parigi e lo
tradusse in francese. Fu un'impresa pionieristica che fece scalpore. Già cinque
anni dopo era disponibile una traduzione tedesca, tanto era l'interesse che
aveva suscitato negli specialisti e nel pubblico colto di lettori oltre il
Reno. Non fu affatto un caso che ciò avvenne nel secolo dell'illuminismo. A
quel tempo, nella seconda metà del XVIII secolo, poeti, filosofi e scienziati
riuscirono a liberarsi dalla tutela della chiesa e fecero ogni sforzo per
conoscere, al di là dei pregiudizi, altre culture, anche altre religioni. Gli
illuministi amavano la tolleranza e condannavano i gretti dogmatici che
accettavano esclusivamente ciò che non contrastava col pensiero ereditato dal
passato. Nella borghesia colta regnava un clima di apertura al nuovo e di
attenzione per quelle religioni fino ad allora sconosciute. Mozart introdusse
Zarathustra nella veste di supremo sacerdote e mago Sarastro nel suo Flauto
magico; Goethe
si occupò del profeta iraniano nel suo Divano occidentale-orientale (vedi: Hafiz).
L'importanza decisiva di Zarathustra rimase però ancora a lungo sconosciuta a una
più vasta cerchia di lettori: molti lo consideravano nel migliore dei casi un
profeta messo in ombra dai padri fondatori di religioni seguenti, un uomo cioè
sorpassato inesorabilmente dal corso degli eventi storici. Quest’opinione non
cambiò sostanzialmente neppure nel XIX secolo quando sempre più orientalisti si
diressero in Persia e in India raccogliendo nuove copie dell'Avesta,
traducendole, commentandole e comparandone criticamente le rispettive
differenze. Fu così che si rivelò interamente ai ricercatori come la dottrina
di Zarathustra anticipasse alcuni concetti che fino ad allora erano stati
attribuiti all'ebraismo e al cristianesimo. I risultati di quelle ricerche incontrarono
una vasta resistenza in larghi strati della popolazione. Gli scienziati si
scontravano contro un tabù: essi osavano affermare che il cristianesimo
derivava i contenuti della sua dottrina non solo da Gesù Cristo e dai profeti
dell'Antico Testamento, ma anche dal padre di una religione che apparteneva a
una cultura completamente estranea. Doveva forse voler dire che la fede
cristiana era stata prodotta, in maniera contraddittoria e progressiva, dagli
uomini stessi come tutta la loro cultura, e non proveniva quindi direttamente
da Dio come verità assoluta?
Nelle scritture bibliche di quel tempo Satana compariva soltanto quale esecutore di Jahvè e spirito della punizione, cioè doveva sempre adempiere al volere del suo supremo signore. Il diavolo non era ancora il demone ostinato che cercava di trionfare su Dio con l'aiuto degli uomini.
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