Cerca nel blog

lunedì 18 gennaio 2016

LE INTERMTENZE DELLA MORTE - Di J. Saramago


Allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre le persone smettono di morire. Così, di punto in bianco, senza alcun motivo apparente, nessuno muore più di vecchiaia e di malattia, né per incidenti o ferite. Nel Paese (in un Paese senza nome e solo lì, perché oltre le frontiere la morte e la vita continuano il loro corso normale) sembra che il sogno proibito dell’uomo, quello dell’immortalità, si sia finalmente avverato.
Ma la vita senza morte, più che un sogno, si dimostra un incubo: il Paese si avvicina al collasso economico e sociale, le case di riposo e gli ospedali si riempiono di corpi né vivi né morti (perché non morire non vuol dire guarire, ma semplicemente vegetare, incoscienti e impotenti, appesi a un filo teso che non si può spezzare) e la maphia (col ph) imbastisce sottobanco il traffico di chi vorrebbe morire ma non può. E quando la morte ritorna, con la sua falce e il cappuccio nero, consegnando lettere per avvertire le persone sette giorni prima della loro dipartita, qualcosa nel nuovo meccanismo s’inceppa. Colpa di una busta viola, destinata ad un semplice violoncellista, che si rifiuta di arrivare a destinazione. Così alla morte, punta nell’orgoglio, non resterà che prendere provvedimenti straordinari per rimediare all’errore.
 
Questa, in breve, è la storia de “Le intermittenze della morte” (Feltrinelli, 218 pagine) di José Saramago. Lo stile del premio Nobel portoghese è inconfondibile: periodi lunghi, pieni di incisi e di digressioni, punteggiatura minimale, dialoghi integrati nel corpo del testo, cambi repentini del punto di vista del narratore, continui rimandi ad altre opere dell’autore. Ma ad un premio Nobel si perdona tutto e ciò che, per tutti gli altri sarebbero errori, in questo caso, diventa “Lo stile dello scrittore”. La scrittura di Saramago disorienta, stupisce, mette in difficoltà perché richiede una lettura attenta e concentrata, tuttavia si avverte un ritmo e una ricchezza rari.
Le intermittenze della morte è un romanzo tutto basato sulla sospensione dell’incredulità (per leggerlo, bisogna accettare le premesse paradossali da cui parte tutta la vicenda) e sull’ironia. Sì, perché il tutto viene trattato con uno sguardo insieme complice e sornione. Un romanzo diviso in due parti, capace di tenere due registri e due velocità.
La prima parte del lavoro di Saramago sembra una presa in giro ma è, fondamentalmente, un’arguta satira del potere e dei meccanismi politici, una critica alle religioni e alla Chiesa in particolare.
La storia della morte e di “quel violoncellista che non potrà morire a quarantanove anni perché ormai ne ha compiuti cinquanta”, tema della seconda parte dell’opera, ha i toni più rarefatti della favola, e suona come una metafora della potenza dell’arte, unica attività umana in grado di esorcizzare (ma non sconfiggere) la morte. 
 

Nessun commento:

Posta un commento